In questi ultimi mesi, la grande stampa ha parlato molto del successo elettorale di un certo numero di formazioni di estrema destra.
Ma prima di tutto, bisogna distinguere tra il fascismo, che è un fenomeno politico e soprattutto sociale, e le formazioni di estrema destra che rimangono sul terreno politico.
L'estrema destra può avere opinioni che possiamo considerare fasciste, infatti ne presenta alcuni caratteri ideologici, ma il fascismo è una forma di dominazione della borghesia basata sulla distruzione totale delle organizzazioni operaie, anche riformiste e cooperanti.
Può presentarsi solo in situazioni sociali ed economiche di crisi in cui la borghesia ha assolutamente bisogno di un tale regime ed è pronta a rischiare di collocarlo al potere, mobilitando larghe masse, o affrontandole, vale a dire a rischiare una guerra civile.
Invece i partiti di estrema destra, anche se sognano di prendere il potere, non sono davvero socialmente fascisti, anche se sperano di diventarlo. Non possono in effetti diventarlo solo per via elettorale. E, su questo terreno, attualmente non rappresentano un pericolo particolare. Non sarebbe la stessa cosa in caso di crisi economica e/o sociale in cui non solo la borghesia lo giudicherebbe necessario, ma anche nel caso in cui queste organizzazioni non recluterebbero solo elettori, ma della gente, piccoli borghesi in rovina o lavoratori declassati, pronti a dare se stessi, vale a dire a combattere fisicamente per distruggere le organizzazioni operaie. Cosa che potrebbe avverarsi solo se l'estrema destra potesse costruire un partito di massa con organizzazioni da combattimento.
Sicuramente, si possono vedere delle dittature militari, o delle varianti che mescolino le due cose, ma fino ad oggi, nelle due sole situazioni in cui abbiamo conosciuto il fascismo realmente al potere, il fascismo italiano e il nazismo tedesco, esso non è venuto attraverso un golpe militare ma sulla base di organizzazioni di massa.
Dunque ciò che accade in Europa e di cui andiamo a discutere, riguarda unicamente organizzazioni di estrema destra che, per il momento, non rappresentano alcun pericolo di fascismo, soprattutto nel contesto economico e internazionale attuale, il che non vuol dire che una tale situazione non possa un giorno cambiare.
Questo testo non parla dunque che di organizzazioni o partiti di estrema destra, benché appaiano generalmente sotto nomi più presentabili.
Al momento delle elezioni regionali svoltesi in Germania nel settembre 2006 nel land del Mecklemburg-Pomerania occidentale, il "Partito Nazional Democratico" ha ottenuto il 7,3% dei suffragi, contro lo 0,8% del 2002.
Lo stesso mese, il partito dei "Democratici di Svezia", che ha ottenuto appena il 2% dei voti alle elezioni legislative a livello nazionale, in Scania, nel sud del paese, ha fatto un balzo attestandosi al 10% dei voti e al 20% alle elezioni minicipali in certi comuni (quattro consiglieri municipali nella città portuale di Karlskrona che conta 60.000 abitanti).
In Svizzera, le "votazioni" sui progetti di legge indirizzati a limitare il diritto d'asilo e le possibilità di immigrazione, hanno raccolto il 68% di approvazioni, il che costituisce un incontestabile successo per l'UDC ("Unione democratica di centro"), divenuta alle elezioni legislative del 2003 il primo partito della Confederazione elvetica.
Nell'ottobre di quest'anno, in Austria, le due formazioni d'estrema destra presentatesi alle elezioni legislative hanno totalizzato il 15% dei voti.
Nella parte fiamminga del Belgio, se il Vlaams Belang ("Interesse Fiammingo") si è arenato col 33,5% dei voti nel tentativo di conquistare il comune di Anversa (una città con più di 450.000 abitanti), nondimeno è progredita del 5,6% nell'insieme delle Fiandre in rapporto alle elezioni municipali del 2000.
Sbandierare i risultati elettorali di formazioni qualificate di estrema destra è naturale da parte della stampa che vi trova materia per vender carta. Cosa che non dispiace ai grandi partiti classici della destra, poiché tende ad accreditare l'idea che queste formazioni non hanno niente a che vedere con loro. Questo favorisce anche la sinistra riformista, che al posto di difendere gli interessi delle classi popolari, può presentarsi come baluardo contro "l'estremismo".
Si impongono due considerazioni riguardo alla consistenza di questi progressi reali o supposti tali dell'estrema destra.
