Da "Lutte de classe" n°222 - Marzo 2022
Lavoratori, cari amici, cari compagni,
Il mondo sta diventando sempre più folle! Jean-Pierre ha parlato dei 137 miliardi di profitti delle 40 maggiori imprese quotate nella Borsa di Parigi. Su scala globale, gli azionisti delle grandi società si aspettano un dividendo record di 1.500 miliardi di dollari per l'anno 2021.
Elon Musk, il fondatore di Tesla e Space X, è un uomo che vale 300 miliardi di dollari. Jeff Bezos lo segue con più di 200 miliardi., Questo gli ha permesso di comprare uno yacht di 127 metri per 400 milioni, che è così grande da non poter lasciare il cantiere di Rotterdam a meno che non sia smontato un ponte storico!
In Francia, il capo del gruppo di lusso Bernard Arnault ha incassato 1,4 miliardi di dividendi, cioè 3,8 milioni al giorno, o due volte il salario minimo di un minuto.
I miliardi si accumulano solo ad un polo e sono talmente tanti che la minoranza ricca non sa più cosa farsene. Si sapeva già che era possibile speculare su tutto e su niente. Adesso la nuova tendenza è un mercato virtuale, dove i ricchi investono milioni nell'acquisto di terreni e palazzi che non esistono. Con lo smartphone, possono andare in giro con la loro proprietà virtuale indossando una borsa Vuitton, anch'essa virtuale, ma pagata come quella vera, cioè a prezzo d'oro!
Potremmo riderci sopra, ma questo stupido spreco di ricchezza è indecente e dovrebbe indignarci sapendo che metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di cinque euro al giorno, che ci sono ancora almeno 160 milioni di bambini lavoratori e che una persona muore ogni 10 secondi per malnutrizione.
Tutti i responsabili politici ed economici dicono di prendere sul serio la crisi climatica e di agire contro il riscaldamento globale. Parlano di "sviluppo sostenibile" continuamente. Ma guardate quali mercati si stanno sviluppando di più: sono quelli del lusso, della droga e delle armi ed è questo lo sviluppo sostenibile in modo capitalista!
L'umanità non ha mai avuto tanto sapere, conoscenza e cultura, non ha mai fatto tanti scambi, eppure si stanno sviluppando le correnti più retrograde, intolleranti, nazionaliste, razziste, sessiste e mistiche. E mentre decine di milioni di persone costrette ad emigrare vengono parcheggiate dietro il filo spinato e trattate come criminali, alcuni miliardari si concedono una spedizione turistica nello spazio. Non esiste un mondo più folle!
Siamo tutti precipitati nella follia di un sistema in cui tutto può essere comprato e venduto, e tutto è in competizione. Dove tutto può e deve diventare redditizio e fonte di profitto: la natura come il corpo umano, sfruttato fino ai suoi ultimi giorni, in particolare nelle case di riposo, trasformate in fabbriche di denaro per alcuni.
Sono trascinati in questa follia in tutti i campi, sia i paesi poveri che quelli ricchi. Ma chi ha interesse in questa società? Sono la grande borghesia, i grandi padroni, i grandi azionisti, ma non i lavoratori! Sono questi ad essere sfruttati e devono lottare per tutto: per un lavoro, per una casa, per un posto in un asilo nido o anche per potersi sedere nella metropolitana o nell'autobus!
Tutto il mondo del lavoro ha interesse a combattere questa organizzazione sociale capitalista, e per questo ha bisogno di una politica e quindi di un partito che la difenda, che la proponga quotidianamente, che convinca la nostra classe.
In questa campagna presidenziale, abbiamo bisogno di un partito che affermi che la miseria e le sue devastazioni, la disoccupazione, i bassi salari, ma anche la speculazione, l'inquinamento e l'imperialismo, sono problemi insolubili solo perché i lavoratori non prendono in mano la situazione. Occorre un partito che faccia capire che i lavoratori al potere farebbero molto di più e meglio di tutti quei politici che si inginocchiano davanti alla proprietà capitalista e alle leggi del mercato!
Crisi sanitaria e potere dei lavoratori
Parliamo della crisi sanitaria. Sono convinta che la classe operaia al potere l'avrebbe gestita meglio, perché avrebbe tenuto conto degli interessi dei lavoratori e delle classi laboriose, e non di quelli delle grandi imprese e degli azionisti.
In primo luogo perché, con i lavoratori al potere, gli ospedali pubblici non sarebbero così allo stremo. Qualsiasi idea di profitto sarebbe bandita dalla sanità, diversamente da quanto accade oggi.
Attualmente, l'ospedale pubblico è artificialmente indebitato con le banche. È gestito come un'azienda e sta cadendo a pezzi sotto l'effetto di tagli di bilancio, mancanza di risorse, personale insufficiente ed esausto. Il settore privato ne sta approfittando per accaparrarsi i trattamenti più redditizi. È così che si moltiplicano le catene di cliniche private quotate in borsa, specializzate in operazioni lucrative, cioè molto ben rimborsate dalla previdenza sociale, mentre i pazienti meno solvibili sono stipati negli ospedali pubblici.
Ebbene, con un governo operaio, tutte le risorse finanziarie e umane andrebbero all'ospedale pubblico, alla formazione del personale necessario e alla sua assunzione. Con i lavoratori al potere, il personale ospedaliero, gli agenti di servizio, i lavoratori e gli assistenti di cura non dovrebbero lottare per essere riconosciuti dalla società. E non si chiederebbe ai pazienti che vanno al pronto soccorso di pagare una tassa di 19 euro!
