(da "Lutte de Classe n° 90 - settembre 2005)
Fiduciosi di poter ritornare facilmente al potere dopo cinque anni di governo Berlusconi, i dirigenti dei partiti italiani detti di centrosinistra si preparano alla scadenza delle prossime elezioni politiche, previste per aprile 2006. Le "primarie" che si sono intesi per organizzare il 16 ottobre 2005, dovrebbero essere l'ultima tappa del tentativo di preparare una coalizione di governo, per designare il loro candidato al posto di presidente del Consiglio. Costui, molto probabilmente, non sarà altri che Romano Prodi, ex presidente della Commissione europea e soprattutto ex presidente del Consiglio dei Ministri italiano, poiché già lo fu dal 1996 al 1998.
Quanto al nome della coalizione di centrosinistra, la scelta è già fatta : sarà semplicemente l' Unione, come se i suoi dirigenti non considerassero utile aggiungerci un qualificativo che indichi perlomeno una vaga colorazione politica.
I dirigenti dell'Unione stimano evidentemente che il semplice fatto di promettere la sostituzione di Berlusconi costituisca in sé un programma. Guardandosi dal prendere il minimo impegno nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori e degli strati popolari, si accontentano di riproporre a questi ultimi, con qualche minima differenza, la stessa coalizione e gli stessi uomini che alle precedenti elezioni legislative del 2001 : uomini e partiti il cui discredito era tale, dopo aver governato l'Italia dal 1996, da aver permesso la facile vittoria della coalizione berlusconiana.
Ma in cinque anni, sperano, il ricordo dovrebbe essere svanito ed il discredito nei confronti dell'équipe al potere, questa volta di destra, dovrebbe giocare a favore di una coalizione che non osa neanche rivendicare l' etichetta di centrosinistra, pure ben moderata, che generalmente gli attribuisce la stampa !
L'alternanza... di due politiche simili
E' negli anni novanta che, dopo molti tentativi, la borghesia italiana è riuscita a dotarsi di un sistema elettorale maggioritario capace di garantire la stabilità governativa tramite l'alternanza al potere di due grandi coalizioni. L'appoggio dato a questa riforma dall'ex-Partito Comunista, diventato Partito democratico della sinistra, poi semplicemente Democratici di sinistra (DS), fu decisivo. Fu completato dalla costituzione di due coalizioni elettorali che tentavano di federare da un lato i partiti di destra, dall'altro quelli di sinistra.
A destra, i capitali e le reti televisive del magnate dell'audiovisivo Berlusconi gli permisero di lanciare il partito Forza Italia. Si aggiunse l'ex partito neofascista MSI, che oramai si battezzò Alleanza nazionale e proclamò di essere diventato un partito rispettabile... e che rispetta le istituzioni. Beneficiò anche del rinforzo di qualche coccio della vecchia Democrazia cristiana, come anche della Lega Nord di Umberto Bossi, costruita intorno alla sua demagogia "nordista" contro l'Italia meridionale accusata di tutti i mali. Così si costituì la coalizione berlusconiana, accozzaglia di affaristi, di politicanti riciclati e di demagoghi di destra, addirittura di estrema destra, raggruppati secondo le elezioni col il nome di "Polo delle libertà" o di "Casa delle libertà".
A sinistra, gli sforzi dell'ex-PC, diventato PDS e poi DS, per costituire un "largo" raggruppamento, si tradussero nella creazione dell'Ulivo. Se la destra aveva bisogno di un Berlusconi che poteva presentarsi come un uomo "nuovo", la sinistra, dal canto suo, aveva bisogno di una figura di spicco proveniente dal serraglio politico. Fu l'ex democratico cristiano Romano Prodi.
Questo tecnocrate, che fu per molto tempo alla testa dell'IRI, l'Istituto per la ricostruzione industriale che riuniva l'insieme delle imprese del settore a partecipazioni statali, era a questo titolo responsabile di una gran parte delle privatizzazioni fatte durante questo periodo... e degli scandalosi regali fatti a quest'occasione al settore privato. Ma accettò di dirsi di sinistra e di darsi il volto popolare del buon "professor Prodi" che passeggia in bicicletta con sua moglie nelle strade di Bologna.
