Gli stati-uniti pretendono di rispondere ai terroristi, ma le loro rappresaglie sono contro i popoli

Εκτύπωση
Da Lutte Ouvrière e da "Lutte de Classe n° 60 (La guerra di Bush non è la nostra guerra)
Ottobre 2001

Mentre scriviamo, i dirigenti degli Stati-Uniti rimangono ancora discreti sulla natura dell'operazione "giustizia senza limiti" ribattezzata "libertà duratura". Questa discrezione e il suo pretesto militare probabilmente nascondono anche calcoli ed esitazioni rispetto agli obiettivi scelti, sebbene tra questi ci sia quasi certamente l'Afghanistan in un modo o nell'altro. Il flusso dei profughi che abbandonano il paese, la carestia, attestano che anche prima che si arrivi all'azione militare, il popolo afghano è vittima.

I dirigenti americani ci tengono comunque a dare al loro spiegamento di forze un aspetto spettacolare. Una flotta americano-britannica che cerca di essere impressionante si dirige verso il Golfo arabo-persico e il mare d'Oman. I comunicati ufficiali americani insistono pesantemente sul rafforzamento dell'effettivo delle basi americani, che già nella regione sono numerose, dalla Turchia agli Emirati arabi uniti e all'Arabia Saudita. La stampa dà notizia della presenza di missioni militari americane proprio nelle vicinanze dell'Afghanistan, nel Pakistan e nel Tagikistan ex sovietico. Altre informazioni evocano preparativi verso altri obiettivi, quali l'Iraq o la Somalia. Tutti questi preparativi militari sono accompagnati da un'attività diplomatica mirante ad assicurare agli Stati-Uniti il sostegno, o comunque la legittimazione del loro intervento da parte delle altre potenze imperialiste, europee tra l'altro, nonché della Russia e degli Stati dell'Asia centrale nella sfera d'influenza di quest'ultima. Si prendono anche dei contatti con Stati che, come l'Iran e fino ad un certo punto la Siria, erano finora trattati come avversari. Anche la Libia di Ghaddafi fa qualche gesto in direzione degli Stati-Uniti. Tutto questo annuncia, più che un riorientamento della diplomazia americana rispetto ad un certo numero di regimi finora messi in quarantena, il rientro di questi paesi nei ranghi di chi riconosce gli Stati-Uniti come custode dell'ordine mondiale.

Ma né i preparativi militari, né le pressioni diplomatiche, rispondono ai problemi politici posti dagli attentati di New York e Washington e a quelli che potrebbero derivare da una nuova avventura guerriera condotta dagli Stati-Uniti.

George Bush e i dirigenti degli Stati-Uniti cercano di incanalare la legittima emozione della loro opinione pubblica, colpita dall'orrore degli attentati suicida contro il World Trade Center, per sviluppare un clima di sacra unione intorno alla squadra dirigente americana e alla sua politica. "L'America è in guerra", "una risposta devastatrice e prolungata", le espressioni di questo genere tornano come leitmotivi nelle parole del presidente americano.

Ma contro chi, questa guerra ? Contro l'Afghanistan ? Ma, oltre ciò che ci sarebbe d'odioso in un massacro nella popolazione afghana che non c'entra per niente negli attentati, questo sarebbe inefficace dal punto di vista dell'obiettivo proclamato, nonché dannoso per gli interessi dell'imperialismo americano col destabilizzare ancora un po' di più una regione dall'importanza strategica considerevole. L'imperialismo americano viene in qualche modo superato dalle conseguenze della sua propria politica.

Il sistema di dominazione imperialista

Il sistema imperialista protegge, genera e perpetua delle disuguaglianze tra le due classi sociali fondamentali della società, nonché tra paesi imperialisti e paesi sottosviluppati. La strategia militare e la diplomazia delle grandi potenze imperialiste mirano, in ultima analisi, a preservare la dominazione economica dei loro grandi gruppi economici e finanziari sul mondo. Da questo punto di vista l'imperialismo americano non differisce dagli imperialismi di secondo ordine quali la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, l'Italia, ecc.., tranne con i suoi maggiori mezzi economici e militari e la sua posizione di gendarme dell'ordine imperialista su scala del mondo.