È ovvio che, con i lavoratori al potere, sarebbero stati creati posti letti, unità specializzate per monitorare i pazienti, si sarebbero organizzate nelle città delle squadre speciali per raggiungere la popolazione più lontana dalle cure e coloro che vivono in una zona senza medici.
E poi, più in generale, invece di sottomettersi alla proprietà capitalista, il governo di lavoratori avrebbe messo fine al monopolio dei trust farmaceutici. Avrebbe abolito il segreto commerciale e la sacrosanta proprietà intellettuale dei laboratori. e avrebbe reso pubblici i brevetti. Avrebbe costretto i laboratori a condividere le loro scoperte, in modo da poter produrre i vaccini in tutti gli impianti in grado di farlo, senza cercare di trarne profitto.
Con i lavoratori al potere, tutti i settori della vita sociale sarebbero stati organizzati per proteggere meglio la popolazione dal virus. Tutte le decisioni sarebbero state prese secondo i suoi bisogni, senza essere inquinate dai calcoli economici di una minoranza di sfruttatori.
Ci sarebbero stati autobus e treni più numerosi e non pochi e sempre affollatti. Invece di formare classi di 30 o 35 studenti, il lavoro sarebbe stato organizzato in piccoli gruppi. Per questo, un governo operaio avrebbe potuto contare sull'iniziativa della popolazione per trovare locali e occuparsi dei giovani. Basti pensare alla disponibilità di molte persone durante il primo lockdown per capire che la società è capace di fare molto meglio.
Tutto questo non è finzione politica. Esistono tutti i mezzi materiali, umani e finanziari per realizzarlo. È possibile organizzare la società in modo che si possano soddisfare i bisogni di tutti, purché, lo ripeto, non sia ostacolata dalla proprietà privata e dal diritto di trarre profitto dalla vita umana.
La nostra aspettativa politica deve essere quella di mettere davvero tutti i mezzi esistenti al servizio della società grazie all'esproprio della classe capitalista. La presa del potere da parte dei lavoratori deve essere il nostro obiettivo, il comunismo deve essere la nostra prospettiva!
Un programma di lotta
Questa prospettiva è lontana da ciò che i lavoratori si sentono in grado di fare? È già difficile difendersi? Questo è vero. Ma è così in tutte le società basate sullo sfruttamento: gli oppressi trascorrono la maggior parte della loro vita soffrendo, senza trovare i mezzi per organizzarsi e resistere. Questo è stato il caso dei popoli schiavizzati o colonizzati per decenni e anche per secoli, ma non ha impedito lo scoppio di rivolte o rivoluzioni.
Anche se oggi la stragrande maggioranza dei lavoratori rimane inattiva, essi rappresentano il campo rivoluzionario di domani. Perché si confrontano ogni giorno con la lotta di classe, lo sfruttamento e la corsa alla competitività. Questo dà luogo, regolarmente, a esplosioni di rabbia, puntuali, localizzate. È quando si diffondono e la lotta si generalizza che il campo operaio è capace di influenzare la vita politica e sfidare la dittatura della grande borghesia.
Abbiamo bisogno di un partito che incarni questa lotta e queste prospettive rivoluzionarie. Un partito che parta dai bisogni e dagli interessi dei lavoratori e li traduca in una politica e in un programma per loro.
Zero disoccupazione!
Parliamo della disoccupazione. Per decenni i politici di destra e di sinistra si sono alternati al potere. Tutti hanno permesso che la disoccupazione di massa e la precarietà si insediassero e peggiorassero. E guardate come Macron è contento di se stesso, perché il numero di disoccupati registrati dalle agenzie per l'impiego in categoria A è diminuito. Ma come si può essere soddisfatti di una cifra ufficiale di 3,3 milioni di persone senza alcun lavoro, che arriva a 5,7 milioni se vi si includono quelli che se la cavano con poche ore di attività al mese!
Lontano da questo disprezzo sociale, il nostro obiettivo deve essere disoccupazione zero, perché potersi guadagnare da vivere è una necessità per tutti! Sì, la disoccupazione va azzerata perché escludere da qualsiasi attività milioni di donne e uomini che aspirano solo ad essere utili, è un enorme spreco per la società. Ed è possibile, e anche semplice: occorre solo spartire il lavoro esistente tra tutti, ovviamente, senza riduzione del salario.
Se tutti insieme avessimo il potere di gestire le aziende, è da lì che bisognerebbe cominciare. Perché molti di noi sono sovraccarichi di lavoro. Ci ritroviamo a dover fare gli straordinari, il sabato e i giorni festivi. Facciamo il lavoro di due persone per sostituire chi è andato in pensione e non è mai stato sostituito o perché il lavoratore temporaneo o l'apprendista che faceva il lavoro se n'è andato. Questo carico di lavoro deve essere spartito tra tutti, imponendo le assunzioni necessarie.
Immaginate se chiedessimo al personale degli ospedali, delle case di riposo, dell'istruzione e dei trasporti pubblici di stilare una lista dei posti che sarebbero necessari. Risulterebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro utili ed essenziali da creare immediatamente!
Il lavoro va spartito tra tutti e occorre ridurre gli orari in modo che non ci siano più disoccupati. Bisogna lavorare meno e lavorare tutti!
Si tratta di una scelta al livello sociale: non dobbiamo accettare che il denaro sia ammassato su un polo e monopolizzato da poche migliaia di grandi borghesi; dobbiamo lottare perché sia utilizzato per il mondo del lavoro con l'obiettivo primario di permettere a tutti di avere un lavoro e di potersi guadagnare da vivere. I posti di lavoro devono essere prioritari rispetto ai profitti, ai prezzi delle azioni e alle fortune di pochi!
