Rapporto sulla situazione interna

Εκτύπωση
Da "Lutte de classe" n° 55 (Lutte Ouvriere - Testi della conferenza nazionale 2000)
3 novembre 2000

Testo della maggioranza

La situazione economica e sociale è stata segnata nel corso dell'anno 2000 da una diminuzione del numero di disoccupati, ma i lavoratori senza posto di lavoro rappresentano ancora, stando alle sottovalutate statistiche ufficiali, più del 9,5 % degli attivi. La situazione è anche stata segnata dall'applicazione della seconda legge Aubry sulle 35 ore.

Le cifre ufficiali della disoccupazione non rendono conto però del carattere dei posti di lavoro creati, che nella loro grande maggioranza sono posti precari, contratti a durata determinata o lavori interinali, spesso a tempo parziale, sicché malgrado la "ripresa economica", se il numero dei lavoratori costretti a vivere con redditi inferiori al salario minimo legale (SMIC, "salario minimo intercategoriale di crescita") è diminuito, è diminuito di ben poco.

Questa "ripresa economica" di cui ogni commentatore economico della borghesia si compiace, non rivela un saggio di crescita decisamente superiore a quello degli anni passati, e ancora meno un saggio di crescita che corrisponda ai guadagni di produttività. Invece, e nonostante le oscillazioni della Borsa, i profitti accumulati dalle grandi imprese sono molto aumentati. Ma la borghesia francese, come i suoi pari nel mondo intero, rimane profondamente maltusiana, e per aumentare i suoi profitti si fida di più delle operazioni finanziarie di ogni tipo e dell'intensificazione dello sfruttamento del lavoro, che dell'espansione della produzione.

Tutti i discorsi sulla "nuova economia" non possono nascondere che si tratta di un settore marginale, nel quale domina la speculazione sui benefici aspettati dalle "start- up", e nel quale per alcuni grossi patrimoni realizzati da alcuni "nuovi" capitalisti, esiste un proletariato dell'e-commercio che fa parte integrante del mondo del lavoro.

Contrariamente a ciò che si osservava di consueto nelle classiche uscite di crisi del sistema capitalistico, la "ripresa economica" non si è espressa a livello nazionale in un miglioramento, a favore della classe operaia, del rapporto delle forze in materia di salari. Il numero degli scioperi per la rivalutazione dei salari non è notevolmente aumentato in questi ultimi anni (in particolare rispetto all'anno 1995, che tante organizzazioni dell'estrema sinistra avevano voluto considerare l'inizio di un nuovo periodo in questo campo). E' vero che in alcuni settori economici particolari (tra gli altri quelli in cui il lavoro è stagionale) qualche volta i padroni hanno più difficoltà per reclutare dei salariati, perché non offrono condizioni di lavoro, di vita e di salario abbastanza attraenti e perché i lavoratori hanno maggiori possibilità di scelta. Ma tutto questo rimane senza grandi conseguenze nei principali settori dell'economia. Un salariato individuale non ha tante possibilità di aumentare i suoi redditi col cambiare di padrone. E ben di rado succedono lotte collettive abbastanza decise da avere reali possibilità di successo.

Come nel passato, l'iniziativa in materia economica rimane dalla parte del padronato, come lo ha dimostrato l'esempio della cosiddetta "rifondazione sociale" esaltata dal MEDEF (Movimento Delle Imprese di Francia, equivalente alla Confindustria), con il progetto "PARE" (Piano d'Aiuto al ritorno all'occupazione), che mira a fare pressione sui disoccupati per fargli accettare posti di lavoro meno retribuiti del loro precedente lavoro (anche se corrispondono alle loro "competenze"). Questo progetto riguardava i salariati meglio retribuiti più direttamente di quelli che prendevano i salari più bassi (che i padroni potrebbero difficilmente pagare ancora meno !). Ma, affrontando una parte dei disoccupati, il Medef voleva in fin dei conti fare pressione sull'insieme della classe operaia. Il governo socialista, a pochi mesi dalle elezioni comunali, non osò avallare così com'era il testo inizialmente firmato dal MEDEF, dalla CFDT e la CFTC. Tuttavia l'allora ministra del lavoro Martine Aubry fu attenta, fin dall'inizio della discussione su quest'argomento, a rivendicare la paternità delle prime misure miranti a sopprimere gli assegni a quelli che tra i disoccupati non volevano accettare un posto di lavoro meno pagato di quello che occupavano prima. E il modo in cui Jospin ha sbloccato la situazione con il MEDEF dimostra da quale parte si sta schierando, poiché si sta preparando ad accettare un testo che praticamente non sarà migliore del testo iniziale.

