Russia-Cecenia : la successione sanguinosa di Eltsin

Εκτύπωση
Da "Lutte Ouvrière" (Russia : la successione sanguinosa di Eltsin e l'elezione di Putin)
3 gennaio 2000 + 31 marzo 2000

(da "Lutte Ouvrière" del 3 gennaio 2000)

Gli avvenimenti sono stati rapidi. Il 1° ottobre 1999, il presidente russo Eltsin e il suo nuovo primo ministro Putin lanciavano l'esercito sulla Cecenia : il 19 dicembre vincevano le elezioni alla Duma ; dodici giorni dopo, Eltsin dava le dimissioni e trasmetteva a Putin la carica di presidente interinale. Il 31 dicembre il nuovo presidente firmava il suo primo decreto che dava "garanzie in materia legale e sociale" ad Eltsin, "ai membri della sua famiglia" e "alle persone vicine che vivono con lui". Questi conserveranno la maggior parte dei vantaggi e privilegi afferenti alla funzione presidenziale. Ma innanzitutto, ed è questo l'essenziale per la "famiglia", nome con il quale il clan Eltsin viene chiamato in Russia, questo decreto garantisce l'immunità giudiziaria a vita all'ex presidente e al suo clan contro gli "arresti, perquisizioni, ispezioni ed interrogatori". Così viene confessato cinicamente un furto per il quale al tempo stesso viene proclamata l'assoluzione.

Sulla scia di queste decisioni, Eltsin ha anticipato al 23 marzo l'elezione presidenziale inizialmente prevista a giugno, dando a Putin le migliori possibilità di vincere di fronte ad un opinione che poteva diventare sempre più ostile man mano che l'esercito si sarebbe impantanato in un caos sanguinoso come nella precedente guerra russo-cecena. In questo modo l'elezione di Putin poteva garantire Elstin contro il rischio di vittoria di un clan rivale che gli chiederebbe conti o lo vorebbe processare, come alcuni lo progettavano qualche mese fa.

Per salvaguardare la sua posizione politica e finanziaria, la "famiglia" avrà dunque avuto bisogno di una guerra che ha fatto migliaia di morti civili, distrutto gran parte delle città ceceni cominciando con la capitale Grozny, una città di 200000 abitanti.

I panni nuovi del regime e i suoi vecchi problemi.

Mentre il suo primo mandato presidenziale veniva a termine in un contesto di crisi politica, economica e sociale e in un clima da fine di regno e di scandali, Eltsin è riuscito a ristabilire la situazione al suo vantaggio e a vantaggio del proprio clan. Lascia un paese dissanguato, un' economia saccheggiata da quelli che si condividono il potere, ma dovrebbe conservare il bottino. Quest'ultimo non è da poco : il suo ammonto sarebbe - nonostante le rivelazioni sulle gigantesche sottrazioni di fondi a cura della "famiglia", non si sa niente di preciso - di qualche miliardo di dollari.

Ex alto burocrate sovietico, membro dell'Ufficio politico del partito sovietico a metà degli anni ottanta e capo di questo partito a Mosca, Eltsin seppe utilizzare le lotte al vertice della burocrazia dell'epoca per cacciare Gorbaciov e salire al potere. Per questo, lui ed altri alti burocrati (in maggior parte diventati come lui dirigenti degli Stati sorti dall'ex URSS) avevano gareggiato in demagogia, promettendo di lasciare piena libertà a chi, in seno alla burocrazia e alla piccola borghesia russe, si sognava un arricchimento rapido allora battezzato "ritorno alla democrazia" e "ristabilimento del mercato".

Dieci anni dopo, l'Unione sovietica non esiste più. Negli Stati che ne hanno preso a malapena la successione, le forze sociali sulle quali Eltsin e soci si sono appoggiati hanno proseguito la loro opera distruttiva e fatto regredire questa regione del mondo, tanto dal punto di vista economico che sociale. Gli esponenti del vecchio regime, la nuova leva di affaristi e i gangster che prosperano nella loro scia -per quanto si possano distinguere gli uni dagli altri- hanno saccheggiato l'economia, buttato la popolazione nella miseria, cercando di parassitare l'insieme della società -come prima ma su scala ben più vasta e senza che qualunque autorità li possa trattenere. Tutto questo, ovviamente, senza costruire niente, neanche questo "mercato" di cui Eltsin e consorti avevano fatto una bandiera per radunare sostenitori e raccogliere gli applausi dell'Occidente.

