Da "Lutte de classe" n°233 - Luglio - Agosto 2023
Alcuni libri e articoli hanno recentemente riportato in auge un antico dibattito sull'evoluzione delle società preistoriche (1). Come altri prima di loro, hanno in comune il fatto di mettere in discussione l'idea sviluppata alla fine del XIX secolo, ripresa e sostenuta scientificamente da Engels nel suo libro L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), secondo cui l'oppressione delle donne non è sempre esistita.
Al contrario, questi studiosi affermano che la dominazione dell'uomo sulla donna è comune nelle società umane almeno dal Paleolitico superiore, cioè 30.000 o 40.000 anni prima del Neolitico. Il Neolitico, iniziato da 8.000 a 12.000 anni fa, a seconda della regione del mondo, è un periodo di riferimento per i marxisti. Riteniamo quindi, seguendo Engels, che lo sviluppo delle forze produttive avvenuto in questo periodo, in particolare delle capacità di stoccaggio, dell'agricoltura su larga scala e dell'allevamento, che ha portato a un aumento della ricchezza e all'emergere delle classi sociali, dello sfruttamento e dello Stato, sia la base materiale di una profonda trasformazione dei rapporti sociali, una delle cui conseguenze è stata l'instaurazione sistematica del dominio maschile, e quindi dell'oppressione delle donne. Cercando di dimostrare che l'oppressione delle donne è stata sistematica almeno dall'inizio del Paleolitico superiore, questi accademici stanno di fatto mettendo in discussione il ragionamento di Engels e di fatto, il marxismo come metodo per comprendere le società, la loro evoluzione e come cambiarle. Si uniscono, così, a coloro che sostengono che il marxismo non è in grado di spiegare la diversità delle società preistoriche e la loro evoluzione, che i legami di sangue e i legami familiari sono sufficienti a spiegare tutto. Rompendo il legame tra l'evoluzione della società e l'oppressione delle donne, privano anche tutti coloro che vogliono combattere l'oppressione delle donne di una solida base politica, che affermi che, ponendo fine al capitalismo e alle società di sfruttamento, saremo in grado di porre fine all'oppressione delle donne come a tutte le oppressioni. In questo modo, consapevolmente o meno, si alimentano due idee: o la vecchia idea reazionaria che è stata riportata in auge, secondo la quale la dominazione maschile è stata la sorte delle società umane praticamente dagli albori dell'umanità ed esisterà sempre, o la sua controparte femminista falsamente radicale, che fa della lotta contro il patriarcato la lotta primordiale e afferma che cercare di rovesciare le relazioni sociali è inutile o semplicemente secondario.
L'importanza de L'origine della famiglia
Per comprendere le società preistoriche, che per definizione non hanno lasciato testimonianze scritte della loro organizzazione, i militanti rivoluzionari non possono che leggere gli studi degli scienziati. Engels non fece diversamente quando, nel 1884, pubblicò L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, basato sugli studi antropologici di Lewis Henry Morgan. Basati sull'osservazione della società irochese, questi studi suggerivano che, prima che le società si dividessero in classi sociali, uomini e donne erano organizzati in società economicamente egualitarie - Engels parlava di comunismo primitivo - senza sfruttamento, senza Stato, società descritte da Morgan come matriarcato primitivo in cui, sosteneva, le donne erano dominanti. All'epoca, questi studi rivoluzionarono la nostra percezione del passato preistorico, evidenziando il fatto che la famiglia moderna, l'oppressione delle donne, le classi sociali, la proprietà privata e lo Stato non sono un fatto naturale, né fenomeni eterni, ma prodotti della storia umana e della lotta di classe.
