Relazione del circolo Lev Trotsky del 8 gennaio 2018
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Le battaglie per l'emancipazione delle donne ed il movimento operaio
In questa relazione, non vogliamo parlare solo delle ingiustizie subite dalle donne, ma delle battaglie che esse hanno condotto per la propria emancipazione.
In quanto comunisti e rivoluzionari, combattiamo tutte le forme d'oppressione, in particolare quelle che riguardano le donne... nientedimeno che la metà dell'umanità. Questa battaglia, dunque, è certamente la nostra, ma la conduciamo come comunisti, cioè come militanti convinti che questa oppressione non sia inerente alle relazioni tra gli uomini e le donne.
L'oppressione delle donne appare con lo sviluppo delle società fondate sullo sfruttamento e sulla proprietà privata, e la loro emancipazione sarà possibile solo se poniamo fine all'ultima di queste società di sfruttamento, la società capitalistica.
Abbiamo scelto di parlare delle donne che hanno lottato per rompere le loro catene. Dalle rivoluzionarie del 1789 a quelle del 1848, dalle cosiddette "pétroleuses" della Comune di Parigi alle suffragette, dalle rivoluzionarie russe alle femministe militanti, pochi nomi di loro sono conosciuti, oppure sono stati dimenticati, tranne forse quelli di Olympe de Gouges o di Louise Michel. Per questo abbiamo deciso di citare alcuni di questi nomi.
Fin da quando le donne sono state oppresse, si sono avute forme di resistenza per provare ad uscire da questa loro situazione. È però con lo sviluppo del capitalismo che le donne diventano un elemento importante della nascente classe operaia ed iniziano ad intervenire in modo massiccio nelle lotte sociali. Così, anche prive di qualsiasi diritto civile o politico, le donne partecipano a tutte le sommosse e a tutte le rivoluzioni, alle battaglie della classe operaia, il che, molto spesso, consente loro di conquistare diritti. E non senza orgoglio, vogliamo affermare che il movimento operaio, finché è stato contrassegnato dalle idee comuniste e rivoluzionarie, è stato anche portatore delle idee di questa emancipazione.
Eppure, oggi dobbiamo constatare che la situazione delle donne su scala mondiale sta peggiorando drammaticamente. È una delle conseguenze del mantenimento del sistema capitalistico in putrefazione e, in legame a questo, una conseguenza dell'arretramento del movimento operaio. La borghesia, poiché il suo ordine sociale è basato sullo sfruttamento, lascia sopravvivere le forme più barbare d'oppressione, in particolare quella delle donne, per mantenere il suo dominio sulla società.
In molti paesi, le donne sono ancora trattate come esseri umani di seconda classe. È quanto avviene, ad esempio, in Arabia Saudita, dove non possono uscire senza essere accompagnate da un uomo e dove si è dovuto attendere il 2013 perché abbiano soltanto il diritto di andare in bicicletta, o in paesi dove picchiare la moglie è sancito dalla legge, o in quelli come l'Irlanda o Malta, dove l'aborto rimane quasi impossibile.
Ovunque, quindi, la nostra solidarietà va a quelle che resistono, che lottano ancora e sempre, con i mezzi a disposizione, per poter guidare una vettura, votare o andare a scuola, o semplicemente esistere. Sì, siamo solidali con le donne del mondo intero che rifiutano la sottomissione: sottomissione agli uomini che li opprimono, o sottomissione ad un dio che impone loro di nascondersi dietro a un velo o sotto una parrucca. Ci sentiamo solidali con le donne che si oppongono alle correnti più reazionarie che affliggono la società, tanto nei paesi poveri quanto nei paesi ricchi.
La nostra convinzione fondamentale, acquisita grazie a generazioni di militanti comunisti che ci hanno preceduto, è però quella che la battaglia per l'emancipazione delle donne resti strettamente legata al movimento operaio. La soluzione è nelle mani delle donne e degli uomini della classe operaia, l'unica classe in grado di rovesciare il sistema capitalistico e di porre fine a tutte le oppressioni. Come afferma Louise Michel, è illusorio chiedere ad una società diretta da uomini che si concedano diritti alle donne, perché "il sesso forte è tanto schiavo quanto il sesso debole, e non può dare ciò che lui stesso non ha. Tutte le diseguaglianze, pertanto, cadranno contemporaneamente, quando uomini e donne combatteranno la lotta decisiva".
L'oppressione delle donne, conseguenza della nascita della proprietà privata
Per noi comunisti, l'uguaglianza tra le donne e gli uomini non è una rivendicazione... poiché quest'uguaglianza è un fatto. Affermare ciò non vuol dire ignorare le evidenti differenze biologiche tra i sessi. Ma queste differenze sessuali dovrebbero per forza determinare una disuguaglianza? Ovviamente no: le disuguaglianze tra donne e uomini non sono naturali, contrariamente a quanto affermato dai dogmi di tutte le religioni monoteistiche, che considerano le donne esseri inferiori. Queste disuguaglianze sono apparse tardi nella lunga storia dell'umanità, come una conseguenza della proprietà privata e come una novità nell'organizzazione delle società primitive. Da quel momento, in tutte le società di sfruttamento susseguitesi sotto il regno della proprietà privata, le donne sono mantenute ai livelli inferiori.
Tuttavia, duecento anni fa, con lo sviluppo della società di sfruttamento capitalistico, per la prima volta nella storia umana si creano le condizioni per la scomparsa della proprietà privata e, allo stesso tempo, dello sfruttamento e delle oppressioni che l'accompagnano. Il capitalismo, rivoluzionando la società, crea i mezzi per liberare l'umanità. Come scrivono Marx ed Engels nel Manifesto del Partito comunista, la borghesia produce i propri becchini, creando la forza sociale capace di rovesciare l'ordine capitalistico: la classe operaia, composta sia di uomini che di donne.
Marx ed Engels, poichè vogliono rivoluzionare la società, si preoccupano di capire l'organizzazione sociale nel suo complesso e nella sua evoluzione. Non sono soltanto solidali con gli oppressi, e quindi con le donne, di cui ovviamente sostengono l'aspirazione ad essere considerate uguali agli uomini. Essi danno anche la possibilità di cogliere origini e meccanismi dell'oppressione, di capire meglio per poter non solo lottare, ma anche trovare uno sbocco politico. Danno così la possibilità a tutte le battaglie degli oppressi di unirsi a quella della classe operaia per rovesciare il capitalismo e, abolendo la proprietà privata, di farla finita una volta per tutte con le società basate sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Le idee rivoluzionarie di Marx e di Engels sulla famiglia e per quanto riguarda il posto della donna nella società sono esposte in un libro pubblicato nel 1884, intitolato L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. In questo saggio, Engels difende l'idea che la famiglia, come quella della società borghese e della Bibbia, con due genitori e dei figli, non è sempre esistita.
Egli afferma che la famiglia, come ogni elemento dell'organizzazione sociale, ha una storia. Questa storia comincia ad un certo stadio di sviluppo della società, soltanto diecimila anni fa, quando gruppi di cacciatori-raccoglitori diventano sedentari per praticare l'agricoltura e l'allevamento. Questa rivoluzione rende possibile la comparsa di un'eccedenza non consumata, un surplus accaparrato da una minoranza. È la nascita della proprietà privata, e con essa si pone il problema della trasmissione ai discendenti. Infatti, l'unico modo per un uomo di essere certo dei propri discendenti è quello di codificare relazioni sessuali esclusive per le donne. È quello di appropriarsi del grembo che porta il figlio da partorire. In altre parole, la proprietà privata dei mezzi di produzione include anche la proprietà privata dei mezzi di riproduzione, cioè delle donne.
La difesa della proprietà privata e dei privilegi che ne derivano richiede la creazione di una forza armata, di uno Stato, per mantenere un ordine ingiusto. Engels individua quindi un legame tra la proprietà privata, la nascita dello Stato ed il controllo delle donne nella famiglia patriarcale. Egli scrive che "Il rovesciamento del matriarcato segnò la sconfitta sul piano storico universale del sesso femminile. L'uomo prese nelle mani anche il timone della casa, la donna fu avvilita, asservita, resa schiava delle sue voglie e semplice strumento per produrre figli".
Engels, con questo testo, pone una delle basi scientifiche dell'emancipazione delle donne: poiché l'oppressione ha una storia, avrà anche una fine. E tale fine coincide con l'emancipazione dell'insieme degli oppressi. Engels, ragionando a livello di tutta la società, senza lasciarsi rinchiudere nell'una o nell'altra particolarità, elabora una prospettiva politica per le donne, nonché per tutti gli sfruttati e gli oppressi.
Ed è con la stessa analisi che, ancor oggi, noi consideriamo la questione dell'oppressione delle donne, con la convinzione profonda che tale oppressione possa scomparire solo con la fine della proprietà privata e che l'unica classe sociale in grado di combattere la potenza capitalistica sia la classe operaia.
Le donne del popolo nella rivoluzione francese
Se si parla delle battaglie delle donne, occorre soprattutto prendere in considerazione la grande rivoluzione francese del 1789-1794. Innanzitutto perché è il primo intervento politico massivo delle donne. E poi perché le abitudini acquisite dalle masse in lotta durante la rivoluzione ispirarono il movimento operaio per decenni.
Nel Settecento le donne non hanno diritti, e tuttavia costituiscono una parte importante negli eventi rivoluzionari. Non si mobilitano per chiedere l'uguaglianza con gli uomini ma, approfittando dei fermenti rivoluzionari, per avanzare le proprie rivendicazioni.