In quanto allo Stato sovietico, spezzato da Eltsin e suoi omologhi alla testa delle repubbliche sovietiche, gli apparati statali che ne hanno preso la successione sono ancora più spezzati e impotenti di quanto non lo era quello di Gorbaciov alla vigilia della scomparsa dell'URSS, alla fine del 1991. La coppia Eltsin-Putin ha cercato di farlo dimenticare schiacciando sotto le bombe la piccola repubblica cecena, permettendo a Putin di farsi avanti col giocare all'"uomo forte". Questa guerra ha anche per qualche tempo fatto tacere le critiche rivolte ad Eltsin dalla casta dirigente, ma non ha fatto cessare le lotte e rivalità al vertice, e neanche sottomesso all'apprendista uomo forte del Cremlino le mille feudalità politico-economiche-mafiose che i dirigenti della burocrazia russa si sono costruite con le spoglie dell'unione sovietica. Anche se Putin riuscisse a vincere la Cecenia indipendentista -e questo non è affatto scontato, poiché il Cremlino è uscito sconfitto dalla precedente guerra, nel 1996- per tanto questi non la farebbe finita con la propria burocrazia, i suoi capi e sottocapi che accettano la Federazione russa solo in quanto rimane un conglomerato di poteri più o meno indipendenti dal centro. Domani l'ordine del regime impererà, forse, sui cimiteri ceceni : non per tanto il regime sarà capace di fare eseguire i suoi ordini nel suo proprio seno e nel suo proprio paese.

Durante il golpe dell'agosto 1991, Eltsin aveva completato la sua ascesa al potere salito su un carro armato (trattandosi di un reggimento conquistato al campo di Eltsin, il rischio era limitato). Nel 1993 i suoi carri armati bombardavano il Soviet supremo per far tacere l'opposizione parlamentare. Già dal 1994 al 1996, mandava il suo esercito sulla Cecenia per provare ad affermare il suo potere contestato in Russia stessa. Oggi Eltsin passa la staffetta con l'appoggio dei carri e bombardieri mandati in Cecenia dal suo delfino. Anche limitato al suo aspetto militare, l'albo d'oro di Eltsin è eloquente. Lo sono anche i termini usati dai dirigenti occidentali per salutarlo dopo la sua partenza per una pensione garantita agiata e tranquilla : stando a Clinton gli storici si ricorderanno di Eltsin come dell''"uomo che ha condotto la Russia sulla strada della democrazia". Se la penseranno così i storici, è ancora tutto da vedere. Ma certamente non la penseranno così i Ceceni, e neanche la maggioranza dei Russi, e a ragione ! Ma questi sono solo "particolari" per gli uomini dell'imperialismo. Secondo loro, Eltsin può massacrare il popolo cecene e dirigere un regime che ha ridotto la popolazione alla miseria, nondimeno è un "democratico". Non lo dimostra forse il fatto che, in piena guerra, ha assicurato il passaggio dei poteri tramite le elezioni legislative ? Certo, il suo successore è già stato intronizzato, ma c'è anche l'unzione del suffragio universale per ratificare questa scelta.

Eltsin, l'uomo che ha atterrato Gorbaciov e il liquidatore dell'URSS, nel quale i dirigenti occidentali volevano vedere l'introduttore del "mercato" e della democrazia in Russia (per poi lodarlo un po' meno in questi ultimi anni), lo stesso avrà finalmente attuato alcune delle speranze che l'Occidente diceva di avere riposto in lui.

In otto anni alla testa della Russia, due guerre, il saccheggio del paese ad opera della casta dirigente, con come conseguenza il crollo del tenore di vita dell'immensa maggioranza della popolazione, il regime di Eltsin almeno ha imparato qualcosa : per ottenere dalle cosiddette potenze democratiche un certificato di rispettabilità internazionale, serve vestire di qualche formalismo politico la guerra sociale fatta dai privilegiati al resto della società. L'organizzazione di elezioni che non siano come prima a candidature uniche, ormai fa parte quindi dell'abbigliamento "democratico" del regime russo.