Ciò bastò per permettere ai DS di catapultarlo alla testa dell'Olivo, giustificando tale politica presso i loro militanti col vecchio argomento che per vincere le elezioni, la sinistra doveva guadagnare voti sulla sua destra, dunque al centro dello scacchiere politico. Con tale pretesto non solo abbandonarono ogni pretesa di cambiare la società, ma invitavano i loro stessi elettori degli strati popolari a dare sostegno a dei politici borghesi come Prodi.
La vittoria elettorale dell'Ulivo nel 1996 permise così di installare un governo di centrosinistra che, sotto la direzione di Prodi, condusse una politica di austerità particolarmente antioperaia. Dopodiché, sostituito nel 1998 alla testa del governo dal dirigente dei democratici di sinistra Massimo D'Alema, Prodi presentò allora tutte le garanzie per essere installato alla testa della Commissione europea.
Per le elezioni del 2001, la coalizione di sinistra scelse una figura di spicco ancora più marcata a destra nella persona di Francesco Rutelli. Ex radicale passato ai Verdi, profondamente anticomunista, diventato sindaco di Roma e avendone fatto un trampolino per lanciare il raggruppamento centrista "Democrazia è Libertà" (DL) più conosciuto col simbolo della Margherita, Rutelli non riuscì ciononostante ad apportare alla coalizione di sinistra i voti di centro necessari per battere Berlusconi. Tanto più che le numerose astensioni nei quartieri popolari testimoniavano della fuga degli elettori di tali quartieri, sempre più delusi da queste manovre.
Il problema di Rifondazione
Di fatto, il solo elemento che, a sinistra, opponeva una qualche resistenza alla normalizzazione della vita politica, fu il Partito della rifondazione comunista (PRC), detto più semplicemente Rifondazione, costituito nel 1991 dai membri del vecchio Partito comunista che rifiutarono la sua trasformazione in un partito "democratico di sinistra" e che volevano mantenere l'etichetta comunista.
In realtà, fu chiaro che la politica di Rifondazione non si sarebbe distinta tanto dalla politica tradizionale della sinistra riformista. Rapidamente, il partito si dichiarò pronto a far parte di una maggioranza parlamentare di sinistra, e dal 1996, fece parte effettivamente della maggioranza parlamentare del governo Prodi.
Ciononostante, anche sostenendo tale governo, i dirigenti di Rifondazione dovevano salvaguardare, agli occhi della loro propria base, l'apparenza di una politica radicale. Così nel 1998, tentando di imporre a Prodi un impegno per l'adozione delle 35 ore, il leader di Rifondazione Fausto Bertinotti provocò la crisi di governo che comportò il ricambio di Prodi con D'Alema. Nello stesso tempo ebbe luogo una scissione. Una frazione di Rifondazione abbandonò il partito, sotto la direzione di Armando Cossutta, per creare il PCdI (Partito dei comunisti italiani) che, continuando a far parte della maggioranza governativa, fu gratificato con la concessione di due ministri.
Lo scacco subito dalla sinistra alle elezioni del 2001 restituì ogni libertà a Rifondazione. Bertinotti poté offrirsi il lusso di proclamare, al congresso del 2002, che il suo partito operava una "svolta a sinistra". Proclamando il riformismo in crisi, Bertinotti dichiarò di orientarsi, secondo i suoi termini, "radicalmente a sinistra" e verso "un' attualizzazione della lotta sociale e politica per la trasformazione della società capitalista". Questa lotta doveva essere basata, secondo lui, sul "movimento dei movimenti" in altre parole il movimento altromondista, aureolato di ogni qualità e in particolare qualificato di "anticapitalista".
