Testo della minoranza
La situazione economica, sociale, politica e morale della classe operaia non è cambiata in modo sostanziale durante l'anno scorso. La ripresa economica giova non solo ai capitalisti ma anche ad una buona parte della piccola borghesia, cioè sicuramente a milioni di persone quando vi si aggiungono i ceti salariati superiori. Per i lavoratori, la ripresa non ha portato né ad un aumento del salario, né ad una vera riduzione della disoccupazione, la quale diminuisce solo nella misura in cui aumenta la precarietà. Almeno per una frazione dei lavoratori, le condizioni di lavoro sono peggiorate.
L'offensiva delle classi possidenti sta proseguendo sistematicamente per aumentare la quota di plusvalore a scapito dei salari. Le soppressioni massicce di posti di lavoro, o addirittura i licenziamenti nelle grandi imprese, ciò che viene chiamato "piani sociali", continuano allo stesso ritmo degli anni precedenti. Durante un certo periodo, la "crisi" e le difficoltà economiche, spesso in buona parte inventate o esagerate per l'occasione, hanno fatto da pretesto a quest'offensiva. Oggi, gli sfruttatori non ne hanno neanche più bisogno. Rassicurati dall'assenza di reazioni importanti che mettano il loro sistema in pericolo, proclamano apertamente i loro obbiettivi. Licenziamenti, blocco dei salari, aumento dell'intensità e del carico di lavoro non sono dettati dalla necessità di garantire la sopravvivenza delle imprese, ma dal desiderio di aumentare i profitti. L'arroganza e la brutalità di Michelin sono solo state l'esempio più recente e più lampante dell'atteggiamento attuale del padronato, che ritiene di dover mostrare che non tratta i lavoratori con i guanti, per potere meglio corteggiare i ceti finanziari e gli azionisti.
Il governo Jospin, in continuità con i suoi predecessori di sinistra e di destra, coordina quest'offensiva antioperaia. La porta avanti in prima persona nei servizi pubblici (con tra l'altro la riforma ospedaliera, in cui i tagli programmati dalla CNAM -Commissione Nazionale dell'Assicurazione Malattia- significherebbero la soppressione di 160000 posti di lavoro) e nei campi che dipendono direttamente da lui, come il progetto di riforma delle pensioni per il quale ha ricevuto, anticipatamente, il sostegno aperto della CFDT e la complicità della CGT ormai aperta all'idea dei fondi pensione.
Solo una maggiore ipocrisia lo differenzia da Juppé, dovendo i partiti di sinistra e le direzioni sindacali giustificare l'aiuto e il sostegno che portano a questa politica antioperaia. Così le leggi Aubry permettono ai padroni di aumentare la flessibilità e l'intensità del lavoro, di bloccare i salari, di nascondere delle soppressioni di posti di lavoro e di ricevere, di più, nuove sovvenzioni per farlo. Ma il governo e tutta la sinistra, PCF compreso, tentano di farle accettare ai lavoratori scambiandole per delle misure di riduzione del tempo di lavoro.
Per il piano d'emergenza e il movimento d'insieme
Certamente la classe operaia è delusa, ma non è stata sconfitta. Da molti anni cede terreno, ma senza che abbia ancora condotto battaglie di grande portata. In questi ultimi mesi ancora i movimenti sono stati numerosi, in reazione alle minacce di licenziamenti ma anche agli accordi Aubry, contro la flessibilità, la rimessa in discussione delle conquiste, la soppressione dei tempi di pausa, l'allungamento della giornata di lavoro o ancora il blocco dei salari. Ma sono rimasti dispersi, limitati, il più delle volte sconosciuti dagli altri lavoratori, anche dello stesso gruppo, perfino della stessa impresa. Infatti la maggior parte delle organizzazioni sindacali non militano per un 'estensione, che i lavoratori stessi non progettano, bensì non adempiono neanche al loro elementare compito d'informazione o di coordinamento. Certamente, molte delle reazioni attuali alle misure di applicazione delle 35 ore si svolgono ad iniziativa dei sindacalisti locali. Questo è il margine di iniziativa lasciato loro dagli apparati nazionali, e che perfino questi gli consigliano di utilizzare : battersi localmente e settorialmente per una migliore applicazione nell'ambito di accordi generali firmati o di fatto accettati da tutti. Ma è anche almeno l'indicazione che se, per il momento, i sindacati non sono sotto pressione, trovano un'eco tra i lavoratori quando li chiamano a reagire. L'atteggiamento delle direzioni sindacali, compreso la CGT, rifiutando di associarsi all'appello del PCF a manifestare il 16 ottobre, è caratteristico della loro volontà di non fare nulla che possa contribuire ad una mobilitazione dell'insieme dei lavoratori.
