Per quanto riguarda la situazione sociale, il 2004 si è iscritto nel prolungamento del 2003. "L'offensiva generale contro il mondo del lavoro, che cerca di ridurre la parte salariale del reddito nazionale, a vantaggio delle classi possidenti" di cui parlavamo l'anno scorso, è continuata senza soluzione di continuità.
Anche per i lavoratori che hanno la fortuna di aver mantenuto il loro posto di lavoro, il tenore di vita ha continuato a degradarsi. Nella grande maggioranza delle imprese, gli aumenti salariali concessi al personale sono ben inferiori al tasso d'inflazione, mentre sono cresciute le spese che gravano sui lavoratori a causa dell'aumento delle imposte locali, della diminuzione dei rimborsi della previdenza sociale, dell'aumento dei contributi delle assicurazioni integrative (per coloro che hanno la fortuna di averne una). Il risultato complessivo è un ribasso del potere d'acquisto dei lavoratori, tanto più che, da parte sua, l'inflazione non si è fermata.
I licenziamenti massicci, le soppressioni di posti di lavoro, continuano a moltiplicarsi, e la disoccupazione ad aumentare. Il governo, la sinistra, i mass media, le confederazioni sindacali, fanno pesare sulle delocalizzazioni la responsabilità dei licenziamenti.
Certo, le delocalizzazioni esistono, sono nate con l'industria capitalistica stessa, dapprima da una regione all'altra, poi da un paese all'altro, poiché i capitalisti, che parlano tanto di interesse nazionale quando si tratta di incitare i lavoratori ad accettare i sacrifici, sono pronti a delocalizzare per aumentare i loro profitti se trovano una manodopera meno cara altrove. Ma ciò necessita che la differenza dei costi salariali sia sufficiente per compensare le spese che una tale operazione comporta necessariamente, che la manodopera sia abbastanza qualificata per compiere i lavori che le si offrirà, che la regione o i paesi che li accolgono abbiano infrastrutture sufficienti in materia di trasporti, rifornimenti di materie prime, forniture di energia, altrettante condizioni che limitano necessariamente le possibilità di delocalizzazione. Queste ultime esistevano ben prima del Mercato comune, ben prima dell'Unione Europea, e quelle avvenute in questi ultimi anni non si sono fatte solo in direzione dei nuovi aderenti all'UE. Queste d'altronde riguardano solo una piccola percentuale di tutte le riduzioni di posti di lavoro, il 5% circa.
In realtà, l'accento messo su questo problema dagli uomini politici della borghesia è solo un modo per non parlare delle conseguenze della gestione capitalistica della società nel suo insieme, e per rigettare le responsabilità della disoccupazione sui "tecnocrati di Bruxelles", come se d'altra parte le decisioni prese dalle istanze europee non lo fossero con l'accordo dei governi degli Stati membri dell'Unione Europea, in particolare dei più forti.
Invece, il padronato se ne serve come di uno strumento di ricatto per cercare, e purtroppo spesso con successo, di far accettare ai lavoratori aumenti del tempo di lavoro senza aumenti di salario, o addirittura con una diminuzione, come si è visto in un certo numero di esempi nel corso di quest'anno, di cui il più conosciuto è quello della Bosch di Vénissieux.
Di fronte a questi ricatti che finge di deplorare, il governo, anziché prendersela con i padroni che praticano questi metodi definiti un giorno da Raffarin come un "abuso di posizione di forza", prospetta come soluzione la creazione di "poli di attività" dove le imprese goderebbero di nuovi sgravi degli oneri sociali, col pretesto di incitarli a non delocalizzare. In altre parole il governo si prepara a fare nuovi regali, evidentemente anche alle imprese che non avevano nessuna intenzione di delocalizzare, ma che non esiteranno ad approfittarne. Decisamente, l'unica cosa che cambia nella politica governativa è il modo di giustificare i regali fatti al padronato.
Questo governo non è certo avaro con la frazione più ricca della popolazione. Coloro che impiegano personale di servizio a domicilio si vedono offrire a questo titolo una nuova diminuzione d'imposte, al punto che alcuni di loro potranno non pagarne più mentre i loro domestici col salario minimo lo dovranno fare.