La prima è che non si tratta ad ogni modo di una tendenza costante. In un passato recente simili formazioni avevano ottenuto risultati più importanti in un certo numero di questi paesi. Anche in Svezia la "Nuova Democrazia", anch'essa definita di estrema destra, aveva ottenuto quindici anni fa il 7,2% dei voti alle elezioni legislative del 1991. Ma tre anni più tardi era sprofondata all'1,2%. In Austria, se l'estrema destra ha avuto una progressione in rapporto alle precedenti elezioni legislative, è lungi dal ritrovare il 27% dei voti ottenuti dal FPÖ "Partito liberale d'Austria" nel 1999, sotto la direzione di Jorg Haider. In Belgio, se il Vlaams Belang è in crescita in rapporto alle comunali del 2000, è in calo del 2,5% comparandolo ai risultati delle legislative del 2004.
La seconda considerazione che bisogna fare è che il termine "estrema destra" così largamente utilizzato, può indicare delle realtà completamente differenti. Lo NPD tedesco e le sue brute dal cranio rasato, che issano emblemi che cercano di evocare il nazismo senza incorrere in sanzioni legali, e i "Democratici di Svezia" non altro in comune che la xenofobia...largamente sostenute da formazioni alle quali non si applica mai l'epiteto di "estrema destra". Da anni, la regressione del movimento operaio è andata di pari passo con la progressione delle idee di destra. Questa evoluzione ha evidentemente avuto anche qualche ricaduta vantaggiosa sui partiti più reazionari, più xenofobi, ancor più sensibili quando la loro influenza elettorale era assai ridotta.
Questa svolta a destra è anche visibile nel modo in cui la destra parlamentare francese rivendica la propria collocazione politica.
Alle elezioni presidenziali del 1974 Arlette Laguiller poteva interrogarsi in un meeting: "Quando si ascoltano i loro stessi candidati, ci si può domandare dov'è la destra...E'una gara a chi cercherà di smarcarsi dall'etichetta infamante". Il successivo presidente, Giscard d'Estaing, dichiarò tra le altre cose al giornale Le Monde: "Il vero dibattito avrà luogo tra il centro (vale a dire lui) e l'estrema sinistra (Mitterand, scondo Giscard). Oggi gli uomini politici di destra al contrario rivendicano nella loro maggioranza questa etichetta.
Benché nelle organizzazioni di estrema destra dei differenti paesi ci siano dei reali nostalgici del fascismo italiano o del nazismo, sarebbe sbagliato vedere nei recenti successi dell'estrema destra tedesca o nel ruolo giocato dai "post fascisti" dell'MSI in Italia, divenuti Alleanza nazionale, un rigurgito del passato nei paesi che videro rispettivamente il nazismo al potere per dodici anni e Mussolini per più di vent'anni. Si può notare al contrario che nei tre paesi dell'Europa occidentale che hanno più recentemente conosciuto dei regimi dittatoriali (la Grecia e il Portogallo fino al 1974, la Spagna fino al 1975) l'estrema destra che si richiama a questi regimi non ottiene che risultati elettorali insignificanti. Ma le idee xenofobe non sono meno sviluppate, e sfruttate dal personale politico della borghesia.
Distinguere una "destra repubblicana" dall'estrema destra, come la sinistra riformista ha voluto fare in Francia dopo le elezioni regionali del 1998, distinguendo gli eletti della destra che erano scesi a patti con quelli del Fronte Nazionale per l'elezione degli esecutivi regionali, da quelli che non l'avevano fatto, rivela tra l'altro un inganno politico. Non ci sono diversi tipi di destre, separate da frontiere, né in un senso, né in un altro. Un buon numero di attuali responsabili della destra parlamentare: Longuet, Madelin, Devedjian, Goasguen, Balkany, sono ex militanti di Occident, un movimento d'ispirazione apertamente fascista degli anni '60. Al contrario, un numero non trascurabile di dirigenti dell'estrema destra sono venuti su dalla destra parlamentare: Jean-Claude Martinez, proveniente nel 1985 (dopo i primi successi elettoralidel FN) dal RPR gollista dove lavorava a fianco del vecchio ministro Bernard Pons, Bruno Mégret che lasciò il RPR nello stesso periodo a causa, secondo lui, della sua "deriva a sinistra", senza dimenticare lo stesso Le Pen, che fu deputato del CNI ("Centro Nazionale degli Indipendenti") di Antoine Pinay dal 1958 al 1962. Alcuni hanno avuto un itinerario ancora più sinuoso, come l'attuale sindaco di Nizza, Jaques Peyrat, successivamente membro dell'RPF, dei "Repubblicani indipendenti" di Giscard, del Fronte Nazionale, riallineatosi al RPR nel 1996 dichiarando "Non ho cambiato di una virgola e continuo a condividere l'essenziale dei valori nazionali del partito di Jean-Marie Le Pen".