Le discussioni sul PARE hanno del resto messo in luce la politica delle grandi confederazioni sindacali nell'attuale periodo. La CFDT e la CFTC (come la CGC dopo qualche riserva iniziale) dimostrarono che la loro più grande ambizione era di firmare un accordo con il MEDEF. Ma la CGT e FO, che contestarono il contenuto di questo accordo, non fecero niente di concreto per cercare di organizzare una risposta dell'insieme dei lavoratori e hanno lo stesso atteggiamento rispetto al problema dei salari.

Nell'attuale situazione, in cui la classe operaia ha perso buona parte della sua struttura militante, e in cui la maggioranza dei suoi è demoralizzata dalla disoccupazione e dagli anni di governo di "unione delle sinistre" o di "sinistra plurale" e non crede più alla possibilità di migliorare la sua sorte con le lotte, oggi più che mai non basta chiamare allo sciopero generale per provocarlo. Ma la parte delle organizzazioni sindacali, se fossero davvero preoccupate di difendere gli interessi dei lavoratori, sarebbe di preparare tale risposta del mondo del lavoro, col cominciare con dei movimenti limitati, ma suscettibili di essere visti dai lavoratori come dei successi e così di ridare loro fiducia in se stessi e nelle loro possibilità. In questo campo tuttavia, né la CGT, né FO (le due confederazioni che parlano ancora della necessità di lottare) prendono iniziative, neanche iniziative paragonabili a quello che fu fatto nel periodo precedente i movimenti dell'ottobre-novembre 1995.

Il varo della contrattazione aziendale sul "passaggio alla settimana di 35 ore" sta all'origine della grande maggioranza dei conflitti sociali svoltisi in questi ultimi mesi. I lavoratori scoprirono questa legge, che veniva presentata dal governo Jospin e dai partiti che lo sostengono (compreso il PCF) come un progresso sociale, solo man mano che veniva attuata e appariva chiaramente quale legge favorevole al padronato. Essa permette infatti di instaurare l'annualizzazione delle ore di lavoro e la "flessibilità" che i padroni si sognavano. Il più delle volte gli orari che ne risultano sono orari pazzeschi, senza nessun riguardo per la salute o la vita di famiglia dei lavoratori. Questa cosiddetta misura sociale non costa quasi niente ai padroni (che beneficiano di sgravi di oneri sociali e che dal fatto dell'annualizzazione degli orari, spesso non devono più pagare maggiorazioni per gli straordinari). La "moderazione salariale" che propone fa da alibi ai padroni per rifiutare ogni aumento. E finisce col peggiorare notevolmente lo sfruttamento che subiscono i lavoratori.

Anche qui, la responsabilità delle confederazioni sindacali, senza le quali tali accordi non sarebbero stati firmati, è tremenda. La legge Aubry, che costringe i padroni ad un negoziato con i sindacati (anche nelle imprese in cui non esistono) per poter beneficiare degli sgravi di oneri sociali, è anche stata un regalo agli apparati sindacali.

La tendenza all'integrazione dei sindacati allo Stato borghese e ad instaurare la loro collaborazione con i padroni, che fa parte delle caratteristiche dell'epoca imperialistica, ovviamente non si è attenuata in questi ultimi anni, anzi. E in tante imprese si può osservare lo sviluppo di pratiche (consegna di "assegni sindacali" ai salariati, sovvenzioni dirette al funzionamento dei sindacati) che dimostrano quanti padroni sono convinti del loro interesse ad avere, in caso di bisogno, degli interlocutori sindacali comprensivi.

Malgrado questa evoluzione, rispetto a qualche decina di anni fa, il fatto che il numero di militanti sindacali si sia notevolmente ridotto, come la divisione dell'apparato della CGT in parecchie correnti, offrono più possibilità ai militanti operai rivoluzionari di occupare responsabilità sindacali . Quando queste responsabilità corrispondono ad una reale influenza tra i lavoratori, tesserati del sindacato o meno, si tratta ovviamente di un'opportunità che non devono lasciar passare, poiché devono fare in modo che il sindacato rimanga malgrado tutto la scuola della lotta di classe per il più grande numero di lavoratori possibile. Ma d'altro canto, non devono dimenticare che, anzitutto, sono dei militanti politici della classe operaia. Il destino delle lotte future della classe operaia dipenderà in primo luogo della capacità dei militanti comunisti rivoluzionari di permettere ai loro compagni di lavoro d'impadronirsi delle proprie lotte, di non accettare che vengano sviate da questi apparati i cui interessi non sono più, da molto tempo, quelli della classe operaia.