Per Engels non esisteva alcun dogma. Come scrisse nel 1891, era pronto a rivedere i suoi scritti se la documentazione fosse cambiata (2), come è accaduto nel XX secolo. Al di là dei passi descritti da Engels nel suo libro, che si basavano sullo stato della scienza dell'epoca, il suo aspetto rivoluzionario risiede nell'applicazione del ragionamento storico materialista marxista alla comprensione di ciò che sono le società. Questo ragionamento permette di capire che la storia dell'umanità è determinata dallo sviluppo delle forze produttive, dal modo in cui gli esseri umani si organizzano per produrre e riprodursi. Ecco perché questo libro rimane così straordinariamente attuale e fornisce ancora una base per l'attività militante, in particolare nella comprensione che la società capitalista è il prodotto dell'evoluzione, nell'analisi dello Stato come strumento della classe dominante e infine nei mezzi utili per porre fine allo sfruttamento e a tutte le forme di oppressione. Per quanto riguarda la preistoria, il lavoro degli scienziati è alla base del progresso della conoscenza. Ma gli scienziati non esistono al di sopra della società. Sono un prodotto di essa e il loro ragionamento può riflettere le influenze del momento, a maggior ragione quando il campo di studio riguarda le società umane.
Per un materialismo dialettico
Da Morgan in poi, l'antropologia ha visto molte correnti di pensiero non solo ostili al marxismo, ma che hanno messo in discussione l'idea stessa di evoluzione delle società umane. Alla fine del XX secolo, questa idea di evoluzione è tornata prepotentemente in auge con una corrente rappresentata in Francia da Alain Testart, un antropologo morto nel 2013 che oggi è un punto di riferimento per molti accademici. Per Testart, le società preistoriche si sono evolute differenziandosi l'una dall'altra, come rami di uno stesso albero, un'immagine che riflette meglio l'immensa diversità delle società tradizionali venuta alla luce nel XX secolo. Tuttavia, Testart rifiuta esplicitamente il marxismo come metodo per spiegare questa evoluzione. Secondo la concezione materialista e marxista, "la produzione di idee, rappresentazioni e coscienze è innanzitutto direttamente e intimamente intrecciata con l'attività materiale e il commercio materiale degli uomini; è il linguaggio della vita reale" (3). Ma per Testart, mentre l'evoluzione tecnica, i fattori ambientali e demografici e le relazioni con i popoli vicini giocano un ruolo evidente, i legami di parentela e gli obblighi sociali associati al matrimonio "bastano a spiegare tutto - spiegano persino la forma dell'economia" (4), senza che essi stessi debbano essere spiegati dalle condizioni materiali in cui gli uomini vivono, o dalla loro storia. Così Testart propone di spiegare la lenta evoluzione tecnica del Paleolitico con la struttura sociale dei cacciatori-raccoglitori nomadi dell'epoca., che egli ipotizza somigliasse a quella degli aborigeni australiani di oggi (5), dove i mariti, poiché la loro produzione è monopolizzata dalle famiglie delle mogli, che provengono da un altro gruppo sociale, non hanno alcun incentivo a migliorare le loro tecniche di produzione. Se Testart dà spesso una spiegazione materialista dell'evoluzione di una società particolare, corona il suo ragionamento con un principio generale - i legami di parentela bastano a spiegare tutto, anche l'economia - che lo porta a una posizione che in filosofia si chiama idealismo, in contrapposizione al materialismo, perché fa procedere la realtà concreta, sociale o materiale, dalla rappresentazione che gli uomini se ne fanno.
Testart ci riporta, così, alle vecchie concezioni borghesi emerse alla fine del XVIII secolo, secondo le quali le idee governano il mondo. Tuttavia, i legami di parentela e gli obblighi matrimoniali non nascono dal nulla, ma dalla necessità delle prime società umane di organizzarsi per garantire anche la riproduzione biologica del gruppo, che è alla base dell'economia. Allo stesso modo, i sistemi di doni e di scambi presenti in diverse società possono essere intesi come una risposta alla necessità sia economica che sociale di tessere legami tra i membri, di rafforzarli per assicurare la loro sopravvivenza, garantendo al contempo un certo equilibrio nella distribuzione delle risorse. Si potrebbe anche sostenere che se le strutture sociali di tipo aborigeno sono scomparse ovunque, tranne che in Australia, è perché sono diventate un ostacolo allo sviluppo e all'uso di nuove tecniche più efficienti, mentre le strutture delle società che si sono sviluppate hanno permesso alle persone di trarre pieno vantaggio da queste nuove tecniche. Il rapporto tra l'economia e la struttura della società (lo Stato, la legge dove esiste, i costumi, le rappresentazioni religiose e mitologiche, l'ideologia in generale) deve essere compreso dialetticamente e storicamente, cioè nei termini della sua evoluzione e delle contraddizioni di ogni tipo che la guidano.