La difficoltà di definire una frontiera tra l'estrema destra e la destra è evidente quando si compara, in Francia, il discorso di Le Pen e di Mégret, quello di de Villiers e quello di Sarkozy, o in Italia quando si cerca di distinguere ciò che separa Berlusconi dai suoi alleati "post-fascisti" di "Alleanza Nazionale", o anche da Alessandra Mussolini, la nipote del "Duce", che continua a proclamarsi fascista, e con la quale Berlusconi ha firmato un accordo elettorale all'approssimarsi delle ultime elezioni legislative.
Nell'ideologia dell'estrema destra europea nel corso degli ultimi venti anni, ci sono sicuramente delle particolarità locali.
La Vlaams Belang si rifà ad un nazionalismo che trova in parte le sue origini nella lunga subordinazione delle Fiandre nel complesso belga, illustrata dal fatto che durante tutto il XIX° secolo il francese è stata l'unica lingua ufficiale del paese. Ma anche nella zona francofona l'estrema destra ha una presenza non trascurabile, con il "Fronte Nazionale" che ha ottenuto più dell'8% dei voti alle elezioni regionali del 2004.
In Italia, la "Lega Nord" di Bossi si richiama ad una Padania (la regione del Pô) che non ha mai avuto un'esistenza storica, denunciando gli aiuti dati alle regioni povere del sud. Cosa che non le ha impedito di partecipare al governo Berlusconi, a fianco dei "post-fascisti" di Fini che si propongono, al contrario, come difensori delle regioni meridionali.
Ma al di là delle particolarità locali, il fondo comune di questa estrema destra, è la volontà di imputare la responsabilità della disoccupazione, della regressione del sistema di protezione sociale, della crisi degli alloggi, alla popolazione immigrata.
Questa demagogia xenofoba, anti-immigrati è d'altra parte largamente praticata dalla destra classica, e non soltanto in Francia, dove Sarkozy in questo campo, si è posto sullo stesso terreno di Le Pen e di De Villiers. Suonano nello stesso modo le parole di un dirigente della CDU tedesca, Jörg Schönbohm, che dichiara che : "il tempo dell'ospitalità è giunto alla fine", o quelle di un Aznar, l'ex presidente del governo spagnolo, che affermava dopo che il Papa accusò l'Islam di essere sinonimo di violenza: "nessun mussulmano ha mai chiesto scusa per aver occupato la Spagna per otto secoli". Ma purtroppo la sinistra riformista (e comunque non ce n'è un altra) non disdegna di ricorrere a questo tipo di demagogia, in particolare quando è al governo.
I commentatori sottolineano volentieri i risultati elettorali del Fronte Nazionale nelle regioni e nelle periferie diseredate. Ma gli elettori dell'FN sono ben lontani dall'appartenere tutti alle classi povere della popolazione. Esso trova anzi buona parte del suo elettorato tra i possidenti. La borghesia, non soltanto la grande, al servizio della quale governano i politici di destra e di sinistra, ma anche la media e piccola, rispetto alla quale non sono avari di favori elettorali o d'altro tipo, non soffre della situazione economica. Gran parte di queste classi sociali è abbastanza ostile alla classe operaia da votare FN, infatti è sempre pronta a considerare i lavoratori dei fannulloni e i disoccupati dei parassiti.
Lo slittamento verso destra della società si esprime nel fatto che tutto ciò che il paese conta di nostalgici del tempo in cui il cristianesimo regnava sulla società, della morale patriarcale, di un'epoca in cui il padronato non vedeva le proprie prerogative limitate da qualche legge cosiddetta sociale, vuole sentir dai politici un discorso più apertamente reazionario. I successi del Fronte Nazionale in certi ricchi villaggi vinicoli dell'Alsazia, dove non si è mai visto un immigrato, sono significativi di questa mentalità.
E' vero tuttavia che invitando la popolazione povera, demoralizzata dalla disoccupazione o dal timore di essa, l'impoverimento o il timore di esso, e che si sente abbandonata da tutti i partiti politici che partecipano o sono appartenuti al governo, a rivolgere il proprio malcontento contro chi è più sfruttato di loro, più oppresso di loro, il Fronte Nazionale ha trovato ascolto tra i disoccupati e i lavoratori meno consapevoli dei loro veri interessi.
