La situazione interna (da Lutte de Classe n° 117 – dicembre 2008 - Congresso di Lutte Ouvrière )

打印
La situazione interna
7 novembre 2008

(Questo testo è stato votato dal Congresso di Lutte Ouvrière - 6 e 7 dicembre 2008)

Se la situazione economica si è brutalmente aggravata quest'anno, è da trent'anni che il capitalismo francese è entrato in una crisi cronica segnata da alcune autentiche recessioni, seguite da periodi di stagnazione dell'economia. In tale contesto il padronato conduce, con l'aiuto dello Stato, un'offensiva continua per mantenere o anche aumentare i profitti a scapito della classe operaia. Il debole livello degli investimenti produttivi, unitamente a politiche aziendali che mirano a far fare la stessa produzione con meno lavoratori, ha messo in primo piano il problema della disoccupazione sin dal 1974.

Il piano Barre del 1976, varato sotto la presidenza di Giscard d'Estaing, fu in quel periodo il primo piano d'austerità imposto alla classe operaia col pretesto, tra altri obiettivi, di opporsi all'ascesa della disoccupazione. Questo non impedì al numero ufficiale di disoccupati di passare da 690 000 nel 1974 a 1 300 000 nel 1981 e a 3200000 nel 1995. Da allora in poi questa cifra è diminuita notevolmente, senza che si possa sapere quanto tale evoluzione sia dovuta ai cambiamenti di metodi statistici e alle conseguenze dell'arrivo all'età della pensione dei lavoratori nati negli anni del "baby boom" del dopoguerra. Comunque, anche se il numero ufficiale di disoccupati è sceso sotto 2 milioni nel 2007, il numero d'impieghi precari è aumentato notevolmente.

L'arrivo al potere dell'unione delle sinistre nel 1981 non ha portato un miglioramento della condizione operaia. Tutt'altro. L'unica cosa che si possa mettere al suo attivo è stata, nel gennaio 1982, l'adozione della settimana di 39 ore, -anche se ci vollero un certo numero di conflitti sociali perché fosse chiaro che questo significava "39 ore pagate 40"- e l'abbassamento dell'età della pensione a 60 anni. Ma già l'anno successivo, il governo Mauroy sopprimeva ogni tipo di indicizzazione dei salari sui prezzi e metteva in atto un autentico blocco dei salari. Fu anche sotto un governo di sinistra, quello di Rocard, che furono preparate le misure miranti alla riforma delle pensioni. Infine, si deve anche ai governi di sinistra l'inizio di una lunga serie di provvedimenti miranti a diminuire le tutele sociali, come l'invenzione del ticket ospedaliero e la soppressione del rimborso di alcune medicine, proseguiti fra l'altro dal governo di Jospin dal 1997 al 2002. Lungi dall'essere dei progressi per la classe operaia, le leggi Aubry sulle 35 ore del 1998 e del 2000 hanno soprattutto dato al padronato la "flessibilità" che chiedeva, la possibilità di annualizzare il tempo di lavoro, e la maggior parte degli accordi sulle 35 ore contenevano clausole di moderazione salariale.

Quindi, tra la politica dei governi dell'"unione delle sinistre" e della "sinistra plurale", quella dei ministeri di "coabitazione" Mitterrand-Chirac dal 1986 al 1988 e Mitterrand-Balladur dal 1993 al 1995, quella dei tandem 100% di destra Chirac-Juppé dal 1995 al 1997 e Chirac-Raffarin, poi Chirac-Villepin dal 2002 al 2007, non ci fu mai una rottura bensì una vera continuità per mantenere, o addirittura aumentare, i profitti del capitale a danno dei lavoratori.

L'arrivo di Sarkozy all'Eliseo e la politica che questi ha impegnato nel 2007 si sono inserite nella stessa continuità, anche se Sarkozy ha affermato la sua volontà di accelerare il ritmo delle cosiddette "riforme" che sono altrettanti regressi sociali, e anche se ostenta molto più dei suoi predecessori il gusto del lusso e le amicizie con tutti i miliardari del paese. In materia di sanità, educazione, trasporti collettivi, servizi pubblici in generale, come in passato la politica del governo ha mirato, con riduzioni d'organico, a liberare più denaro possibile per aiutare il padronato, senza preoccuparsi delle ripercussioni sul personale e sull'utenza.

Ciò che però è cambiato durante i mesi scorsi è il contesto: l'esplosione della crisi finanziaria i cui primi segni si sono avvertiti nell'estate 2007, con tutte le minacce d'aggravamento della recessione economica in cui il paese è entrato quest'anno.

Le decisioni prese dal governo con l'aggravamento della crisi finanziaria nel settembre 2008, sono emblematiche degli interessi che lo Stato difende. Il primo ministro Fillon, secondo il quale lo Stato era sul punto di fallire, ha immediatamente deciso di mettere centinaia di miliardi di euro a disposizione delle banche, delle società di assicurazione e più in generale delle aziende, senza alcun vero compenso. Tutto questo evidentemente in nome dell'interesse generale, della difesa dei piccoli risparmiatori e più ancora delle piccole e medie imprese.

