Kosovo : Distruzioni, massacri, spostamenti di popolazioni

Εκτύπωση
Da "Lutte Ouvrière" e "Lutte de classe" (La guerra del Kosovo)
Luglio 1999

Da "Lutte de classe" n° 37 - settembre-ottobre 1998

Dallo scoppio della Iugoslavia e l'inizio della guerra serbo-croata, nel giugno 1991, il territorio dell'ex-federazione è diventato un campo di battaglia permanente. A questa guerra serbo-croata ha fatto seguito, dall'aprile 1992, la guerra in Bosnia e l'assedio di Sarajevo. E, dopo gli accordi di Dayton del novembre 1995 sulla Bosnia, sono passati solo due anni prima che la guerra cominci di insanguinare, dal febbraio '98, il territorio del Kosovo.

Questa guerra condotta dalle forze dello Stato di Serbia contro la sua provincia meridionale, più esattamente contro la popolazione albanese di questa provincia, presenta molte analogie con quanto è successo in Bosnia : bombardamenti, incendi e saccheggi, con lo scopo di provocare considerevoli spostamenti di questa popolazione ciò che i nazionalisti dell'ex-Iugoslavia chiamano cinicamente delle operazioni di "pulizia etnica".

Ma fatto sta che tale politica ha, nel Kosovo, delle conseguenze maggiori. Il popolamento secolare dei Balcani e le suddivisioni territoriali operate dai dirigenti delle potenze imperialiste nel passato, in funzione dei loro interessi e rapporti di forze, hanno lasciato all'interno di ciò che doveva essere nel 1918 la prima Iugoslavia, cioè lo Stato dei Jugo-Slavi, degli Slavi del sud, un'importante popolazione non slava, albanese : essa forma la maggioranza della popolazione della regione chiamata Kosovo (ed anche una minoranza nella repubblica di Macedonia) , Kosovo che venne attribuito alla Serbia mentre era contiguo con uno Stato albanese indipendente dalla Iugoslavia, l'Albania propriamente detta.

Tanto vale dire che, quando i nazionalisti serbi se la prendono col Kosovo, questo non può fare a meno di avere delle ripercussioni in Albania (e in Macedonia), e questo comporta al minimo il rischio di portare i conflitti interni di ciò che fu la Iugoslavia al di là dei suoi ex-limiti di Stato, cioè ad un livello internazionale che coinvolge direttamente gli altri Stati della penisola balcanica, oltre l'Albania : Grecia, Turchia, Bulgaria...

Però i nazionalisti serbi considerano ciò che può succedere nel Kosovo come un'affare interno serbo, poiché il Kosovo è una provincia che fa parte dello Stato di Serbia. L'oppressione nazionale subita, da parte del potere serbo, dalla popolazione albanese che, lungi dall'essere una minoranza, è al contrario maggioritaria al 90 %, rimane secondo loro nell'ambito delle competenze della dittatura di Belgrado.

Il nazionalismo serbo e il Kosovo

Data la logica della politica dei nazionalisti, la guerra del Kosovo era tanto prevedibile, se non programmata, quanto lo era stata la guerra in Bosnia, dopo quella di Croazia.

Il Kosovo è al cuore della demagogia nazionalista "gran serba". Perché fu il luogo dove lo Stato serbo del Medioevo fu battuto e conquistato dai Turchi nel 1389, viene esaltato come un luogo emblematico della loro storia e della loro religione dall'insieme dei nazionalisti, politici, religiosi, intellettuali. Per loro, il Kosovo è la loro proprietà, proprietà della "Grande Serbia", nonostante da tanto tempo si sia popolato in maggioranza di discendenti degli Albanesi vicini, di lingua albanese e di religione musulmana : questi sono ritenuti indesiderabili.

Già, da quando uno Stato serbo riuscì a scuotere il giogo del vecchio impero ottomano ed a sfuggire dal suo dominio verso la metà del XIX° secolo, i suoi dirigenti progettarono di sottrarre ai Turchi anche la regione del Kosovo, di "serbizzarla" in nome di "diritti storici", con lo scopo di estendere il loro territorio, se possibile, fino all'Adriatico. Ma si vede il ruolo strumentale dei dirigenti imperialisti nel modo in cui hanno deciso della sorte della popolazione albanese presente nei Balcani, tra l'altro all'uscita della Prima Guerra mondiale, nel 1918 : hanno creato un piccolo Stato "indipendente" d'Albania sotto la loro protezione promesso dal 1913 , e nello stesso tempo assegnavano la regione vicina del Kosovo, già all'epoca in gran parte popolata di Albanesi, al... "Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni" che avevano anche appena creato, cioè alla monarchia serba (e ci includevano inoltre anche una forte minoranza albanese in Macedonia, chiamata all'epoca "Serbia del sud...")