Ma all'ultimo congresso di Rifondazione, tenutosi nella primavera 2005, l'avvicinarsi della scadenza elettorale si è fatto sentire. Dimenticato l'orientamento "radicalmente a sinistra" e che d'altronde non era mai esistito se non a chiacchiere : si trattava ormai di preparare l'integrazione di Rifondazione nell'Unione sotto la guida di Prodi e di far interinare un orientamento che vada fino alla partecipazione al governo.
Del resto, Bertinotti non aveva aspettato il congresso per affermare questo orientamento e, più generalmente, per cancellare le apparenze radicali che rivestiva ancora Rifondazione. Bertinotti ormai si dice "non violento". Afferma il suo disaccordo e la rottura con "una tradizione di violenza" presente secondo lui nel movimento operaio ! Ha assistito, per esempio, alla cerimonia religiosa celebrata a Roma in memoria dei carabinieri del corpo di spedizione italiano caduti in Iraq, e non ha mancato di mostrare sempre più compassione per il Papa, presentato come un uomo "che ama la pace".
La mozione presentata da Bertinotti che indica la svolta "governativa" di Rifondazione ha raccolto al congresso circa il 60% dei voti, contro un'opposizione divisa essa stessa in quattro mozioni.
La principale, presentata da Claudio Grassi, era quella dei militanti di Rifondazione raggruppati intorno alla rivista l'Ernesto, che rivendicano una concezione del partito vicina a quella dei partiti stalinisti tradizionali. Mentre nei precedenti congressi tale tendenza si era grosso modo allineata dietro Bertinotti, questa volta presentava la sua propria mozione. Questa, raccogliendo più del 26% dei voti, approvava l'accordo con il resto della sinistra per costituire una maggioranza di fronte a Berlusconi ma, a differenza di Bertinotti, si pronunciava contro la partecipazione al governo.
Le altre tre mozioni erano presentate dalle diverse tendenze presenti in Rifondazione che si rifanno al trotskismo. Queste si pronunciavano, benché con diverse sfumature, contro la linea di partecipazione al governo avanzata da Bertinotti. Una mozione era presentata da Marco Fernando nel nome di Progetto comunista e raccoglieva il 6,51% dei voti. Un'altra mozione, che raccoglieva il 6,5% dei voti, era firmata da Gigi Malabarba, nel nome dei militanti italiani del Segretariato unificato della Quarta internazionale che, dopo aver sostenuto per anni la maggioranza bertinottiana, stimava malgrado tutto non poterla seguire fino alla sua svolta ministeriale. Infine, l'ultima mozione presentata dai militanti del gruppo Falcemartello - legato alla tendenza marxista britannica originaria del gruppo "Militant" - ne raccoglieva l'1,64%. Globalmente, le tre tendenze dette "troskiste" ottenevano così il 14,65% dei voti, una percentuale vicina a quella ottenuta nel corso dei congressi precedenti, nei quali solo una mozione Progetto comunista si opponeva a quella della maggioranza.
Dei militanti veramente vicini al trotskismo avrebbero evidentemente meglio da fare che continuare, con la loro presenza nel partito, a dare una cauzione alle manovre politiche di un Bertinotti. Per difendere una politica realmente comunista, non basta smarcarsi, ogni due o tre anni, con una mozione in un congresso, dalla politica della direzione : nei confronti dei lavoratori, delle masse popolari, tali militanti appaiano in ogni modo come militanti di questo partito, corresponsabili della sua politica.
In ogni caso, queste opposizioni interne erano attese e non costituivano una sorpresa per Bertinotti. Questi è apparso determinato, non solo a far passare la sua linea, ma anche ad imporre una direzione omogenea ed a limitare la rappresentazione delle diverse tendenze negli organismi dirigenti del partito.