La grande maggioranza del pubblico popolare non si lascia ingannare da questi discorsi ipocriti, tanto è alto il divario tra le lamentele ufficiali sul disavanzo "abissale" della previdenza sociale, che si afferma essere di una decina di miliardi di euro, e la facilità con cui lo Stato impegna centinaia di miliardi per venire in aiuto al sistema bancario e alle imprese. Di conseguenza i militanti rivoluzionari possono facilmente trovare ascolto nelle masse quando essi criticano il funzionamento del sistema capitalista.

Ma il malcontento non è sinonimo di radicalizzazione, come aveva già mostrato l'esempio della grande crisi del 1929. In Francia l'ascesa della combattività operaia si era manifestata solo cinque anni dopo ed era stata provocata ben più da avvenimenti politici (ovviamente legati alla crisi) che non dalla questa crisi stessa. A provocare questa radicalizzazione furono il colpo di fulmine costituito dall'arrivo dei nazisti al potere in Germania nel 1933 e, un anno dopo, il tentativo prematuro dell'estrema destra francese di rovesciare il regime parlamentare.

Nell'immediato la recrudescenza delle chiusure d'imprese e delle riduzioni d'organico rischiano invece di portare ad un aumento della demoralizzazione del mondo del lavoro perché la disoccupazione, che già grava così pesantemente sul morale della classe operaia da più di trent'anni, ricomincerà ineluttabilmente a salire. Governi e padroni non fanno nulla per nasconderlo e speculano su questo timore per ancorare nell'anima dei lavoratori l'idea che bisognerà accettare sacrifici.

Il calo del potere d'acquisto dei lavoratori che già si evidenziava ben prima dello scoppio della crisi rischia di accentuarsi ancora, anche per chi conserverà il suo posto di lavoro. L'aumento della massa monetaria che implica le varie misure del governo per l'aiuto al padronato, dirette o sotto forma di crediti diversi, non può infatti che tradursi in un'accelerazione dell'inflazione. E se lo Stato vorrà compensare in parte questo rischio ricercando nuove entrate, questo potrà solo essere ottenuto con nuove tasse, nuove imposte o contrattando prestiti a condizioni alettanti per le classi ricche... a cui bisognerà comunque pagare gli interessi. In un modo o nell'altro sarà la popolazione povera a sopportarne le spese.

In tale situazione le classi popolari meno che mai possono contare su un'alternanza di governo ripproposta dalla sinistra. Questa infatti, fondamentalmente, non ha da proporre una politica diversa da quella di Sarkozy e Fillon. Da questo punto di vista è significativo che l'insieme dei deputati del Partito Socialista abbia scelto, facendo valere il proprio senso di responsabilità, di non votare all'assemblea nazionale contro il piano di salvataggio delle banche ma solo di astenersi, con l'unica critica del deputato Manuel Valls che deplorava il fatto che il partito socialista non avesse semplicemente sostenuto il piano.

Le uniche contropartite che il Partito socialista chiedeva in cambio di queste iniezioni massicce di capitali nelle banche erano "che lo Stato fosse presente nei consigli d'amministrazione delle banche" e "che, al ritorno della normalità, lo Stato si facesse pagare subito i dividendi in via prioritaria". Il fatto che Sarkozy non abbia chiesto che lo Stato sia presente nei consigli d'amministrazione delle banche soccorse, e neanche che un giorno possa percepire i dividendi, è CERTAMENTE rivelatore del tipo di relazioni che lo Stato intrattiene col mondo della finanza. Ma in una società in cui gli stessi uomini passano alternativamente dal servizio dello Stato al servizio delle ditte private, e viceversa, la presenza di uno o anche di parecchi rappresentanti dello Stato nei consigli d'amministrazione delle banche soccorse ovviamente non cambierebbe niente. Quanto ai dividendi che lo Stato dovrebbe percepire "al ritorno della normalità", ciò non è altro che lo stesso tipo di ragionamento di Sarkozy quando osa affermare che in fin dei conti le finanze dello Stato un giorno beneficeranno sicuramente dei regali fatti ai banchieri.

Il partito socialista si è pronunciato, per bocca del suo segretario generale François Hollande, per la creazione di un "fondo nazionale di garanzia" che consenta "l'accesso al credito delle piccole e medie imprese e di chi vuole diventare proprietario", di "stimolare gli investimenti delle aziende", di "stimolare il potere d'acquisto" condizionando gli sgravi di oneri sociali delle imprese alla "conclusione di un accordo salariale firmato dalla maggioranza dei sindacati secondo il criterio della rappresentatività". Il che, vista la politica delle varie confederazioni sindacali, non comporterebbe niente che possa gettare nel panico il padronato qualora tale piano sia attuato. E' chiaro che nessuna delle misure proposte da un partito da molto tempo sostenitore dell'"economia di mercato", cioè il capitalismo, esce dall'ambito di questo sistema. Di più, nessuna di queste è in grado di impedire che i lavoratori paghino l'essenziale delle spese della crisi. E questo comportamento, assunto ora che il Partito Socialista è all'opposizione, la dice lunga su quale politica esso farebbe se tornasse al governo.