Pochi movimenti hanno richiamato un'attenzione più grande, anche per un istante, come quello dei macchinisti delle ferrovie questa primavera. Ancora più rari sono stati gli scioperi che hanno durato per settimane, o addirittura per mesi e hanno finalmente vinto, come quello dei lavoratori di ELF, grazie a circostanzi eccezionali che opponevano i capitalisti tra loro.
La classe operaia non è demoralizzata, ma non vede o non crede ad una possibilità di battaglia generale contro il padronato, tanto più che capisce molto bene che questo ha il sostegno totale del governo, nonostante i finti scatti d'ira di Jospin o Aubry o le presentazioni tendenziosi dei sindacati e della sinistra plurale.
Eppure, proprio questa battaglia generale, un movimento d'insieme, uno sciopero generale, sarebbero gli unici a poter capovolgere la situazione, porre fine all'offensiva della borghesia, riconquistare il terreno perduto e perfino riprenderne all'avversario e mettere i lavoratori in posizione di forza nei confronti dei loro sfruttatori. Avanzata da qualche anno da Lutte Ouvrière, per essere poi ripresa da altri gruppi o correnti di estrema sinistra, l'idea di un "piano d'emergenza" è stata l'abbozzo delle misure possibili e auspicabili da imporre per cambiare la situazione del mondo del lavoro. Ma fino a questa parte, l'agitazione e la propaganda a favore di questi obbiettivi sono state fatte soprattutto nelle campagne elettorali, che non sono le circostanze più adatte, volendo o no, per insistere anche sulle lotte, il movimento d'insieme o lo sciopero generale, cioè sui mezzi per imporre questo piano d'emergenza. Durante quest'intervallo eccezionale di due anni senza elezioni, il primo compito della nostra organizzazione è dunque difendere questa prospettiva presso i lavoratori, tanto più se sono scettici, disincantati o increduli.
Per l'estensione della nostra attivita militante
Né le campagne elettorali, e neppure i successi, saranno sufficienti perché le nostre idee, e soprattutto le nostre prospettive, siano sempre meglio ascoltate dal mondo del lavoro. Per questo, bisognerebbe toccare con la nostra attività militante une frazione maggiore della popolazione lavoratrice.
Per questo, il volantino di fabbrica è stato il mezzo essenziale finora utilizzato dalla nostra organizzazione. Ovviamente, non è né l'unico, né adatto ad ogni circostanza, ma rimane nella situazione che conosciamo ancora oggi un mezzo che permette di far conoscere le nostre posizioni, i nostri argomenti e la nostra stessa esistenza all'insieme dei lavoratori di base ; è anche un mezzo per trovare e raggruppare i lavoratori più combattivi e più sensibili alle nostre idee o alla nostre prospettive. Dobbiamo dunque moltiplicare i volantini di fabbrica.
Dalla crescente notorietà di LO fin dall'elezione presidenziale del 1995, ancora rafforzata dal recente esito delle europee, risulta appunto che un certo numero di lavoratori, spesso ex militanti o simpatizzanti dell'estrema sinistra, di LO o di altre correnti, trotzkisti, comunisti, libertari, guardano verso la nostra organizzazione, di cui almeno alcuni lavorano in fabbriche dove non siamo presenti. Ricercarli sistematicamente e proporgli di aiutarci a cominciare un lavoro politico nella loro fabbrica, nel loro cantiere, laboratorio o ufficio, può permetterci un'apparizione politica in qualche decina di nuove aziende, forse di più se sappiamo utilizzare tutti i sostenitori che conosciamo, trovare quelli con chi non abbiamo ancora stabilito un contatto diretto.