Viceversa, per le classi lavoratrici non è certo questione di regali, al contrario. La riduzione importante del numero di mesi di sussidio di disoccupazione - che finalmente ha risparmiato i cosiddetti disoccupati "ricalcolati" (a cui era stato soppresso questo sussidio, ndt) -, la riduzione della durata e dell'ammontare del versamento del "sussidio specifico di solidarietà", ridurranno certamente in modo drammatico i redditi di migliaia di lavoratori privati del posto di lavoro e taglieranno più tardi le pensioni di tutti quelli che si saranno ritrovati più rapidamente nel dispositivo RMI (reddito minimo d'inserzione, cioè il sussidio minimo pagato a chi non ha altre fonti di reddito), poiché gli anni di RMI non contano nel calcolo delle pensioni. Ed il tentativo di diminuire brutalmente l'ammontare delle pensioni spettante alle vedove e vedovi, provvisoriamente sospeso di fronte alle proteste, dimostra quanto valgano le dichiarazioni dei ministri che dopo il dramma della canicola del 2003 si perdevano in discorsi sulla solidarietà di cui la società doveva dar prova nei confronti degli anziani.
Di fronte a quest'offensiva contro il mondo del lavoro, una risposta collettiva della classe operaia sarebbe necessaria. Ma la maggior parte dei lavoratori non crede più alla possibilità di cambiare la loro sorte con la lotta, demoralizzati dalla disoccupazione e dagli anni in cui governi che si dicevano di sinistra hanno condotto (a volte con la partecipazione dello stesso partito comunista) una politica che prefigurava quella di Chirac e Raffarin. La grande maggioranza delle lotte alle quali abbiamo assistito in questi ultimi anni sono state lotte difensive, contro licenziamenti massicci o chiusure di imprese, condotte da lavoratori con le spalle al muro, cioè proprio nelle condizioni in cui è più difficile vincere.
A questa demoralizzazione si aggiungono le conseguenze della politica delle grandi confederazioni sindacali poiché, se non basta di certo premere un bottone per scatenare uno sciopero generale, il ruolo di organizzazioni sindacali realmente preoccupate di difendere gli interessi dei lavoratori sarebbe di preparare la risposta unitaria necessaria, con delle azioni, delle mobilitazioni che permettano alla classe operaia di prendere coscienza della sua forza collettiva e dei suoi interessi comuni. Invece, le confederazioni sindacali, compresa la CGT che raggruppa i lavoratori più combattivi, si contentano di giornate organizzate nel disordine, spesso per categorie, senza convinzione, al solo scopo di essere ammessi dal padronato o dal governo a discutere intorno al tavolo. Numerosi militanti della CGT sono d'altronde coscienti dell'assenza di prospettive che gli offre la loro direzione, ma non vedono come uscire da questa situazione.
Le direzioni sindacali non sono più capaci neanche di mettere in primo piano rivendicazioni positive : si ritengono soddisfatte quando i sacrifici imposti alla classe operaia sono inferiori a quanto il governo o il padronato avevano annunciato in un primo tempo. Se oggigiorno una corrente di idee in seno al movimento operaio è manifestamente fallita, si tratta del riformismo !
E' in questo contesto che bisogna analizzare i risultati delle elezioni regionali ed europee della primavera del 2004. Non siamo stati sorpresi. Il testo che avevamo adottato a proposito di queste elezioni all'ultimo congresso, quando avevamo deciso di presentare delle liste comuni LO-LCR, diceva esplicitamente "il ragionamento politico ci porta a pensare che c'è una forte probabilità che l'estrema sinistra non ottenga che un numero di suffragi ben inferiore al totale dei voti LO-LCR delle presidenziali e che potrebbe finanche essere dell'ordine del 3% dei voti per le nostre liste comuni (il nostro risultato alle legislative del 2002)".
Come notavamo in questo testo, è la destra che ha fatto campagna per il partito socialista, conducendo una politica che non solo se la prende sistematicamente con gli interessi dei lavoratori (ma questo anche la "sinistra plurale" l'aveva fatto a suo tempo), ma lo fa con un cinismo ed un disprezzo destinati a lusingare la parte più reazionaria della sua propria clientela politica. Lo scrutinio che ha portato l'insieme delle regioni francesi (eccezione fatta per l'Alsazia) a passare a sinistra era meno il risultato di un ritorno della fiducia nei confronti del partito socialista, che del rigetto della destra. Alla maggioranza degli elettori che si sono resi alle urne, il voto socialista è apparso come il mezzo più efficace per punire la destra, ben più di un voto a favore di correnti di estrema sinistra che mancano di credibilità ai loro occhi.