Ma governare al profitto dei gruppi imperialistici significa governare contro i popoli. I regimi dei paesi sottosviluppati su cui l'imperialismo americano si appoggia, come su scala più limitata gli imperialismi inglesi e francesi, sono in linea di massima regimi oppressivi e antipopolari.

Nei paesi sottosviluppati, i regimi più servili rispetto ai gruppi imperialistici e quindi gli alleati più fedeli degli Stati-Uniti sono proprio quelli che, in mancanza di sostegno da parte della popolazione, hanno assolutamente bisogno del loro appoggio. La subordinazione agli Stati-Uniti poggia sulla salda convinzione dei fautori di questi regimi che la loro sopravvivenza di fronte alla loro popolazione dipende dal sostegno degli Stati-Uniti. I dirigenti delle grandi potenze imperialiste hanno molte volte fatto l'esperienza di regimi che, quando conquistarono una certa base popolare, presero le distanze.

Se gli Stati-Uniti ci tengono tanto all'alleanza con Israele, è perché questo è quasi l'unico regime la cui politica filoamericana trova un largo consenso nella popolazione. La politica sionista dei dirigenti d'Israele si combina con la politica reazionaria degli Stati arabi della regione per radicare nella popolazione israeliana la convinzione che, senza alleanza americana, non ci sarebbero possibilità di sopravvivenza per uno Stato ebraico.

Ma questa politica, che poggia sulla violenza contro il popolo palestinese, è allo stesso tempo una trappola per il popolo d'Israele stesso. La politica di repressione dello Stato d'Israele ha fatto sorgere una generazione di giovani pronti a sacrificarsi in attentati suicida. Queste azioni sono condannabili perché sono cieche, ma sono l'arma dei poveri e dei deboli, contro la quale i carri armati e gli elicotteri non possono fare un gran che. Questa politica condotta dal governo d'Israele col sostegno materiale e politico degli Stati-Uniti prepara per la gioventù israeliana un futuro tanto disperato quanto lo è già quello della gioventù palestinese.

Favorendo la violenza...

Nella maggioranza dei paesi poveri del pianeta, l'appoggio degli Stati-Uniti ai regimi e alle forze politiche più reazionarie è stato una costante della loro politica.

Ai tempi dell'Unione sovietica e della "guerra fredda" i dirigenti americani giustificavano la loro politica con la preoccupazione di contenere l'influenza sovietica.

Questo avveniva in primo luogo sui limiti delle zone d'influenza sovietica ed occidentale. Le due guerre fatte dagli Stati-Uniti per opporsi al rischio di una modifica delle zone d'influenza, una in Corea, l'altra nel Vietnam, andavano di pari passo con la sistemazione di dittature ed un sostegno indefettibile nei loro confronti.

Il piccolo avvicinamento dell'India ad un'atteggiamento neutralista, all'epoca della Conferenza di Bandung, fu sufficiente per portare gli Stati-Uniti a rafforzare il loro sostegno alle dittature militari successive nel Pakistan, tra l'altro quella del generale Zia la cui politica, da parte sua, favoriva l'integralismo religioso.

La necessità di circondare l'Unione sovietica con regimi fedeli all'alleanza americana motiva da parecchi decenni il sostegno altrettanto indefettibile al regime turco, qualunque sia il suo carattere dittatoriale, militare e poliziesco, a costo di sacrificare a quest'alleanza il diritto del popolo curdo ad un'esistenza nazionale, come d'altra parte tanti altri diritti e libertà democratiche per lo stesso popolo turco.