In fondo, questo certamente non cambia granché : la popolazione ha ormai il diritto di scegliere, tra vari briganti, quelli che la opprimeranno e la spoglieranno tra un'elezione e l'altra. E la stampa nel suo complesso rimane agli ordini come ai tempi della dittatura. Ma, con la coesistenza di poteri rivali, vari centri di decisione possono emanare ordini : la "libertà di stampa" tanto lodata dai cantori della "democratizzazione" alla Eltsin, riflette innanzitutto la guerra dei clan tramite le varie reti d'informazione. In quanto ai mass media nazionali e innanzi tutto alla televisione, essi controbilanciano, a vantaggio del potere centrale, l'influenza degli apparati e delle reti clientelari dei governatori delle regioni, capi dell'esecutivo di repubbliche federate o sindaci di grandi città. La frantumazione dello Stato in un mosaico di poteri rivali si è ancora manifestata nelle elezioni legislative del dicembre 99 : la carta dei risultati riflette abbastanza quella dei feudi territoriali dei potentati della burocrazia, e al tempo stesso il loro grado di indipendenza nei confronti del Cremlino. Nelle regioni povere, questo ha potuto a forza di sovvenzioni conquistare alla sua causa l'apparato del potere locale col dimostrare ai suoi dirigenti quanto ci potevano guadagnare. Ma nelle città e province più ricche, i partiti sostenuti da capi locali della burocrazia o da clan nazionali opposti a quello di Eltsin spesso sono riusciti a mettere in difficoltà il partito presidenziale, qualche volta con risultati elettorali alla Breznev.

Ma ovviamente quello che ha contato di più in queste elezioni è il fatto che il regime abbia lanciato il suo esercito sulla Cecenia, una guerra da lui voluta ed organizzata anzitutto per vincere le elezioni e poi, le due cose sono connesse, regolare alcuni dei suoi problemi interni.

I rapporti conflittuali tra il Cremlino e la capitale cecena non sono affatto una novità : il primo non accetta l'indipendenza proclamata nove anni fa dalla seconda, di cui una prima guerra cinque anni fa. Ma a queste cause generali relativamente antiche -e a quel riguardo la Cecenia è solo uno dei "disordini" con cui il potere russo è alle prese- se ne aggiungono altre che risultano dalle lotte per il potere al vertice dello Stato russo. Nel caso presente, si trattava per un potere sempre più contestato dall'interno di riuscire a cambiare di testa senza cambiare di mani.

La Russia allo specchio cecene

Ex repubblica autonoma in seno alla repubblica Socialista Federativa Sovietica di Russia (RSFSR), la quale era solo una delle quindici Repubbliche costituenti dell'unione sovietica, la Cecenia ha dichiarato la sua indipendenza -mai riconosciuta da Mosca, e da quasi nessun paese nel mondo- nel novembre 1991 mentre l'URSS stava scoppiando. La Cecenia non partecipa alla Confederazione degli Stati Indipendenti (CSI) che ha preso a malapena la successione dell'URSS in dodici delle sue ex Repubbliche, e dà un bel esempio dello stato estremo di frantumazione e di corruzione di ciò che ha preso il seguito dello Stato sovietico, con tutte le conseguenze che ne derivano per le popolazioni in causa.

Le autorità cecene hanno decretato l'indipendenza un mese prima che i dirigenti russi, ucraini e bielorussi decidessero di affondare l'Unione sovietica, che già stavano sgretolando da anni col costituirsi feudi sempre meno controllabili dal potere centrale. Intenti a fare la stessa cosa al loro livello, Eltsin e l'alta burocrazia russa non poterono e non vollero opporvisi. A breve termine, ci trovavano anche qualche interesse : la "parata delle sovranità" (ossia il succedersi delle dichiarazioni d'indipendenza) vuotava l'unione delle repubbliche della sua sostanza e, col togliere ogni legittimità al potere centrale rappresentato da Gorbaciov, liberava i capi delle repubbliche dalla sua tutela.

Ciò che era stato la repubblica autonoma di Ceceno-Ingucia in seno alla RSFSR si è quindi separato dall'URSS e dalla Russia, ma anche dal proprio quarto occidentale poiché i dirigenti inguci volevano essere padroni in casa propria. Rispetto all'ancora recentemente unificata URSS di quasi 300 milioni di cittadini, sembrava che lo sgretolamento dello Stato avesse raggiunto l'apice. Però questo processo non era ancora volto al termine, come il seguito l'avrebbe dimostrato.

In Cecenia tra l'altro, di Stato il potere indipendente meritava solo il nome : anche prima di prendere forma, si disgregava in un caos ingovernabile. Dudaief, un generale cecene dell'esercito sovietico, era divenuto presidente a Grozny, la capitale. Ma non riuscì ad imporre il suo potere più di là, tanto era ostacolato da clan di cui ognuno controllava il proprio feudo. Sotto il loro regno, sottrazioni di proprietà pubbliche, estorsioni di fondi, rapimenti con riscatto, racket e traffici di ogni genere diventarono le attività prospere di un'economia cecene saccheggiata tanto più ferocemente che, dopo di avere depredato sistematicamente le imprese, non c'era praticamente più niente da rubare.