Il primo obbiettivo della pubblicazione di questi volantini rimane ovviamente le fabbriche più grandi. Ma la tendenza attuale del capitalismo è di ridurre i concentramenti di lavoratori nello stesso stabilimento, per disperdere la mano d'opera in posti più piccoli, in particolare per quanto riguarda le aziende di produzione. Dobbiamo dunque mirare anche alle aziende di media dimensione, che rappresentano tutt'al più qualche centinaia di lavoratori. Per di più, nelle aziende di questa dimensione, essendo la presenza sindacale debole o inesistente, al lavoro politico si aggiunge quello di far vivere o rivivere il sindacato, che rimane uno dei compiti permanenti dei militanti operai comunisti.
Spinti dalla stessa volontà di utilizzare tutti i nostri eventuali sostegni, possiamo perfino progettare in qualche posto un volantino locale, in una zona industriale per esempio. Certo, bisogna stare attenti che non faccia da surrogato al volantino di fabbrica che rimane in tutti i casi prioritario. E un volantino per parecchie piccole fabbriche di un settore unico o di una zona industriale - che necessita fin dall'inizio, per non essere una finzione, sostegni più numerosi di quelli di un volantino normale di fabbrica - in tanti casi è superiore alle nostre forze. Ma forse non in tutti i casi. Tale volantino locale potrebbe allora contribuire ad aumentare il nostro radicamento e, tramite contatti che forse prenderemmo, potrebbe dare all'organizzazione l'opportunità di essere meglio informata delle piccole lotte e forse di averci un intervento.
Lo scatenarsi di grandi lotte dipende da molti fattori, di cui molti ci sfuggono, e praticamente non dall'agitazione delle organizzazioni politiche, anche se fosse più estesa che ora. Però il morale e la fiducia della classe operaia nelle proprie capacità, e quindi la sua fiducia nelle prospettive che difendiamo, dipende almeno in parte dallo svolgimento e dall'esito delle lotte limitate di ogni giorno, cioè dal fatto che siano condotte fino in fondo alle loro possibilità, sia dal punto di vista dei risultati materiali che dei progressi nella coscienza dei lavoratori. E tale compito rimane infatti quello dei militanti rivoluzionari, anche in un periodo di relativa calma sociale. Il più delle volte, solo quando i lavoratori non vogliono battersi le organizzazioni sindacali tutt'al più manifestano un'apparente combattività. Quanti accordi sulla legge Aubry sono stati firmati da queste organizzazioni sindacali, certo senza l'opposizione attiva ma contro la volontà dei lavoratori ? E innanzitutto quante organizzazioni sindacali, di fronte al più piccolo movimento, anche minoritario, anche molto limitato, anche solo del 10% del personale, non hanno altra volontà che di stroncarlo al più presto ?
Per l'azione comune con il pcf e le organizzazioni operaie
L'elezione un anno fa di venti consiglieri regionali di Lutte Ouvrière, quella di deputati europei quest'anno, non hanno cambiato l'importanza e la forza di Lutte Ouvrière nella società, il numero dei suoi militanti e simpatizzanti attivi. Hanno cambiato la sua importanza sulla scena politica, agli occhi dei mass media e dei partiti politici, di sinistra in particolare.
Tale peso elettorale, concretizzato da questi eletti, ha portato il PCF, la cui politica è essenzialmente determinata dalle elezioni e l'attività parlamentare, a cambiare politica nei nostri confronti. Al parlamento di Strasburgo ha accettato l'integrazione degli eletti trotskisti nel gruppo della Sinistra Unita Europea, accordo solo tecnico ma di cui spera alcune ricadute e profitti politici. Poi ha proposto l'organizzazione comune della manifestazione per l'occupazione del 16 ottobre, nell'attesa forse di altre azioni comuni su questo tema o quell'altro.
L'azione comune con il PCF, così come con altri partiti, sindacati, associazioni più o meno legate al movimento operaio, o anche semplicemente di sinistra, è auspicabile. Dobbiamo anche prendere l'iniziativa e ricercarla sistematicamente. Lutte Ouvrière deve avere una politica, cioè delle proposte sui modi d'azione come sugli obiettivi, nei confronti del PCF e delle organizzazioni che possono contare nel movimento operaio, in primo luogo le grandi confederazioni sindacali. Questo non solo è reso possibile, viene addirittura imposto dal peso politico raggiunto oggi dalla nostra organizzazione, almeno relativamente a queste organizzazioni. Lo indica il fatto che il PCF stesso abbia ritenuto opportuno di farci una proposta.