Per la stessa ragione, gli Stati-Uniti avevano sostenuto in Iran il regime dello scià, compreso e innanzitutto contro il suo popolo. La CIA ebbe una parte maggiore, accanto ai servizi segreti britannici, per rovesciare il primo ministro Mossadegh che aveva osato, nel 1951, nazionalizzare il petrolio iraniano. Ma benché gli Stati-Uniti proteggessero lo scià, facendo del suo esercito la principale forza militare della regione, questo fu rovesciato dalla rivolta che portò al potere l'islamista Khomeiny. Per opporsi a Khomeiny, gli Stati-Uniti appoggiarono allora Saddam Hussein, il dittatore dell' Iraq. Nella lunga e sanguinosa guerra che oppose l'Iraq all'Iran dal 1980 al 1988, Saddam Hussein era il campione delle potenze occidentali. La guerra fece parecchie centinaia di morti. Si sa cosa successe poi : Saddam credeva di potere oltrepassare il ruolo a lui assegnato dalle grandi potenze e annesse il Koweit, questo ministato artificialmente distaccato dagli altri Stati della regione -e in particolare dall'Iraq- nell'interesse delle grandi compagnie petroliere. Per punire Saddam Hussein, l'alleato di ieri diventato nemico, il suo popolo fu bombardato. La guerra del Golfo e l'embargo economico che prosegue da quel momento, non hanno neanche fatto cadere il dittatore, ma hanno fatto morire sotto le bombe o per colpa delle privazioni, un milione e mezzo di Iracheni.

I talebani, da parte loro, non avrebbero potuto imporsi in Afghanistan senza il sostegno del Pakistan, in armi e inquadramento, cioè senza l'accordo degli Stati-Uniti. Gli Stati-Uniti speravano allora che i Talebani sarebbero riusciti a porre fine alla situazione di anarchia armata successiva al ritiro delle truppe sovietiche. E non furono dispiaciuti dall'idea che il proselitismo degli integralisti afghani suscitasse correnti islamiste nelle repubbliche dell'Asia centrale sorte dall'Unione sovietica.

Due altre zone strategicamente importanti per gli Stati-Uniti hanno dovuto subire le conseguenze di questa politica : l'America latina e il Medio Oriente.

In America latina, non c'è bisogno di ricordare il lungo elenco dei dittatori militari sostenuti dagli Stati-Uniti, la partecipazione della CIA al rovesciamento di Arbenz nel Guatemala nel 1954, l'intervento militare contro un'insurrezione popolare a Santo Domingo nel 1964, nell'isola di Granata nel 1983 per rovesciare un governo ritenuto troppo progressista, nel Panama col pretesto di arrestare Noriega, pure lui ex agente della CIA ma troppo coinvolto nel traffico di narcotici e, soprattutto, colpevole di demagogia antiamericana. Noriega fu arrestato, ma l'intervento fece parecchie migliaia di vittime. Non c'è bisogno di ricordare l'appoggio al rovesciamento di Allende da Pinochet nel 1973 e ai massacri che seguirono, il sostegno dato ai gruppi paramilitari d'estrema destra nel Salvador e nel Guatemala, o ai "contras" contro il regime sandinista nel Nicaragua.

Anche aldilà di queste zone strategiche, si potrebbe anche ricordare il sanguinoso colpo di Stato militare in Indonesia nel 1965 per rovesciare il potere di Soekarno, sospettato di "neutralismo", e il numero incalcolabile di vittime -un milione, forse di più-, in particolare tra i contadini poveri trattati da rossi.

Anche l'Africa -un continente dove l'imperialismo americano ha lasciato il ruolo di gendarme alle ex potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna- porta ancora oggi il marchio del gioco politico americano. Durante la guerra anticoloniale in Angola e dopo, per opporsi all'influenza del MPLA, sospettato di essere favorevole all'Unione sovietica, gli Stati-Uniti hanno finanziato ed armato l'UNITA. Più di un quarto di secolo dopo essersi sbarazzato dal potere coloniale portoghese, l'Angola non è ancora uscito dalla guerra civile sanguinosa che oppone il governo centrale alla guerriglia dell'UNITA. E se l'esercito americano non può vantarsi tanto del suo intervento in Somalia, quest'intervento c'è stato comunque.