Per gli aumenti salariali
Un altro obiettivo delle lotte di domani, naturalmente, sarà un aumento generale e massiccio dei salari, dei sussidi e delle pensioni. Questa è una richiesta che può unire in una lotta comune tutte le categorie di lavoratori che, oggi, i padroni stanno mettendo gli uni contro gli altri.
Perché non si può contare né su Macron né sui candidati che pretendono di sostituirlo per imporre qualcosa alle grandi imprese. Il più delle volte i politici propongono di aumentare i salari abbassando i contributi sociali. In altre parole, dovremmo pagarci noi stessi i nostri aumenti salariali, perché i contributi sociali non sono altro che salari differiti. Grazie davvero, i padroni ci avevano già pensato!
E tutte le altre misure sono dello stesso tipo. Il governo ha bloccato l'aumento del prezzo dell'elettricità al 4%, dopo averlo lasciato salire alle stelle. Ma quello che presenta come un regalo costa allo Stato 8 miliardi, e domani lo pagheremo di tasca nostra.
E poi c'è la politica delle elemosine. Lo stato sostiene di aiutare i meno pagati con i bonus, che poi taglia continuamente, ma, senza di essi milioni di noi non potrebbero permettersi un alloggio o comprarsi da mangiare. L'ultima invenzione è stato il voucher energetico di 100 euro per tutti coloro che vivono con meno di 2.000 euro al mese. E domani lo Stato ci aiuterà anche a comprare il latte e la baguette?
Ma quando si lavora, o si ha lavorato tutta la vita, non si deve chiedere la carità per riempire il serbatoio, per riscaldare la casa o per trovare un posto dove vivere. Si deve potere vivere con il proprio stipendio o la propria pensione. Quindi abbiamo bisogno di un aumento generale dei salari, dei sussidi e delle pensioni! Non servono briciole, ci vogliono di 300, 400, 500 euro in più al mese. E per non essere raggiunti dall'inflazione, dobbiamo imporre l'indicizzazione dei salari ai prezzi.
Il salario minimo va portato a 2.000 euro netti. Con il suo voucher energetico, Castex ha ammesso che non possiamo andare avanti con meno di 2.000 euro. Sì, 2.000 euro è il minimo per evitare di vivere nella paura costante di ammalarsi, di trovarsi senza un euro o di non avere il denaro per aiutare a pagare la patente di uno dei nostri figli. È il minimo per sperare di andare in vacanza per un po'. Di 2.000 euro dovrebbe essere lo stipendio base, ma anche le pensioni e i sussidi con cui vivono i lavoratori pensionati o disabili.
Questo è ben al di sopra dell'attuale salario minimo legale, che è di 1.270 euro netti. E so che molti lavoratori pensano che 2.000 euro per esso siano un sogno, perché i padroni non lo concederanno mai. Ma il più delle volte i padroni non sono nemmeno disposti a dare un aumento di 50, 40, 30, 20 euro, e bisogna scioperare, minacciare di scioperare, per ottenerlo. Per i grandi padroni, e per lo stato padrone, nessuna richiesta salariale è considerata ragionevole. Fu lo stesso nel maggio 1968. Anche chiedere un aumento del 10% era considerato irrealistico e pericoloso per l'economia. Ma dopo uno sciopero generale e qualche milione di manifestanti, il salario minimo fu aumentato del 35%!
Che si chieda un aumento di 50, 100 oppure di 400 euro, comunque bisogna lottare per ottenerlo. Quindi non c'è motivo di non esigere ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Non dobbiamo scusarci: facciamo funzionare la società, siamo lavoratori "essenziali", non c'è motivo di sottovalutarci! Se ragioniamo in funzione di ciò che i padroni sono disposti a darci per vivere, resteremo gli eterni sacrificati. Dobbiamo ragionare al contrario, essere orgogliosi delle nostre rivendicazioni perché orgogliosi di ciò che siamo. La società deve innanzitutto rispondere ai nostri bisogni come lavoratori, perché regge solo grazie a noi. Quindi lottiamo per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno, "qualunque ne sia il costo" per il grande padronato! E se bisogna cambiare tutta la società per imporlo, allora la cambieremo!
Controllo operaio sulla produzione
Per respingere le rivendicazioni operaie, i pappagalli del padronato puntano sempre sulle piccole imprese e piccole industrie in difficoltà, che sarebbero rovinate se, per esempio, dovessero aumentare i salari o assumere. Dicono che pPer queste ultime, sarebbe un "peso" troppo grande.
È sempre una scusa per nascondere la responsabilità dei grandi gruppi per mantenere i salari bassi. Ma quando si lavora alla Carrefour, con quindici anni di anzianità si percepisce 1.300 euro netto, e con trent'anni 1.400 € netto! Un operaio alla Michelin riceve 1.500 euro netto facendo i turni! E così via. E quante imprese di sicurezza, pulizie e subappalti vari, che lavorano per le grandi aziende, pagano i loro dipendenti una miseria?
Le piccole imprese sono l'alibi per tenerci buoni. Poi parliamo del 1968 e del famoso aumento del 35% del salario minimo: le piccole imprese sono state rovinate? No. E oggi sono convinta che l'aumento del potere d'acquisto farebbe anche piacere ad un certo numero di parrucchieri, macellai, panettieri o ristoratori che vivono con la clientela popolare!
I conti dei grandi gruppi e i contratti che li legano ad altre imprese vanno resi pubblici. Allora si vedrebbe chi ha benefici enormi, e si saprebbe esattamente dove va preso il denaro. Se un piccolo padrone non può pagare, ce ne sono altri sopra di lui che possono farlo. Facciamo in modo che sia il committente a pagare! Che paghi il banchiere, il fornitore, il padrone di casa!