In modo evidente, in un periodo in cui il partito potrebbe essere rappresentato al governo, Bertinotti vuole evitare che voci discordanti si facciano sentire. In questo modo si protegge contro le critiche che potrebbero emergere in seno al partito stesso, e in più dà garanzie ai suoi alleati che vogliono essere sicuri che Rifondazione sarà un partner affidabile : se partecipa all'Unione e ad un governo di centrosinistra, il partito parlerà con una sola voce, quella di Bertinotti e di quanti gli sono vicini.
Le primarie
Così l'Unione si è assicurata l'apporto dei voti costituito dall'elettorato di Rifondazione senza aver preso il minimo impegno nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori e degli strati popolari. Al contrario, l'atteggiamento di Bertinotti dà all'Unione l'assicurazione che, se il centrosinistra ritorna al governo, Rifondazione eviterà di darsi a simulacri di opposizione di sinistra, come l'aveva fatto tra il 1996 ed il 2002.
D'altra parte, se per designare ufficialmente, in ottobre, il candidato dell'Unione, è stato scelto il meccanismo delle primarie, ciò non è dovuto solo all'ammirazione beata che una parte dei dirigenti dei DS mostrano per il partito democratico americano e per il suo modo di funzionamento, presi dalla frenesia di dimostrare quanto sono un partito borghese e di gestione. Si tratta di un tentativo per imporre alla coalizione una direzione, che a sua volta imponga una ed una sola politica.
Nella loro ricerca sfrenata di alleanze al centro, i DS sono riusciti ad aggiungere all'Ulivo una serie di piccoli partiti, in particolare l'Udeur (Unione dei democratici per l' Europa), i Verdi, la Margherita di Rutelli ed anche l'Italia dei Valori, piccola curia costituita intorno all'ex giudice Antonio Di Pietro, conosciuto per essere stato negli anni Novanta il promotore dell'operazione Mani pulite contro la corruzione. Per essere eletti, i politici a caccia di voti che costituiscono tali partiti hanno assolutamente bisogno dei voti popolari, in particolare di quelli degli elettori DS, che solo i meccanismi dell'Unione possono portargli. Non per questo sono meno arroganti, né meno inclini a tentare di dettare la loro politica e le loro scelte all'insieme della coalizione, tirandola ogni volta un po' più a destra.
Le primarie sono state così un mezzo per calmare almeno provvisoriamente Rutelli e le sue pretese a dirigere la coalizione dell'Unione. I DS, che rappresentano la parte più consistente dell'elettorato di sinistra, ed i cui voti sono quindi determinanti, non hanno presentato candidati. Appoggiando la candidatura di Prodi, si assicurano che sarà lui il candidato designato per il posto di presidente del Consiglio. Rutelli e la Margherita hanno preferito, piuttosto che rischiare un risultato derisorio, non presentare candidati. Ciò non impedisce fino ad ora Rutelli di mugugnare periodicamente contro Prodi ed i DS, accusati di "egemonismo", e a volte finanche di quelle che considera come derive di sinistra !
D'altra parte, Rutelli si è specializzato negli appelli ad altri piccoli partiti del centro che attualmente fanno parte della coalizione berlusconiana. Rutelli, che dichiara auspicare una "convergenza" con questi partiti che battezza generosamente "riformisti" è pronto fin da oggi a chiamarli alla riscossa dell'Unione. Si può prevedere che non mancherà di continuare a farlo se questa arrivasse al governo... e che costoro potrebbero rispondere positivamente, soprattutto se posti di ministro fossero promessi ai transfughi del berlusconismo. A meno che la manovra di ultima ora di Berlusconi, promettendo a questi partiti il ritorno al sistema elettorale proporzionale, riesca a mantenerli saldamente dalla parte della coalizione di destra.
Ma mentre questa specie di divisione dei ruoli tra Prodi e Rutelli permette a quest'ultimo di coprire il fianco destro dell'Unione, nello stesso tempo le primarie danno modo a Rifondazione di esprimere la sua differenza, senza che l'Unione prenda il minimo rischio di farsi trascinare in una scalata sulla sua sinistra.