Il pilastro saudiano

Nel Medio Oriente, se Israele rimane il pezzo più importante del sistema di alleanze degli Stati-Uniti, non è l'unico. L'imperialismo americano ha ereditato dagli imperialismi inglese e francese una situazione in cui i popoli arabi sono stati divisi tra una moltitudine di Stati che offrono la possibilità di servirsi delle loro rivalità coll'appoggiarsi su quelli più reazionari contro quelli che avrebbero voglia di prendere un po' di autonomia politica o economica.

L'Arabia saudita, regime senz'altro il più reazionario di una regione che ne conta alcuni altri, si è imposta come principale difensore -oltre Israele- degli interessi degli Stati-Uniti in generale e dei loro consorzi petrolieri in particolare.

E non è affatto un paradosso se il denaro saudiano ha avuto una parte importante nel finanziamento di gruppi islamisti non solo nella regione ma aldilà di questa fino al GIA (Gruppo islamista armato) algerino o al gruppo Abu Saiaf delle Filippine.

L'Arabia Saudita ha potuto tanto più facilmente finanziare gruppi islamisti in quanto gli Stati-Uniti e la Gran Bretagna, ugualmente impegnati nella regione, hanno visto a lungo nelle forze islamiste una possibilità di ostacolare l'ascesa del nazionalismo arabo simboleggiato per qualche tempo dall'Egitto di Nasser e poi, fino ad un certo punto, dalla Siria e l'Iraq.

Non si possono strumentalizzare delle forze reazionarie senza subirne i contraccolpi.

A parte l'Arabia saudita e il suo regime integralista wahhabita, le forze islamiste sono rimaste a lungo marginali, limitandosi per l'essenziale ai Fratelli musulmani egiziani di cui si sa che sono stati aiutati, almeno all'inizio, dagli agenti britannici in Egitto.

E paradossalmente, è stato proprio il corso reazionario della storia mondiale, da più di un quarto di secolo, a fare un brutto scherzo alla politica dell'imperialismo americano. Questo corso reazionario si è concretizzato con un riflusso generale delle forze che si riferivano -a torto più che a ragione, ma questa è un'altra discussione- al socialismo o al comunismo, e anche delle forze che si definivano "nazionaliste", "progressiste" o "terzomondiste". Tutte queste forze si nutrivano in ultima analisi dei malcontenti, della rabbia, delle frustrazioni dei popoli oppressi dall'imperialismo.

L'antimperialismo dichiarato di queste molteplici forze si limitava innanzitutto al fare discorsi. Ma bisogna ricordarsi dell'enorme popolarità che procurò a Nasser un gesto come la nazionalizzazione del canale di Suez. Nasser e soprattutto il suo successore Sadate sono poi rientrati nei ranghi. Ma le cause del loro successo non sono sparite, anzi.

La politica di spoliazione e di repressione d'Israele nei confronti del popolo palestinese si è aggravata con il tempo, con la politica sistematica di sistemazione di nuove colonie israeliane in Palestina, con la guerra fatta durante le due "Intifada" da un esercito moderno contro i sassi, i bastoni e le bombe artigianali di un popolo disarmato. Bisogna dire a quest'occasione che Israele ha condotto al suo livello una politica simile a quella degli Stati-Uniti e ha creduto, per qualche tempo, di potere proteggersi contro il nazionalismo di Arafat lasciando i suoi servizi segreti appoggiare gli integralisti dell'Hamas.

Ma oggi le creature scappano ai creatori. L'Hamas incanala al suo profitto la crescente perdita di fiducia delle masse palestinesi rispetto ad Arafat. Gli integralisti del Sudan e i Talebani afghani si sono rivolti contro i loro ex protettori. Il riflusso del nazionalismo "socialisteggiante" nei paesi arabi ha lasciato campo libero alle forze politiche islamiste per dedicarsi ad una certa demagogia antiamericana.