Le donne del popolo, poiché tocca a loro mandare avanti la baracca, sono il motore delle ripetute sommosse per il cibo scoppiate durante gli anni rivoluzionari. Nell'ottobre del 1789, le insorte manifestano contro l'alto livello dei prezzi e riportano il re da Versailles a Parigi, sotto stretta sorveglianza. A fine 1792, invadono la Convention con i sanculotti e fanno pressione per ottenere immediatamente misure contro il carovita. Nel febbraio del 1793, i sansculotti invadono i negozi e costringono i commercianti a vendere le merci ai prezzi che fissano loro stessi. Tra loro, numerose donne, in particolare lavandaie, che si lagnano per il rincaro dei prezzi del sapone.
Le donne del Terzo Stato, poiché vogliono potersi guadagnare onestamente da vivere, chiedono la libertà del lavoro per uomini e donne. Rivendicano la fine dei privilegi delle corporazioni ereditate dal medioevo e il libero accesso a tutte le professioni artigianali.
Le donne non vogliono tornare indietro e paventano una vittoria della reazione, perché sono consapevoli di quanto si sono conquistate con la rivoluzione. Chiedono quindi il diritto di portare le armi, come Pauline Léon che, nel marzo del 1792, si reca all'Assemblea nazionale per leggere un proclama, firmato da più di trecento parigine, in cui si chiede che le donne siano autorizzate a procurarsi picche, pistole, sciabole e ad esercitarsi tutte le domeniche.
Le donne, trascinate nel vortice della rivoluzione, contestano l'ordine sociale e cominciano ad avanzare le proprie rivendicazioni: istruzione per le giovani, diritto al divorzio, uguaglianza dei diritti politici. Olympe de Gouges è diventata famosa per la sua Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, scritta nel 1791, in cui esprime il timore che gli uomini siano gli unici a godersi le libertà conquistate dalla rivoluzione, mantenendo le donne sotto il loro dominio.
Dai fermenti rivoluzionari, dalla mobilitazione della plebe nella guerra di classe scaturiranno le leggi che hanno distrutto il vecchio potere della nobiltà per instaurare quello della borghesia. E fra tutte quelle leggi, alcune riguardano direttamente la questione dell'uguaglianza uomo-donna. Una di esse, varata nel settembre 1792, è basilare, poiché dichiara l'uguaglianza dei coniugi. I figli, di sesso sia maschile che femminile, sono dichiarati uguali per quanto riguarda i diritti di successione o l'età in cui si diventa maggiorenni. La legge trasforma il matrimonio in un semplice contratto civile, che permette il divorzio per mutuo consenso.
A partire dal 1793, la fine dell'ascesa rivoluzionaria chiude il periodo di libertà conquistata tra il 1789 e il 1792. I politici borghesi del Comitato di Salute pubblica, tra cui Robespierre, vogliono riprendere il controllo della situazione e reprimere i movimenti popolari, nonostante abbiano consentito alla rivoluzione borghese di sconfiggere la nobiltà. Il Comitato di Salute pubblica vieta alle donne di riunirsi e di accompagnare le armate rivoluzionarie. Il club delle donne repubblicane rivoluzionarie, creato da Louise Lacombe e da Pauline Léon, è vietato. Tutte le società popolari vengono sorvegliate. Ogni espressione democratica del popolo rivoluzionario viene tarpata una dopo l'altra. La caduta di Robespierre e dei suoi sostenitori, nel luglio 1794, accentua ancora di più la reazione.
Nella primavera del 1795, le ultime scosse della rivoluzione vengono dalle donne del popolo parigino, che chiamano gli operai a mobilitarsi. In quel momento, il potere reazionario che sostituisce Robespierre decide di sbarazzarsi definitivamente della pressione delle masse e decreta che "tutte le donne si ritireranno (...) nei loro rispettivi domicili e coloro che, un'ora dopo l'affissione del presente decreto, saranno trovate nelle strade, assembrate al di sopra del numero di cinque, saranno disperse dalla forza armata e successivamente messe in stato d'arresto fino a quando la pace pubblica sarà ristabilita in Parigi".
Le forze politiche borghesi, nella conquista del potere, fanno leva sull'energia rivoluzionaria delle masse, anche quella delle donne. Con il riflusso della rivoluzione, le masse non solo lasceranno la scena politica, ma le loro voci saranno soffocate a vantaggio dei borghesi, i grandi vincitori della rivoluzione, che aspirano a godere in modo indisturbato delle loro conquiste. In Italia, la rivoluzionaria napoletana Eleonora de Fonseca Pimentel, dirigente della Repubblica partenopea del 1799, fu immediatamente giustiziata dopo la sconfitta.
Il codice civile di Napoleone: un arsenale contro le donne
L'Impero napoleonico impone il silenzio alle donne con il codice civile del 1804, vero e proprio strumento legale per dominare e segregare le donne. L'Impero restaura l'autorità di un capo sulla Francia e l'autorità del padre su ogni famiglia. Napoleone, al fine di consolidare il potere del nuovo Stato, vuole farla finita con i disordini e predisporre un arsenale legislativo per proteggere la proprietà privata. Il Codice civile codifica il diritto di proprietà borghese e permette alle classi abbienti di conservare i beni acquisiti prima o durante la rivoluzione. Napoleone aumenta i poteri della polizia, imbavaglia la stampa e vieta il diritto di sciopero agli operai. Il Codice civile sancisce l'inferiorità delle donne poiché, come dichiara l'imperatore, "la donna è nostra proprietà, non siamo la sua".
Il Codice civile priva le donne dei diritti giuridici, alla stregua dei criminali o dei deboli di mente. Devono essere completamente sottomesse al proprio padre, poi al proprio marito. Il matrimonio diventa un'istituzione protetta dallo Stato. L'adulterio viene represso... ma alla fine solo per le donne, che rischiano la reclusione da tre mesi a due anni, mentre il marito adultero incorre soltanto in una semplice ammenda. Questo monumento della reazione napoleonica contro le donne è commisurato alla paura che esse incutono alle classi abbienti durante la rivoluzione.
Con la caduta dell'Impero e con la restaurazione della monarchia nel 1814, la reazione politica piomba sulla Francia, come del resto su tutta l'Europa. Ciò, tuttavia, non ferma la spinta borghese, che continua a rivoluzionare la società, modificando le relazioni sociali. La borghesia, strappando le contadine alle campagne, al loro focolare, per gettarle nelle manifatture, e poi nelle galere industriali, trasforma radicalmente il ruolo delle donne e quindi i costumi. Essa, facendo lavorare anche i bambini, agisce come agente distruttivo delle famiglie popolari. Ciò non impedisce di plasmare il mito della donna eterna, del suo ruolo naturale come coniuge e madre nell'ambito della famiglia. Del resto, il diritto al divorzio è abolito nel 1816.
La borghesia, tuttavia, sviluppando numericamente la classe operaia ed accrescendo la parte dei suoi elementi femminili, contribuisce contemporaneamente, suo malgrado, allo sviluppo del movimento operaio ed alla rinascita di rivendicazioni d'uguaglianza tra uomini e donne.
La reazione non soffoca la voce di quelle e quelli che vogliono l'uguaglianza
La contestazione del nuovo ordine sociale borghese si palesa inizialmente negli ambienti privilegiati, fra quelli che, influenzati dai pensatori del Settecento, continuano la battaglia per una società più egualitaria. Saint-Simon, uno dei primi socialisti, si indigna per l'oppressione delle donne, manifestazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Dopo la morte di Saint-Simon, i suoi discepoli continuano a propagare le sue idee universaliste, l'abolizione definitiva dei privilegi di nascita e l'accesso di tutti all'istruzione. Militano per un mondo nuovo, in cui uomini e donne siano uguali. È per questo che nell'ambito del movimento saint-simoniano si impegnano numerose donne: Jeanne Deroin, Suzanne Voilquin, Claire Démar, Désirée Véret, tutte formatesi nell'idea che la lotta delle donne va di pari passo con quella dei proletari.
Un altro socialista, Charles Fourier, sogna di fondare una nuova organizzazione sociale. Ci si dedica concretamente, creando comunità dove gli esseri umani possano vivere in armonia. Fourier è anche un deciso fautore della parità uomo-donna e si pronuncia contro il matrimonio. Scrive: "il matrimonio è la tomba della donna, il principio di ogni asservimento femminile".
Durante la rivoluzione del 1830, uomini e donne del proletariato si battono per il diritto al lavoro
Nel 1830, scoppia una nuova rivoluzione. In Francia, la battaglia delle donne si unisce a quella degli operai, in particolare attraverso la rivendicazione di "libertà del lavoro". Con questa rivendicazione, i proletari di ogni sesso reclamano il diritto ad un salario che permetta loro di vivere.
Sono i proletari a combattere armi alla mano nei tre giorni dell'insurrezione parigina. Essi si rendono rapidamente conto che la loro condizione non è cambiata. Inoltre, le settimane che seguono l'insurrezione sono segnate da una grande agitazione politica negli ambienti repubblicani e in quelli proletari. Ci sono manifestazioni, petizioni per aumenti di salario, per una riduzione dell'orario di lavoro.
E le donne proletarie vi partecipano. Nell'agosto del 1830, a Parigi, le tagliatrici di pelle scioperano contro una riduzione dei salari e rivendicano la retribuzione di sei soldi per le cento pelli di coniglio che forniscono. Poi gli operai e le operaie si scagliano contro "le meccaniche", i macchinari introdotti in alcune lavorazioni e considerati dai lavoratori come responsabili della disoccupazione. Nel settembre del 1831, a Parigi, 1500 operaie manifestano contro dei fabbricanti di rue du Cadran che hanno fatto venire da Lione una macchina per tagliare gli scialli. "Niente più meccaniche", ecco il loro slogan. La cavalleria carica, ma ci vogliono cinque giorni per ristabilire l'ordine.
