Da "Lutte de classe n° 222 - Marzo 2022
Nathalie Arthaud, insegnante di 51 anni, è stata la candidata di Lutte ouvrière (Lotta operaia) alle elezioni presidenziali francesi dei 10 e 24 aprile. Al seondo turno del 24 aprile erano presenti solo due candidati: il preidente uscente Emmanuel Macron e la candidata del Rassemblement National (Assembramento nazionale) Marine Le Pen. Macron è stato rielletto presidente con il dei voti. Pubblichiamo qui gli interventi di Nathalie Arthaud e di Jean-Pierre Mercier, 54 anni, operaio alla Stellantis, nel corso del comizio del 12 febbraio di Lutte ouvrière a Parigi.
137 miliardi di euro! Questi sono i profitti previsti per il 2021 dalle 40 maggiori aziende di questo paese. Nel mezzo di un'epidemia, nel mezzo di una crisi economica, i capitalisti faranno quest'anno i profitti più giganteschi che abbiano mai fatto.
Nel frattempo, sei milioni di lavoratori sono disoccupati o ridotti a lavori precari. Nel frattempo, anche per coloro che lavorano, con l'aumento dei prezzi - che si tratti di energia, benzina o cibo - il momento in cui il conto bancario passa al rosso arriva un po' prima ogni mese. Molti lavoratori non fanno più il pieno alla stazione di servizio, ma riempiono solo metà o un quarto del serbatoio; le madri spiegano che riscaldano solo la stanza dove dormono i figli; e un frigorifero o una lavatrice guasti diventano un disastro che non si può affrontare.
È questa la questione principale che andrebbe trattata in questa campagna elettorale: l'arricchimento indecente della classe capitalista da una parte, l'impoverimento costante del mondo del lavoro dall'altra. I politici borghesi candidati a queste elezioni lo sanno perfettamente. Sanno a quanta rabbia può portare questa situazione, quanto comporta un rischio di esplosione sociale. Ecco perché dedicano tanta energia a parlare di altro e cercano di concentrarsi su tutto, tranne che sul problema essenziale del mondo del lavoro: quello della busta paga e dell'ammontare delle pensioni. Tutta questa campagna elettorale è iniziata come un diversivo!
Da due anni a questa parte, la Covid è stata, per governo e opposizione, una grande opportunità di distogliere l'attenzione dai problemi sociali.
Ricordiamoci che Macron ha detto all'inizio dell'epidemia: "Siamo in guerra". E durante le guerre, come tutti sanno, non si parla di salari, non si parla di condizioni di lavoro, non si parla di aumento dei prezzi. Si deve fare silenzio e stringere i denti.
Durante la prima guerra mondiale, i padroni dicevano ai lavoratori che alzavano la testa che era vergognoso rivendicare mentre i coraggiosi soldati rischiavano la vita nelle trincee. E poi nel 2020 hanno fatto lo stesso, dicendoci di stare zitti e di pensare ai sacrifici del personale sanitario che stava "al fronte" ogni giorno... Che farsa!
I governi che si sono succeduti hanno distrutto l'ospedale pubblico, chiuso decine di migliaia di letti, i lavoratori ospedalieri sono stati mandati al fronte senza mascherine, senza materiale, con sacchetti della spazzatura al posto dei camici, e il governo ha osato parlare di "rispetto" per gli eroi dell'ospedale.
Passano i decenni, ma il cinismo dei politici della borghesia non cambia.
Anche negli ambienti scientifici, sono ormai ben pochi a pensare che il green pass vaccinale sia davvero utile. Ma il governo è fermo. Perché nei due anni scorsi si è servito della crisi per prendere misure sempre più coercitive, per imporre la disciplina alla popolazione, dai coprifuoco ai confinamenti, dai divieti agli obblighi, arrivando persino a privare del salario e del lavoro gli operatori sanitari che rifiutano di essere vaccinati.
E oggi, sta rovinando la vita quotidiana di milioni di persone, vaccinate o no, e tutto il giorno indica quelli che non sono vaccinati come i responsabili della saturazione dei servizi ospedalieri.