Certamente Eltsin non aveva abbandonato l'idea di riportare questo paese nel suo grembo. Ma non ne aveva la forza perché doveva contemporaneamente fronteggiare delle opposizioni dello stesso tipo in tutta la Russia, compreso in delle regioni ben più importanti per il Cremlino della Cecenia. All'inizio quindi si stabilì un compromesso tra Mosca e Grozny : il Cremlino lasciava Dudaiev parlare di indipendenza e prelevare la sua parte delle ricchezze locali, pur tenendo ben chiaro che dovevano rimanere russe le raffinerie di Grozny e la parte cecene dell'oleodotto che trasporta il petrolio del mar Caspio, strumento di collegamento con il mercato mondiale e fonte di entrate di valute per la Russia. Questo status quo era tanto più instabile in quanto le autorità di Mosca, e quelle di Grozny ancora meno, non avevano il potere di farlo rispettare, dato che le une e le altre erano sottomesse alle pressioni contraddittorie delle fazioni del loro proprio potere e contestate dai clan rivali.

Presidente del Soviet supremo della Russia e alleato di Eltsin prima di alzarsi contro di lui, il burocrate russo di origine cecene Khasbulatov aveva i suoi clienti e interessi sul posto, diversi da quelli di Dudaiev e Eltsin. Quest'ultimo, pur avendo passato un accordo di fatto con Dudaiev, cercava di indebolirlo a vantaggio di gruppi rivali i cui uomini guerreggiavano, in nome di un nazionalismo caucasico colorato di islamismo, nelle regioni che si erano separate dalla vicina Georgia. Così il Cremlino sperava prendere due piccioni con una fava : accrescere le sue possibilità di pressione sul regime di Dudaiev e sulle autorità georgiane restie ad integrarsi a questa CSI con la quale Mosca tentava di mantenere la sua influenza ed un minimo di coesione nell'ex URSS. Si sa cosa ne è risultato.

La CSI, questa comunità degli Stati Indipendenti, contraddittoria perfino nella sua denominazione, esiste solo sulla carta, paralizzata com'è dagli antagonismi contraddittori degli Stati che la compongono. Nel Caucaso, questi antagonismi e lo spezzettamento degli Stati in diversi feudi trattengono un clima permanente di guerra latente, e qualche volta aperta, nei confronti dell'esterno come all'interno di ogni paese. Riguardo alla Cecenia in preda al brigantaggio delle bande armate, non si può neanche parlare, come a proposito della Georgia, di un indebolimento del potere di Stato ; per questo bisognerebbe che rimanga altro che l'ombra di tale potere. Alla fine del 1994, venuto meno l'appoggio del proprio clan a Dudaiev, il Cremlino giudicò il momento favorevole : durante venti mesi, le truppe russe devastarono il paese. La guerra provocò l'esilio di centinaia di migliaia dei suoi abitanti e la morte di altre decine di migliaia, e di migliaia di soldati russi.

I generali russi avevano presentato questa guerra come vinta quasi in anticipo : ma è venuta a colpire come un bumerang il potere di Eltsin. Il suo primo effetto fu di alzare contro di lui la popolazione cecena allorché questa aveva tante ragioni di allontanarsi da Dudaiev. L'aggressione militare la respinse nelle braccia dei suoi dirigenti e capi di guerra locali : saccheggiavano il paese da anni ma, poiché disponevano di armi, offrivano delle possibilità di vendicarsi dell'esercito russo. Malgrado la sua superiorità numerica e materiale, questo non riuscì mai a restare padrone del campo, non solo a causa della resistenza cecene, ma perché si scomponeva a vista d'occhio. In Russia dei governatori rifiutavano l'invio al fronte dei soldati di leva della loro regione. Sul posto, alti graduati davano le dimissioni ; altri, più numerosi, si arricchivano con sottrazioni sui finanziamenti militari ; ufficiali vendevano armi e viveri all'altro campo. Le diserzioni si moltiplicarono e, quando non fu più possibile allo Stato-Maggiore di nascondere che mandava i soldati al mattatoio, si videro anche delle madri venute sul fronte per ripartire solo con i figli.

L'esercito, rimasto fino a questa parte una delle poche istituzioni non troppo guastate dallo smantellamento dell'URSS, rischiava a sua volta di scoppiare. La corruzione e la venalità dei suoi quadri, i rifletti nell'esercito dei conflitti di potere al vertice dello Stato e nelle regioni, tutto questo disegnava sotto gli occhi di tutti un quadro concentrato, ma avvincente, dello stato del regime eltsiniano. Fu quindi all'ultimo momento, solo alcune settimane prima dell'elezione presidenziale del 1996 che sembrava di cattivo augurio per lui, che Eltsin debbe decidersi a firmare la pace ed a ritirare le truppe. Il Cremlino s'impegnò a ricostruire il paese e ad accettare l'organizzazione di un referendum sull'indipendenza nel 2001.