Di fronte a questa agitazione, il nuovo potere adotta una legislazione che limita ancor di più la possibilità di fondare associazioni. Ciò nonostante, si sviluppano casse di mutuo soccorso e associazioni filantropiche. I giornali operai si moltiplicano, il che dimostra la grande vitalità di questa classe sociale nascente.
Vi sono donne che si organizzano anche per difendere i propri diritti. Nel 1832, Suzanne Voilquin, operaia ricamatrice influenzata dalle idee socialiste di Saint-Simon, crea un giornale che all'inizio prende il nome di La femme libre (La donna libera). È gestito da donne, per lo più giovani, che osano affermare le proprie opinioni firmando col nome poiché, dicono, il nome è "l'unica cosa che ci appartenga in proprio". Per loro, libertà ed uguaglianza non significano nulla quando metà dell'umanità subisce il dominio dell'altra metà.
Le donne presentano una petizione per il ripristino del diritto al divorzio. Denunciano le "unioni molto infelici" dovute alla costrizione di "convenienze sociali". Il matrimonio, che umilia la donna, viene assimilato ad una forma legale di prostituzione.
Per le eredi del saint-simonismo, la lotta delle donne è all'unisono con quella dei proletari
Claire Démar, socialista saint-simonianna, lancia nel 1833 l'Appello di una donna al popolo sulla liberazione della donna. Vi denuncia il Codice civile, vero e proprio strumento di dominazione sulle donne, come pure la proprietà privata, l'eredità, l'accumulo delle ricchezze, la guerra. Claire Démar detesta la legge che dà ragione ai più forti. È quindi contro il re, contro il potere dominante degli uomini e dalla parte dei proletari. Scrive "Via dunque [...] le vostre Carte, dove si dichiara che gli uomini sono uguali dinanzi alla legge, quando fra gli stessi uomini l'infima minoranza accumula nell'ozio tutta la massa di ricchezze e di felicità che l'altra parte strappa dalle viscere della terra o dalle circonvoluzioni del cervello, quella stessa parte che muore di fame lavorando per quell'altra che si trastulla facendo niente, e se le vostre leggi sono false per gli uomini, a maggior ragione lo sono per le donne, per le donne che tenete in schiavitù, per le donne che escludete da ogni direzione politica, e che conservate all'interno della vostra famiglia come quei cavalli da parata che si ornano e si utilizzano nei giorni di festa, ma che, fragili e poco adatti ai lavori importanti, vengono rinchiusi in stalla per il resto dell'anno, che si curano e si fanno rispettare perché si ama curare e rispettare ciò che ci appartiene".
Un'altra battaglia condotta da queste socialiste militanti riguarda l'accesso all'istruzione per le donne, lasciate volutamente nell'ignoranza. Clémence Robert, una romanziera socialista, nel 1833 scrive che "sapere è vivere, e mantenere (qualcuno) nell'ignoranza è quasi un omicidio".
Con lo sviluppo del movimento operaio negli anni '30-'40 dell'Ottocento, altre donne fanno collegano le due battaglie tra loro, quella dei proletari e quella delle donne per la propria emancipazione. Così Flora Tristan, sposata contro la sua volontà a diciotto anni con un uomo che è anche il suo padrone, fugge dalla casa coniugale e comincia allora una vita da "paria". Flora Tristan utilizza la parola "paria" perché, in una società in cui il divorzio è vietato, alla fin fine non le viene riconosciuto alcun ruolo. Durante i suoi numerosi viaggi, elabora la propria opinione e si schiera con i lavoratori. Nel 1843, pubblica un libro, l'Unione operaia. Vi afferma la necessità "dell'unione universale degli operai e delle operaie [...] che avrà lo scopo di costituire la classe operaia". Scrive inoltre che "l'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi. Il più oppresso degli uomini può opprimere un altro essere umano, sua moglie. Essa è il proletario dello stesso proletario".
Il Manifesto comunista di Marx ed Engels contro la proprietà delle donne
Insieme allo sviluppo della classe operaia, emergono le idee rivoluzionarie in grado di rovesciare il potere della borghesia. Marx ed Engels pubblicano, nel 1848, il Manifesto del partito comunista. Vi spiegano che "la storia di qualunque società [...], è la storia della lotta di classe". Analizzano il funzionamento economico della società capitalistica ed affermano chiaramente il ruolo storico del proletariato, unica forza sociale in grado di scuotere e rovesciare l'edificio borghese con una rivoluzione e di partorire una società liberata dallo sfruttamento e dall'oppressione.
Avversari accaniti dell'ordine costituito, essi denunciano la proprietà delle donne e bersagliano la famiglia, pilastro dell'ordine borghese. "Su quali basi poggia l'attuale famiglia borghese? Sul capitale, il profitto individuale. La famiglia vera esiste solo per la borghesia, ma ha per corollario la soppressione forzata di qualsiasi famiglia nell'ambiente proletario e la prostituzione pubblica". In questo testo fondatore del movimento comunista, Marx ed Engels attaccano anche il matrimonio, istituzione che trasforma la donna nella proprietà del marito. Ironizzano sui borghesi, che accusano i comunisti di voler introdurre la Comunità delle donne: "per il borghese, sua moglie è soltanto uno strumento di produzione. Intende dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e conclude naturalmente che le donne, anche loro, condivideranno la comune sorte della socializzazione. Non sospetta che si tratta precisamente di strappare la donna al suo ruolo attuale di semplice strumento di produzione".
Rivoluzione del 1848: le donne lottano per il diritto al lavoro ed eleggono le loro proprie delegate alla Commissione del Luxembourg
Nel 1848, una nuova rivoluzione scoppia a Parigi. In due generazioni si erano conosciuti tre periodi rivoluzionari. Quell'anno, diventa così possibile, per le masse, per il proletariato, il rifiorire di pratiche di riunioni, d'organizzazione, d'intervento negli affari pubblici, di controllo, di discussioni nei club. Si esprimono, in particolare, idee che avevano animato rivoluzioni precedenti, idee d'uguaglianza, di fratellanza. E, con lo sviluppo della classe operaia, queste idee si tingono anche di socialismo.
Durante la rivoluzione del 1848, viene fondato il giornale La voce delle donne, che riunisce quelle e quelli che rivendicano l'accesso ai diritti politici per le donne. Jeanne Deroin, vecchia saint-simoniana, che partecipa a questo giornale, si candida nelle elezioni legislative del 1849 senza attendere che le si dia dato tale diritto per legge.
Alcune donne approfittano dell'agitazione rivoluzionaria del 1848 per chiedere il diritto di voto, ma anche il diritto al lavoro, cioè il diritto all'indipendenza economica. Le donne non ottengono il diritto di voto ma, nell'ambito della Commissione governativa per il Lavoro, presieduta da Louis Blanc, che si riunisce nel palazzo del Luxembourg, le operaie ottengono non solo il diritto di votare ma l'eleggibilità. Sono elette nella Commissione del Luxembourg operaie che lavorano il rame, magliaie, una lavandaia... La sarta Désirée Véret, saint-simoniana anche lei, si fa eleggere dagli operai della seconda circoscrizione di Parigi come delegata a questa commissione. Dirige un seminario e denuncia la tutela maschile che vi regna. È rapidamente destituita dalle sue funzioni. Durante i pochi mesi che separano la rivoluzione di febbraio dall'insurrezione operaia del giugno 1848, le donne imparano comunque molto esercitando per la prima volta il diritto di voto, eleggendo i loro delegati a questa Commissione. Discutono progetti di gestione comune dei compiti domestici. Prendono posizione sull'organizzazione del lavoro criticandola fortemente e, infine, vivono la repressione di giugno che si abbatte sugli operai insorti.
Il movimento operaio di fronte alla rivendicazione del diritto al lavoro per le donne
Dopo lo schiacciamento dell'insurrezione del giugno 1848, il movimento operaio segna il passo, ma riprende rapidamente il suo lavoro d'organizzazione. Al suo interno, varie correnti sviluppano proprie teorie e tattiche. Vi sono i blanquisti che cercano di organizzare la conquista del potere da parte di un piccolo gruppo di uomini decisi, gli anarchici che si oppongono a qualunque forma di Stato, i mutualisti che fondano le loro speranze sull'organizzazione di cooperative operaie ed i comunisti, riuniti attorno a Marx ed Engels. Queste correnti si ritrovano nell'Associazione internazionale dei lavoratori fondata nel 1864. Il suo obiettivo è l'organizzazione degli operai su scala internazionale per mettere fine, con la lotta, alla concorrenza che i proprietari utilizzano per aizzare i lavoratori dei vari paesi gli uni contro gli altri. Nell'ambito della Prima Internazionale, in cui militano donne, alcune delle quali fanno anche parte della direzione, molti argomenti vengono affrontati, come la legittimità dello sciopero o delle rivendicazioni salariali. Questi militanti discutono anche del diritto delle donne al lavoro. Proudhon, precursore dell'anarchismo francese, dal canto suo si oppone al lavoro delle donne. Considera le donne fisicamente, intellettualmente e moralmente inferiori agli uomini. Inventa anche una formula matematica per calcolare il loro grado d'inferiorità. Per lui, la loro ragione di esistere risiede nell'unione con un marito e nella fondazione di una famiglia. Pensa che il posto delle donne sia in seno alla famiglia e non nel mondo del lavoro.