Un "progetto" bloccato dal lato dei lavoratori
Il regolamento definito per le primarie in effetti è chiaro, e definisce i contorni di quest'unione di centrosinistra che si prepara a ritornare al governo. In effetti, stabilisce che tutti i candidati alle primarie devono riferirsi allo stesso "progetto per l'Italia", testo di due pagine che precisa "il principio delle azioni dell'Unione".
Ci si trovano frasi generali con cui tale Progetto per l'Italia dichiara voler apportare al paese "un futuro di pace, di libertà e di benessere". Dopodiché afferma che l'Unione "si impegna a difendere i principi della Costituzione", "in quanto elemento costitutivo della democrazia italiana".
Ed è ancora nel nome dell'articolo 11 Costituzione, che dichiara : "l'Italia ripudia la guerra come strumento di attacco alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali", che l'Unione si dice per "la promozione della pace, della giustizia e della libertà". Ma il Progetto per l'Italia non si impegna a ritirare le truppe italiane presenti in Iraq al fianco delle truppe americane. I dirigenti dell'Unione criticano periodicamente l'allineamento di Berlusconi sulla politica americana in Iraq, ma questa assenza di impegni precisi è significativa. Interrogato da un giornalista che gli chiedeva se ritirerebbe le truppe italiane dall'Iraq "alla Zapatero", vale a dire immediatamente, Prodi d'altronde ha risposto che in effetti si impegnerebbe verso questo ritiro ma "alla Prodi" e non alla maniera del Primo ministro spagnolo dopo la sua elezione.
Ciò sembra per lo meno voler dire che Prodi non vuole impegnarsi, almeno su questo punto. Tanto più che nel progetto non si trova niente sulla politica estera che l'Italia "prodiana" potrebbe promuovere, ed in ogni caso non una sola frase critica nei confronti della politica imperialista. In cambio ci si trova una frase che proclama che il terrorismo è "nemico dell'umanità intera", un nemico che l'Unione si impegna dunque a combattere di concerto con le altre potenze europee.
Ma, anche secondo Berlusconi, l'invio dell'esercito italiano in Iraq non era un atto di guerra ma un contributo alla "lotta contro il terrorismo" tramite truppe chiamate, ipocritamente, truppe di "difesa della pace". Il loro invio era dunque conforme al famoso articolo 11 della Costituzione, capolavoro di ipocrisia esso stesso quando dice che l'Italia "ripudia la guerra" !
Certo, ci si afferma che, facendo la scelta "di una forte integrazione economica, sociale e territoriale dell'Europa (...) l'Unione si impegna a favorire l'adozione su scala nazionale ed europea di politiche capaci di assicurare una più forte coesione sociale, di ridurre le disparità e le ineguaglianze, e di contribuire a che l'Europa si affermi come una zona competitiva ed all'avanguardia nell'economia della conoscenza".
Ci si apprende anche che l'Unione vuole "reagire al declino" con "una nuova economia, una nuova qualità dell'ecosistema, una nuova società", che comporteranno "un aumento dei posti di lavoro, un miglioramento delle condizioni di vita, una ridistribuzione a favore degli strati sociali che hanno maggiormente sofferto della diminuzione del potere di acquisto". Ci si apprende anche che l'Unione "si impegna ad un rapido riorientamento delle politiche fiscali con obiettivi di lotta contro l'evasione fiscale, di equità e di progressività, il sostegno alla produzione, al reddito, alle famiglie ed alla protezione dell'ecosistema", che "proporrà e sosterrà politiche industriali per rilanciare la produttività e per qualificare l'impresa di fronte al nuovo ciclo tecnologico ed all'evoluzione necessaria della nostra specializzazione produttiva".