Questa sarebbe la vera democrazia, il potere del popolo: coloro che fanno funzionare le aziende sappiano esattamente come si usa il frutto del loro lavoro.
Sì, dobbiamo imporre il nostro controllo sulla contabilità dei grandi gruppi. E non c'è bisogno di creare commissioni di controllo o di indagine: con i ragionieri e gli amministratori, i lavoratori sono i più adatti a esercitarlo, perché conoscono la realtà del lavoro meglio di chiunque altro.
Tutti dicono oggi che ci deve essere la libertà di parola. È un'ipocrisia enorme, perché nelle aziende i dipendenti non possono dire nulla. Facciamo l'esempio dello scandalo delle case di riposo: quanti impiegati sono stati minacciati, sospesi o licenziati per aver denunciato le disfunzioni e i maltrattamenti? Da tanti anni rischiano e testimoniano in modo anonimo!
Un esempio è il grande affare sui vaccini anti-Covid. I dirigenti europei che hanno negoziato l'acquisto dei vaccini vogliono che i contratti rimangano celati, sempre in nome del segreto commerciale. Tutto questo per nascondere i benefici dei laboratori, che permettono alla triade composta da Pfizer, BioNTech e Moderna di intascare 1.000 dollari ogni secondo! Il segreto, l'omertà che il gran padronato impone alle aziende gli permette di mentire, di nascondere i suoi misfatti e crimini. Togliamogli quest'arma!
Sì, liberiamo la parola, la parola degli impiegati, dei contabili, dei venditori, e questo si ottiene con la soppressione del segreto professionale, di quello commerciale e con la fine di tutti i processi per diffamazione addebitati appena si parla di molestie o di salari di miseria!
Non un programma elettorale, ma un programma di lotta
Il programma che difendo non ha niente a che vedere con quelli elettorali che gli altri candidati propongono, che sono come cataloghi elettorali dove ognuno deve andare alla pagina che lo riguarda. A pagina 24, sotto la voce studenti, troverete l'assicurazione di un reddito minimo; a pagina 25, la garanzia che nessun disabile scenderà mai più sotto la soglia di povertà; e a pagina 26, l'impegno a ridurre la violenza contro le donne.
In primo luogo, queste promesse non costano nulla ai candidati che le fanno, perché la maggior parte di loro ha la stessa possibilità di essere eletta quanto me. Per quanto riguarda la persona che si insedierà sulla poltrona presidenziale, questa troverà sempre dei motivi per tagliare o abbandonare gli impegni presi con le classi lavoratrici. Perché una volta al potere, farà ciò che il grande padronato le permetterà di fare.
Ciò è successo con Mitterrand, che parlava di "rottura" con il capitalismo. È avvenuto con Jospin, che ha privatizzato più dei governi di destra. Ed è anche successo con Hollande, che ha fatto della finanza il suo nemico in campagna elettorale, ma l'ha servita durante tutto il suo mandato quinquennale. E possiamo moltiplicare gli esempi. Nel 1936, il socialista Léon Blum fu il primo a spiegare che si era scontrato con il muro del denaro e delle 200 famiglie.
E perché domani le cose dovrebbero andare diversamente con un Mélenchon, per esempio? Parlo di lui, perché è quello che ha fatto il miglior lifting, riuscendo persino a far dimenticare che è stato ministro sotto Jospin. Ma, come Hidalgo, Roussel e Taubira, sta ancora una volta diffondendo illusioni nel mondo del lavoro, e in particolare in quello sindacale.
Di fronte all'evoluzione a destra di tutta la vita politica, le diatribe di Mélenchon sulla spartizione delle ricchezze, la tassazione dei profittatori della crisi, contro le violenze della polizia o per la VI Repubblica lo fanno apparire di gran lunga il più radicale. Più radicale sì, ma ancora molto responsabile nei confronti della borghesia e di tutto il suo sistema.
Infatti dove porta la sua spartizione della ricchezza? Alla piccola riduzione delle maggiori fortune per ridistribuire briciole ai lavoratori. Briciole, perché Mélenchon promette, per esempio, un salario minimo di 1.400 euro netto, che è molto, molto lontano da ciò che è necessario per uscire dalla povertà. Questo dato da solo dimostra che Mélenchon non ragiona partendo dai bisogni dei lavoratori.
Mélenchon vuole essere il fedele gestore degli affari della borghesia. Gli piace parlare dell'influenza della Francia, del suo universalismo e della sua presenza nei cinque continenti. Si congratula per ogni vendita di aerei Rafale e si indigna, come tutti i buoni politici nazionalisti, perché la Francia è sulla scia degli Stati Uniti, in altre parole si lamenta che il paese sia un imperialismo di seconda categoria, e non il capo dei briganti!
Il suo progetto non è quello di rovesciare la grande borghesia, ma è di lavorare con essa, mano nella mano, e lo ha dimostrato durante il suo ultimo dibattito televisivo, dove ha venduto la sua politica a Roux de Bézieux, il capo del Medef.
Per 20 minuti, Mélenchon si è dato da fare per lodare i vantaggi delle sue misure per le grandi imprese! Certo, i capitalisti dovranno cedere una piccola parte dei loro enormi profitti allo Stato, ma non se ne pentiranno, perché la sua politica garantisce loro libri degli ordini pieni e importanti benefici sugli investimenti che lo Stato farà nella transizione ecologica. Tanto vale dire che si sono lasciati da buoni amici!
Mélenchon chiede un compromesso con la grande borghesia. Ma i lavoratori sanno bene che qualsiasi ricerca di accordo significa negoziare il peso delle nostre catene. E non c'è bisogno di cercare una via di mezzo, perché la grande borghesia né sfrutta a metà, né fa la sua guerra economica a metà. No, non esistono compromessi: il capitalismo, o lo si combatte fino alla sua distruzione, o ci si integra e si diventa uno dei suoi ingranaggi.