In questo dibattito che anima il movimento operaio, i marxisti si schierano molto chiaramente per il lavoro delle donne. Si trovano in sintonia con militanti collettivisti come Eugène Varlin e Nathalie Lemel. Entrambi, in quanto operai rilegatori, hanno sperimentato (con lo sciopero dei rilegatori del 1865) che il proletariato ha bisogno di tutte le sue forze, femminili e maschili, e che occorre bandire tutto ciò che può dividere la classe operaia.
Tuttavia, nell'ambito della sezione francese dell'Internazionale, i militanti favorevoli al lavoro delle donne sono minoritari. Ciò non impedisce alla Comune di Parigi di essere, per dieci settimane, il primo Stato diretto da operai... e da operaie.
La Comune di Parigi, primo Stato diretto da operai ed operaie
Nel 1870, dopo la sconfitta subita da Napoleone III° ad opera della Prussia, a Parigi viene proclamata la Repubblica. Ma la popolazione parigina prova la necessità di assumere la difesa di Parigi assediata dagli eserciti prussiani, poiché non si fida per niente del governo repubblicano. Si arma, si organizza e insedia il proprio governo, la Comune di Parigi. Questo primo Stato operaio lotta contro ogni forma d'oppressione di cui sono vittime i lavoratori, ma anche i poveri espulsi dalle loro case. Esso combatte il dominio della religione sulla società, decide l'istruzione di tutti i bambini. Questo governo, seppur non dia il diritto di voto alle donne, combatte anche le disuguaglianze tra i sessi.
"Le donne formano la testa di questa massa spaventosa". Così si esprime con orrore l'abate Coullié, di Sant'Eustachio, nel diario degli eventi che scrive durante la Comune. Un corrispondente del Times, citato da Karl Marx, si entusiasma invece per l'impegno delle donne nella rivoluzione scrivendo "se la nazione francese si componesse solo di donne, quale terribile nazione sarebbe!".
Non c'è nessuna donna tra i 92 eletti che formano il governo della Comune, e tuttavia esse sono ovunque. Figurano nei club: la signora André, una lavandaia, è segretaria del club della rivoluzione sociale e Blanche Lefebvre, una modista, vi prende la parola quasi tutte le sere, cinta da una sciarpa rossa e con una pistola alla cintura. Sono nei comitati di vigilanza, come quello di Montmartre diretto da Louise Michel, insegnante blanquista, diventata poi anarchica. In ogni municipio di zona, assicurano, ventiquattro ore su ventiquattro, un servizio per iscrivere i volontari al fine di organizzare la difesa della Comune, gli approvvigionamenti e l'istruzione. Montano la guardia alle porte di Parigi e, come Louise Michel, sono armate. Nella dodicesima circoscrizione, viene costituita una legione di donne agli ordini della colonnella Adelaïde Valentin, operaia, e della capitana Louise Neckbecker.
La città di Parigi è assediata, molti non hanno di che sfamarsi. Tuttavia, la Comune non rinvia alcune misure che riguardano i diritti delle donne come l'ufficializzazione della convivenza o il riconoscimento legale di tutti i bambini nati al di fuori del matrimonio. La Comune istituisce anche il diritto alla separazione tra i coniugi, il diritto alimentare. Proibisce la prostituzione, considerata una forma "di sfruttamento commerciale di creature umane", e il lavoro notturno delle donne.
Le rivendicazioni egualitarie si pongono in modo molto concreto. Ad esempio, la questione della convivenza, allora molto frequente nella classe operaia, emerge nel bel mezzo di una riunione sotto forma di domanda. Perché la compagna non sposata della guardia nazionale non ha i diritti che avrebbe se fosse sua coniuge, la quale percepisce un'integrazione alla paga del marito? Affinché tutte le donne di guardie nazionali, sposate o no, possano percepire alcuni centesimi vitali per mangiare, occorre mettere in discussione la legge borghese, che protegge la donna sposata più della compagna di vita. La Comune lo fa.
Ciò non significa che la rivoluzione fa scomparire tutti i pregiudizi. Nondimeno, coloro che desiderano lottare contro le idee misogine sono sicuri di poter trovare sostegno nell'ambito dello Stato. La comunarda Andrée Léo contesta la brutalità sessista dei medici che maltrattano le barelliere delle ambulanze a loro sottoposte. Trova così dei medici senza pregiudizi antifemminili proponendo di metterli a capo di alcune ambulanze insieme a tre o quattro donne. Louise Michel, figura emblematica della Comune, interviene, dal canto suo, a favore delle prostitute. Queste si offrono di far parte delle ambulanze, ma vengono respinte perché, dicono alcuni, non sono abbastanza pure per curare i combattenti della Comune... Per Louise Michel, ciò è inaccettabile, giacché queste prostitute, vittime della società, hanno diritto al proprio posto nel mondo nuovo che sta nascendo. Si avvale dell'appoggio del comitato di vigilanza della diciottesima circoscrizione, che conosce e di cui si fida, per chiedergli di accogliere queste donne che vogliono agire nell'ambito della Comune.
L'Unione delle donne crea un embrione d'organizzazione operaia della produzione
Durante le poche settimane della Comune, un'organizzazione creata dalla Prima Internazionale svolge un ruolo importante: si tratta dell'Unione delle donne per la difesa di Parigi e per le cure ai feriti. È composta da intellettuali, insegnanti e giornaliste, ma anche e soprattutto da operaie. Espressione della classe operaia femminile dell'epoca, esse sono sarte, meccaniche, modiste, guardarobiere, cucitrici di stivaletti, cappellaie, lavandaie, lavoratrici del cartone, artigiane merciaie, cravattaie, maestre, profumiere, rilegatrici... Quattro di loro fanno parte della direzione dell'Unione delle donne. Si chiamano Nathalie Lemel, Aline Jacquier, Blanche Lefebvre, Marie Leloup.
Nell'ambito del gruppo dirigente, c'è anche una giovane donna russa, Élisabeth Dmitrieff. Di origine nobile, fa parte dell'intellighenzia russa, della generazione apertasi alle idee socialiste in Russia negli anni '60 del 19° secolo. Dopo un matrimonio non consumato, va a studiare in Svizzera. Lì aderisce alla Prima Internationale. I suoi compagni la scelgono per prendere contatto a Londra con Karl Marx. Quest'ultimo le chiede di essere la sua corrispondente a Parigi. Ha vent'anni. Si trova così a Parigi nel 1871 e diventa organizzatrice della Comune per il tramite dell'Unione delle donne per la difesa di Parigi e per le cure ai feriti.
L'Unione delle donne si batte perché le comunarde organizzino la difesa di Parigi, ma anche per il loro diritto al lavoro. Si rivolge a Léo Frankel, eletto alla Comune, responsabile della Commissione del lavoro e degli scambi per proporgli di far funzionare le fabbriche abbandonate dai proprietari al fine di combattere la disoccupazione, in particolare quella delle donne. Propone che la Comune invii i suoi ordini di attrezzature militari alle fabbriche ormai nelle mani dei lavoratori stessi. I dirigenti della Comune sono ovviamente favorevoli a quest'idea, che viene immediatamente applicata. L'iniziativa è presa dai principali interessati e realizzata rapidamente e democraticamente, poiché sono gli stessi lavoratori a decidere e ad applicare le decisioni. È un embrione di organizzazione operaia della produzione.
Durante la "settimana di sangue", gli eserciti di repressione del governo repubblicano di Thiers fanno pagare molto caro alle combattenti lo spazio che hanno osato occupare nella Comune. Lissagaray, un comunardo, scrive: "il giovedì 25 maggio 1871, mentre le guardie nazionali abbandonavano la barricata della via del Château d'Eau, un battaglione di donne accorse per sostituirle. Queste donne, armate di cannoni, combatterono ammirabilmente al grido di "Evviva la Comune". Molte erano ragazze. Una di loro, di diciannove anni, [...] combatté come un diavolo e venne uccisa da una pallottola in piena fronte. Le cinquantadue sopravvissute, una volta circondate e disarmate dai versagliesi, furono stuprate".
Il movimento socialista marxista, un contropotere costruito integrando le militanti
La Comune è sconfitta, schiacciata, ma il movimento operaio riesce a riprendere forza. Nell'ultimo scorcio del 19° secolo, esso si organizza attorno alle idee di Karl Marx e Friedrich Engels. In Francia ed in altre parti nel mondo, i partiti operai si costruiscono su basi marxiste. Operaie, intellettuali si impegnano nei partiti socialisti nascenti, i quali riprendono, molto rapidamente, le rivendicazioni d'uguaglianza tra uomini e donne.
Nel 1879, in Francia, il partito operaio di Jules Guesde invita al suo congresso Hubertine Auclert, una militante per il diritto di voto delle donne. Essa propone ai socialisti "un atto d'alleanza difensiva ed offensiva contro i nostri oppressori comuni". Il suo discorso è acclamato dai 130 delegati riuniti che inseriscono nel programma "la parità civile e politica delle donne".
In un mondo trasformato molto velocemente dalla borghesia, le idee di progresso si fanno strada. La società capitalistica che si sta sviluppando fornisce i mezzi per capire come la si può combattere. Le idee di Engels su L'Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, che abbiamo già richiamato, sono diffuse da August Bebel, dirigente del partito socialdemocratico tedesco, nel suo libro La donna ed il socialismo, uscito per la prima volta nel 1879. Egli, come Engels, difende, tra l'altro, l'idea che la liberazione delle donne è condizionata dalla fine dello sfruttamento capitalistico. È con questo libro che generazioni di militanti socialisti sono state educate alla battaglia rivoluzionaria, all'ideale socialista ed anche al fatto di considerare le donne come compagne di lotta.