I vari raggruppamenti, spesso fluttuanti, che si sono formati in questi mesi all'interno degli ambienti dirigenti del partito socialista, non rappresentano scelte politiche diverse. Infatti non si può prendere sul serio il rifiuto di ogni alleanza col centro da parte degli avversari della Royal, trattandosi dei dirigenti di un partito che, senza neanche risalire alla Quarta Repubblica, praticarono l'"apertura" sotto la presidenza di Mitterrand in seno ai governi di Rocard in cui dal 1988 al 1991 ci furono più di mezza dozzina di ministri di destra. Le "correnti" del PS sono delle cricche la cui unica preoccupazione è stata di sapere chi succederà al segretario François Hollande e, più in là, chi sarà il candidato del partito alla presidenziale del 2012 nonché quali saranno i vantaggi per chi avrà sostenuto la sua candidatura. Il voto degli aderenti sulle proposte presentate dalle varie coalizioni in concorrenza non ha designato un vincitore incontestabile. Le trattative messe in atto alla ricerca di nuove alleanze al congresso di Reims non sono riuscite a costituire una coalizione maggioritaria. In questa giungla c'è certamente di che demoralizzare molti militanti del PS, ma non vi è niente che possa interessare i lavoratori.

I partito comunista, da parte sua, ha valutato che la proposta del partito socialista "non risolve la questione della lotta contro la speculazione finanziaria". Questo è incontestabile. Ma la sua proposta di un "polo pubblico delle istituzioni finanziarie" che raggruppi "le istituzioni pubbliche e semi pubbliche del credito per favorire la lotta alla speculazione", anche incorporandovi delle "banche sane", non è migliore. Chi d'altronde potrebbe dire quali sono queste "banche sane"? In realtà è impossibile lottare contro la speculazione finanziaria se non si raggruppano tutte le istituzioni finanziarie in un unico ente sotto controllo dei lavoratori e della popolazione, il che ovviamente significherebbe la nazionalizzazione senza indennizzo né facoltà di riscatto, cioè l'esproprio di tutte queste istituzioni. Ma per difendere tale politica non bisogna avere, come unica ambizione, il ritorno al governo all'interno di una riedizione dell'unione delle sinistre per partecipare alla gestione degli affari della borghesia.

Non solo i dirigenti delle grandi confederazioni sindacali non hanno assunto un comportamento diverso per quanto riguarda la necessità di "salvare le banche", che hanno difeso ognuno a loro modo, ma si sono per di più mostrati incapaci, ben prima dello scoppio della crisi finanziaria, di organizzare una lotta coerente per la difesa degli interessi immediati dei lavoratori. Nel momento in cui, di fronte agli attacchi del padronato e del suo stato si dovrebbe ridare fiducia ai lavoratori nella propria capacità di fare arretrare la borghesia difendendo la prospettiva di una risposta d'insieme della classe operaia per rivendicazioni comuni a tutti i lavoratori, facendo di ogni lotta una tappa nella preparazione della controffensiva da attuare, le confederazioni sindacali al contrario fanno di tutto per disperdere i movimenti. Già da molto tempo l'ambizione dei dirigenti di CGT, CFDT e FO, per non parlare degli altri, è di essere accettati come interlocutori affidabili da padronato e governo. La ricerca della "negoziazione" è la parola d'ordine di questo sindacalismo che vuole essere "di partecipazione" e innanzitutto non vuole mettere la borghesia in una situazione difficile. Il fallimento di questo sindacalismo, che da molto tempo ha dimostrato la sua incapacità di difendere efficacemente le rivendicazioni che potrebbero veramente migliorare le sorti dell'insieme del mondo del lavoro, non può che rivelarsi ancora più palesemente se, come è probabile, la crisi in cui l'economia capitalista sta sprofondando si prolungherà e si accentuerà.

L'evoluzione della situazione economica comporta nondimeno la possibilità di esplosioni sociali, non solo in Francia ma in tutti i paesi. E questo in un mondo in cui il proletariato è ben più numeroso e costituisce quindi una forza potenziale infinitamente più grande di ciò che rappresentava quando scoppiò la crisi del 1929.

Per quanto ci riguarda, il nostro compito rimane ovviamente quello di prepararci ad intervenire nel modo più efficace possibile se dovessero sorgere lotte sociali di grandi dimensioni, reclutando giovani militanti, sia lavoratori che intellettuali, che scegliessero di legare la loro sorte a quella della classe operaia, educandoli sia sul piano politico sia con la partecipazione a tutte le lotte parziali della classe operaia a cui avranno occasione di partecipare, sforzandoci di sviluppare la nostra influenza nelle imprese e in tutti gli ambienti popolari.

Si tratta altresì di affermare l'esistenza di una corrente che non metta sullo stesso piano tutti i problemi "di società" e che si collochi risolutamente sul terreno del comunismo rivoluzionario, rivendicando all'eredità di Marx ed Engels, di Lenin e Trotsky, della Comune di Parigi e della Rivoluzione d'Ottobre.