Questo è quello che è successo con il PS e il PCF e spiega il loro crollo e, con esso, il riflusso delle organizzazioni operaie, della militanza e anche il discredito dell'ideale socialista. Così, l'esperienza della sinistra governativa deve essere per noi una lezione e rafforzarci in una politica comunista rivoluzionaria!
L'elezione presidenziale e dopo
Il giorno dopo le elezioni, chiunque venga eletto, ci troveremo sempre di fronte il grande padronato, che deciderà se chiudere o meno tale fabbrica, che relegherà le donne ai lavori più precari e mal pagati. I giovani continueranno ad essere rinviati da uno stage a un contratto di qualifica. Il grande padronato seguiterà a renderci invalidi e disabili a causa del ritmo e del carico di lavoro sempre crescenti! Il nostro banchiere deciderà se accettare o meno lo scoperto o il credito di cui abbiamo tanto bisogno. È quello che accadrà, chiunque sia eletto presidente.
La guerra sociale non si fermerà dopo l'elezione presidenziale. Continuerà e peggiorerà semplicemente perché stiamo sprofondando nella crisi: ciò che la borghesia non può ottenere allargando i suoi mercati, lo ottiene aggravando lo sfruttamento. E finché il campo dei lavoratori non si mobiliterà, la borghesia ne approfitterà per farci pagare la sua crisi.
Dobbiamo prepararci alla mobilitazione. Nessun uomo, da solo, che sia all'Eliseo, alla Casa Bianca o a capo di un qualsiasi governo, può incarnare un rapporto di forza con la grande borghesia e far sì che ne sia temuto. Lo può fare solo il mondo del lavoro, mobilitato a milioni e consapevole della sua forza.
Quindi il programma che difendo è un programma di lotta. La mia candidatura è un appello alle battaglie: non ci sarà alcun progresso significativo per il mondo del lavoro e per l'intera società senza prendersela con i finanzieri, i grandi padroni e la borghesia. È una questione di forza, di scioperi, di scontri sociali. È la consapevolezza che la nostra sorte non dipende dal prossimo presidente della Repubblica, ma dalle nostre lotte. È un appello per un voto di orgoglio operaio e di combattività.
E voglio appellarmi a tutti coloro che non sopportano più l'attuale ordine sociale e che forse si preparano ad astenersi dal voto perché non si fanno illusioni in questo circo elettorale: non restate soli con la vostra rabbia! Non rimanete isolati, impotenti e politicamente invisibili. Unitevi a noi nel voto e nel partito che incarna una politica per cambiare l'intera società.
Zemmour e Le Pen, gemelli dell'estrema destra
La campagna è segnata da un clima reazionario e addirittura razzista, perché invece di avere un candidato di estrema destra, ne abbiamo due, con Zemmour che spera di raccogliere i frutti di ciò che la Le Pen ha seminato. E per farla apparire come ormai superata, cerca di fare più rumore.
Se la Le Pen attacca l'islamismo, Zemmour attacca l'Islam. Se la Le Pen osanna la polizia, Zemmour promette di darle il diritto di uccidere senza temere la giustizia. Se la Le Pen vuole espellere gli stranieri rimasti disoccupati da più di un anno, Zemmour dice che li espellerà dopo sei mesi. Promette persino di deportare due milioni di stranieri, una deportazione di massa da rendere Trump, Orban e Bolsonaro verdi d'invidia.
Per arrivare fino ai saloni dorati dell'Eliseo, la Le Pen, sedicente candidata antisistema, scommette su un processo di dediabolizzazione e cerca di apparire più umana. Zemmour ha scelto la strategia opposta: riversa il suo odio razzista e organizza la sua campagna intorno a discorsi sulla cosiddetta "grande sostituzione".
Quando si atteggia a intellettuale, si comporta come uno storico revisionista che spiega che la colonizzazione era positiva, che forse il capitano Dreyfus era colpevole, che la rivoluzione francese era un complotto, e che Vichy proteggeva gli ebrei francesi di cui 24.000 morirono nei campi nazisti dopo essere stati consegnati dalla polizia di Pétain! Allora vi posso dire che, trattandosi di Storia, i miei alunni del liceo di Aubervilliers ne sanno più di questo ciarlatano!
Le Pen e Zemmour si scontrano come due galli in un pollaio. Ma usano la stessa demagogia da quattro soldi! La stessa confusione che equipara delinquenza e terrorismo all'immigrazione. Sono i Dupont e Dupond dell'estrema destra!
Come la destra, l'estrema destra è sempre stata dalla parte del grande padronato. Ha sempre difeso ardentemente la proprietà capitalista e giustificato lo sfruttamento. Se Marine Le Pen si degna di evocare qualche misura sociale, è solo per cercare di catturare una parte dell'elettorato operaio, disgustato e disorientato dalla sinistra. Ma Zemmour non se ne preoccupa nemmeno.
In un momento in cui i profitti e i dividendi stanno esplodendo, questo signore propone di abbassare le tasse per i più ricchi. Quando gli anziani diventano disoccupati o disabili prima dell'età pensionabile, lui vuole posticiparla fino a 64 o 65 anni. Zemmour ci ricorda, così, che tutti i politici anti-immigrati sono sempre innanzitutto antioperai.
Nelle classi lavoratrici, coloro che sono attratti dalle sirene nazionaliste sono dalla parte sbagliata. Lascino questo voto agli aristocratici dal cognome con la particella, ai nostalgici di Pétain e dell'Algeria francese, ai generali in pensione bisognosi di un colpo di stato, alle teste rasate e ai nazisti!