I partiti socialisti marxisti sono partiti di massa che organizzano centinaia di migliaia di proletari nel mondo. Sviluppano la coscienza di classe di milioni di sfruttati attraverso sindacati, associazioni sportive e di istruzione popolare, biblioteche, giornali, organizzazioni giovanili... e di donne. I giornali socialisti, numerosi all'epoca, diventano, per le operaie, armi di denuncia, ma anche di vendetta.
A Lilla, un settimanale socialista apre uno spazio intitolato "Nelle galere" affinché gli operai possano denunciare le condizioni di lavoro, gli abusi dei padroni, dei capireparto ed anche le molestie sessuali. I colpevoli sono spesso citati per nome, come la fabbrica dove i fatti avvengono. Ecco un esempio citato nel giornale di Lilla Lo sfruttato del 12 ottobre 1884. "È vero che il sig. Decoq [...] ogni giorno, all'ora di pranzo, passa nelle officine e si mette in posizioni più o meno acrobatiche per guardare sotto le gonne delle operaie?" Si dà un consiglio alle lavoratrici: "Raccomandiamo a tutte le operaie di questa officina, appena coglieranno sul fatto questo giovane sporcacchione [...], di riunirsi tutte e di prenderlo a sberle, se necessario togliendogli i pantaloni per dargli una sculacciata di cui si ricordi".
Ci sono diverse reazioni collettive contro le molestie sessuali, come lo sciopero iniziato nel 1905 a Limoges, in una fabbrica di porcellana, dopo il licenziamento di una giovane operaia che si era rifiutata di concedersi al caporeparto. Uno sciopero che si svolge in un contesto di lotte potenti e massicce nella regione, dove la classe operaia conquista un alto livello d'organizzazione.
Le donne socialiste, impegnandosi nel movimento operaio, partecipano ad una forma di contropotere. Quella della classe operaia è, in un certo qual modo, una società parallela con le proprie organizzazioni, la propria stampa, la propria morale, con le sue tradizioni di lotte e di solidarietà, le sue idee e biblioteche, le sue opere marxiste... Diventate militanti, queste donne fanno parte della grande armata di ribelli che lottano per un'altra umanità. Un oppresso, nel momento in cui comincia a lottare, smette di essere tale e inizia a liberarsi, qualunque sia l'esito della battaglia.
La giovinezza di un'operaia diventata dirigente socialista: Adelheid Popp
Adelheid Popp, dirigente della socialdemocrazia austriaca, racconta la sua storia nel libro La giovinezza di un'operaia. Alla fine del 19° secolo, Adelheid vive in Austria dove comincia a lavorare all'età di dodici anni. Viene a contatto con la politica grazie ad un socialista amico di suo fratello, che le dà un giornale. Leggendolo, comincia a riflettere sulla propria condizione di operaia. Diventa lettrice accanita del giornale che vende attorno a sé e di cui legge passaggi ad alta voce ai suoi compagni di lavoro. Poi, accompagna suo fratello ad una riunione socialdemocratica. È l'unica donna dell'assemblea. È entusiasmata dal discorso del relatore perché capisce che la sua condizione non è un caso isolato, ma è quella dei lavoratori della sua classe sociale. Benché convinta dalle idee socialiste, non pensa di aderirvi, data la sua condizione femminile. Dopo molte riunioni, osa comunque prendere la parola per descrivere la sua vita d'operaia. In quanto proletaria raggiunge il grande esercito dei combattenti contro il capitalismo diventando membro del partito socialdemocratico. Quindi, partecipa alla redazione del giornale d'agitazione in direzione delle donne. Racconta poi che, ormai diventata redattrice del giornale, deve imporsi nei confronti dei suoi compagni di sesso maschile. Nonostante il freddo del luogo di lavoro, sceglie di non essere quella che si occupa di mettere la legna nella stufa, ma colei che, come chi che la circonda, si occupa di politica. I compiti materiali devono essere ripartiti tra tutti.
Clara Zetkin è una dirigente del partito socialdemocratico tedesco, come pure fondatrice e dirigente dell'Internazionale socialista delle donne che tiene il suo primo congresso nel 1907. In quell'occasione, essa difende una risoluzione per il diritto di voto alle donne, adottata dalle delegate presenti. È il punto di partenza di una campagna attiva delle socialiste militanti nella società ed anche... nei partiti socialisti. Infatti, perfino in seno ai partiti socialisti, le donne devono combattere i pregiudizi sessisti che impregnano tutte le pratiche sociali. In questa battaglia, possono contare sulla Seconda Internazionale socialista che, lo stesso anno, inserisce nel suo programma la lotta delle donne per il diritto di voto.
I pregiudizi sessisti o corporativisti dividono le forze della classe operaia
Occorre tutta la coscienza di classe di un partito rivoluzionario socialista per sconfiggere il veleno del sessismo, come i veleni di ogni sorta di divisione che i padroni introducono di continuo nella classe operaia per indebolirne le forze. Tra queste grandi debolezze a vantagio dei padroni, c'è il corporativismo, idea illusoria di appartenere ad una categoria di lavoratori particolare che andrebbe difesa specificamente. Il sindacato degli operai tipografi di Lilla, ad esempio, afferma esplicitamente nel primo numero del suo giornale (la data è del 10 maggio 1894) che: "per difendere utilmente la nostra causa e anche, diremo noi, per difendere quella di tutti i lavoratori che si troverebbero danneggiati se la donna entrasse nella nostra industria, abbiamo fondato questo giornale". E più avanti: "Da quasi quarant'anni, i lavoratori del libro lottano contro l'occupazione della donna nella composizione tipografica, e ciò non per impedire alla donna di lavorare, come insinuano ipocritamente alcuni giornali al servizio degli economisti, ma per evitare che l'occupazione della donna diventi una causa di deprezzamento dei salari e di disoccupazione [...]".
Questi pregiudizi diffusi tra gli oppressi provengono dalle idee che la borghesia dominante sull'economia vuole trasmettere all'intera società. Questa dittatura sulle menti è condannata da una sindicalista militante americana, "Mamma Jones", la quale, più o meno nella stessa epoca, afferma che i lavoratori "dinanzi a loro hanno solo le YMCA (le associazioni di gioventù) del padronato, i sacerdoti e gli insegnanti del padronato, i medici ed i giornali del padronato per trasmettere loro delle idee. Pertanto, non ne hanno molte".
I padroni usano la concorrenza, uomini contro donne, autoctoni contro stranieri. Per combatterla e vincerla, occorre un partito politico capace di rappresentare gli interessi generali degli oppressi, interessi che vadano oltre le differenze di sesso, di colore, di religione.
L'esempio di uno sciopero a Nancy...
Quando il padronato riesce a dividere i lavoratori, è lui che si rafforza. Un esempio: a Nancy nel 1901, nella tipografia Berger-Levrault, scoppia uno sciopero degli operai per i salari. Per fermare lo sciopero, il padrone assume operaie tipografe che accettano di venire a lavorare a Nancy. Queste operaie vedono l'occasione di penetrare in una fortezza fino a quel momento imprendibile, poiché le donne non sono accettate dai tipografi, che proibiscono loro anche l'adesione al sindacato. Sono quindi organizzate nel proprio sindacato. La Camera del lavoro di Nancy decide allora di escludere il sindacato delle operaie tipografe poiché si è comportato da vero crumiro. Marguerite Durand, figura del femminismo in Francia e redattrice capo del giornale femminista La Fronde, si fa carico del caso e inizia una campagna per reintegrare il sindacato delle donne tipografe nella Camera del lavoro. Vi riesce.
Alla fine di questa lotta, nonostante donne siano state assunte nella tipografia, nonostante il sindacato delle tipografe sia stato reintegrato alla Camera del lavoro di Nancy, il padrone, giocando la carta della divisione, ne esce come il vincitore morale. E per molto tempo, le femministe dovranno portato l'etichetta di "crumire".
Un controesempio a Méru, quando la classe operaia supera le divisioni
Il padronato, fortunatamente non vince sempre e la coscienza di classe talvolta ha la meglio sui tentativi di divisione dei padroni. Come nel 1909 a Méru, nel nord della Francia, durante uno sciopero lungo e determinato condotto dagli operai che fabbricano bottoni. I bottonieri, come vengono chiamati, sono operai, ma anche operaie, che lavorano gli uni e le altre nello stesso luogo di lavoro ma con mansioni differenti. Quando i padroni si rendono conto che lo sciopero sarebbe durato, tentano una manovra per dividere gli scioperanti. Essi, ritenendo che le operaie avrebbero ceduto più facilmente, propongono aumenti salariali soprattutto per i lavori femminili. La manovra fallisce e lo sciopero continua. Dopo qualche settimana, mentre l'esercito occupa la città, i padroni tentano di nuovo la divisione, ma, ricordando il fallimento del loro primo tentativo, questa volta propongono aumenti principalmente per i lavori maschili. Di nuovo il tentativo fallisce, e lo sciopero dei bottonieri di Méru si conclude con la vittoria dell'insieme dei lavoratori.
Le organizzazioni femministe borghesi... per i diritti delle donne, ma nel quadro della società capitalistica
Alla fine dell'Ottocento, fioriscono anche organizzazioni femministe che rivendicano diritti per le donne nell'ambito della società capitalistica e senza rimetterla in discussione.
In Francia, non tutte le associazioni, organizzazioni e leghe di donne esistenti lottano sullo stesso terreno e adottano la stessa tattica. Il movimento femminista è plurale. Ci sono donne che preferiscono non rivendicare il diritto di voto perché pensano che si rischierebbe di indebolire la repubblica, ancora troppo giovane e resa più fragile dagli attacchi dei cattolici. Ci sono donne che cercano di conquistare diritti civili come il diritto al divorzio, e altre che si battono innanzitutto per il diritto di voto, con l'argomento che quest'ultimo condiziona tutti gli altri... Ci sono poi quelle che pensano che non occorre chiedere tutto in un colpo solo e preferiscono esigere i diritti un po' alla volta, sperando così di ottenerli più facilmente.