Ma questo slittamento a destra per ora non ha niente a che vedere con ciò che si è visto in Europa negli anni che hanno seguito la crisi del 1929, anni che precedettero l'arrivo al potere del nazismo in Germania nel 1933, la disfatta della classe operaia austriaca del 1934, e la vittoria del franchismo nella guerra civile spagnola del 1936-1939.
In questi tre casi, in una situazione di crisi economica, una posta in gioco nella lotta era l'esistenza stessa di un movimento operaio organizzato e potente. Per ottenere la sua eliminazione, la borghesia aveva bisogno, in un modo o in un altro, di organizzazioni para-militari di estrema destra. In Germania, le Sezioni d'assalto, che il grande capitale finanziava da tempo, giocarono, come polizia suppletiva, un ruolo essenziale nella distruzione del Partito Comunista, della Socialdemocrazia e dei sindacati. In Austria fu grazie all'aiuto delle organizzazioni paramilitari della Heimwehr che il cancelliere Dolfüss ebbbe ragione delle organizzazioni socialdemocratiche. In Spagna, il pronunciamiento militare trovò un aiuto prezioso nelle milizie della Falange e del Partito carlista. La vittoria del fascismo in Germania, e delle sue forme più o meno bastarde in Austria e in Spagna avvenne solo perché le classi possidenti dovevano spezzare una classe operaia che temevano. Inoltre, soprattutto nel caso della Germania c'era la necessità di domare la classe operaia per poterla trascinare in una guerra di rivincita, rimettendo in causa il trattato di Versailles, cosa che per l'imperialismo tedesco era vitale. Esistevano allora in questi paesi delle organizzazioni di estrema destra con migliaia di militanti sufficientemente decisi a causa della crisi per ingaggiarsi in questa battaglia, tanto più che erano finanziati dai vertici della borghesia.
Oggi, se esistono anche dei piccoli gruppi di nostalgici del fascismo o del nazismo che si mettono ad imitare i loro omologhi degli anni trenta, non ci sono le masse di piccoli borghesi impoveriti, o rovinati, o arrabbiati, che hanno costituito il grosso della base sociale del nazismo.
L'estrema destra, nelle classi sociali in cui recluta attualmente, non ha queste caratteristiche. Per quel che concerne la frazione delle classi popolari che vota l'estrema destra, questo comporta più la demoralizzazione che la rabbia, più il rifiuto di tutto ciò che è politico piuttosto che la volontà di trovare uno sbocco politico (seppur ingannevole). Quanto alla frazione della piccola borghesia (o della medio-piccola) che le dà i voti, il suo estremismo è un estremismo di gente che vive bene, pronta ad applaudire ai colpi inferti alla classe operaia, ma non a trasformarsi in soldati di una qualche contro-rivoluzione.
Quanto alla grande borghesia, alla quale appartiene l'ultima parola in ciò che riguarda l'utilizzo di eventuali masse fasciste, ci sono certo tra i suoi ranghi dei razzisti, non soltanto contro africani e magrebini, ma anche degli antisemiti, degli integralisti, gente che può essere ostile ad ogni collaborazione con i partiti politici che si dicono di sinistra o con le confederazioni sindacali operaie. Ma come classe non ha davvero nessuna ragione di voler schiacciare il movimento operaio.
Sulla scala degli alcune municipalità che il Fronte Nazionale ha avuto l'occasione di gestire in passato, comprese grandi città come Tolone o Orange, si è potuto vedere che questi successi elettorali non hanno cambiato granché; delle soppressioni di sovvenzioni a qualche associazione o truppa artistica considerate di sinistra, qualche mossa simbolica destinata ad illustrare la frase : "I francesi anzitutto", ma nessuna regressione catastrofica nella vita quotidiana dei lavoratori di queste città. Del resto un buon numero di giunte a maggioranza UMP hanno avuto lo stesso atteggiamento verso le associazioni.
Anche nel caso in cui Le Pen acceda un domani, nelle condizioni attuali, alla presidenza della Repubblica, questo non significherebbe l'instaurarsi di un potere fascista in Francia, e neanche l'espulsione di tutti i lavoratori immigrati, di cui il padronato ha troppo bisogno. Evidentemente questo renderebbe la vita un po' più difficile alla classe operaia e in particolare ai lavoratori immigrati e ai disoccupati. Ma Sarkozy sarebbe assolutamente capace di fare altrettanto, e niente garantisce il contrario.
5 novembre 2006