In mancanza di altre prospettive offerte alle masse diseredate della regione, l'integralismo religioso, compreso le sue varianti terroriste, è diventato lo strumento con cui si esprimono la loro disperanza e il loro odio della situazione in cui sono costrette di vivere.

Verso quale altra avventura guerriera ?

Se gli Stati-Uniti hanno esitato a bombardare l'Afghanistan, non è certamente per qualche compassione per il popolo afghano, e neanche per causa dell'inefficienza di un tale bombardamento per inceppare il terrorismo islamista. Ma hanno molte ragioni di temere la destabilizzazione di tutta la regione, e tra gli altri di due paesi essenziali per loro : il Pakistan e l'Arabia Saudita.

Il servizio segreto pachistano, l'ISI, ha aiutato i Talebani a prendere il potere con l'accordo degli Stati- Uniti. D'altra parte, pur essendo finanziato ed armato dagli Stati-Uniti, il regime militare pachistano ha sviluppato una demagogia integralista e ha protetto le organizzazioni che lo incarnavano per trovare un certo sostegno popolare su una base reazionaria. E oggi gli Stati-Uniti costringono il regime militare pachistano ad allinearsi apertamente e pubblicamente su di loro. Questo ovviamente mette il regime militare in una posizione difficile. La situazione è piena di pericoli di destabilizzazione per il Pakistan, che potrebbero derivare da sommosse popolari più o meno inquadrate dai movimenti islamisti o dallo scoppio dell'esercito stesso se una parte della sua gerarchia sceglie il campo islamista, per convinzione o per demagogia.

E poi c'è l'Arabia saudita, chiave di volta con Israele del sistema di alleanze americano nel Medio- Oriente. Ben prima della pressione degli avvenimenti attuali, questo paese era dilaniato da contraddizioni che, pur soffocate, non sono meno esplosive. Ecco un paese dove il regime medioevale poggia su uno Stato ultramoderno, un regime nel quale impera la *sciaria e di cui la fraseologia integralista non è di meno rispetto a quella dei Talebani in Afghanistan. Ma c'è questa differenza che l'Arabia saudita non è l'Afghanistan di cui il regime medioevale riflette in qualche modo il ritardo sociale. Nell'Arabia saudita, come tra l'altro negli Emirati, ci sono anche quartieri ultramoderni, banche, una ricchezza inaudita per un piccolo ceto dirigente e delle ricadute per grandi famiglie di borghesi, di cui quella di Ben Laden, arricchita nei lavori pubblici e legata alla famiglia reale, è un buon esempio. La borghesia e anche la piccola borghesia di questo paese sono abbastanza ricche da potere inviare i figli studiare negli Stati-Uniti, compreso nelle università più famose. Forse non è un caso se il movimento islamista ha trovato dei quadri, compreso lo stesso Ben Laden, in questo paese. Non a caso è in questo paese che i gruppi terroristi hanno trovato gente pronta a dedicarsi ad attentati suicida, e col livello tecnico necessario per prepararli efficacemente.

Ma chi può misurare l'influenza dell'integralismo islamico, compreso in ciò che lo oppone alla politica degli Stati-Uniti oggi, nello stesso esercito saudiano ?

Mentre si allinea dietro gli Stati-uniti, il regime saudiano, temendo le reazioni all'interno stesso del paese, si mostra reticente ad abbandonare all'aeronautica militare americana la sua base "Principe- Sultano", principale aeroporto militare nei dintorni di Riad. Un particolare significativo : il detto aeroporto è stato costruito dalla famiglia di Ben Laden.

Una destabilizzazione del regime dell'Arabia Saudita avrebbe conseguenze incalcolabili per gli Stati-Uniti, sia per la situazione geopolitica di questo paese che a ragione delle sue considerevoli risorse petroliere.