È il motivo per cui queste organizzazioni, molto spesso dirette da donne della borghesia, sono definite femministe "borghesi" dai socialisti, poiché propagano l'illusione che sia possibile giungere alla parità uomo-donna senza abbattere il capitalismo.
In Germania esiste un forte antagonismo di classe, persino un ostracismo, tra le militanti operaie e le borghesi femministe. Nel 1894, ad esempio, la Federazione delle associazioni di donne tedesche (BDF) rifiuta l'adesione alle organizzazioni operaie perché queste difendono gli interessi dei lavoratori. La socialista Clara Zetkin, da parte sua, lotta perché le operaie si organizzino indipendentemente dalle donne borghesi, in particolare dalle suffragette della Gran Bretagna.
Il movimento socialista si è costruito contro la società capitalistica e le sue numerose ingiustizie. È quindi parte interessata al riguardo delle lotte delle donne per avere dei diritti, pur dando loro altre prospettive. Ecco ciò che Rosa Luxembourg, dirigente del partito socialista tedesco, dirigente riconosciuta della Seconda Internazionale, scrive nel 1912: "Il suffragio femminile è il traguardo. Il movimento di massa che lo potrà ottenere, però, non riguarda soltanto le donne, ma è una preoccupazione di classe comune alle donne e agli uomini del proletariato. La mancanza attuale di diritti per le donne in Germania non è che un elemento della catena che ostacola la vita del popolo".
L'impulso alle organizzazioni femministe "borghesi" viene dal fatto che le lavoratrici sono sempre più presenti in settori della produzione e delle istituzioni statali. E tuttavia, per la legge rimangono di minore importanza, senza nessun diritto, né civile, né politico. È un divario aberrante tra l'evoluzione della società, che dà più spazio alle donne, e l'antiquata struttura giuridica, che le vuole comandare a bacchetta. Ma per il capitalismo le contraddizioni contano poco e ciò alimenta le lotte femministe che vogliono scuotere l'ambito angusto nel quale la società borghese imprigiona le donne.
Negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna, anche se le dirigenti delle organizzazioni femministe appartengono alla piccola borghesia, o persino alla borghesia e all'aristocrazia, sono però oppresse come donne. E, per condurre la loro battaglia, sono portate a rompere la solidarietà con la loro classe sociale d'origine. Occorre loro un certo coraggio perché i membri della loro classe non glielo perdonano e glielo fanno pagare a caro prezzo.
In Gran Bretagna, le suffragette ricorrono alla violenza per rompere il circolo vizioso che rinchiude le loro rivendicazioni
Anche la Gran Bretagna, alla fine dell'Ottocento, conosce un aumento della combattività operaia. Scoppiano numerosi scioperi ed il movimento operaio si rafforza. Nello stesso tempo, "suffragiste", militanti del suffragio femminile, tentano parecchie volte, con petizioni ed interventi presso i politici, di convincere i deputati ad adottare una legge per il diritto di voto alle donne. Anche l'idea di un suffragio censitario, cioè soltanto per le donne che pagano tasse, fallisce. Il Partito Laburista, creato nel 1900 su iniziativa dei sindacati e di piccoli gruppi socialisti, non include nel suo programma la rivendicazione del diritto di voto per le donne, mentre molti altri partiti socialisti lo hanno fatto in Europa. Il Partito Laburista non vuole distinguersi dai partiti tradizionali borghesi. Il risultato è che, all'inizio del Novecento, le operaie aderiscono spesso ad organizzazioni che militano per i diritti civici, allora composte, per lo più, da membri della classe media e agiata.
Una parte delle militanti per i diritti politici, vedendo gli uomini politici che hanno sperato di convincere dimostrare la loro codardia e moltiplicare le esitazioni a sostenere il suffragio femminile, decide di intensificare la lotta. E così, le organizzazioni femministe si dividono su tale questione tra "suffragiste", le quali cercano di fare opera di convinzione con mezzi legali, e le "suffragette" di Emmeline Pankhurst, che decidono di ricorrere alla violenza per farsi sentire.
Emmeline Pankhurst è la presidente dell'Unione politica e sociale delle donne (WSPU), fondata nel 1903 per rivendicare i diritti civili per le donne. Appartiene ad una famiglia agiata e milita molto presto per questi diritti. Ha sposato un avvocato, che condivide la sua battaglia come tre delle sue figlie, Christabel, Sylvia e Adela. Presso i Pankhurst, il femminismo è, in un certo qual modo, storia di famiglia...
Nel 1905, dopo l'ennesimo abbandono di un progetto di riforma costituzionale da parte del Parlamento, l'organizzazione di Emmeline Pankhurst inizia una campagna dai metodi spettacolari. Si tratta di azioni sempre più radicali volte a perseguitare gli uomini politici e a forzarli a votare leggi in favore del diritto di voto alle donne. Le suffragette disturbano le riunioni, sfidando gli oratori a proposito del suffragio femminile. Rompono le finestre dei politici noti per le loro opinioni antisuffragette. Incendiano i portici di quelle chiese dove i preti pronunciano sermoni contro il suffragio femminile.
Suffragette sono arrestate e subiscono la violenza delle percosse e l'umiliazione dei palpeggiamenti da parte dei poliziotti. Sono multate e, poiché si rifiutano di pagare, si ritrovano in carcere. Lì fanno lo sciopero della fame per continuare a protestare. Vengono alimentate con la forza. Lo Stato britannico ricorre a varie forme di violenza per far tacere le suffragette. Causa persa, la loro battaglia non si affievolisce. Nel 1913, una di esse, Emily Davison, si getta sotto gli zoccoli del cavallo del re durante una corsa ippica e muore per aver voluto rendere pubblica la rivendicazione dei diritti civili per le donne. Solo la Prima Guerra mondiale fa cessare la battaglia delle suffragette, quando Emmeline Pankhurst aderisce alla politica bellica e imperialista del Regno Unito.
La politica dell'escalation della violenza è la scelta di suffragette militanti che non vogliono più sottoporsi a leggi che le disprezzano, di donne che cercano mezzi per rompere le catene politiche che le ingabbiano. Questa politica, ancorché radicale, ha come obiettivo, per alcune dirigenti del movimento, non tanto l'emancipazione di tutte le donne e la scomparsa dell'oppressione, ma quello di aprire la strada affinché le donne della borghesia possano far parte dell'apparato di Stato.
Del resto, l'unione della famiglia Pankhurst si spezza su questa strategia riformista, poiché Sylvia e Adela lasciano l'organizzazione della madre. Sylvia raggiunge il movimento operaio e finisce per entusiasmarsi per la rivoluzione russa del 1917 e per le idee comuniste.
Nel Regno Unito, le donne di più di trent'anni ottengono il diritto di voto nel 1918. È il risultato delle loro lotte, ma anche una conseguenza indiretta dell'ondata rivoluzionaria che dilaga in Europa. I dirigenti borghesi preferiscono fare concessioni alle popolazioni che hanno tanto sofferto a causa della guerra, piuttosto che alimentare le forze rivoluzionarie che minacciano di spazzare via tutto l'ordine sociale. E proprio negli anni del dopoguerra, un nuovo potere sorge in Russia.
La rivoluzione russa comincia l'8 marzo 1917, la Giornata internazionale di lotta delle donne.
Prima della rivoluzione, in una Russia semifeudale, l'analfabetismo è molto più elevato fra le donne che fra gli uomini e interessa, nel 1914, i due terzi di esse. In Russia, una donna sposata che non abbia subito percosse è un'eccezione. La legge autorizza esplicitamente il marito a picchiare la moglie. Del resto, nelle grandi famiglie, la tradizione vuole che il padre della sposa consegni la frusta al proprio genero il giorno del matrimonio.
Tuttavia, in tutte le pagine della storia del movimento rivoluzionario russo si trovano nomi di donne. Alla fine dell'Ottocento, fra i narodniki, militanti che volevano sollevare il popolo contro lo zar ricorrendo al terrorismo individuale, molte sono le donne provenienti dall'intellighenzia. Il 24 gennaio 1878, Véra Zassulitch spara sul prefetto di Pietroburgo per porre fine alla repressione di cui sono vittime i narodniki. Véra Figner partecipa alla creazione dell'ala paramilitare della sua organizzazione ed alla pianificazione dell'attentato contro lo zar Alessandro II.
A Mosca, nel novembre 1879, Sofia Perovskaïa partecipa alla preparazione della fallita sparatoria contro Alessandro II e, nella primavera del 1880, a quella dell'attentato di Odessa, anch'esso fallito. Il 13 marzo 1881, lo zar è infine ucciso dalle bombe dei narodniki, in un attentato ancora una volta diretto da Sofia Perovskaïa. È la prima donna russa impiccata per ragioni politiche.
Più tardi, intellettuali e operaie aderiscono e militano nel Partito socialdemocratico russo.
E l'8 marzo 1917, la rivoluzione comincia con la sommossa di operaie del tessile di Pietrogrado, questo contingente del proletariato sfruttato ed oppresso più degli altri. La rivoluzione si fa con numerose operaie che scioperano, manifestano e si armano. Lottano nelle sezioni di mitraglieri, dei servizi di informazioni e spionaggio. Nell'Armata rossa, scavano trincee. Montano la guardia nei blocchi stradali per impedire la fuga dei disertori che, di fronte a queste combattenti, pronte a morire, si vergognano e si sentono moralmente costretti a tornare al proprio posto.