Una sola cosa è chiara in queste frasi generiche e in questo gergo convenzionale : "l'impresa", vale a dire i capitalisti, continueranno a ricevere larghe sovvenzioni dello Stato col pretesto di aiutarli a reagire ad un preteso "declino" dell'economia italiana, che in ogni caso non è certo un declino dei loro benefici. E se un' "evasione fiscale" è messa all'indice, è al massimo quella dei piccoli commercianti e dei liberi professionisti, ma non certo i benefici dei grandi gruppi capitalisti che sfoggiano alla Borsa. Operai ed impiegati, dal canto loro, dovranno contentarsi di qualche vaga promessa sul potere di acquisto e di una frase che dice che "il lavoro dovrà ritrovare la sua centralità" (ma in cosa dunque l'aveva persa?) e "sarà rinforzato, favorendo l'occupazione, e combattendo la precarietà e sostenendo la qualità professionale".
I diritti sociali, il diritto alla pensione, che in questi ultimi anni sono stati drasticamente ridotti, sono trattati nello stesso modo, con una frase che proclama che "saranno rinnovate e rinforzato le politiche di welfare", parola inglese diventata di moda per designare una politica sociale e che presenta il vantaggio di poter significare tutto e niente.
Quanto ai servizi pubblici, sempre più degradati, non meritano neanche una linea, tranne forse questa frase che dice che "l'Italia di domani dovrà avere nello stesso tempo, più politiche pubbliche e più mercato". E aggiunge che "le politiche pubbliche dovranno affermarsi in termini di grandi orientamenti di protezione dei beni comuni e delle risorse collettive" mentre "il mercato dovrà essere il luogo della trasparenza, delle regole, dello sviluppo dei beni e dei servizi, della presenza attiva dei consumatori".
Se si capisce bene, non si tratta dunque di rivedere la politica di privatizzazione dei servizi pubblici che contribuisce a degradarli sempre di più, ma di scommettere sul mercato fatto di "trasparenza e di regole". Il progetto dell'Unione non va fino a spiegare come il mercato, luogo dell'opacità e dell'assenza di regole, potrebbe trasformarsi nel suo contrario in virtù del discorso prodiano.
Per avere un quadro d'insieme di tale Progetto per l'Italia, bisogna aggiungerci una frase sull'immigrazione, che dichiara che "con l'acquisizione progressiva della cittadinanza, l'immigrazione regolare potrà apportare un contributo nuovo al futuro del paese in termini di crescita, di praticabilità del welfare"... Il che vuol dire soprattutto che l'Unione si guarda bene dal far promesse a questo proposito, e soprattutto di abolire le leggi anti immigrati elaborate dai governi successivi - tra cui il precedente governo Prodi.
Per finire, ci si trova qualche frase sul Mezzogiorno il cui sviluppo è proclamato "la grande opportunità del paese", come in tutti i discorsi dei politici italiani da decenni, senza che ciò cambi alcunché... tranne servirsene come un pretesto di più per versare, tramite diversi canali, sovvenzioni di Stato ai grandi capitali privati.
Si vede che da un capo all'altro del progetto, i suoi redattori hanno soprattutto fatto attenzione ad una cosa : evitare di dire tutto ciò che in un modo o in un altro possa rappresentare una promessa precisa ai salariati ed agli strati popolari. Nessuna cifra di rivalorizzazione dei salari o delle pensioni è indicata, nessuna misura precisa contro la precarietà, niente in materia di alloggi o di servizi pubblici. Dal lato dei lavoratori, degli strati popolari che, dopo cinque anni di Berlusconi, stimano che in ogni modo non hanno altra scelta che votare per l'Unione, questa pensa di non aver bisogno di promettere alcunché per avere i loro voti. In cambio, tiene a dimostrare, nei confronti della borghesia e dell'elettorato del centro che sollecita, che non cede a nessuna rivendicazione e dunque non rischia nessuna accusa di "demagogia", come i ceti ai quali l'Unione vuol piacere qualificherebbero immancabilmente tali promesse fatte ai lavoratori.