Per sopravvivere, gli esseri umani devono agire sulla natura. Lo fanno in base alle forze produttive di cui dispongono e alle organizzazioni sociali che hanno costruito, in cui si evolvono le tecniche, la divisione del lavoro e gli scambi. Questa costante evoluzione genera nuove contraddizioni all'interno delle società, dando origine a nuovi cambiamenti, evoluzioni e rivoluzioni, tutti fonti di nuovi sviluppi. Ogni generazione si costruisce sulle spalle della precedente, costruendo il proprio mondo sulla base delle condizioni di vita e di crescita che ha trovato, e così facendo modifica, a sua volta, il proprio ambiente materiale, sociale ed economico, modificando se stessa e i suoi successori. Che questo avvenga a un ritmo più o meno lento nella storia dell'umanità, a seconda del luogo, delle circostanze e del gruppo umano considerato e che sia più o meno percepibile anche per l'osservatore di oggi, con risultati diversi da un gruppo all'altro, è un fatto indiscutibile.
Per Alain Testart, invece, "non c'è bisogno di concepire un meccanismo per pensare all'evoluzione delle società", "l'azione umana (dell'uomo nella società, che agisce sulla società) è una condizione necessaria e sufficiente per l'evoluzione delle società " (6) . Che l'azione umana sia necessaria e sufficiente è evidente. Le società si evolvono perché le persone le fanno evolvere, in base a ciò che pensano. Dobbiamo ancora determinare quali idee emergono nei loro cervelli. Esse possono formarsi solo in funzione del posto che occupano nella società, delle relazioni che hanno con gli altri, dell'ambiente tecnico e demografico, nonché della storia e della cultura che hanno costruito. Le strutture sociali e i legami familiari sono solo una parte del quadro.
Sulla base di ciò che sappiamo degli ultimi 50.000 anni, possiamo vedere che, al di là dell'evoluzione specifica di ogni società, l'evoluzione complessiva delle società umane è fondamentalmente spiegata dallo sviluppo delle forze produttive, dall'evoluzione delle tecniche utilizzate da uomini e donne. Quasi tutte le società di cacciatori-raccoglitori che occupavano il pianeta nel Paleolitico superiore hanno poi ceduto il passo, tranne in alcuni luoghi dove ciò non era possibile (nei deserti, sulle banchise), a società che praticavano l'agricoltura e l'allevamento su larga scala. L'emergere di un surplus sociale permanente e la più avanzata divisione del lavoro portarono a sconvolgimenti nell'organizzazione sociale, nelle relazioni umane e nei legami di parentela. Ma a questo periodo neolitico, a questa prima rivoluzione economica, durata migliaia di anni, ne sono seguite molte altre, che hanno portato, infine, alle moderne società industriali. Questo sviluppo storico complessivo, determinato dall'evoluzione delle forze produttive, si è svolto attraverso una moltitudine di società con traiettorie storiche particolari che, per ragioni che andrebbero analizzate in dettaglio in ogni caso, si sono separate o mescolate, si sono imposte o sono scomparse, dando a ogni società presa in considerazione un carattere proprio.
La diversità delle società preistoriche
Nel suo libro Et l'évolution créa la femme (E l'evoluzione ha creato la donna), pubblicato nel 2020, Pascal Picq, che si basa molto su Alain Testart, critica anche il marxismo in diverse occasioni, mettendo in discussione il legame tra economia e organizzazione sociale. Scrive "La conoscenza rifiuta l'evoluzionismo sociale ingenuo e ideologico e, soprattutto, il determinismo che ancora prevale tra sistema economico e organizzazione sociale ereditato dal pensiero marxista. Quest'ultimo è ancora importante. Ma è chiaro che, a parità di economia e di mezzi di produzione, i sistemi sociali differiscono notevolmente, e ancor più quando si tratta della condizione femminile". Pascal Picq presenta l'analisi marxista come se per essa esistesse un solo tipo di società per ogni livello tecnologico. In questo senso, egli vede il marxismo come un materialismo ossificato, meccanico e non dialettico, che è forse una conseguenza delle devastazioni operate dallo stalinismo nel campo del pensiero scientifico, che ha caporalizzato e sostituito il materialismo dialettico con una scolastica che ha cercato di stravolgere la realtà per farla rientrare in caselle predefinite.