Il Consiglio dei commissari del popolo è anche il primo governo al mondo di cui fanno parte donne fin dal primo mese. La dirigente bolscevica Alessandra Kollontaï, è nominata commissaria del popolo all'assistenza sociale. In Ucraina, nell'autunno del 1921, la militante bolsevica Majorova occupa una carica simile. Nelle province, numerose donne, operaie e contadine, sono commissarie governative.
Le misure adottate dal potere dei consigli operai e contadini e la politica del partito bolscevico sono esempi di cui possiamo essere fieri. Giustamente, Lenin afferma: "nessuno Stato, nessuna legislazione democratica ha fatto per la donna metà di ciò che il potere sovietico ha fatto fin dai primi mesi della sua esistenza".
Il potere bolscevico traduce in realtà ciò per cui lottano le femministe in Europa e in America
Per prima cosa, ci sono i decreti emanati dal governo sovietico. Sette settimane dopo la conquista del potere nell'ottobre del 1917, il matrimonio religioso è abolito e sposarsi diventa una semplice formalità civile. Tutti i bambini ottengono gli stessi diritti, siano nati fuori del matrimonio o no. Il divorzio diventa una procedura semplice e d'ordine privato in caso di consenso reciproco. L'adulterio e l'omosessualità non sono più considerati come delitti e, pertanto, non più puniti dalla legge. L'autorità del capofamiglia scompare dal Codice civile. Nel dicembre del 1918, il Codice della famiglia è l'unico nell'Europa dell'epoca per la sua alta espressione di libertà, poiché stabilisce l'uguaglianza assoluta tra marito e moglie. Il diritto d'eredità è abolito. È il primo Stato che legalizza, alla fine del 1920, l'interruzione della gravidanza. Nello stesso anno, per quanto riguarda le popolazioni musulmane della Russia, il primo congresso che le riguarda decide l'abolizione della poligamia, il divieto del matrimonio delle bambine e la fine dell'obbligo di portare il velo. L'istruzione diventa obbligatoria sia per le ragazze che per i ragazzi.
Ma i comunisti al potere non si accontentano dell'uguaglianza davanti alla legge. Sanno che l'oppressione delle donne è una conseguenza della divisione della società in classi sociali e che la fine di questa oppressione non richiede solo dei decreti, anche se giustissimi. Occorre un cambiamento radicale del ruolo delle donne nella società, in particolare dando loro i mezzi per partecipare alla produzione delle ricchezze. Ecco cosa afferma in proposito Alessandra Kollontaï nel 1921: "L'atto rivoluzionario più importante è l'introduzione del lavoro obbligatorio per gli uomini e le donne adulti. Questa legge ha portato un cambiamento senza precedenti nella vita della donna. Ha cambiato il ruolo della donna nella società, nello Stato e nella famiglia, in modo molto più importante di quanto siano riusciti a fare tutti gli altri decreti emanati da quando è iniziata la rivoluzione d'Ottobre, che davano alla donna l'uguaglianza politica e civile".
L'uguaglianza nel lavoro produttivo è una condizione necessaria per l'uguaglianza negli altri campi della vita sociale. L'uguaglianza politica, unita al lavoro obbligatorio per tutti, contribuisce a far riconoscere le donne come individui a pieno titolo.
Occorre poi l'azione militante e volontaristica del partito perché la legge entri nella vita e cambi realmente la società. Perché ciò si realizzi, il partito fa appello all'azione delle donne stesse. Nel 1921, nel corso di una riunione dell'Internazionale comunista, Alessandra Kollontaï sostiene la necessità di un piano d'attacco alle usanze sociali, per integrare le donne che, con il loro ruolo nella vecchia società, non hanno fiducia in se stesse. Il partito bolscevico si dà l'obiettivo di far entrare operaie, contadine, casalinghe, lavoratrici in tutte le organizzazioni legate ai soviet. Vigila affinché le operaie vengano elette nei consigli d'impresa. Occorre che siano elette delle donne a tutti i livelli di organizzazione della produzione. Il partito chiede alle sue militanti di andare a lavorare come operaie là dove ci le donne sono numerose, al fine di fare propaganda e tentare di cambiare i comportamenti. Nelle fabbriche miste, lo Stato incoraggia le donne a partecipare, alla pari degli uomini, alla vita del soviet. Il partito ha anche una politica per le casalinghe: ogni militante deve contattare, almeno una volta alla settimana, una decina di casalinghe per fare propaganda in favore dell'uguaglianza e tentare di associare il più alto numero di donne al funzionamento dello Stato operaio. È ciò che Lenin si augura quando afferma che "Ogni cuoca deve imparare a dirigere lo Stato".
Lo Stato sovietico non chiude gli occhi sui problemi considerati spesso come facenti parte della sfera privata. Adotta misure per liberare le donne dai compiti domestici. Lenin afferma nel 1919 che "Nonostante tutte le leggi che abbiamo fatto per l'emancipazione della donna, essa continua ad essere una schiava domestica perché il lavoro domestico la riporta indietro, la soffoca, la rinchiude e la degrada, la imprigiona nella sua cucina dove spreca tempo e attività in lavori forzati ingrati". La società capitalistica ha sviluppato le tecniche, ha creato quelle vere e proprie concentrazioni umane che sono le città industriali, con la divisione del lavoro ha reso collettive molte azioni... ma, quando si tratta dei compiti domestici, continua a farli gravare sugli individui e soprattutto sulle donne, che relega in cucina. Questa organizzazione della vita domestica è troppo individuale e gretta. Non corrisponde più alle possibilità immense di liberarsi da un lavoro noioso e vano. Ed è ciò che lo Stato sovietico combatte sviluppando ristoranti collettivi, lavanderie pubbliche.
Lo Stato sovietico tiene conto anche dei carichi legati alla maternità e all'istruzione dei bambini, che spettano quasi esclusivamente alle donne. A tale proposito, Alessandra Kollontaï così dice: "Il fatto che la donna non è soltanto cittadina e forza di lavoro, ma anche colei che mette bambini al mondo, la porrà sempre in una situazione particolare. È ciò che le femministe rifiutarono di comprendere, accontentandosi di parlare d'uguaglianza formale. Il proletariato non può permettersi di ignorare questa realtà essenziale allorché si tratta di elaborare nuovi modi di vita". E più avanti: "Se vogliamo dare alle donne la possibilità di partecipare alla produzione, la collettività deve scaricarle del pesante fardello legato alla maternità".
Per tale motivo lo Stato operaio costruisce asili nido d'infanzia. Emana anche decreti che sanciscono la gratuità dell'alimentazione dei bambini fino all'età di diciassette anni, decreti che assicurano, a spese dello Stato, l'esistenza della donna incinta e della giovane madre.
E lo Stato operaio tenta a condurre questa politica proprio mentre sta attraversando le difficoltà peggiori, in un momento in cui è in gioco la sua stessa sopravvivenza, anche durante gli anni più neri della guerra civile.
In qual modo viene attuata la politica bolscevica in rapporto ai problemi della donna? I bolscevichi al potere non hanno una politica autoritaria. Lottano contro l'influenza della chiesa sulla società, ed in particolare sulla famiglia, ma innanzitutto cercano di convincere attraverso la persuasione. Ad esempio, quando nel 1923 comincia l'elaborazione del nuovo Codice di famiglia, questo è discusso, per mesi, dalla popolazione. Dal 1925, vengono organizzate migliaia di assemblee nei villaggi, nelle fabbriche, assemblee che permettono discussioni pubbliche. Il giornale La Pravda pubblica le lettere di lettori che esprimono il loro punto di vista sulla questione. Dopo un anno di dibattiti, nel 1926, il nuovo Codice di famiglia sancisce finalmente che il matrimonio registrato dall'anagrafe e la convivenza sono uguali di fronte alla legge.
In materia d'uguaglianza dei diritti, la Russia bolscevica realizza quello per cui lottano le femministe in Europa e in America. E non solo sul piano politico garantendo alle donne il diritto di voto, il diritto di essere candidate ed elette, ma anche fornendo loro i mezzi per rivoluzionare i modi di vita. In pochi anni, i russi conquistano ciò che altrove le femministe otterranno in decenni.
Il fallimento della rivoluzione mondiale e la stalinizzazione dell'Internazionale: le idee della borghesia penetrano nei partiti operai
La Russia rivoluzionaria esce però esangue dalla guerra civile. L'ondata rivoluzionaria che attraversa l'Europa finisce in un vicolo cieco. La Russia comunista si trova isolata in un periodo di generale reazione politica in Europa. Il nuovo potere deve reggere, anche solo per preservare le possibilità politiche di una prossima ascesa rivoluzionaria. La burocrazia, che fa funzionare lo Stato sovietico russo, prende a poco a poco il potere e si emancipa dal controllo delle masse operaie, spossate dai sette anni di conflitto bellico, di rivoluzione e di guerra civile. I dirigenti stalinisti rompono con la tradizione rivoluzionaria eliminando tutta la vecchia guardia bolscevica.
La stalinizzazione del potere si traduce in un regresso sia nel campo dei diritti conquistati dagli sfruttati con il rovesciamento del potere della borghesia e dei potenti, sia in quello dei diritti delle donne. È il ritorno degli vecchi valori borghesi, dal cottimo nelle fabbriche fino alla famiglia considerata come sacra istituzione. Nel 1936, lo stesso anno in cui cominciano i processi di Mosca, la dittatura stalinista proibisce l'aborto e decreta l'aumento delle spese per il divorzio. Occorre "proteggere la nuova famiglia sovietica" e lottare contro ciò che i burocrati chiamano "un atteggiamento leggero e negligente verso il matrimonio".