L'ipocrisia di Rifondazione
Infine, last but not least, il regolamento delle primarie annesso al Progetto per l' Italia precisa ancora una cosa : una volta effettuate tali primarie, "il candidato alla direzione della coalizione, nei sessanta giorni consecutivi alla sua designazione, avvia sotto la sua responsabilità l'elaborazione del programma di governo dell'Unione per le prossime elezioni legislative". Anche se il testo precisa che dovrà prendere cura di consultare "tutte le componenti dell'Unione", è dunque Prodi che una volta designato, deciderà "sotto la sua responsabilità" del programma di governo del centrosinistra.
Si può dunque immaginare cosa sarà un tale programma, prefigurato dal Progetto per l'Italia. E' chiaro che non si può certo contare su Prodi per introdurvi alcunché di concreto a favore dei lavoratori, lui che dal 1996 al 1998 fu il maestro d'orchestra di una politica di austerità feroce e che ha già annunciato di temere, se il centrosinistra arriva al governo, che il governo Berlusconi gli lasci le casse vuote. Possiamo già indovinare il seguito : bisogna accettare i sacrifici, dirà Prodi, per rimediare alla disastrosa gestione di Berlusconi.
Ora, per giustificare la sua scelta di partecipare ad un eventuale governo, Bertinotti ha insistito sulla lotta di Rifondazione per un programma che comporti "le grandi riforme di rottura col ciclo neoliberale". Ma non solo il più potente dei microscopi non potrebbe scoprire una tale rottura nel Progetto per l'Italia, che prefigura esso stesso il programma di Prodi, ma la discussione sul programma che vorrebbe imporre Rifondazione non ha avuto luogo, e non si vede come potrebbe aver luogo una volta Prodi intronato ufficialmente capo dell'Unione.
Nella sua mozione congressuale, Bertinotti metteva in primo piano l'impegno del ritiro delle truppe italiane dall'Iraq, e l'abolizione di un certo numero di leggi fatte dal governo Berlusconi. In particolare parlava di abrogare la legge 30, legge adottata nell'autunno 2004 che moltiplica le forme di lavoro precario ; di abrogare la legge Moratti, che riforma l'insegnamento a favore della scuola privata ; la legge Bossi-Fini che ha aggravato lo statuto dell'immigrazione sottomettendola praticamente ai bisogni del padronato ; infine la legge sulla fecondazione assistita, legge particolarmente reazionaria del governo Berlusconi che porta, fra l'altro, ad impedire la ricerca sulle cellule di embrioni umani ; una legge che il referendum di giugno scorso non è riuscito a rimettere in discussione, grazie al sostegno accanito della Chiesa cattolica... ed alla dimissione generale dei dirigenti politici di fronte a tale pressione, compresa la maggioranza dei dirigenti del centrosinistra, tra cui Rutelli.
Su questi punti, in primo luogo si può osservare che la legge 30 di Berlusconi che instaura la precarietà non era altro che il prosieguo del "pacchetto Treu " adottato nel 1996 sotto il precedente governo Prodi e che instaurava, già, la precarietà col pretesto di favorire l'occupazione ; che la legge Moratti che abbandona l'insegnamento agli interessi privati non è altro che la continuazione della legge Berlinguer adottata dal centrosinistra e che va nella stessa direzione ; che la legge Bossi-Fini sull'immigrazione è il prosieguo della legge Turco-Napolitano adottata dal centrosinistra. Non si vede, dunque, perché mai un governo Prodi vorrebbe seriamente rimettere tutto ciò in discussione. D'altronde, Rifondazione stessa sosteneva il governo Prodi, nel 1996-1998, al momento dell'adozione del "pacchetto Treu " e della legge Turco-Napolitano come anche della preparazione della riforma Berlinguer. Si può dunque dubitare della sincerità di Bertinotti quando dice di voler battersi su questi punti del programma.
Ma in ogni modo Rifondazione non ha avuto neanche l'occasione di discuterne con i suoi interlocutori dell'Unione prima delle primarie. Non ha neanche fatto di tale programma, o di qualche punto di questo programma, una condizione per partecipare all'Unione ed apportargli i voti degli elettori di Rifondazione. Non si vede come potrebbe farlo dopo la tenuta delle primarie e una vittoria di Prodi.