Da una guerra all'altra

In Cecenia, alla povertà succedeva la miseria in mezzo alle macerie. Il nuovo presidente Maskhadov e il sindaco di Grozny sottraevano i fondi degli aiuti internazionali. I fondi promessi dal Cremlino ebbero la stessa sorte, o almeno il poco che fu versato poiché gli uomini al potere a Mosca non lasciano praticamente niente nelle casse di uno Stato che svuotano per il proprio conto. Un burocrate affarista, Berezovski, si è anche vantato di essere stato l'unico ad "aiutare la Cecenia", dicendo di avere tirato fuori dalle sue tasche (ben fornite perché la sua fortuna deriva dai suoi legami con la "famiglia") tre milioni di dollari consegnati al capo di guerra Bassaiev... protettore degli interessi petrolieri del Cremlino nella regione.

Chiaramente, Bassaiev, Khattab ed altri non erano spariti e non avevano smesso di spremere la popolazione sotto il peso delle loro cricche. Eroi della resistenza antirussa, questi "emiri" avevano anche rafforzato la loro presa sul paese, con l'imporre in alcuni posti la legge islamica come mezzo per sottomettere la popolazione. Ma, islamica o meno, la legge che hanno imposta a quest'ultima è la loro. Il Cremlino ha un bel dare del terrorista a questi capi di guerra che a volta a volta combatte o utilizza, non può fare dimenticare che questo terrorismo è stato prima e anzitutto utilizzato contro la popolazione cecene. Così come il terrorismo di Stato adoperato durante queste due guerre dal regime russo in nome di una cosiddetta lotta contro il terrorismo.

Questi pretende che non conduce una guerra, bensì una "lotta contro il terrorismo internazionale" in Cecenia, col pretesto che Basaiev e i suoi simili godono del sostegno finanziario di Stati del golfo arabo-persico. Ma questo non cambia nulla al carattere infame di una guerra di cui i civili sono gli ostaggi e le prime vittime, né al fatto che il regime russo ha dato un contributo notevole allo sviluppo del terrorismo. Lo hanno aiutato, con i loro finanziamenti quando Eltsin, Berezovski e consorti ci trovavano un interesse, e ancora di più con la loro politica. Questa ha fatto da agente di reclutamento per i Basaiev, Khattab ed altri, perché molto spesso a chi aveva perduto tutto non lasciava altra scelta che di schierarsi con loro. E' questa politica che, in Cecenia, ha respinto nelle braccia dei capi terroristi i giovani rivoltati da ciò che Mosca faceva subire al loro paese, ma anche schifati dalla corruzione delle autorità di Grozny. Di fronte alla scelta tra dovere lavorare per la gloria di queste ultime -gli impiegati statali ceceni non hanno ricevuto alcun salario per tre anni- e esiliarsi nelle grandi città della Russia -e cadere sotto controllo di cosche mafiose o della polizia-, quanti di questi giovani hanno preferito una terza soluzione : prendere le armi che gli proponevano questi capi terroristi, "wahabiti" o meno, tanto denunciati dallo stesso potere eltsiniano responsabile della loro proliferazione ?

In quanto al presidente cecene, Maskhadov, al pari del suo predecessore controllava solo la capitale, e questo grazie a Mosca che per poter controllarlo meglio gli forniva gratuitamente l'elettricità ed il gas. Politicamente indebolito da questo ruolo da burattino, discreditato dalla vita lussuosa ostentata da lui e dai suoi senza curarsi della miseria circostante, non rappresentava una gran minaccia per il Cremlino. Certamente, anche solo col fatto di esistere, la Cecenia indipendente era una sfida per Mosca. Ma lo pagava con un prezzo tanto alto che una parte della popolazione cominciava a non volere più di un tale Stato né di una tale indipendenza, e questo rigetto includeva i Basaiev e soci, stando ai corrispondenti di guerra occidentali, di cui alcuni ostentano pure la loro simpatia per il campo indipendentista.

Il clan Eltsin e la sua guerra

Certamente non è per aiutare la popolazione cecene a sbarazzarsi dei Maskhadov, Basaiev, ecc... che il regime di Eltsin l'ha bombardata sin dal 1° ottobre 1999 ! E' perché i dirigenti di Mosca hanno ritenuto che l'infliggere questa prova sanguinosa al popolo cecene poteva portare sangue nuovo al loro proprio potere.