Sì, tutta la strategia del governo poggia sul fatto di indicare capri espiatori, per evitare che gli occhi dei lavoratori - e forse, domani, la loro rabbia - si rivolgano verso i veri responsabili della catastrofe sociale che viviamo: l'organizzazione della società, i suoi padroni e profittatori, la grande borghesia.
Non siamo tra coloro che sostengono che il virus sia stato prodotto e diffuso intenzionalmente per aumentare i profitti delle grandi ditte farmaceutiche del cosiddetto Big Pharma. Ma la crisi è stata gestita, dall'inizio alla fine, con l'obiettivo prioritario di tutelare i profitti dei ricchi e di fare sì che nonostante la crisi sanitaria questi profitti continuino a crescere.
E se l'epidemia ha permesso di abituare la popolazione a marciare al passo, è una manna per chi si sogna un mondo dove i lavoratori non protestino mai, camminino dritto, siano registrati, controllati, filmati, identificati con un QR-code, dove occorrerà mostrare un documento ufficiale per andare a comprare il pane, mostrare le proprie credenziali per salire su un treno, abituarsi al fatto che la polizia possa entrare in un bar e controllare il libretto sanitario di tutti i clienti presenti, come la legge gli permette di farlo dal 24 gennaio!
Tutto questo è una benedizione per i capitalisti. E a proposito, per convincersi che la Covid, in realtà, c'entra poco con tutto questo, basti pensare che queste restrizioni alle libertà non sono iniziate nel febbraio-marzo 2020, quando il virus è apparso per la prima volta, ma ben prima, nel 2015, quando l'allora governo socialista si è servito degli attacchi terroristici esattamente nello stesso modo per inasprire le leggi sulle libertà pubbliche, imponendo lo stato di emergenza per diversi anni e limitando il diritto di manifestare.
Col cercare di limitare ulteriormente le poche libertà di protesta e di organizzazione che il movimento operaio ha conquistato nel corso degli anni, i governi stanno preparando il futuro. Fanno il loro lavoro come difensori degli interessi della borghesia, perché sanno che il continuo degrado delle condizioni di vita del mondo del lavoro non può che portare, alla lunga, a un'esplosione sociale.
E quando la rabbia dei lavoratori esploderà, quando decideranno di riprendere la lotta, quando in maree umane scenderanno in piazza per dire che non accettano più il loro destino, allora quel giorno i lasciapassare sanitari, QR codici, telecamere di sorveglianza e droni della polizia non li potranno più fermare,. perché è vero, come scriveva il rivoluzionario Blanqui 170 anni fa, che di fronte a proletari determinati "gli ostacoli, le resistenze, le impossibilità, tutto scomparirà!"
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Durante la crisi sanitaria, i capitalisti si sono arricchiti in pochi mesi più che nei dieci anni precedenti. Le cinque maggiori fortune francesi (i Bettencourt, Pinault, Wertheimer, Arnault) hanno visto raddoppiare la loro ricchezza dall'inizio della pandemia, e questi cinque capitalisti da soli possiedono ora tanto quanto il 40% più povero della popolazione in Francia.
L'organizzazione non governativa Oxfam, che ha pubblicato queste cifre e non è né comunista né rivoluzionaria, spiega questa esplosione dei profitti in modo molto semplice: "Il motivo principale per cui le fortune dei miliardari sono aumentate così tanto durante la pandemia è stato il denaro pubblico fornito incondizionatamente dai governi e dalle banche centrali, di cui hanno potuto approfittare grazie all'impennata dei prezzi delle azioni".
Questa non è l'intera spiegazione, ma è giusta. Dall'inizio dell'epidemia, la prima preoccupazione del governo è stata quella di assicurarsi che la crisi non costasse nulla ai padroni, e specialmente a quelli più grandi.
Con un colpo di bacchetta magica, i famosi criteri di Maastricht, le intoccabili regole finanziarie, i cosiddetti divieti di aumentare il deficit statale, tutto questo è scomparso. Il denaro dello Stato è fluito liberamente per salvare i capitalisti che, per i più grandi, non ne avevano alcun bisogno.
Invece, quando gli insegnanti o gli infermieri chiedono nuove assunzioni, quando i lavoratori lottano contro la riforma delle pensioni, quando i disoccupati lottano per non essere derubati, è sempre lo stesso ritornello: le casse dello Stato sono vuote! Eppure sembra che il governo abbia trovato il modo di riempirle molto rapidamente, in pochi giorni, non appena l'epidemia è iniziata, e che abbia trovato i mezzi per sommergere i padroni con diverse centinaia di miliardi di euro di aiuti pubblici.
