Dalla guerra fredda alla caduta della monarchia.

Εκτύπωση
L'Iraq obiettivo e vittima delle grandi manovre dell'imperialismo - Cercle Léon Trotsky
8 novembre 2002

Gli anni '50, anni di guerra fredda, furono segnati da un intervento sempre più aperto e brutale dell'imperialismo americano nel Medio Oriente. Ci fu prima l'aiuto dato dalla CIA al colpo di Stato militare che rovesciò il primo ministro liberale iraniano Mossadegh, nel 1953, perché aveva avuto la pretesa di nazionalizzare i beni dei trust petroliferi in Iran. Poi, nel 1958 si vide un corpo di spedizione americano intervenire in Libano per salvare il potere della borghesia maronita minacciato da un'insurrezione popolare.

Ma questi anni furono anche segnati dal l'ascesa del nazionalismo arabo, nel senso di un nazionalismo che comprendeva tutto il mondo arabo e non solo uno dei paesi che lo costituivano. Dal Marocco all'Algeria, sottomessi al colonialismo francese, all'Iraq e all'Egitto, questo corrispondeva nelle masse ad una certa coscienza di un'oppressione comune esercitata dai vari imperialismi. In campo politico, questo prese la forma di ciò che fu chiamato il "panarabismo", una corrente nazionalista che mirava alla creazione di uno Stato arabo unificato e che fu incarnato da varie organizzazioni e da vari dirigenti politici.

Di questi, il più prestigioso fu il dirigente egiziano Nasser, che evidenziò i limiti del panarabismo quando cercò di servirsene come di una leva demagogica al servizio della sua propria politica nazionalista.

Ma la prospettiva panaraba ispirò anche tutta una generazione di militanti nell'insieme del Medio Oriente.

Eppure, di fronte a questi militanti, i partiti comunisti della regione rimasero prigionieri del loro accodamento alle tendenze nazionaliste, compreso anche nel senso più stretto del termine. E questo non è sorprendente. Per fare propri i sentimenti, esistenti nel mondo arabo, di unità di interessi delle masse povere, bisognava essere pronti a difendere fino in fondo le rivendicazioni sociali e politiche delle masse popolari e della classe operaia. Questa politica esigeva un duro attacco alle classi privilegiate locali. Ma appoggiarsi con questa prospettiva sulle masse popolari in rivolta era all'opposto della politica dei dirigenti nazionalisti. Eppure questa prospettiva esisteva, ed era anche l'unica che avrebbe potuto trascinare ed unificare, al di là dei confini artificiali, la classe operaia e i contadini della regione. Ma non c'era nessuna forza politica significativa che incarnasse tale prospettiva.

Per quanto riguarda l'Iraq, il paese visse tutto un decennio, fino alla fine degli ami 50, sotto il dominio di una dittatura brutale, anticomunista e servile rispetto all'imperialismo. Un giornalista inglese paragonò il sistema politico iracheno ad "un gioco di carte che comprende l'élite, che dispone di seggi al Senato, di collegi truffa che permettono di essere presente alla camera bassa, e di agenzie commerciali americane che gli pagano le fatture, un gioco di carte scompagnato però che non ha né re né donne, però un numero smisurato di fanti."

Nel luglio 1952, il colpo di Stato degli "Liberi Ufficiali" egiziani, che stava per portare rapidamente Nasser al potere, ebbe immediate conseguenze in Iraq. La gioventù invase le strade, esigendo riforme democratiche. Scoppiarono gli scioperi. Ci furono centinaia di morti e migliaia di arresti. Questo non impedì nuove manifestazioni l'anno successivo, questa volta contro il ruolo della CIA nel rovesciamento di Mossadegh in Iran. Il regime iracheno aumentò ancora la repressione. Ma questo non era altro che una fuga in avanti verso il disastro.

Nel 1955 il regime iracheno raggiungeva il patto di Bagdad, una coalizione che raggruppava accanto all'Iraq, l' Iran, la Turchia, il Pakistan e la Gran Bretagna. Era destinata ad assicurare la protezione militare degli interessi petroliferi dell'imperialismo nel Medio Oriente, contro l'URSS sicuramente, ma anche e innanzi tutto contro le popolazioni della regione. Cosicché questo patto fu sentito, sia nelle file dell'esercito iracheno che in gran parte della popolazione, come un'umiliazione di più.

Ora questa umiliazione interveniva proprio nel momento in cui la politica di Nasser diventava sempre più popolare nel Medio Oriente. Dopo avere ottenuto dalla Gran Bretagna il ritiro delle truppe dall'Egitto, sembrava impegnarsi sulla strada del panarabismo, col progetto che doveva portare alla formazione della Repubblica Araba Unita con la Siria, un progetto che in realtà durò ben poco. Peraltro Nasser aveva partecipato alla conferenza dei paesi non allineati di Bandung nel 1955, dove un certo numero di paesi poveri avevano dichiarato il loro rifiuto di essere assorbiti da uno dei due campi della guerra fredda, dichiarazione che aveva destato l'entusiasmo in tutti gli ambienti dell'opposizione irachena ed anche nelle file dell'esercito stesso. E ovviamente anche la nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956 aveva contribuito a rialzare il prestigio del nasserismo, soprattutto dopo che le forze inviate in Egitto dalla Francia, dalla Gran Bretagna e da Israele furono costrette a ripartire miseramente.

Fu in questo contesto che, riprendendo l'esempio nasseriano, si costituì nell'esercito iracheno un'organizzazione clandestina degli "Liberi Ufficiali", che organizzò il 13 luglio 1958 un colpo di Stato che non trovò nessuna resistenza. La famiglia reale fu giustiziata e l'indomani il capo dei liberi ufficiali, il generale Kassem, entrò nella capitale accolto come un'eroe. Nel pomeriggio, in una dichiarazione alla radio, proclamava la Repubblica ed affermava che gli interessi del paese sarebbero stati nelle mani di un governo espresso dalla popolazione che ne rappresentasse le aspirazioni.

Così finiva il regno hashemita sistemato al potere in Iraq dall'imperialismo britannico. Ma così come era successo nel 1936, le masse povere che avevano sostenuto il nuovo regime, sarebbero state espropriate di ciò che già consideravano come la loro propria vittoria.