E per mettere in condizione l'opinione pubblica russa prima di imporle questa guerra, hanno utilizzato tutti i mezzi possibili. A questo scopo il Cremlino quest'estate ha utilizzato e perfino suscitato incursioni di uomini di Basaiev in una repubblica russa confinante alla Cecenia, il Daghestan. A due riprese queste bande hanno potuto occupare delle borgate, proclamarvi una repubblica islamica ceceno-daghestanese e ritirarsi senza danni da parte dell'esercito russo. Questo è apparso sospetto a qualche osservatore, ma la stampa russa non ci ha fatto gran caso. Successivamente scoppiò una serie di attentati contro stabili di abitazione di grandi città russe, di cui Mosca. La stampa adottò subito la versione ufficiale per cui questi attentati erano l'opera dei "terroristi ceceni", che bisognava quindi punire.

Di prove il potere russo non ne aveva, e ancora oggi non ne ha, come è stato confermato da Berezovski ad un quotidiano francese. Ma lì il clan Eltsin (di cui fa parte Berezovski) aveva un pretesto per la sua guerra. Il sindaco di Mosca Lujkov lo seguì. Candidato dichiarato alla successione di Eltsin, era stato accusato da quest'ultimo di non assicurare la sicurezza dei Moscoviti, mentre aveva costruito la sua immagine di candidato alla presidenza sull'idea che avesse fatto di Mosca un'oasi di benessere. Esagerando ancora le ignominie razziste del governo che assimilava tutti i Ceceni a dei terroristi, e riprendendo una campagna sulla sicurezza alla quale già si era addestrato nel passato, Lujkov dichiarò la guerra ai centomila ceceni di Mosca. La polizia si lanciò in una caccia ai ceceni, moltiplicò i controlli per strada e gli arresti di presunti caucasici, parcheggiò migliaia di persone in campi di retenzione dove molti furono picchiati, qualche volta a morte. La stampa, i partiti e i politici, al potere come nell'opposizione, gareggiavano a chi sarebbe più "patriota" e anticecene dell'altro.

Certamente ci furono alcune stecche : milizie di sorveglianza di quartiere si erano costituite qua e là ; un gruppo di abitanti di provincia individuò degli sospetti e li consegnò alla polizia. Trasportavano esplosivi ma risultò che non erano ceceni : erano russi, membri dei servizi speciali. Durante tutto quel mese di settembre in cui gli attentati fecero più di trecento morti, ci fu solo questo caso di "terroristi" arrestati. Le autorità insabbiarono il caso tanto più rapidamente che alcuni si chiedevano se queste esplosioni non avessero un'origine tutt'altra che cecene ma vicina al potere : fu asserito che si era voluto fare una verifica della vigilanza popolare e che, in mancanza di aver potuto arrestare i terroristi, bisognava andare a cercarli a casa loro, in Cecenia. Putin dichiarò che era pronto ad "andare ad accopparli perfino nei loro cessi", tenendo così ad indicare, fin nel proprio linguaggio, che era un uomo d'azione, e anche di azioni molto speciali poiché aveva diretto l'FSB, nuovo nome del KGB.

Dopo due mesi di questa bastonatura poliziesca dei ceceni a Mosca e di questo martellamento propagandistico della popolazione russa, la macchina di guerra eltsiniana si mise in moto. Istruito da quanto era successo nel 1994-1996 quando la popolazione si era dimostrata sempre più ostile alla guerra, il potere russo questa volta provò a coinvolgerla. All'inizio lo Stato-Maggiore evitò di inviare soldati di leva in prima linea : nel 1994-1996, la fanteria aveva subito grandi perdite, che avevano fatto reagire l'opinione pubblica. I generali annunciarono che ogni resistenza verrebbe annientata sotto fuochi d'artiglieria e bombardamenti aerei, prima di un intervento di fanteria per occupare il terreno. L'obiettivo era di rassicurare i genitori dei soldati. Ma furono attenti a non dire che Eltsin aveva appena abrogato un decreto, preso sotto pressione dell'opinione pubblica durante la prima guerra di Cecenia, che prevedeva che nessun soldato di leva sarebbe inviato al fronte prima della fine del suo primo anno di servizio. Infatti lo Stato-maggiore si vanta di applicare la tattica della NATO in Serbia, quella dei bombardamenti aerei massicci cosiddetti a "zero morto" -zero morto per l'esercito russo, non per i "danni collaterali", termine col quale i generali NATO nascondevano le loro vittime civili ; i generali di Putin ed Eltsin fanno lo stesso, ma senza riprendere l'espressione. Di questo la stampa russa non dice niente : si limita a riprendere i comunicati militari. Su richiesta delle autorità si è ben guardata dall'utilizzare la parola "guerra" e ha parlato solo di "operazione anti-terrorista". Per lei, non esistono vittime civili. Preferisce fare vedere dei campi di profughi o qualche ufficiale che fa un discorso in una zona conquistata e lontana dal fronte. In quanto ai soldati russi, le loro perdite vengono sistematicamente minimizzate, o addirittura negate.