I monarchici serbi, gli ufficiali, i popi, potevano esultare, per avere "recuperato" il territorio del Kosovo perso da più di 500 anni. Ma si creava deliberatamente una polveriera.

La monarchia serba dovette inviare delle truppe per domare la popolazione albanese che non voleva sottomettersi al suo dominio, ma il Kosovo fu poi usato per disinnescare la rivolta sociale con l'offerta ai Serbi poveri, col pretesto della riforma agraria, di terre da colonizzare.

Quindi è in modo del tutto naturale che Milosevic si è servito del Kosovo per salire ai vertici del potere in Serbia nel 1986-1987.

All'epoca di Tito, il Kosovo non era rimasto un'oasi di pace. Durante venti anni, la sua popolazione albanese aveva dovuto soffrire della politica repressiva e discriminatoria condotta dal capo delle polizia di Serbia, Rankovic.

Delle manifestazioni scossero il Kosovo nel 1969. Ma in seguito, la sua situazione migliorò sotto l'aspetto dei diritti nazionali, e particolarmente nel campo linguistico e scolastico. Lo statuto del Kosovo fu modificato nel 1974, nello stesso modo che la Vojvodina, regione del nord della Serbia dove vive una forte minoranza ungherese, grazie ad una revisione della Costituzione che concedeva loro una larga autonomia, compresi dei diritti di rappresentazione in seno alla presidenza federale.

Da allora, durante più di un decennio, i problemi sorti nel Kosovo sono stati problemi economici e sociali ben più che problemi nazionali. Le sommosse di studenti e di disoccupati del marzo-aprile 1981 avevano delle radici sociali. Alle rivendicazioni dei manifestanti si mescolò una rivendicazione di stampo nazionalistico, che chiedeva per il Kosovo lo statuto di una Repubblica vera e propria ma la cui importanza rimase secondaria. E in effetti, nell'ambito della disuguaglianza tra le varie repubbliche, il Kosovo era rimasto la provincia più povera; era duramente toccato dalla crisi generale che colpiva la Iugoslavia indebitata. D'altronde durante tutti gli anni ottanta quasi tutte le repubbliche furono scosse dagli scioperi.

In questo contesto di ascesa delle tensioni sociali, la repressione brutale delle sommosse di Pristina fu approvata dai dirigenti di tutte le repubbliche.

Fu a quella epoca, a partire dal 1986 circa, che questi dirigenti cominciarono a praticare deliberatamente una politica di fuga in avanti sul terreno delle demagogie nazionalistiche necessariamente antagonistiche, dato il popolamento dei Balcani e che Milosevic, apparatchik del PC, cominciò la sua ascensione in seno all'apparato grazie all'utilizzazione del tema anti-albanese "Il Kosovo ci appartiene" (mescolato con delle denunce altrettanto demagogiche contro i "corrotti" e i "privilegiati"). L'esaltazione frenetica del nazionalismo serbo sulla questione del Kosovo, dovutamente alimentata da un cenacolo di noti intellettuali, crebbe per sboccare sulla decisione del 1989 di Milosevic di sopprimere ogni forma di autonomia delle due "provincie autonome". In particolare nel Kosovo, l'oppressione nazionale in materia di lingua, di diritti culturali, fu aggravata, una discriminazione etnica rispetto alle case e all'occupazione fu instaurata. E la provincia fu ormai oggetto di uno stretto controllo militare e poliziesco.

Così, il dirigente serbo che stava per presentarsi nel 1991 come il difensore delle minoranze serbe sparpagliate nelle repubbliche secessioniste liquidava prima i diritti nazionali esistenti per le sue proprie minoranze : albanese, ungherese in Vojvodina, croata, zingara, ecc... Tale decisione suscitò solo alcune proteste dei dirigenti sloveni che non avevano nessuna minoranza nazionale da opprimere nella loro repubblica etnicamente omogenea, e quindi potevano criticare i metodi usati...