Non sarà essere considerati buoni francesi che permetterà agli elettori lepenisti di trovare un lavoro migliore. Avere un nome che suona bene alle orecchie di Zemmour non impedirà loro di essere sfruttati e disprezzati. Di sicuro non darà più diritti ai lavoratori immigrati che ora ne hanno di meno.
Zemmour vuole espellere gli immigrati dalle case popolari? Ma dopo non sarà lui che le costruirà o le ristrutturerà. Vuole privare gli stranieri del diritto di essere curati in ospedale; ma senza medici, infermieri e inservienti di tutto il mondo, gli ospedali pubblici chiuderebbero!
L'unico antidoto all'ascesa dell'estrema destra sarà il ritorno dei lavoratori ai loro valori politici: soprattutto alla consapevolezza di essere dalla parte di coloro che lavorano duramente per guadagnarsi da vivere, indipendentemente dalla loro origine, dal colore della pelle o dalla loro religione.
Gli xenofobi e i razzisti mettono la preferenza nazionale e i francesi al primo posto? Allora dobbiamo essere in tanti a rispondere: sì alla preferenza di classe, prima i salari, prima i posti di lavoro, prima i pensionati della classe operaia e i giovani! Prima il campo dei lavoratori!
Il campo dei lavoratori è internazionale. Libertà di circolazione!
In questa campagna segnata dal rifiuto dei migranti, sono particolarmente orgogliosa di dare il "benvenuto" alle donne e agli uomini costretti ad emigrare. Sì, sono una dei pochi candidati che considera come sempre parte del mio campo, quello dei lavoratori, le donne e gli uomini che si schierano al confine tra Bielorussia e Polonia, quelli che cercano di attraversare la Manica, il Mediterraneo o i Balcani a loro rischio e pericolo.
Come noi, queste donne e questi uomini avevano una casa, una famiglia, una formazione, un lavoro. Erano cuochi, muratori, ingegneri, medici... Hanno visto il loro mondo crollare sotto un diluvio di bombe o sono stati costretti dalla povertà ad andare via e a lasciare il loro paese.
Quindi dobbiamo soffermarci a riflettere su questi lavoratori. Quali sono i loro bisogni? Quali sono i loro interessi? Devono potersi muovere, poter attraversare le frontiere e stabilirsi nel territorio in cui scelgono di andare sia perché parlano la lingua del paese, sia perché vi troveranno sostegno e pensano di poter trovare un lavoro. La libertà di movimento e di sistemazione deve far parte dei diritti da conquistare per tutti i lavoratori del mondo.
In realtà le frontiere ci sono solo per i più poveri, per i lavoratori. Per chi ha un portafoglio ben fornito, attraversare una frontiera è una mera formalità amministrativa. Nessuno ha mai dato del migrante ad un emiro del Qatar o ad un oligarca russo. Questa parola è riservata ai lavoratori, ai poveri. Quindi dobbiamo esigere la libertà di muoversi e di sistemarsi ed essere pronti ad accogliere queste donne e questi uomini come sorelle e fratelli, perché la maggior parte di loro si integrerà nel mondo del lavoro. Domani lavoreranno al nostro fianco sulle linee di taglio nei macelli, nelle fabbriche o nei cantieri. Lavoreranno negli ospedali e nelle aziende di assistenza domiciliare. Saranno manovali alla Amazon.
Saranno le nostre sorelle e i nostri fratelli nel lavoro, nelle sofferenze, e se sapremo rivolgerci a loro, saranno al nostro fianco nelle battaglie. E non c'è dubbio che con la loro esperienza e il loro coraggio saranno forze più che valide nella lotta che dovremo condurre insieme per la nostra emancipazione!
Evviva l'internazionalismo!
I candidati di tutti i grandi partiti, dal PCF al Raggruppamento nazionale, il nuovo nome del Fronte nazionale, usano sempre la parola Francia. Ma parlare degli interessi o della grandezza della Francia significa, comunque, difendere gli interessi e la grandezza degli Arnault, dei Peugeot, dei Michelin o dei Drahi. La "patria" che le classi dominanti vorrebbero farci adorare, promette solo una vita di lavoro sempre più dura alle classi lavoratrici. Questo è ciò che ha spinto Marx ed Engels a scrivere, nel Manifesto Comunista: "I proletari non hanno patria".
Questo internazionalismo più che mai è nostro, soprattutto perché ragionare come un paese solo è completamente superato! La pandemia, ma anche la crisi climatica e quella economica dimostrano a che punto siamo interdipendenti su scala globale. Nessun paese può farcela da solo. Non c'è più soluzione a livello nazionale, dobbiamo andare verso una cooperazione fraterna tra tutti i popoli.
Oggi questo è impossibile, con la borghesia al potere, perché quella dei paesi ricchi, compresa la borghesia francese, domina e sfrutta i paesi poveri come domina e sfrutta i lavoratori qui.
È il dominio delle grandi potenze sui paesi poveri e il loro saccheggio che portano al sottosviluppo e a regimi tanto corrotti quanto dittatoriali. L'attuale situazione in Mali è il risultato della politica dell'imperialismo francese. Sono la competizione e le rivalità tra imperialisti che creano le tensioni internazionali, le minacce belliche e terroristiche che conosciamo e che le popolazioni dei paesi dominati pagano maggiormente.
Anche qui, la borghesia ci sta portando in un vicolo cieco e il futuro è incarnato nel campo dei lavoratori, perché essi non sfruttano né opprimono nessuno. E se prenderanno il potere, potranno stabilire relazioni egualitarie e fraterne con i lavoratori degli altri paesi e trovare, con loro, soluzioni alle sfide che tutti dobbiamo affrontare. Allora sì, che la parola "umanità" assumerà finalmente il suo pieno significato.