Quanto tempo l'autocensura dei mass media potrà mascherare la realtà di questo macello ? Probabilmente finché le bare di piombo non saranno troppo numerose a tornare indietro. E per questo non ci sarà tanto da aspettare poiché, anche se Grozny cadesse, nessuno ha dimenticato che, durante la prima guerra, le città cecene erano state prese, e parecchie volte, senza che questo fermasse il massacro. Questo ricordo è ancora troppo recente perché la popolazione abbia molte illusioni su quello che succede in Cecenia e sulle cose di cui sono capaci quelli che governano la Russia.

Questa guerra è stata senz'altro favorevole a questi ultimi. Questo ha favorito Putin nei confronti di una parte dell'elettorato, fosse solo per contrasto con un potere che appare, da anni, almeno tanto debole quanto corrotto. Questa guerra ha anche permesso al regime di fare tacere la sua opposizione ufficiale, di ottenere il suo sostegno in nome del patriottismo e così di vincere le elezioni alla Duma. Ma questo dimostra innanzitutto che questi partiti e politici cosiddetti d'opposizione, anche quando si pretendono comunisti o socialisti, non sono altro che dei nemici dei lavoratori, come quelli che sono attualmente al potere. Ovviamente sul piano elettorale sono stati intrappolati dal Cremlino sul terreno del bellicismo, perché se si trattava di scegliere tra vari guerrafondai, quelli che conducevano la guerra avevano la meglio su quelli che andavano al passo dietro di loro. Ma hanno volontariamente accettato di mettersi in questa trappola perché, tutto sommato, i dirigenti della burocrazia, quelli del Cremlino come quelli che si sognano di sostituirli, preferiscono ubriacare il popolo con musica militare e mascherare dietro il fumo dei cannoni la loro responsabilità nel suo impoverimento, piuttosto che di vedere la popolazione chiedere loro dei conti.

Questa campagna "militaro-elettorale" come intitolava il settimanale Moskovskie Novosti, è stata ovviamente favorevole innanzitutto al clan di Eltsin. Gli ha permesso di fare dimenticare ciò che alcuni giornali avevano rivelato in questi mesi delle sue turpitudini : i suoi conti in Svizzera o nei paradisi fiscali off-shore, i miliardi derubati ad una popolazione che spesso aspetta parecchi mesi prima di prendere un salario misero. Questo ha tagliato l'erba sotto i piedi di altri clan dirigenti -quelli di Lujkov, il sindaco di Mosca, o dell'ex primo ministro Primakov- che speravano di potere capitalizzare lo schifo che questo provoca nell'elettorato per vincere le elezioni legislative e mettersi in buona posizione per la presidenziale. Ma, dal punto di vista sociale e non più da questo punto di vista da politicanti, tutto sommato era l'insieme della classe dirigente con tutte le sue tendenze, e non solo il clan di Eltsin, che aveva interesse ad oscurare tutto questo se non voleva subire un discredito completo. E' anche questo che il clan dirigente, quello di Eltsin, ha cercato di fare dimenticare a tutti con questa guerra.

Quanto tempo ci riuscirà ? Putin ovviamente sperava almeno di mantenersi fino alla presidenziale di marzo per potere trasformare il suo posto di presidente interinale in un posto permanente.

La Cecenia degli uni, la Serbia degli altri

A differenza delle potenze imperialiste quando l'anno scorso schiacciavano sotto le bombe i civili serbi e kosovari, il potere eltsiniano non ha ritenuto utile di coprire la guerra che faceva al popolo cecene sotto menzogne pseudo umanitarie. In fin dei conti, è questo che i Clinton, Chirac, Jospin, ecc... gli hanno rimproverato quando, dopo di averlo lasciato massacrare senza alcuna critica durante due mesi, hanno fatto finta di alzare il tono. Eltsin e i suoi hanno ancora lezioni di ipocrisia da prendere presso loro prima di essere ammessi a pieno titolo nel mondo dei custodi dell''"ordine mondiale", quello dei massacratori con autocertificato "democratico". Perché in quanto a riconoscere il diritto del Cremlino di annegare nel sangue ciò che i dirigenti della borghesia mondiale stessi considerano "una questione interna russa", questo non pone a questi ultimi alcun problema di coscienza. O comunque non ne pone di più che, per esempio, di armare il regime turco quando regola la sua "questione interna" curda ; o di aiutare, o di organizzare loro stessi, qualche massacro in una qualsiasi parte del mondo ; o ancora di bombardare, da anni, le popolazioni civili irachene senza che la stampa occidentale ne sia commossa.