Per quanto riguarda la situazione politica, la coabitazione Chirac-Jospin è entrata nel suo quarto anno, senza problemi maggiori, benché l'approccio delle scadenze elettorali (a cominciare dalle comunali del 2001) possa far cambiare rapidamente il clima politico, come pure qualche nuovo episodio di uno dei numerosi scandali politici e finanziari in corso. Ma finora, e per quanto lo si può sapere tramite le elezioni parziali o i numerosi sondaggi regolarmente pubblicati, il corpo elettorale sembra dare prova di stabilità.

A dispetto della crisi svoltasi due anni fa in seno all'estrema destra, questa non è sparita e in caso di elezioni politiche si può ipotizzare che la somma dei voti a favore delle correnti di Le Pen e di Mégret sarebbe più o meno uguale ai risultati dell'FN prima della scissione. Ma l'estrema destra non sembra neanche avere progredito, e anzitutto non pare che abbia progredito sul terreno extraparlamentare più degli anni precedenti. Quelli che avevano più fretta di assurgere alle varie responsabilità presso le assemblee nazionale, regionali o locali (i notabili che hanno seguito Mégret) non hanno avuto più opportunità politiche dei loro rivali per riuscirvi. Ma finora (e benché questo possa cambiare rapidamente in caso di crisi politica e sociale), gli uni e gli altri scommettono sempre su una strategia meramente elettorale.

La destra parlamentare, che praticamente non fu mai unificata in questo paese, è sempre divisa. Questa divisione (di cui risultò l'elezione di Mitterrand alla presidenza della Repubblica nel 1981 e nel 1988) potrebbe anche costarle il posto di sindaco di Parigi nel 2001, o addirittura la presidenza della Repubblica nel 2002. Ma anche se così fosse, non sarebbe in nessun modo un vantaggio per i lavoratori, che appunto hanno fatto più volte questo tipo di esperienza.

Da parte della "sinistra plurale", tanto il PCF quanto i Verdi si danno da fare per coltivare le loro differenze, rispetto al proprio pubblico, pur senza fare niente che possa essere interpretato come una rottura della solidarietà di governo.

Malgrado la loro pretesa di incarnare un altro modo di fare politica, i Verdi dimostrano sempre più apertamente di essere una formazione di politicanti, molto più preoccupata dello spazio che può conquistare nella classe politica che non dei problemi dell'ambiente.

Per il PCF, la partecipazione al governo dopo le elezioni anticipate della primavera del 1997 costituisce un record di durata (rimase solo tre anni nel governo Mauroy, dal 1981 al 1984, e fu associato al potere solo 38 mesi nel periodo 1944-1947, compresa la sua partecipazione al "Comitato Francese di Liberazione Nazionale" di Algeri). Esso critica la politica del governo solo nella misura in cui questo gli sembra necessario per non essere coinvolto nel discredito che minaccia il Partito Socialista per le prossime scadenze elettorali, senza però altre prospettive che di attaccarsi alle falde del Partito Socialista.

Il problema che oggi ci viene posto non è scegliere tra il prepararsi ad avere una parte nelle lotte sociali che un giorno o l'altro sorgeranno, e il fatto di utilizzare i mezzi per far conoscere la nostra politica, la nostra organizzazione ed i nostri militanti, nelle campagne elettorali che si svolgeranno nel 2001 e nel 2002. Dobbiamo essere capaci di camminare sulle nostre due gambe. Ma ovviamente, nella partecipazione alle prossime campagne elettorali, è il punto di vista dei comunisti rivoluzionari che dobbiamo cercare di difendere.

Anche se le elezioni comunali sono, per quanto riguarda la loro forma, delle elezioni locali, noi dovremo rispondere alle preoccupazioni della classe operaia rispetto alla situazione economica e politica nazionale. E proprio perché abbiamo disaccordi profondi con la LCR a tal proposito, non è stato possibile stabilire un accordo simile a quello che aveva reso possibile una lista comune tra le nostre due organizzazioni durante le elezioni europee del 1999. Perché non si trattava per noi di fondere le nostre liste al secondo turno con quelle della sinistra di governo, né di fare un appello a votare per loro. Non si tratta neanche di costituire liste con movimenti o militanti che non si schierano in modo chiaro nel campo della classe operaia e che, d'altronde, non hanno nessuna voglia di farsi notare in compagnia della LCR, e ancora meno di Lutte Ouvrière.

Affermare l'esistenza di una corrente comunista rivoluzionaria, fedele agli ideali della rivoluzione d'Ottobre, rivendicando l'eredità del bolscevismo, dei quattro primi congressi dell'Internazionale Comunista, del trotskismo e del programma di fondazione della Quarta Internazionale, lungi dall'essere un obiettivo superato, deve invece trovarsi al centro della nostra attività.