FARE SI' CHE LE RIVOLTE DELLA GIOVENTU' NON PORTINO IN UN VICOLO CIECO

Εκτύπωση
TESTI DEL 35 CONGRESSO di LUTTE OUVRIERE (2005)
dicembre 2005

14 novembre 2005

Questo testo, sottomesso alla discussione dalla minoranza, ha ottenuto il 3% dei voti dei delegati presenti al congresso.

Con l'estensione delle agitazioni innescate nella Seine-Saint-Denis dalla morte di due giovani a Clichy-sous-Bois e le parole sprezzanti del ministro degli Interni, poi estesesi in una settimana a tutto il paese, la collera ha portato una frazione della gioventù proletaria nelle strade per la seconda volta quest'anno. Infatti si era già espressa durante i primi mesi del 2005, quando decine di migliaia di scolari hanno manifestato in tutte le città piccole o grandi.

Certamente il movimento scolastico dell'inverno e della primavera scorsa e la rivolta dei giovani dei quartieri popolari furono ben diversi. Il primo, pur rimanendo complessivamente minoritario, è stato molto più largo per il numero di partecipanti alle manifestazioni, più cosciente per le sue rivendicazioni apertamente espresse, ma più rispettoso nei suoi modi d'azione più tradizionali -manifestazioni o occupazioni di scuole- di quello più selvaggio di quest'autunno che se la prendeva con le macchine ed anche con le scuole... ma per distruggerle. Ha anche mischiato giovani di ceti sociali diversi. Eppure la sua caratteristica fu anche, al contrario di molti movimenti scolastici dei trenta anni scorsi, di essere stato innanzitutto stimolato e composto dagli alunni delle scuole dei quartieri popolari, in particolare della periferia, ben più che da quelli dei licei borghesi del centro città, rimasti nella loro grande maggioranza in disparte.

Così, e anche se si è visto una manifestazione parigina di scolari attaccata violentemente da giovani venuti dalla periferia (di cui alcuni avevano tra l'altro potuto partecipare alle manifestazioni scolastiche precedenti e senz'altro si ritrovano al cuore dei movimenti attuali), furono in effetti due espressioni della stessa rivolta della gioventù popolare.

L'esplosione di quest'autunno ha toccato comuni o quartieri tra quelli più sguarniti, laddove la vita quotidiana è resa più precaria dalla disoccupazione, dall'assenza di impieghi stabili, dal degrado delle case e delle scuole, da una diminuzione sempre maggiore del potere d'acquisto. Lì sta la prima spiegazione della rabbia cieca dei giovani che hanno bruciato le macchine e addirittura le scuole o gli autobus, e preso a sassaiole indifferentemente la polizia o i pompieri.

Questa rabbia esprime anche lo schifo profondo di una parte di questi giovani rispetto ad una situazione quotidiana segnata dai controlli basati sull'apparenza fisica, le violenze poliziesche, le discriminazioni quando si cerca un lavoro, il confino negli stabilimenti scolastici più disprezzati e la chiusura in casermoni di periferia che qualche volta assomigliano ad un ghetto.

Sono spesso in situazione scolastica disastrosa, ma anche quando hanno una qualifica e dei diplomi questi spesso non gli servono a niente per trovare un impiego stabile, per cui possono sperare al meglio in un futuro di piccoli lavoretti o di impieghi discontinui e precari. E' la parte della gioventù più suscettibile di non vedere prospettive fuori dall'individualismo, dall'arrangiarsi, dai traffici e furti di ogni genere, addirittura di cadere nel sottoproletariato. E' così dalla nascita del capitalismo e dei grandi agglomerati urbani moderni.

Senza tradizione politica né sociale, quando le frustrazioni traboccano, prendono di mira la macchina del vicino, la scuola del quartiere, l'autobus che lo attraversa. Nonostante queste aberrazioni, si tratta però di una rivolta di una frazione della gioventù proletaria. E se ci fosse bisogno di una prova per convincersene, questa ci viene data dalla preoccupazione delle autorità e dai loro sforzi per circoscriverla e soffocarla.

Per questo, come in ogni movimento che gli causa qualche spavento, il governo prova ad usare del manganello e della carota, il primo ben grosso e la seconda ben sottile : ricorrere alla polizia ed alla giustizia da un lato, chinarsi con l'aria compassionevole sulla sorte delle periferie dall'altra. Ma i provvedimenti annunciati potranno al meglio aiutare alcuni abitanti a cavarsela e al peggio peggioreranno ancora la sorte reale della maggioranza. Così per porre rimedio allo sfacelo dell'educazione, che comincia con la mancanza di insegnanti e il cui risultato è la miseria intellettuale e culturale di molti giovani, propone l'apprendistato sin da 14 anni che lui stesso non può portare che ad un'educazione al ribasso e ad una cultura ancora minore.