Anche le minacce occidentali, dopo due mesi di guerra, di sospendere i crediti alla Russia, sono state solo una sinistra farsa. Ovviamente l'FMI non ha agito in questo modo per causa della guerra -lo ha deciso un anno prima della guerra- ma perché le autorità finanziarie del mondo imperialista non si fidano della stabilità del potere russo, né della capacità delle sue istituzioni per applicare le sue leggi. Non sono tanto il carattere sempre più mafioso delle "élites" russe, né i loro affari di riciclaggio di denaro e di sottrazioni di fondi internazionali, a preoccupare i dirigenti occidentali -hanno visto tanti altri casi e poi il denaro sottratto finisce sempre coll'arrivare nelle banche occidentale- quanto il fatto che gli organi dello Stato russo, di cui il compito dovrebbe essere di fare rispettare la proprietà privata e la sicurezza dei rari investimenti occidentali in Russia, dimostrano che in pratica ne sono incapaci. Ecco perché, da più di un anno, l'FMI respinge la ripresa dei suoi versamenti alla Russia.

La trappola del nazionalismo

Dopo la caduta di Grozny, qualunque sia la soluzione politica imposta dal Cremlino in Cecenia, questo non cambierà granché alla situazione, neanche per la popolazione cecena. La "pace" del 1996 non è stata una pace per lei. Qualunque sia l'esito di questa guerra, la Cecenia ne uscirà ancora più rovinata che dalla precedente. E' anche probabile che le esazioni del regime eltsiniano, lungi dal vincere il terrorismo, reale o immaginario, avranno scavato ancora di più il fossato tra le popolazioni cecene e russa, e comunque portato acqua al mulino di chi, in Cecenia o in Russia, soffia sul fuoco degli odi etnici o addirittura li suscitano e li utilizzano come armi di potere, anzi tutto contro la loro propria popolazione.

Nel Caucaso e nelle regioni della Russia dove vivono popolazioni di origine musulmana, questa guerra può solo rafforzare i fautori della reazione religiosa e sociale, tanto più fortemente che si nutre della disoccupazione e della povertà in queste regioni diseredate.

Nel resto della Russia, anche se questa guerra non porta alla disperanza terrorista dei membri delle nazionalità minoritarie che il potere ha messo alla gogna, rischia di aggiungere un fattore di marciume nazionalista al letame sul quale si mantiene il regime. Perché distribuire l'odio nazionale a chi non ha più niente è ancora la cosa meno costosa per chi ha tutto. Putin ha dichiarato recentemente che "il patriottismo deve essere l'armatura della nostra nuova ideologia". Per questo ha il sostegno di tutti i partiti. Dai "liberali" al nazional-populista Jirinovski e all'estrema destra fascisteggiante, dai "democratici" al "comunista" Ziuganov, tutti invocano la grandezza russa, la patria ed altre stupidaggini mirante a sviare l'attenzione della popolazione, in particolare dei lavoratori, dai suoi veri interessi come dai suoi nemici della stessa nazionalità.

Per quanto se ne possa giudicare, nelle classi popolari di Russia che sono quasi tanto multietniche quanto lo era la popolazione sovietica, sembra che questa propaganda nazionalista e razzista abbia avuto meno impatto che nella piccola-borghesia che, dopo di avere perso le sue speranze di arricchimento con il crollo del rublo nel 1998, forse ha trovato una consolazione a buon mercato nell'esaltazione dell'anima nazionale.

E la classe operaia avrebbe tutto da perdere se si lasciasse trascinare su questo terreno. Infatti se questa nuova guerra può avere qualche utilità per la classe operaia, è per aprirle gli occhi sull'abisso sempre più profondo nel quale il clan al potere, e con lui tutta la casta dirigente, sono pronti a precipitare il paese e la sua popolazione per potere salvare i loro privilegi e il prodotto dei loro furti. L'ultimo periodo ha dimostrato che, in questa gara alla barbarie, aldilà delle loro rivalità, tutti i partiti della burocrazia sono pronti ad accordarsi alle spese dei popoli e delle classi popolari.