E durante tutto questo periodo in cui la borghesia si rimpinzava spudoratamente di regali di stato, allo stesso tempo continuava ad aumentare lo sfruttamento dei lavoratori.
Non ha mai smesso di distruggere posti di lavoro, di buttare fuori i lavoratori interinali, di pianificare la chiusura di aziende e impianti, di aumentare il ritmo di lavoro nelle fabbriche per quelli che rimangono, di pianificare sempre più sabati lavorati e più straordinari alla fine del turno.
È una vera e propria guerra che i capitalisti stanno conducendo contro di noi.
La crisi economica iniziata decenni fa si sta aggravando su scala globale, la concorrenza imperversa tra i gruppi capitalisti e i mercati si restringono sempre di più. Non c'è posto per tutti, e l'unica prospettiva offerta ai padroni è quella di prendere i mercati dai loro concorrenti; nel discorso del s dirigente della PSA - Stellantis Carlos Tavares, uno che cito spesso, si tratta di "andare a mangiare nel piatto degli altri".
La crisi economica intensifica la guerra economica tra i gruppi capitalisti. La contrazione dei mercati costringe ciascuno a cercare di schiacciare l'altro per prendere il suo posto. In un periodo di siccità, gli sciacalli combattono tra loro tanto più duramente quanto più le prede diventano scarse.
Nel mondo dei padroni, l'unico modo per guadagnare quote di mercato è essere, come dicono loro, "più competitivi".
Ma questi sono solo discorsi da padroni. Essi fanno pagare ai lavoratori sempre più caro per questa concorrenza. Essere più competitivi significa produrre a un costo inferiore, e produrre a un costo inferiore significa sfruttare di più i lavoratori, riducendo sempre di più la massa salariale mentre si continua ad aumentare la produzione.
Questo, lo chiamano "guadagnare punti di produttività". Per noi, gli operai, significa più compagni buttati fuori dal lavoro, più velocità sulle linee di montaggio, più esaurimento, più tendiniti, più schiene rotte, più incidenti sul lavoro, più operai che muoiono il mese dopo il loro pensionamento, o addirittura sul lavoro., come è successo ieri mattina alla fabbrica PSA di Rennes: un operaio di soli 54 anni è morto d'infarto quando ha preso il suo turno! Quando diciamo che si muore sul lavoro, non sono solo parole.
Questo è il capitalismo! La questione non è sapere se questa gente che ci dirige è buona o cattiva, è capire le leggi che reggono l'economia capitalista.
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La sopravvivenza di un capitalista sul mercato internazionale dipende dalla sua capacità di sfruttare i suoi lavoratori anche fino alla morte. Ecco come stanno le cose. Questo non è nuovo, esiste dall'inizio del capitalismo, ed è proprio per questo che generazioni di militanti operai comunisti hanno lottato, e ancora lottano, contro un sistema che non può essere migliorato, né umanizzato, né smetterà di nuocere solo quando sarà abbattuto, perché l'aggravamento permanente dello sfruttamento è parte del suo DNAmo; perché il capitalismo, come ha scritto Marx, è nato "sudando sangue e fango da ogni poro della sua pelle" e finché governerà il mondo, sarà sempre così.
Ecco perché siamo orgogliosi di lottare per il suo rovesciamento, ecco perché siamo orgogliosi di essere comunisti e rivoluzionari!
Questa è una delle ragioni per cui la questione posta in questa campagna presidenziale non è, in ogni caso, quale politico vincerà la scommessa in aprile e sarà chiamato, per i prossimi cinque anni, a gestire gli interessi della borghesia.
Chiunque sia quel politico, che sia di destra, di sinistra, di estrema destra o tutto questo insieme come Macron, lui o lei sarà lì per attuare la tabella di marcia che la confederazione padronale, il Medef, porrà sulla sua scrivania il giorno dopo l'elezione. Ed è per questo che noi di Lutte ouvrière, con la candidatura della nostra compagna Nathalie Arthaud, ci alziamo per far sentire un'altra voce: quella del campo dei lavoratori per rafforzarlo e prepararlo politicamente alle battaglie che ci aspettano.