In realtà, non c'è nulla di nuovo o di originale nella critica di Testart, Picq e pochi altri. È un vecchio dibattito che Marx stesso ha risolto. Nel 1845 scriveva: "A ogni stadio si dà un risultato materiale, una somma di forze produttive, un rapporto con la natura e tra gli individui, creato storicamente e trasmesso a ogni generazione da quella che l'ha preceduta, una massa di forze produttive, di capitale e di circostanze che, da un lato, vengono modificate dalla nuova generazione, ma che, dall'altro, dettano le sue condizioni di esistenza e le conferiscono uno sviluppo definito, un carattere specifico" (7). Le persone agiscono, sviluppano le loro tecniche, modificano le loro relazioni sociali e le relazioni che hanno al di fuori del loro gruppo, in una parola modificano la loro società mentre sono condizionate da essa, cioè dalle relazioni che stabiliscono e mantengono tra di loro.
Anche Giorgio Plekhanov, che ebbe il compito di introdurre il marxismo in Russia, discusse la natura fondamentalmente dialettica della concezione marxista dell'evoluzione delle società umane, in particolare nelle relazioni che le società contemporanee mantenevano tra loro, l'"ambiente storico". Nel 1895 disse: "Il clan è un tipo di comunità peculiare di tutte le società umane a un certo stadio della loro evoluzione. Ma l'influenza dell'ambiente storico differenzia notevolmente il destino dei clan nelle diverse tribù. Conferisce loro caratteristiche individuali, per così dire. Rallenta o accelera il processo di dissoluzione. In particolare, differenzia il processo di dissoluzione; e questa differenziazione condiziona la differenziazione delle forme sociali che sostituiscono il clan" (8). Ciò equivale a dire che le società preistoriche, che hanno una lunga storia, sono esse stesse un prodotto della storia.
L'influenza del processo storico sulla differenziazione delle società è evidente, anche quando guardiamo alle moderne società capitalistiche, che presentano caratteristiche comuni e caratteristiche diverse. Lo stesso modo di produzione si sviluppa in modo diverso a seconda della storia particolare di ogni paese, in relazione agli altri - quello che Trotsky chiamava sviluppo ineguale e combinato, che rende la storia delle società non storie lineari indipendenti, ma una storia intrecciata, in cui ogni società avanza tanto come risultato della dinamica delle proprie contraddizioni quanto sotto l'influenza dei suoi vicini, delle loro contraddizioni e, a un altro livello, delle contraddizioni generali del modo di produzione che condividono.
Il Neolitico, un cambiamento fondamentale
All'inizio del Paleolitico superiore, letteralmente l'Età della pietra in riferimento agli strumenti di pietra utilizzati all'epoca, diverse specie popolavano ancora la Terra. Solo l'Homo sapiens visse in questo periodo, avendo assimilato e/o soppiantato le altre specie. In queste società del Paleolitico superiore, le forze produttive erano ancora così poco sviluppate che non potevano esserci né sfruttamento né divisione della società in classi. La coesione di queste società non era garantita da uno Stato, un'autorità pubblica speciale imposta ai suoi membri e tagliata fuori da loro. Queste società si amministravano da sole e potevano funzionare solo sulla base della cooperazione. Uno dei problemi principali delle società più primitive era quello di garantire la sopravvivenza del gruppo e la sua riproduzione, il che, in un modo o nell'altro, poneva le donne al centro della società e non poteva portare sistematicamente alla loro oppressione, come hanno confermato numerose osservazioni etnologiche. Con un livello relativamente basso di sviluppo delle forze produttive e con la caratteristica comune di non sfruttare il lavoro altrui, gli uomini sono stati in grado di costruire, in situazioni molto diverse e per ragioni che devono essere analizzate in particolare, strutture sociali e culture molto varie che, all'interno dello stesso periodo paleolitico, hanno aperto a loro volta alcune possibilità di evoluzione che altre non hanno permesso. La stessa cottura dell'argilla produceva statuette nel Paleolitico superiore e, qualche millennio dopo, vasi per la conservazione.