Era giusto quindi rispondere positivamente alle proposte del PCF ed accettare, non solo di partecipare ma anche di essere coorganizzatori. Era giusto proporre di dare un seguito al 16 ottobre sotto forma di azioni che siano in grado di allargare la mobilitazione. Ed è giusto dedicare le nostre forze ad una mobilitazione per il successo delle manifestazioni dell'11 dicembre. Bisognerà rispondere nello stesso modo ad eventuali proposte simili nel futuro. O meglio ancora, farne noi stessi.
Ma il PCF fa parte della sinistra plurale. Partecipa al governo e sostiene la sua politica antioperaia, con solo alcune riserve e critiche per giustificare il suo accodamento finale. Così, il 16 ottobre, tutto era accuratamente bilanciato e calcolato perché il risultato della manifestazione sia di confortare la politica della direzione, quella di cui Robert Hue si vanta con buona dose di cinismo "un piede nelle istituzioni", "un piede nel movimento popolare" : il vago degli obiettivi dell'appello comune come l'annuncio della convergenza con la legge Aubry alla vigilia della manifestazione. Anche l'invito fatto all'estrema sinistra a partecipare, ed anche a coorganizzare, aveva lo scopo di rafforzare la dimostrazione ; il PCF poteva fare sfilare per strada le sue proprie truppe, di cui una parte prova riluttanza verso la politica di Jospin, e addirittura aggiungerci le truppe di queste note organizzazioni antigovernative quali LO e la LCR, senza cambiare, scuotere o danneggiare il suo sostegno e la sua partecipazione al governo.
Questo non ci deve impedire di cogliere le occasioni di ritrovarci con i militanti e simpatizzanti del PCF, o di altre organizzazioni più o meno legate al movimento operaio, quando all'appello della loro direzione scendono in piazza per esprimere, pur confusamente, delle rivendicazioni ed aspirazioni che sono quelle dei lavoratori. Il numero dei manifestanti può allora essere un fattore che contribuisce a rialzare il morale, di loro come di altri. Dobbiamo quindi, nella misura delle nostre possibilità, contribuire dimostrativamente ed apertamente ad aumentare questo numero, a chiamare ed organizzare; Ma questo non ci deve portare a chiudere gli occhi sulla politica del loro partito, assolutamente contraria a queste aspirazioni e rivendicazioni.
Con il PCF, oggi, c'è la necessità per Lutte Ouvrière e l'estrema sinistra di dimostrare ai militanti la nostra volontà di agire insieme con loro. Ma c'è anche la necessità di non dare neanche l'impressione che facciamo, pur in modo implicito, un fronte politico con la sua direzione sulla base della sua politica attuale. Anche solo per la chiarezza delle dimostrazione che vogliamo fare nei confronti dei militanti e lavoratori PCF : se siamo pronti ad agire insieme con Robert Hue per l'occupazione, non siamo pronti ad approvare, anche minimamente, il suo sostegno al governo. E quando lui stesso mischia le due cose con il suo atteggiamento, spetta a noi separarle con il nostro. Il 16 ottobre, era sbagliato per i rivoluzionari sfilare accanto o a braccetto con genti che allo stesso tempo riaffermavano apertamente il loro sostegno al governo, votavano la legge Aubry, approvavano una politica contraria agli obiettivi stessi della manifestazione e intendevano apertamente servirsene per confortare questa politica, senza differenziarsi su queste questioni.
Per proporre l'azione comune, al PCF come ad altri partiti, sindacati o associazioni del movimento operaio, non si tratta chiaramente di porre delle condizioni inaccettabili per la direzione come per i militanti, di esigere come preliminari l'abbandono degli elementi di una politica che condanniamo, come il sostegno al governo, o di non essere pronti ad agire intorno ad obiettivi limitati sui quali possiamo essere d'accordo. Ma ad ogni passo fatto insieme, le modalità dell'apparizione della nostra organizzazione, le parole d'ordine e slogan portati avanti, dipendono dal contesto come dagli obiettivi che ci assegniamo, e anche che gli altri si assegnano. In una manifestazione dagli obiettivi limitati, ma chiari, era perfettamente normale limitarci a questi. Se il 16 ottobre si fosse trattato solo di manifestare "per l'occupazione", Lutte Ouvrière forse sarebbe stata fondata a limitarsi a porre l'accento soltanto sul "divieto dei licenziamenti" o "il controllo dei conti". Ma per la volontà della direzione del PCF -vedi l'annuncio della sua convergenza con la legge Aubry-, si trattava anche e innanzitutto di un'operazione politica mirante a giustificare la sua presenza ed il suo mantenersi in seno al governo.