In seguito, ogni volta che Milosevic riteneva essere in difficoltà politiche, ha sfruttato nei confronti del popolo serbo la questione del Kosovo, l'ostilità e perfino il razzismo antialbanese per rafforzare il suo potere.

L'ascesa della resistenza nazionalista albanese

Ma la resistenza in seno alla popolazione albanese kosovara si è sempre manifestata, anche se durante la guerra in Bosnia non poteva essere molto apparente. I nazionalisti albanesi kosovari come Ibrahim Rugova, intellettuale ben considerato nei paesi occidentali, e la sua Lega Democratica del Kosovo (LDK), adottarono una linea di resistenza non-violente e di ricerca del dialogo con le autorità di Belgrado. Ne risultò il boicottaggio delle elezioni e del censimento, il rifiuto di pagare le tasse locali, l'instaurazione di un sistema scolastico parallelo e clandestino poiché l'insegnamento in albanese era vietato, poi la proclamazione nel 1991 di una repubblica del Kosovo con il suo presidente (Rugova) ed il suo parlamento clandestini. Rugova e la LDK mettevano le loro speranze nelle potenze occidentali e contavano sulla pressione che avrebbero esercitata su Milosevic per ottenere delle concessioni a favore della popolazione albanese del Kosovo.

Non ne hanno avuto la giusta ricompensa. La politica di ricerca del dialogo con Milosevic ha portato solo in un vicolo cieco. E in seguito gli accordi di Dayton del novembre 1995 hanno dimostrato alla faccia del mondo che i promotori di tale politica non venivano premiati : questi accordi si limitavano ad un "regolamento" per la Bosnia e non dicevano nulla del Kosovo. Ormai, era chiaro per tutti che Rugova e i suoi amici non potevano sperare alcun sostegno da parte occidentale, insomma che potevano solo contare su se stessi.

Così questi accordi di Dayton, col dimostrare apertamente che la politica "ragionevole" di coesistenza pacifica non portava da nessuna parte, hanno contribuito alla nascita della lotta armata incarnata, secondo la stampa, dall'esercito di liberazione del Kosovo, l'UCK. Sin dalla fine del 1996, questa si è manifestata, oltre incidenti armati tra civili della minoranza serba locale ed Albanesi con degli attentati contro autorità serbe nel Kosovo e contro Albanesi kosovari considerati come dei collaboratori del potere serbo. Ha trovato dei combattenti in seno alla gioventù impaziente e delusa.

Crisi politica larvata in serbia

Questa evoluzione si è coniugata con l'apparizione di una crisi politica aperta in Serbia. Alla stessa epoca, durante l'inverno 1996-1997, si ricorda che Milosevic si è trovato in difficoltà, in particolare con una contestazione studentesca e delle manifestazioni di strada successive, che una coalizione di partiti d'opposizione ("Zajedno") cercava di capeggiare. Ma questo inverno di contestazione non ha avuto un esito politico : la coalizione "Zajedno" era troppo eterogenea e disparata, e sopratutto si e disintegrata sotto l'effetto delle rivalità tra i suoi leader, talvolta oppositori, talvolta riconciliati con Milosevic, talvolta amici degli ultra-nazionalisti della Repubblica serba di Bosnia come Karadzic, talvolta presentati come dei democratici in cerca di amicizie occidentali...

In breve, Milosevic è riuscito a mantenere il proprio potere. Sebbene abbia vacillato quando dei capi religiosi e innanzitutto militari hanno preso qualche distanza con lui, è rimasto l'uomo forte di Belgrado. E non si può dire, in fin dei conti, che gli Occidentali l'abbiano lasciato cadere, senz'altro perché non vedevano con chi, con qualche credibilità, lo potevano sostituire.

Ma la situazione politica in Serbia ha la propria logica. Già, nel corso di questa crisi, lo scrittore nazionalista Vuk Draskovic che forse è l'oppositore più conosciuto di Milosevic, evocò la possibilità che questi provi a fare diversione col fomentare sussulti nel Kosovo con l'obiettivo di prepararvi una guerra. Da parte loro, gli ufficiali serbi accusavano gli oppositori di cercare, con gli attentati della fine del 1996 nel Kosovo, a destabilizzare la Serbia.

In seguito le cose non si sono semplificate per Milosevic con la quasi-dissidenza politica dei dirigenti del Montenegro.