Ciò non impedisce a Bertinotti, contro ogni evidenza, di affermare che la discussione sul programma non è chiusa, e che al contrario avrà luogo solo dopo le primarie poiché il regolamento dell'Unione precisa che Prodi dovrà consultare tutte le sue componenti. E di aggiungere che Prodi dovrà tanto più tener conto di Rifondazione e delle sue esigenze che la percentuale ottenuta da Bertinotti a queste primarie sarà più forte... e dunque che i militanti e gli elettori di Rifondazione dovranno mobilitarsi per partecipare alle primarie.
Questi argomenti sono noti, invariabilmente branditi dai riformisti di ogni genere. Si preparano a giustificare la loro propria capitolazione col rapporto di forze. Già si può prevedere il seguito : quando sarà evidente che Rifondazione non avrà smosso di un pollice il governo Prodi, non avrà modificato di un millimetro la sua politica pro capitalista e che al contrario il partito di Bertinotti avrà portato la sua legittimazione alla politica anti operaia del centrosinistra, la spiegazione sarà già pronta : il rapporto di forze non sarà stato sufficiente, gli elettori abbastanza numerosi a rendersi alle primarie per dare i loro voti a Rifondazione ; i lavoratori non saranno entrati in lotta per "aiutare" Rifondazione a far passare le sue proposizioni in seno al governo, eccetera.
E' necessaria una politica di classe
L'Italia ormai è ben installata in una situazione in cui due raggruppamenti di partiti gestiscono il paese in alternanza. L'uno, col viso cinico e senza complessi del capitalista Berlusconi, e l'altro col viso ipocrita del professor Prodi, si danno il cambio per gestire gli affari della borghesia dichiarando a quanti vogliono ascoltarli che con la loro coalizione al governo l'economia - vale a dire gli affari del padronato - si porterà meglio. Né la destra berlusconiana certo, e neanche la sinistra, si danno la pena di fare promesse agli strati popolari, talmente sono sicuri che il discredito dell'uno permetterà in ogni modo all'altro, ad un momento o ad un altro, di ritornare al governo.
Non è sicuro che l'Unione vincerà le prossime elezioni politiche e giungerà al governo, e neanche che in tal caso accorderà a Rifondazione qualche ministero. In ogni caso, resterà che Bertinotti e la maggioranza di Rifondazione, nella speranza di qualche posto di ministro, si saranno giunti puramente e semplicemente ad un raggruppamento politico borghese. E ciò qualunque siano le giustificazioni ipocrite che potranno brandire.
Così, i militanti che avevano raggiunto Rifondazione nel 1991, e che l'avevano fatto per ostilità all'orientamento riformista manifestato dalla maggioranza dell'ex-Partito comunista italiano, vedono oggigiorno il loro partito aderire tranquillamente a quest'orientamento che rifiutavano. La scelta di aderire all'Unione presieduta da Prodi, alle condizioni di Prodi, è da parte sua una capitolazione aperta.
La "rifondazione comunista" è in questo modo conclusa. Non ha nulla di una rifondazione, come non ha niente di comunista. Tutte le chiacchiere bertinottiane sul "movimento dei movimenti", il "nuovo movimento operaio" ed altre ancora, sono servite solo da copertura ad una meschina operazione politica che mira a proporre una legittimazione di sinistra ad un governo che rimpiazzerebbe quello di Berlusconi.
E questa pretesa "rifondazione comunista" in quasi quindici anni di esistenza, non ha fatto nulla per preparare i militanti che volevano rimanere comunisti a combattere la borghesia sul solo terreno dove può essere combattuta, vale a dire il terreno di classe, il terreno della lotta, degli scioperi, delle manifestazioni, dell'organizzazione operaia.
Ma questa lotta, solo un partito veramente comunista e rivoluzionario può prepararla, e ciò è più urgente che mai.
15 settembre 2005