Non trascineremo altre correnti, militanti o organizzazioni in azioni comuni, e a maggior ragione in una mobilitazione crescente, come LO lo propone oggi al PC e ai sindacati, se non certo col dimostrare che siamo perfettamente leali nell'azione. Ma la lealtà significa anche dire chiaramente ciò perché siamo pronti a combattere con loro, ciò perché questo è escluso, e ciò a che ci opponiamo. E bisogna dirlo ai militanti individualmente o collettivamente, alle direzioni e, quando è necessario, nelle azioni condotte insieme.
Per il proseguimento del fronte d'estrema sinistra con la LCR
Grazie all'elezione di due deputati europei della Ligue Communiste révolutionnaire e di tre di Lutte Ouvrière, il fronte costituitosi tra le due organizzazioni in occasione di queste elezioni è stato mantenuto. Ma sin da giugno, si è espresso innanzitutto nel parlamento europeo o nell'attività dei deputati europei.
La dichiarazione d'intenti comune, base politica dell'alleanza conclusasi per le elezioni, era un programma non per le elezioni ma per le lotte, come l'hanno ribadito Arlette Laguiller e Alain Krivine stessi nel corso della campagna. Infatti riproponeva l'essenziale del piano di emergenza popolarizzato da LO che la nostra organizzazione, anche quando lo proponeva come piattaforma elettorale, ha sempre presentato come la serie di obiettivi che la classe operaia potrà e dovrà prefiggersi quando scenderà in lotta.
Le elezioni sono passate e per fortuna si rappresenteranno solo fra un anno e mezzo. Le grandi lotte non sono ancora qua. Ma la necessità di prepararle nella misura delle nostre possibilità, e quindi la necessità di un'agitazione e di una propaganda per il movimento d'insieme e le misure di emergenza, rimangono più che mai. La LCR e LO che hanno fatto quest'agitazione in occasione delle elezioni, pur dicendo che era per preparare il seguito, si trovano ora in questo seguito.
Seguendo il filo di ciò che hanno detto, fatto e promesso insieme, devono ora prolungare la loro campagna elettorale con una nuova campagna comune sul piano di emergenza e il movimento d'insieme. E LO lo deve proporre esplicitamente alla LCR.
Le modalità e il ritmo -comizi, incontri militanti, manifesti, volantini, ecc- di tale campagna, fuori dalle scadenze elettorali, sono da definire e da discutere. I suoi assi e punti d'attacco lo sono anche, per toccare il massimo di lavoratori e di militanti in funzione delle loro preoccupazioni del momento : attualmente è impossibile dissociare una campagna sul piano di emergenza da una denuncia della legge Aubry -veicolo attuale, e soprattutto futuro, degli attacchi in tutte le direzioni di padroni e governo- e probabilmente, domani, dai progetti di riforma della previdenza sociale, della salute o delle pensioni.
Comunque non c'è dubbio che tale campagna sarebbe necessaria. Permetterebbe di consolidare l'alleanza con la LCR su una politica di lotta di classe, di fare apparire la forza politica dei rivoluzionari su un terreno diverso da quello delle elezioni o del parlamento europeo, di rivolgersi alle altre organizzazioni politiche o sindacali operaie con più credibilità e più forza, e senz'altro di trascinare e raggruppare intorno a noi un certo numero di militanti e gruppi, di estrema sinistra almeno.
La Ligue Communiste Révolutionnaire ha fatto da due mesi un certo numero di proposte di attività comuni. Sono state giudicate troppo puntiforme ? Non sufficientemente inserite in una prospettiva più larga e dando l'impressione di non avere altra finalità che di dimostrare un'unità più simbolica che reale ? Può darsi. Ma se Lutte Ouvrière le respingesse per l'essenziale senza coglierle per proporre questa prospettiva più larga, non risponderebbe meglio ai compiti presenti, e lascerebbe sfuggire un'occasione di far fare un passo in avanti alle due organizzazioni.
12 novembre 1999