Il Neolitico, letteralmente l'età della pietra recente, precedentemente nota come pietra levigata, si estende per diversi millenni, un periodo durante il quale le popolazioni imparano a conservare il cibo e alcune diventano sedentarie. Gli orti che probabilmente esistevano in alcune società alla fine del Paleolitico - si parla di società orticole - furono sostituiti da campi irrigati, con la terra spaccata dagli aratri. La divisione del lavoro aumentò, diventando un fenomeno generale piuttosto che marginale o puntuale. Il surplus di produzione, reso possibile dalle nuove tecniche, permise ai gruppi umani di queste società di affrancarsi dalla produzione di cibo. Essa divenne il fulcro della lotta tra le opposte classi sociali che stavano emergendo. Il lavoro degli altri, cosa fino ad allora impossibile, divenne sfruttabile e coloro che iniziarono a dominare finirono per creare un organo di costrizione sociale che l'umanità non aveva mai conosciuto prima, lo Stato, la cui funzione essenziale era quella di mantenere un certo equilibrio nelle società preda di contraddizioni sempre più violente, preservando gli interessi degli strati sociali dominanti.
Questa preistoria, dagli inizi del Paleolitico superiore al Neolitico, ha visto circa 1.500 generazioni di uomini e donne organizzarsi in migliaia di società, tutte caratterizzate da dinamiche di sviluppo molto diverse per ritmo e livelli raggiunti, e tutte con evoluzioni particolari praticamente sull'intero pianeta, in tutti gli ambienti, in tutte le condizioni materiali possibili.
Se guardiamo ai cosiddetti popoli tradizionali, le centinaia (9) di popoli senza Stato che sono sopravvissuti fino ad oggi o che sono stati osservati negli ultimi due o tre secoli, sappiamo che queste società possono essere state di cacciatori-raccoglitori, nomadi, semi sedentarie o sedentarie, società che praticavano l'orticoltura in varia misura, con o senza ricchezza, con o senza proprietà diversa da quella basata sull'uso. La schiavitù esisteva solo in alcune di queste società senza Stato, la cui economia era molto specifica. Queste società senza Stato avevano almeno tre diversi sistemi politici: l'autorità basata sul riconoscimento, sull'influenza o sulla ricchezza; la democrazia primitiva, basata su consigli, come tra gli Irochesi descritti da Morgan; e il cosiddetto sistema di lignaggio, basato su una discendenza ereditaria, patrilineare o matrilineare, che conferiva il potere all'individuo più anziano del lignaggio.
La diversità delle società preistoriche è in realtà molto più ampia, perché bisognerebbe tener conto di tutte quelle, la stragrande maggioranza, che sono scomparse senza lasciare alcuna traccia, né scritta ovviamente, né archeologica, che è impossibile descrivere nei dettagli perché si sono fuse con altre, o perché si sono evolute in società più moderne, quelle che hanno inventato gli Stati e portato l'umanità nella storia stessa. Le società osservate dagli etnologi sono quelle la cui evoluzione non ha preso questa strada, perché l'ambiente in cui esistono non lo ha reso necessario o non lo ha permesso. E quelle che si possono osservare oggi sono quelle che sono sopravvissute all'assalto delle società moderne e capitaliste, al loro colonialismo e imperialismo. Non sono state in grado di sopravvivere a questa spinta senza evolversi.
No, l'oppressione delle donne non è sempre esistita!