Ci siamo dunque ritrovati alle elezioni regionali con un risultato più o meno equivalente in percentuale al risultato ottenuto dalle liste LO e LCR nel 1998, ma la modifica della legge elettorale ci ha privati di ogni possibilità di avere degli eletti. Quanto al risultato delle elezioni europee, è stato dell'ordine del 3% che noi ritenevamo possibile.
Ciononostante abbiamo potuto verificare, tramite le carovane militanti di quest'estate, che questi arretramenti elettorali non hanno lasciato tracce profonde nei ceti popolari, precisamente quelli che vogliamo raggiungere.
Abbiamo sempre pensato che i nostri relativi successi alle elezioni presidenziali del 1995 e del 2002, come alle regionali del 1998, oltrepassavano di molto la nostra propria influenza. I risultati del 2004 non rappresentano per niente incidenti di percorso e riflettono, ben più dei precedenti, la realtà della nostra propria influenza. Noi restiamo un piccolo gruppo che ha assolutamente bisogno di svilupparsi, di reclutare, per avere reali capacità di giocare un ruolo nelle lotte sociali. Abbiamo davanti a noi due anni senza elezioni (al di fuori del referendum sulla Costruzione europea che dovrebbe aver luogo nell'autunno 2005) e dobbiamo approfittarne per imperniare l'attività dei nostri compagni più giovani, i soli che siano veramente in grado di poter farlo, sui compiti di reclutamento e di formazione.
Formare dei militanti comunisti è tanto più importante che viviamo in un periodo di arretramento delle idee comuniste, parallelamente ad una progressione delle idee di destra.
Qualunque sia l'importanza delle crisi, o delle mini-crisi, che scuotono la direzione del Fronte Nazionale, e di cui i media parlano ben volentieri, la sua influenza non è per niente in diminuzione, come lo hanno mostrato i suoi ultimi risultati elettorali. Ed anche se recluta il suo personale politico, e raccoglie una buona parte dei voti, nella frazione più reazionaria della destra classica, una frazione importante dell'elettorato popolare vota per lui per disperazione, in particolare negli strati più colpiti dalla progressione della povertà, quelli che non si aspettano più niente dalla sinistra.
Parallelamente, l'integralismo islamico, come lo sottolineavamo già l'anno scorso, continua le sue attività per radicarsi tra la popolazione immigrata. La vicenda del velo islamico negli stabilimenti scolastici ha mostrato inoltre che beneficia della vile compiacenza di tutti quelli che, anche a sinistra ed in una frazione dell'estrema sinistra, sono pronti a tollerare tutto, col pretesto di un'astratta libertà di coscienza o di religione, oppure per paternalismo nei confronti degli immigrati.
Quanto a noi, non potevamo che essere solidali con tutti quelli che combattono il porto del velo, considerato a giusto titolo come un segno dell'oppressione della donna, e che lottano per resistere a tutte le pressioni comprese le pressioni fisiche che subiscono, poiché da parte dei militanti islamisti non si tratta solo di una lotta di idee, ma di violenze tanto fisiche che morali.
Ma, anche in questo caso, non dobbiamo perdere di vista il fatto che per vincere nella lotta contro tutto questo sudiciume di idee reazionarie, la cosa più importante è di ridare fiducia alla classe operaia nelle sue forze, nella sua capacità a pesare sugli eventi. Nessuno può prevedere quando questa, dopo tanti colpi ricevuti, entrerà in lotta. Ma affinché le lotte future non finiscano in una nuova demoralizzazione, è vitale che la classe operaia trovi nel suo seno militanti devoti, competenti, che sappiano darle i mezzi per andare fino in fondo alle sue possibilità.
Sarà il reclutamento e la formazione di tali militanti che rimarrà, per tutto un periodo, l'essenziale dei nostri compiti.
4 ottobre 2004