Ovviamente gli Stati-Uniti hanno i mezzi militari e, nel contesto attuale, i mezzi umani -cioè un certo consenso nella loro popolazione- per eliminare Ben Laden e forse la sua rete terrorista. Ma se bastano alcuni uomini decisi o fanatici per compiere attentati puntuali (soprattutto se questi uomini godono dei mezzi materiali di un ricchissimo uomo d'affari), il terrorismo stesso ha radici in una situazione ben più complessa. La politica dell'imperialismo americano suscita un odio crescente in molti paesi depredati e oppressi. Contrariamente alle stupidaggini dei cosiddetti "sovranisti" francesi, questo non deriva da non si sa quale carattere nazionale americano al quale non sarebbe augurabile che la Francia o i paesi europei si accodassero, bensì dalla dominazione imperialista sul mondo. E se questo odio prende un carattere antiamericano, questo è dovuto al ruolo primordiale, ma non esclusivo, degli Stati-Uniti in questa dominazione.

Non importa sapere quali sono i legami del gruppo Ben Laden col movimento palestinese. E' perché lo Stato d'Israele, con l'appoggio degli Stati-Uniti, ha spinto un'intero popolo nella disperazione, che ne ha fatto sorgere uomini pronti a morire con una bomba sul corpo. Da un anno, dopo che la visita provocatrice di Sharon sulla piazza delle Moschee di Gerusalemme abbia scatenato una nuova Intifada, gli Stati-Uniti hanno lasciato ad Israele le mani completamente libere per una politica di repressione selvaggia. Hanno lasciato l'uomo d'estrema destra Sharon arrivare al potere e aggiungere alla repressione una politica segnata dal mantenimento delle colonie costi quel che costi, dal rifiuto aperto di qualsiasi concessione ai Palestinesi, anche quelle consacrate da accordi internazionali pur favorevoli ad Israele. Questo significava chiudere qualunque prospettiva di fronte alla rivolta palestinese. Approfittando dell'emozione sollevata dagli attentati di New York e Washington, le truppe israeliane hanno dato libero corso alla repressione e, in una dichiarazione destinata ad essere provocante, Sharon ha assimilato Arafat a Ben Laden.

L'atteggiamento del loro favorito ha finito coll'intralciare gli sforzi diplomatici dei dirigenti americani per associarsi i regimi arabi. Ci volle la loro pressione perché Sharon accetti l'incontro tra Arafat e Shimon Peres.

I commentatori hanno voluto vedere lì l'inizio di un cambiamento della politica americana rispetto ai Palestinesi. Ma la stretta di mano tra Arafat e Shimon Peres certamente non compensa la brutalità della repressione israeliana. Certamente non basta neanche a ridare qualche illusione ad un popolo depredato ed umiliato.

I gruppi terroristi internazionali si appoggiano in ultima analisi sur questa disperanza e quest'odio accumulati. La strada su cui questi gruppi terroristi incanalano questa disperanza e quest'odio è una strada abietta, reazionaria e soprattutto sterile. Gli attentati terroristi contro Manhattan non hanno per niente indebolito la dominazione imperialista sul mondo : hanno rinsaldato l'opinione pubblica americana dietro i suoi dirigenti, pur principali responsabili del terrorismo, senza parlare neanche delle reazioni di rigetto nei confronti degli Arabi che facilitano i malfatti di canaglie razziste d'estrema destra.

A giudicare da ciò che rapportano i mass media, c'è stato sia in Palestina che nel Pakistan gente che si è congratulata del crollo delle torri del World Trade Center. Ma, oltre il fatto che quelli che sono morti nelle torri, negli aerei suicida e perfino nel Pentagono, non sono i responsabili della politica dell'imperialismo, una vendetta terrorista non potrà porre fine allo sfruttamento e all'oppressione di cui sono vittime centinaia di milioni di donne e uomini su questo pianeta. E, in materia di terrorismo, i gruppi terroristi più feroci e meglio arredati non potranno mai competere col terrorismo di Stato così come è stato praticato dagli Stati-Uniti, da Hiroshima a Bagdad e al Vietnam prima forse dell'Afghanistan, o dalla Francia nel Madagascar, nel Vietnam o in Algeria.