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Essere militanti del campo dei lavoratori significa, naturalmente, denunciare senza tregua il fatto che, fondamentalmente, sono i capitalisti che dirigono la società, e che tutti i governi, tutti gli stati, sono loro servi.
Ma significa anche denunciare i falsi amici dei lavoratori, coloro che pretendono di parlare in loro nome ma che, dietro la loro maschera di presunti difensori della classe operaia, sono essi stessi difensori dell'ordine capitalista.
Di fronte a una situazione di esplosione sociale, la borghesia tiene sempre pronta l'arma della repressione brutale, dello schiacciamento armato dei lavoratori. Ma prima di arrivare a questo punto, e soprattutto nei paesi ricchi, ha più frecce al suo arco: ha saputo, nel corso degli anni, integrare, domare e addomesticare le organizzazioni nate dalle lotte del movimento operaio per trasformarle in relè della sua politica.
Si tratta da un lato dei partiti politici riformisti, quelli nati dalla socialdemocrazia come il Partito Socialista in Francia, poi dei partiti che sono passati dallo stalinismo, come il PCF. Questi, partiti, in particolare il PCF, usano un discorso che può trovare un consenso tra i lavoratori, ma hanno dimostrato, soprattutto ogni volta che sono stati al governo, che una volta al potere servono il grande capitale come gli altri.
Ma ci sono anche i sindacati, che possono avere un ruolo ancora più decisivo perché sono, molto più dei partiti politici nel periodo attuale, organizzazioni di massa. In un paese come la Francia, ci sono molte organizzazioni sindacali, che hanno tutte il loro proprio discorso e la loro propria strategia. Alcuni di loro - non ho bisogno di nominarli - sono apertamente difensori della più spudorata collaborazione di classe, pronti a firmare qualsiasi accordo marcio in cambio di un po' di riconoscimento da parte dei padroni. Altri hanno un discorso più da lotta di classe, più combattivo, e quindi attirano i militanti più sinceri, quelli che vogliono combattere i padroni.
Ma ciò che tutte le confederazioni sindacali hanno in comune è che i loro dirigenti, i loro apparati, rispettano fondamentalmente la proprietà borghese, l'ordine borghese, il sistema capitalista. Non solo hanno abbandonato l'idea di rovesciare il capitalismo decenni fa, ma hanno anche in molte occasioni agito da pompieri per spegnere gli incendi sociali. L'hanno fatto fermando gli scioperi, impedendo alle lotte operaie di andare fino in fondo delle loro possibilità, presentando come vittorie i compromessi negoziati con la borghesia, nei periodi in cui quest'ultima era in pericolo.
Non è un caso se tutta la legislazione sociale che esiste ancora in questo paese fu elaborata alla fine della Seconda guerra mondiale, quando la borghesia tremava di paura all'idea di vedere la fine del conflitto dare vita a una nuova ondata rivoluzionaria: fu creata da un'alleanza tra l'uomo d'estrema destra de Gaulle, il PCF e i sindacati, che accettarono di stare al gioco e all'epoca combattevano gli scioperi sostenendo che tutto sarebbe venuto dall'alto, senza che fosse bisogno di lottare.
La borghesia, che temeva per il suo potere, accettò di fare alcune concessioni, e i partiti riformisti e i sindacati funsero da cinghie di trasmissione nella classe operaia per dire che occorreva soddisfarsene, tanto più volentieri che trovarono il loro conto nella moltitudine di posti che i padroni crearono per loro in quel momento, dai consigli di amministrazione delle imprese nazionalizzate alla gestione congiunta della Previdenza Sociale.
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Affermare di essere nel campo dei lavoratori significa anche ricordare queste verità, che non sono una novità: già prima della seconda guerra mondiale, Trotsky sintetizzava il ruolo dei dirigenti sindacali quando scriveva: "Nei periodi di acute lotte di classe, gli apparati dirigenti dei sindacati cercano di farsi padroni del movimento delle masse per neutralizzarlo".