Per quanto riguarda le relazioni tra uomini e donne, molti scienziati sostengono che non ci sono prove che indichino che le società umane siano esistite prima sotto forma di matriarcato primitivo, in cui le donne dominavano l'intera comunità e detenevano le leve del potere. Un tale matriarcato non si trova in nessuna società osservata dagli etnologi e non esiste alcuna prova archeologica. Nemmeno Engels parlò di matriarcato. Ma il fatto che le donne non dominino non significa che siano oppresse. Heide Goettner-Abendroth, nel suo libro Les sociétés matriarcales (10), limita il significato della parola patriarcato, affermando che le società che descrive non sono società in cui le donne dominano gli uomini, un patriarcato rovesciato, ma società egualitarie, anche tra i sessi, e organizzate intorno alle donne. La divisione sessuale del lavoro, cioè la suddivisione tra i sessi dei compiti necessari alla sopravvivenza del gruppo, sembra essere comune a quasi tutte le cosiddette società tradizionali osservate, comprese le società di cacciatori-raccoglitori più egualitarie, comprese le società orticole descritte da Heide Goettner-Abendroth. Questo ci porta a pensare, come aveva già notato Engels ne L'origine della famiglia, che tale divisione doveva probabilmente esistere in forma elementare prima del Neolitico.
L'esistenza della divisione sessuale del lavoro, così come l'assenza di società dominate esclusivamente da donne, ha portato gli scienziati a cercare società primitive in cui non esistessero classi sociali in cui le donne fossero oppresse. Essi ritengono di aver trovato molte di queste società e che si tratti di "fatti irriducibili e indiscutibili". Molte di queste osservazioni sono state contestate da altri scienziati. Ma al di là delle controversie specialistiche, sono le interpretazioni che alcuni ne fanno e le conclusioni che ne traggono che consideriamo contaminate dalle pressioni del momento.
Secondo loro, la dominazione maschile è una caratteristica comune delle società preistoriche, e quindi di tutte le società conosciute che sono esistite fino a quel momento. Traggono questa conclusione dalle loro osservazioni, nonostante la diversità dell'organizzazione sociale delle società preistoriche, nonostante le osservazioni e le interpretazioni contrarie, nonostante i millenni trascorsi, nonostante le migliaia di società scomparse senza lasciare traccia. Consapevolmente o meno, reintroducono la "natura umana", o almeno fanno dell'oppressione una caratteristica invariabile delle società umane, come se non avessero una storia in questo senso.
I sostenitori dello strutturalismo della metà del XX secolo, che, seguendo Claude Lévi-Strauss, cercavano di studiare solo la "struttura" delle società attraverso caratteristiche invarianti, stavano già negando, con la loro scelta di società "senza storia", che la storia abbia un significato e che questo significato porti l'umanità alla possibilità di liberarsi della società di classe e quindi di rovesciare il sistema capitalista. Pascal Picq, prendendo come riferimento lo stile di vita delle grandi scimmie, conclude, nonostante alcune precauzioni standard, che "tutti i dati dell'etologia [lo studio del comportamento animale] e dell'etnografia indicano società dominate dalla violenza maschile e dalla coercizione femminile". Egli presenta addirittura il dominio maschile come una costante nella storia delle società preistoriche, con differenze di grado, sia con "società sempre più violente, in particolare contro le donne", sia con "un'accentuazione della violenza verso la fine della preistoria". Nella sua dimostrazione, tuttavia, è cauto perché non solo ammette che gli etnologi vedono le cose attraverso gli occhiali che la società ha messo sul loro naso, con i loro pregiudizi, ma deve anche tenere conto delle molte "eccezioni" osservate in tutti i tipi di società cosiddette tradizionali. Infine, se in un certo numero di società, siano esse di cacciatori-raccoglitori o di orticoltori, le donne sono disprezzate, rese in qualche modo invisibili, maltrattate o hanno pochissimo potere, questo è ben lontano dall'essere il caso sistematico. Quindi, quando Pascal Picq scrive che "lo spazio delle possibilità sociali non si situa tra società dominate da donne/matriarcato o uomini/ patriarcato, ma piuttosto tra una situazione di uguaglianza tra donne e uomini e disuguaglianze sempre più marcate, che culminano in forme di antagonismo sociale altamente coercitive", sta riassumendo lo stato delle ricerche e degli studi degli scienziati preistorici. Ma quando conclude questa stessa frase con "tutte queste società sono dominate dagli uomini", fa la scelta non etnologica, ma di fatto politica e ideologica, di presentare le cose dall'angolazione del dominio maschile invariante. Questo atteggiamento corrisponde a certe tendenze ideologiche attuali che, facendo del patriarcato il bersaglio di tutte le battaglie, decidono di ignorare la necessità di rovesciare il sistema capitalista per porre fine all'oppressione delle donne.