Conseguenza della dominazione imperialista sul mondo, il terrorismo islamista è al tempo stesso un vicolo cieco reazionario, che non permette ai popoli di andare avanti sulla strada della liberazione, anzi, la ritarda.

I dirigenti americani si atteggiano a difensori delle libertà, della democrazia e della giustizia contro la barbarie terrorista, a protettori del "way of life" americano. Anche negli Stati-Uniti, questa pretesa fa astrazione dalla grande miseria materiale e morale di molti quartieri popolari e dalla concezione particolare delle nozioni di libertà e giustizia quando si tratta di Neri poveri. Ma è vero che buona parte della popolazione americana, probabilmente la maggioranza, gode di condizioni d'esistenza invidiabili per la maggioranza del mondo.

Ma appunto, in questa maggioranza di paesi poveri, nel Medio Oriente, in Asia, in America latina o in Africa, come gli Stati-Uniti potrebbero passare per i difensori della democrazia, mentre proteggono delle dittature ? Come potrebbero passare per i fautori di una "libertà duratura" o di una "giustizia senza limiti" presso dei popoli che conservano il marchio di massacri compiuti dagli Stati-Uniti o dai regimi che proteggono ? E cosa può significare l'"american way of life" per queste centinaia di milioni di esseri condannati ad una miseria senza speranza e molte volte alla carestia ?

Per la prima volta, l'odio suscitato dall'imperialismo americano ha colpito sul suolo stesso degli Stati-Uniti. Però le vittime non sono i responsabili. Migliaia di vite sono state distrutte sotto le macerie del World Trade Center, ma l'imperialismo americano non è stato intaccato. Questo è sufficiente per condannare i metodi terroristi, e a maggior ragione quando sono praticati per obiettivi reazionari. Il governo e lo Stato-Maggiore americani stessi non si trovano indeboliti dagli attentati. Anzi, speculano sulla sensazione d'orrore e di sdegno sollevato, per provare a fare dimenticare la responsabilità della loro politica passata e fare legittimare la loro politica futura. (E in via accessoria, fare passare finanziamenti militari in aumento e maggiori sovvenzioni a grandi gruppi industriali, tra gli altri quelli dell'aeronautica).

Vedremo nel futuro se il clima di sacra unione intorno ai dirigenti e allo Stato-Maggiore americani resisterà, negli Stati-Uniti stessi, alle azioni di guerra che verranno scelte.L'opinione pubblica americana stessa, se è stata legittimamente colpita dagli attentati e dal loro carattere cieco, per tanto non sarà necessariamente disposta a lasciarsi trascinare in avventure guerriere che non appariranno necessariamente collegate alla battaglia contro i gruppi terroristi. E questo è vero a maggior ragione nei paesi poveri, vittime dell'imperialismo in generale e della politica americana in particolare.

In una libera opinione pubblicata recentemente dal giornale Le Monde, uno scrittore di nazionalità americana ma di origine afghana conclude, con ragione : "qualora l'Occidente compia un massacro in queste regioni, questo farà sorgere un miliardo di individui che non avranno più niente da perdere".

La diplomazia americana ha un bel esibire il sostegno che la sua "crociata contro il terrorismo" trova presso la quasi totalità dei regimi in posto, anche se in modo reticente o tiepido da parte di qualcuno, anche le sole proclamazioni guerriere hanno già scatenato delle reazioni popolari, e non solo in Afghanistan, nel Pakistan e nel mondo arabo. Delle rappresaglie cieche moltiplicheranno e amplificheranno necessariamente queste reazioni.

Le azioni guerriere degli Stati-Uniti e dei loro alleati imperialisti non porranno fine al terrorismo. Anzi, potrebbero suscitare nuove vocazioni. Solo una rinascita del movimento operaio rivoluzionario, solo il rinnovo dell'azione collettiva delle masse operaie per mettere fine alla dominazione della borghesia sull'economia e dell'imperialismo sul mondo, potranno aprire prospettive davanti alle classi sfruttate e, in tal modo, porre fine alla tentazione del terrorismo.

28 settembre 2001