La questione del clima e l'organizzazione comunista della società
Dopo un discorso del genere, i giornalisti mi chiedono sempre perché mi candido e se voglio davvero diventare presidente della Repubblica. Ma io non punto alla presidenza, aspiro a molto di più, perché bisogna cambiare tutta la società, rovesciare il capitalismo! E questo non partirà dall'alto della presidenza della Repubblica, ma dal basso, quando il mondo del lavoro e i giovani in rivolta alzeranno la testa e attaccheranno da soli la dittatura del grande capitale.
Infatti siamo di fronte ad un caos totale, un enorme spreco dal punto di vista umano e per il pianeta.
Finché considereremo le multinazionali come la riserva dei capitalisti, non avremo il controllo su nulla. Possiamo gridare all'emergenza climatica, discutere sul miglior tipo di energia da usare, sui processi più efficienti in termini di risorse o sul riciclaggio, ma saranno sempre i grandi azionisti a decidere. E in base a cosa? Alle prospettive di profitti e sussidi pubblici che possono sperare di strappare, ma non tenendo conto né dei bisogni vitali della gente, né di ciò che è urgente e benefico per il pianeta.
Solo un governo di lavoratori potrà affrontare di petto la crisi climatica. Perché organizzerebbe un'economia collettiva, secondo un piano elaborato democraticamente, per produrre né troppo né troppo poco. Un piano per soddisfare i bisogni a breve termine, ma anche per anticipare e pianificare a lungo termine.
Il settore bancario collettivizzato permetterebbe di dirigere il capitale verso la soddisfazione dei bisogni vitali. Non costruiremmo più aerei Rafale o missili nucleari, e potremmo utilizzare le competenze dei dipendenti di Dassault, Thales o Safran per lavorare su trasporti pubblici più puliti, meno energivori e meglio organizzati.
Sarebbe possibile fondere in una sola entità Total, Exxon, EDF, Engie, la ventina di multinazionali che controllano i mezzi di produzione di energia nel mondo, per coordinare le loro attività e i loro piani di investimento. Potremmo mettere in comune le competenze dei loro ingegneri e le capacità dei loro operai e tecnici per produrre al minor costo ambientale e umano possibile.
I capitalisti stanno abusando delle immense possibilità scientifiche e tecniche. Con i lavoratori al potere, i satelliti, ora usati per speculare sul prezzo delle materie prime agricole, potrebbero essere usati per scegliere le colture più adatte in base al clima, alla terra e alla geografia del luogo.
L'esplorazione dello spazio, che i capitalisti hanno ridotto a una spedizione turistica per ricchi, potrebbe servire a far progredire la scienza.
Espropriando i grandi mezzi di produzione e collettivizzandoli, potremmo sradicare la povertà, la malnutrizione, la mancanza di acqua potabile, potremmo fermare il riscaldamento globale e smettere di sovrasfruttare le risorse naturali.
I Gafam, che oggi servono ad arricchire qualche miliardario e per spiarci, potrebbero essere trasformati in fantastici strumenti di organizzazione, coordinamento, censimento e democrazia.
Il progresso non può consistere nella distruzione delle multinazionali e dei legami economici, sociali e umani che si intrecciano su scala globale, ma nella loro trasformazione in beni comuni per tutta l'umanità.
Mettere in comune i mezzi di produzione, produrre consapevolmente ciò che è stato deciso democraticamente, questo è il comunismo. E non ne siamo mai stati così vicini, perché la socializzazione della produzione è già stata realizzata in gran parte dal capitalismo stesso, da questo incessante processo di concentrazione che unisce i lavoratori di tutto il mondo in un unico sistema produttivo. Il capitalismo ha aperto la strada alla società collettiva: viva il comunismo!
Dobbiamo cambiare la società e così si cambierà l'uomo
Anche se è impossibile immaginare i particolari di una società comunista, si può dire che sicuramente, oltre a trasformare l'organizzazione economica, trasformerà le relazioni umane e cambierà l'uomo stesso.
In una società libera dallo sfruttamento, dalle classi sociali e da tutta quella gerarchia che condanna la stragrande maggioranza alla sottomissione, il lavoro non avrà nulla a che vedere con quello che è oggi.
Nessuno verrebbe assegnato a un lavoro ingrato e monotono per tutta la vita. Tali lavori diventerebbero compiti assunti collettivamente. Tutti potrebbero partecipare alle scelte economiche e sociali, così come alla loro attuazione, e secondo i loro gusti, le loro curiosità, le loro capacità, potrebbero studiare e imparare per tutta la vita.
I pregiudizi razzisti, xenofobi e nazionalisti, così come i comportamenti individualisti, sessisti e misogini, verrebbero meno perché non più alimentati dalle relazioni di dominazione e oppressione che vanno di pari passo con lo sfruttamento. I comportamenti individuali violenti, che spesso risultano dalla frustrazione e dall'umiliazione, potrebbero scomparire. Non saremmo più indicati dal paese in cui siamo nati, ma saremmo consapevoli di essere parte della stessa umanità.
Quali progressi si farebbero se sette miliardi di esseri umani potessero avere accesso a un livello di vita decente e lasciare che la loro intelligenza e creatività si esprimano! Quale ricchezza umana si scoprirebbe se tutti potessimo dedicare il tempo necessario alle arti, allo sport, a viaggiare per il mondo!
Lottando per la nostra emancipazione, ci trasformeremo! E questo è ciò che voglio comunicare in questa campagna, soprattutto ai giovani. Questo futuro è possibile se vi permettete di rifare il mondo nella vostra testa e se vi mettete a costruire lo strumento indispensabile per realizzarlo: il partito rivoluzionario.