Inoltre, l'oppressione delle donne nelle cosiddette società tradizionali, non può essere giudicata alla stessa stregua di quella odierna. Nelle società descritte dagli etnologi, le sfere di attività degli uomini e delle donne appaiono spesso molto separate ma complementari, con gli uomini che monopolizzano le sfere della politica e delle relazioni con gli altri gruppi, sia pacifiche che belliche, e le donne che hanno poteri reali nella produzione di cibo. Indubbiamente, con l'emergere della ricchezza accumulata e immagazzinata all'inizio del Neolitico, e ancor più con l'emergere delle classi sociali e dello sfruttamento del lavoro altrui, le relazioni esterne, la guerra e il commercio divennero fondamentali per lo sviluppo delle società, e queste differenze divennero vettori del dominio dell'uomo sulla donna, relegata alla produzione di cibo e alla riproduzione della forza lavoro.
La scelta fatta da Pascal Picq e altri, ripetiamo, è più sociale e politica che scientifica. Anche quella che stiamo facendo noi è sociale e politica, ma fa parte della lotta consapevole dell'umanità per liberarsi da ogni forma di oppressione e sfruttamento. È solo con il Neolitico che l'oppressione della donna diventa sistematica, un fatto generale, che cambia carattere sotto la spinta dell'evoluzione delle forze produttive, dove, "anche in casa, è l'uomo a prendere il timone; la donna viene degradata, asservita, diventa schiava del piacere dell'uomo e mero strumento di riproduzione" (11), un cambiamento globale e decisivo per l'umanità.
Questa scelta, che sta alla base del marxismo, fornisce un'arma politica a coloro che si ribellano all'oppressione delle donne e cercano una soluzione. Comprendendo che questa oppressione è il prodotto dell'evoluzione delle forze produttive in una fase che ha visto la nascita dell'accumulo di ricchezza e dello sfruttamento, capiamo che potremo porre fine a questa oppressione solo ponendo fine alla necessità di accumulare e sfruttare. Rovesciando il capitalismo, organizzando razionalmente l'economia su scala planetaria, la classe operaia sarà in grado di costruire un mondo in cui ognuno riceva secondo i propri bisogni e lavori secondo le proprie capacità, indipendentemente dal proprio stato di salute, un mondo in cui le strutture collettive permetteranno alle donne di uscire definitivamente di casa e di partecipare pienamente alla vita pubblica, un mondo in cui le unioni non saranno basate su vincoli economici. Solo a queste condizioni l'uguaglianza per tutti, compresi i sessi, potrà diventare realtà.
20 giugno 2023
1 - Pour la science n° 537, luglio 2022, dossier p. 36-47 ; Pascal Picq, Et l'évolution créa la femme, Odile Jacob, 2020...
2 - Introduzione alla ristampa del 1891 di L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato.
3 - Karl Marx e Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, 1845.
4 - Commenti di Alain Testart al suo libro Le communisme primitif, 1985.
5 - Alain Testart, Avant l'histoire, Gallimard, 2012
6 - Ibidem.
7 - Marx ed Engels, Ideologia tedesca, 1845.
8 -Plekhanov, Saggio sullo sviluppo della concezione monista della storia, capitolo V, 1895.
9 - Amnesty International parla di 5.000 popoli indigeni che rappresentano oggi quasi 500 milioni di persone, anche se la definizione di popoli indigeni è ampia.
10 - Pubblicato da Des femmes - Antoinette Fouque nel 2019.
11 - L'origine della famiglia, capitolo II.3