In effetti è tutta la classe politica, l'opposizione compresa, che non cerca soluzioni che in una miscela di repressione e di rattoppi, e l'unica differenza tra i politici dalla destra e della sinistra sta nel punto in cui mettono il cursore. L'estrema destra vorrebbe solo sentir parlare dell'uso della forza, dell'espulsione degli immigrati, addirittura dell'invio dell'esercito nelle periferie ; la destra preconizza buona parte di queste stesse misure, smarcandosi semplicemente da quelle più estreme, ed aggiungendoci qualche intento caritatevole ; la sinistra vorrebbe addolcire la repressione, ma non sopprimerla : si è visto come il PS, non contento di iscriversi nella guerra delle polizie vantando i vantaggi della polizia di prossimità, ha accettato in effetti lo stato d'emergenza e il coprifuoco. Vorrebbe mettere un po' più di soldi nelle periferie ; la sinistra della sinistra lamenta la repressione e prova ad elaborare l'introvabile elenco delle misure che potrebbero cambiare radicalmente le periferie... senza cambiare la società.

E' evidente che la situazione delle popolazioni operaie più povere non cambierà fondamentalmente fin tanto che la disoccupazione non verrà sradicata, che la questione della casa non sarà risolta per tutti, che dei servizi pubblici degni di questo nome, dall'educazione ai trasporti ed alla sanità, non saranno a disposizione di tutti e dappertutto, che un tenore di vita decente non sarà garantito a tutti. Fin tanto che non ci sarà questo, nessuna misura a favore delle periferie non sarà altro che un rimedio privo di efficacia. Né il fatto di distribuire aiuti insufficienti, né la demagogia repressiva potranno evitare a lungo, e fortunatamente, l'esplosione di collera.

Gli obiettivi che dovrebbero essere di tutta la classe operaia sono quindi più che mai all'ordine del giorno : divieto dei licenziamenti e di tutti i contratti di lavoro precario, aumenti dei salari di almeno 300 euro per tutti, soppressione delle sovvenzioni di ogni genere al padronato e ai capitalisti per dedicare questo denaro al miglioramento ed all'assunzione di centinaia di migliaia di lavoratori in tutti i servizi pubblici, requisizione immediata di tutti gli alloggi vuoti. Solo questi obiettivi, che valgono per tutta la popolazione e non specificamente per la periferia, potrebbero cambiare la sorte di tutti e quindi di quest'ultima.

Solo una lotta d'insieme può imporli. Non è la strada proposta fino a questa parte, né dalle confederazioni sindacali, né dai partiti di sinistra. Non più quando si sono trovati di fronte a lotte operaie radicali che alla rivolta di frazione della gioventù. Nel marzo scorso, agli scolari che mettevano la loro speranza in un collegamento con le manifestazioni operaie, le confederazioni hanno in realtà voltato le spalle, non dando nessuna continuazione alle loro proprie manifestazioni del 10 marzo. Oggi, ai giovani delle periferie la CGT afferma la sua solidarietà, ma dopo di aver accettato come gli altri che la continuazione del 4 ottobre sia rinviata sine die, o dopo di aver spinto i marinai della SNCM ad abbandonare la lotta senza tentare di farne un punto d'appoggio per estenderla ad altri.

Il movimento operaio non può dare una prospettiva alle brancolanti rivolte della gioventù ed aprire gli occhi dei loro protagonisti solo se da parte sua conduce delle lotte altrettanto decise ed anche radicali, anche se con metodi ovviamente radicalmente diversi. Solo in questo caso, dando loro altri punti di mira ed altri obiettivi, potrebbe evitare che queste rivolte cieche si rivolgano contro i quartieri popolari, i loro abitanti o anche gli stessi giovani. O peggio che possano essere utilizzate un giorno contro la classe operaia stessa dai suoi peggiori nemici, polizia o vari gruppi d'estrema destra.

Oggi i rivoluzionari probabilmente non hanno i mezzi di influenzare direttamente queste rivolte spontanee di frazioni della gioventù. Non sempre comunque, però qualche volta lo possono : così se tutta l'estrema sinistra, LO, la LCR e gli altri avessero messo tutto il loro peso nel movimento scolastico dell'inizio dell'anno, questo certamente non sarebbe bastato per evitare la sconfitta, ma questo forse gli avrebbe evitato comunque di finire con una delusione rispetto al movimento operaio. Purtroppo ma incontestabilmente, nella rivolta attuale delle periferie, siamo ridotti ad affermare una solidarietà di classe ed a protestare contro una repressione che si annuncia più selvaggia, con pene di carcere ed espulsioni, della rivolta stessa.

Forse potremo provare ad influenzarla da un'altra strada. Intervenendo in modo che le lotte operaie non siano meno radicali e decise di quelle dei giovani, ma più efficaci, e così siano un esempio ed un polo attraente per la gioventù ; preparando il movimento d'insieme che solo potrebbe, come nel maggio 68, unificare le lotte dei lavoratori e quelle dei giovani, ma meglio che nel maggio 68, dargli le prospettive e gli obiettivi che dovrebbero avere naturalmente in comune.

Sarà il giorno in cui gli scioperi si estenderanno nel paese, come hanno fatto gli incendi di macchine all'inizio di novembre, ma questa volta con la coscienza di chi sono i veri nemici, quali sono gli obiettivi da raggiungere, e quali sono i mezzi da usare, che ci sarà una possibilità di attrarre la gioventù proletaria e di farne una delle ali marcianti della battaglia di classe.