Questo non significa che i rivoluzionari non debbano essere militanti sindacali, nei sindacati così come sono. Al contrario, devono essere gli elementi più attivi, più determinati, più militanti! I comunisti rivoluzionari devono essere laddove sono i lavoratori, militando al loro fianco e cercando di organizzare quelli che non lo sono: questa è la base stessa del lavoro di un militante comunista.
Ma devono anche sapere che la militanza in un sindacato è una battaglia, perché gli apparati sindacali non vogliono tollerare, nelle loro organizzazioni, militanti che denunciano il loro ruolo e vogliaono che la lotta di classe sia organizzata dai lavoratori stessi.
Sì, in questa società dove si fa di tutto per farli tacere, per sottometterli alla gerarchia sociale, i lavoratori devono essere a casa nelle loro organizzazioni sindacali! La democrazia sindacale non è solo un imperativo morale, è la condizione stessa di efficacia nella lotta permanente contro il grande capitale.
Questa è la differenza fondamentale tra gli apparati sindacali e i comunisti rivoluzionari. Gli apparati sindacali non si fidano della classe operaia, o addirittura, ad un certo livello, la temono. Fanno la parte degli avvocati. Pensano che i lavoratori devono essere guidati, mentre noi pensiamo che sono i lavoratori che devono guidare: guidare i sindacati, guidare le lotte, guidare gli scioperi, guidare l'intera società!
E, anche nella situazione attuale in cui, in un paese come la Francia, la combattività operaia non c'è, la nostra fiducia rimane incrollabile nelle capacità della classe operaia di ribellarsi e prendere in mano il proprio destino. In questo mondo schiacciato dalla crisi sanitaria e dalla crisi economica, vediamo lotte condotte dalla classe operaia, a volte all'altro capo del pianeta, dal Cile all'Algeria, dalla Cina al Kazakistan, dal Sudafrica alla Guadalupa.
Chi sapeva, due mesi fa, del Kazakistan? Chi sapeva che in questo paese dell'Asia centrale c'è una classe operaia potente e combattiva, e che nella città di Temirtau c'è una fabbrica ArcelorMittal con 14.000 lavoratori, pagati 300 euro al mese?
Dallo scorso agosto, decine di scioperi salariali si sono svolti nelle fabbriche di questo paese, il cui sottosuolo è tanto ricco di risorse minerarie ed energetiche che la sua classe operaia ha la forza, quando decide di agire, di bloccare la fornitura di gas e petrolio di tutta l'Europa.
I lavoratori del Kazakistan sono in lotta da sei mesi perché affrontano gli stessi problemi dei lavoratori del resto del mondo: bassi salari, disoccupazione e alto costo della vita. E in quanti altri paesi del mondo, in Cina, India, Vietnam, Sudafrica, Messico, Brasile, Indonesia, i lavoratori domani entreranno in lotta a loro volta, e mostreranno al mondo che la classe operaia, il proletariato, è ancora la classe sociale più numerosa ed essenziale, quella che fa funzionare tutto, quella senza la quale il capitalismo non potrebbe funzionare?
Perché queste lotte vadano il più avanti possibile, avranno bisogno della straordinaria energia della classe operaia; e avranno bisogno di idee, idee rivoluzionarie, per poter superare le trappole e i tradimenti dei falsi amici della classe operaia. Queste idee saranno propagate dai militanti del partito comunista rivoluzionario che vogliamo, che dobbiamo ricostruire più che mai. Non solo in Francia, ma in tutto il mondo.
Infatti, di fronte a tutti coloro che alimentano i più puzzolenti pregiudizi nazionalisti, di coloro che, in questa campagna, sostengono il ritiro nazionale e il protezionismo, noi affermiamo con orgoglio che questi lavoratori di tutto il mondo sono i nostri fratelli e sorelle di lotta, che molto probabilmente saranno loro, domani, a mostrarci la strada e a insegnarci nuovamente la lotta di classe!
Così, durante questa campagna, come durante tutta la nostra vita militante, non smetteremo di proclamarlo forte e chiaro, contro tutti i patrioti, tutti i protezionisti di destra e di sinistra, tutti i difensori del ritiro nazionale, del "modello francese", delle frontiere e del filo spinato: Lavoratori di tutti i paesi, uniamoci! Evviva il campo dei lavoratori, evviva il comunismo!