Un partito rivoluzionario
Non sono le idee o le prospettive che mancano, ci manca un partito che le incarni e le faccia vivere nelle classi lavoratrici.
La sensazione che tutti i politici siano marci, perché una volta al potere voltano gabbana, ha portato le classi lavoratrici al rifiuto della politica, della militanza e di tutti i partiti, siano essi partiti di politici o partiti di militanti, come Lutte ouvrière.
Non dovremmo buttare via il bambino con l'acqua sporca. Non ci deve sorprendere che i partiti borghesi siano, come il sistema che difendono, un branco di arrivisti. L'unica conclusione da trarre è che i lavoratori, che hanno la prospettiva di cambiare la società, devono organizzarsi in un proprio partito.
Non parliamo di un partito che sia come gli altri. Non vogliamo un partito di politici di mestiere, ma quello di salariati, di disoccupati, di pensionati. Un partito composto e guidato da lavoratori, capace di anteporre quotidianamente gli interessi dei lavoratori alle politiche della borghesia. Non vogliamo organizzare un partito che viva di elezioni e poltrone nelle istituzioni, ma che sia costruito per incoraggiare gli sfruttati a difendersi; un partito che sia capace di lottare per gli aumenti salariali pur difendendo la prospettiva dell'abolizione del lavoro salariato; vogliamo un partito che sia capace di lottare per il miglioramento delle condizioni di lavoro anche lottando per l'abolizione dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo stesso; un partito costruito per guidare tutte le lotte contro lo sfruttamento, fino a quelle per il potere.
Vogliamo un partito la cui fiducia si basi sulle capacità del mondo del lavoro, perché in realtà è già su di esso che poggia tutta la società; un partito convinto che il mondo del lavoro debba guidare la società al posto della borghesia, perché lo farebbe molto meglio.
Siamo abituati ai ricchi che ordinano e monopolizzano il diritto di governare a tal punto che non ci rendiamo conto che lo possiamo fare anche noi. Questi possono prendere decisioni, ma esse senza il nostro lavoro non possono trasformarsi in realtà. Noi siamo quelli che mettono in pratica tutto quello che decidono dall'alto delle loro scrivanie.
A noi viene chiesto di fare l'impossibile. Dobbiamo renderci conto che siamo noi a incarnare l'utilità sociale. Gli azionisti e le grandi imprese non hanno alcun ruolo nella produzione. La loro utilità sociale è zero. In altre parole, sono i borghesi che dipendono da noi per tutto, compresa la cucina e la cura dei loro figli! Noi siamo utili a loro in tutto, loro non lo sono per niente! Ricordiamocelo, perché sono sicura che questi buoni soldatini che siamo noi finiranno per rivoltarsi!
Insisto su quanto detto, perché tutto questo è innanzitutto una questione di coscienza. Nel lavoro investiamo molta energia, intelligenza, capacità e dedizione anche quando curiamo i bambini o ci occupiamo degli anziani. Immaginate se mettessimo anche solo un decimo dell'energia che diamo al nostro padrone per i suoi profitti, per parlare tra di noi, organizzarci e lottare. Allora sì che molte cose potrebbero migliorare per noi.
Quindi dobbiamo essere consapevoli della forza che abbiamo per fare le cose da soli. Dobbiamo prendere coscienza del potere che abbiamo di governarci.
Naturalmente, questo nostro potere va ancora costruito, può essere solo collettivo. In altre parole, il nostro potere è la nostra organizzazione, il nostro partito. E questa campagna deve permettere di rafforzarlo.
La battaglia politica che stiamo conducendo in questa elezione presidenziale mostra a tutti i lavoratori che esiste un campo al quale possono rapportarsi, un partito certamente piccolo ma sul quale possono contare.
Qualunque sarà il peso della mia candidatura nelle urne, la politica che portiamo avanti in questa campagna è importante per i lavoratori che cercano il modo di difendersi. Incoraggia tutti coloro che tentano di organizzarsi, e questa è la cosa più importante.
Certamente andiamo controcorrente, e sarà così finché non ci sarà una crescita delle lotte collettive. È l'assenza di queste che permette ai pregiudizi di dilagare, alle diversioni di avere effetto e ai demagoghi di fare breccia indicando dei capri espiatori. Ma anche controcorrente possiamo continuare il nostro cammino.
Porteremo avanti gli interessi del mondo del lavoro e troveremo un'eco nelle aziende e nei quartieri popolari. Quindi dobbiamo impiegare tutta la nostra forza in questa campagna per farci sentire.
Aiutateci in questa campagna. Voi avete l'opportunità di discutere, di far pensare e di convincere le persone avendo tutto il tempo necessario. Io ho la possibilità di farlo soltanto durante le mie brevi interviste sul set della televisione. Ma voi potete darci il vostro contributo discutendone in famiglia, con i compagni di lavoro, i vicini, gli amici... Perché questa campagna abbia successo, deve essere la campagna di tutti noi. Deve essere una campagna militante.
Quindi cerchiamo di riunire intorno alla mia candidatura tutti coloro che si ribellano; tutti coloro che non sono rassegnati a un ordine sociale così disuguale, ingiusto e stupido. E aiutateci a costruire questo partito che ci manca tanto.
Siamo in minoranza, ma quando scoppierà un'epidemia di scioperi, queste sono le idee che aiuteranno i lavoratori a progredire il più possibile nella lotta. E questa può e deve arrivare a rovesciare il capitalismo e il suo corteo di arretratezza e barbarie,. Deve raggiungere lo scopo di cambiare il mondo!