Ricordiamo che, dall'aprile 1992, la Serbia costituisce con il piccolo Montenegro una "Repubblica federale di Iugoslavia"(RFI) o "piccola Iugoslavia". Sebbene il funzionamento democratico sia solo una facciata, le elezioni al livello della sola Serbia, o del solo Montenegro, forniscono spesso una posta in gioco per le ambizioni rivali. Ora, i responsabili montenegrini, che hanno preso qualche distanza con Belgrado, hanno vinto le elezioni dell'ottobre 1997, poi del maggio 1998, sull'uomo di Milosevic.

E' stato un affronto per il dittatore di Belgrado, un affronto che lo metteva in difficoltà in particolare sulla questione della "Grande Serbia" (l'idea di riunire tutti i Serbi in un solo medesimo Stato) che fu il trampolino della sua ascensione. Già, da quando si è ricongiunto alla politica degli Occidentali che ha portato agli accordi di Dayton, al punto di abbandonare Karadzic, di restituire la Krajina ai dirigenti croati, ecc.., è apparso agli occhi dei nazionalisti serbi come un traditore. Allora, con la finzione del mantenimento di una mini-Iugoslavia ormai intaccata dalla latente defezione del Montenegro, la "Grande Serbia" fonde come neve al sole. E la situazione comporta tutti i rischi di rilancia da parte di tutti gli "ultra".

Comunque, nelle elezioni serbe della fine 1997, ad apparire come vincitore è stato il leader dell'estrema destra fascisteggiante, capobanda e responsabile in prima persona di crimini in Croazia e Bosnia, Vojislav Seselj. E il nuovo governo serbo, insediato nel marzo 1998, conta per la prima volta dei membri del "Partito radicale Serbo" di Seselj : Seselj stesso ed uno dei suoi alleati occupano due dei cinque posti di Vice-Primo Ministro. Su un totale di 35 ministri, 15 sono membri del "Partito Radicale Serbo".

Ovviamente, l'innesco degli attacchi delle forze di polizia serbe alla fine del febbraio '98 si inseriva in questo contesto. Di fronte alla concorrenza di Seselj che aveva proclamato di potere regolare la questione del Kosovo "in cinque giorni" se accedesse al potere, una volta di più Milosevic ha scelto la fuga in avanti piuttosto che di lasciarsi sorpassare.

La complicita' dei dirigenti del mondo imperialistico

Tutta la politica degli occidentali ha confermato Milosevic in un sentimento di impunità. Hanno padroneggiato e proteggono la divisione della Bosnia tra i vari clan nazionalisti, lasciano correre capi di guerra a chi hanno dato loro stessi del "criminale contro l'umanità". (...) In un grande silenzio pieno di complicità Milosevic ha potuto, nel luglio-agosto 1998, lanciare una grande offensiva militare nelle zone di confine dell'Albania, con l'appoggio di forze paramilitari per praticare i metodi della "pulizia etnica" e caciare la popolazione per spingerla in direzione dell'Albania. (...) Lo scenario ricorda tristemente quello che è successo in Bosnia. Anche nel Kosovo, un piano di divisione potrebbe essere progettato.

Piani di questo tipo, ce ne sono stati ovviamente in Serbia, compreso alla vigilia della Seconda guerra mondiale un piano di espulsione della presenza albanese nel Kosovo. Per il periodo attuale, l'opinione serba vi è stata preparata. Le autorità hanno accettato la pubblicazione di vari progetti, che ipotizzano una divisione, disuguale ovviamente, della provincia tra Serbi ed Albanesi, con migrazioni incrociate delle popolazioni. Su questo tema, nel corso di questi anni, dei colloqui sono stati organizzati in presenza delle più alte autorità politiche e scientifiche di Serbia, libri sono stati pubblicati, intellettuali dell'Accademia delle Scienze e Arti hanno lavorato per attualizzare quest'idea. Il progetto darebbe all'incirca un terzo del territorio agli Albanesi (90 % della popolazione), e due terzi ai 9 o 10 % di Serbi...

Già, per le elezioni del dicembre 1992, il programma del "Partito Radicale Serbo" di Seselj riprendeva la vecchia idea dell'espulsione degli Albanesi del Kosovo, almeno in parte, e tra l'altro l'idea di disalbanizzare le regioni di confine. Da parte di lui, questo non può sorprendere, ma oggi Seselj si divide il potere con Milosevic. (...)

(25 settembre 1998)