Questa degenerazione staliniana ha conseguenze su tutti i partiti dell'Internazionale comunista. Non solo essi diventano semplici esecutori della politica controrivoluzionaria dettata dalla diplomazia staliniana, ma fanno proprie le idee reazionarie sulle donne, invitate a procreare e ad occuparsi della casa. In Francia, il Partito comunista abbandona tutte le lotte che avrebbero potuto farne un partito rivoluzionario, tra le altre la lotta delle donne per la loro emancipazione.
Tuttavia, al momento della sua nascita, il Partito comunista si era opposto ad una legge indegna del 1920, legge che condannava come fossero dei criminali chi procurava l'aborto e le donne che abortivano. In quegli anni, il Partito comunista, legato alla rivoluzione russa, non ha paura di difendere la contraccezione, il diritto all'aborto e la possibilità per le donne di essere elette. Così, nel 1924, un'operaia militante, Joséphine Pencalet, candidata in una lista comunista, viene eletta nel consiglio comunale di Douarnenez, in Bretagna. E ciò avviene quando le donne non hanno ancora né il diritto di voto né quello di essere elette.
Il PCF e la sua volontà di integrarsi nella società borghese
Il Partito comunista, nella Francia del 1936, proprio l'anno in cui si allea con i radicali ed i socialisti per portare il movimento dei lavoratori nel vicolo cieco del Fronte popolare, smette di rivendicare l'abrogazione della legge contro l'aborto del 1920 e si dichiara a favore di misure per l'aumento delle nascite.
Dopo la seconda guerra mondiale, il Partito comunista (diventato Partito comunista francese - PCF) partecipa al governo. Dal 1945, il PCF partecipa alle celebrazioni della Festa della mamma e si presenta come "difensore delle famiglie francesi". Nel 1949, Jean Kanapa, garante intellettuale del PCF, vomita insulti sul libro di Simone de Beauvoir, Il Secondo Sesso. Scrive che si tratta di una "sconcezza che disgusta". Questo libro ha invece l'immenso merito di riportare in primo piano quelle idee femministe precedentemente difese dal Partito comunista.
Nel febbraio del 1956, il PCF fa la guerra a una proposta di legge sul controllo delle nascite e sulla legalizzazione delle misure contraccettive. Jeannette Vermeersch, vice presidente dell'Unione delle donne francesi, un'organizzazione satellite del partito, si oppone a questo progetto di legge. Il che dimostra come la creazione di una specifica organizzazione femminile non è una garanzia di femminismo. Questa dirigente del PCF si esprime così: "Il controllo delle nascite, la maternità volontaria, sono uno specchietto per le allodole per le masse popolari, nel contempo sono un'arma nelle mani della borghesia contro le leggi sociali [...]. Quando mai le donne lavoratrici dovrebbero rivendicare il diritto di accedere ai vizi della borghesia?". Nell'aprile del 1956, Vermeersch indirizza una nota alla segreteria del partito, in cui afferma che legalizzare la propaganda per i metodi di contraccezione porterebbe ad un "calo allarmante della natalità". Essa teme anche lo "scatenarsi di una propaganda per l'educazione sessuale" che avrebbe come conseguenze immediate quelle di "aumentare i problemi di classe", di "urtare i sentimenti familiari ed umani" e di favorire la denatalità.
Quanto al segretario generale del PCF, Maurice Thorez, questi afferma: "Non ci sembra superfluo ricordare che la strada della liberazione della donna passa attraverso le riforme sociali, le rivoluzioni sociali, e non attraverso le cliniche d'aborto". La posizione difesa dal PCF nel 1956 è mantenuta per anni. Occorre aspettare il 1965 per osservare un primo cambiamento, in seguito alla mobilitazione dell'opinione pubblica per la Pianificazione familiare.
Lo stalinismo ha cacciato via le idee rivoluzionarie dal movimento operaio e si è adattato alla società capitalistica. Il PCF stalinizzato ha abbandonato le battaglie del movimento comunista contro tutte le oppressioni: l'anticolonialismo, la lotta contro il nazionalismo, contro il razzismo..., così come le battaglie della vita quotidiana contro tutto ciò che offusca la coscienza degli sfruttati, dall'alcolismo alla religione. E ha pure abbandonato la lotta femminista.
La rinascita del movimento femminista negli anni '60 avviene all'esterno delle organizzazioni riformiste del movimento operaio
Per tale motivo, i movimenti di protesta femministi degli anni '60-'70 si sviluppano all'esterno delle organizzazioni riformiste del movimento operaio. Negli anni '70 il movimento di liberazione delle donne, il MLF, sfila nelle manifestazioni del 1° maggio con i rivoluzionari e non dietro al PCF o al Partito socialista. Le femministe, infatti, lottano in un campo disertato dalle organizzazioni che affermano di rappresentare gli interessi dei lavoratori e degli oppressi
Verso la fine degli anni '60, negli Stati Uniti, il movimento femminista riappare. Lo fa contemporaneamente alla nascita del movimento dei neri per i diritti civili e del movimento pacifista contro la guerra del Vietnam. In Francia, il movimento femminista origina dalla scossa sociale del maggio 1968. In questo contesto d'agitazione sociale e di rimessa in discussione dei valori dell'ordine costituito, nel 1973 vengono fondati il movimento Choisir e il MLAC (Movimento per la libertà dell'aborto e della contraccezione), movimento al quale partecipano molte organizzazioni politiche d'estrema sinistra, tra cui Lutte ouvrière con la nostra compagna Arlette Laguiller. Il MLAC si prefigge di imporre l'abolizione della legge del 1920 che vieta l'aborto.
Prima della legge Veil, votata nel 1975, l'interruzione volontaria di una gravidanza non voluta è punita con la reclusione per le donne che abortiscono e per chi le aiuta a farlo. In realtà, in quel periodo, l'ipocrisia regna sovrana poiché, ogni anno, centinaia di migliaia di donne mettono fine ad una gravidanza non desiderata. Coloro che ne hanno i mezzi possono farlo in buone condizioni sanitarie all'estero. Le altre devono arrangiarsi rischiando la salute. Così, ogni anno, più di trecento donne muoiono in seguito ad un aborto clandestino.
Tuttavia, la legge del 1975 non è stata un regalo del governo, ma il risultato di una lotta accanita. Nel 1971, 343 donne famose sottoscrivono e pubblicano un manifesto nel quale dichiarano di avere abortito. Si chiamano Simone de Beauvoir, Gisèle Halimi, Catherine Deneuve, Jeanne Moreau, Agnès Varda, Delphine Seyrig, Christiane Rochefort. Così facendo, esse sfidano la legge che proibisce l'aborto. Sono denigrate dal branco dei difensori della famiglia, siano questi di destra o di sinistra.
L'anno seguente, nel 1972, vi è il processo di Bobigny. Una giovane donna di diciassette anni, che ha abortito dopo uno stupro, si trova sul banco degli accusati con sua madre che l'ha aiutata. È l'avvocatessa Gisèle Halimi, militante femminista, che ne assume la difesa in tribunale, mentre un grande movimento si costituisce a sostegno di queste due donne considerate colpevoli agli occhi della legge. Vengono rilasciate. Questa grande vittoria incoraggia molte donne a partecipare alle manifestazioni successive, a rialzare la testa e ad osare parlare di loro, a sostenere le discussioni e difendere un punto di vista diverso da quello dei fautori della famiglia.
Un anno più tardi, nel 1973, 311 medici dichiarano di aver praticato aborti clandestini, senza essere per questo messi sotto accusa dalla giustizia. Associazioni come la pianificazione familiare e il MLAC creano centri in cui dei medici praticano aborti ed organizzano pubblicamente viaggi in autobus verso i paesi dove è possibile abortire. E, soprattutto, tutte queste azioni fuorilegge sono accompagnate da grandi manifestazioni.
Se facciamo un bilancio, constatiamo che in Francia il movimento femminista è riuscito con le sue lotte ad imporre varie leggi: il diritto di disporre dei propri beni senza l'autorizzazione del marito, di avere un conto in banca, di utilizzare mezzi di contraccezione, la soppressione del concetto di "capo di famiglia", il diritto di abortire, l'obbligo delle classi miste nelle scuole, il divorzio consensuale, la depenalizzazione dell'adulterio. Gli anni '60-'70 si contraddistinguono per una certa liberalizzazione dei costumi, che ha permesso a quelle generazioni di liberarsi dai vecchi modelli di sottomissione delle donne.
Le donne di fronte a forze reazionarie offensive
Non si deve però dimenticare che quest'evoluzione non è poi così remota... e che ogni diritto ha dovuto essere imposto. Sansimoniane, militanti del suffragio femminile, militanti socialiste, poi comuniste, in tutte c'è sempre voluto il coraggio morale di andare controcorrente. C'è voluto il coraggio fisico di andare a manifestare pur sapendo che ci sarebbero stati il manganello o la prigione. Sì, l'umanità può essere fiera di queste donne che hanno osato, fiera dell'energia, della combattività, della perseveranza che hanno avuto nel costruire organizzazioni, condurre scioperi, partecipare ai conflitti sociali. È a questo prezzo che le donne, in alcuni paesi del pianeta, hanno conquistato il diritto di votare, lavorare, accedere alla libertà di disporre del proprio corpo.
Per decenni, nell'Ottocento e poi nel Novecento, le battaglie per l'emancipazione delle donne sono possibili grazie alle azioni politiche delle masse operaie, alle lotte della socialdemocrazia e poi dei giovani partiti comunisti. Sono partiti che contestano il potere della borghesia sulla società, che organizzano le proprie reti e, come abbiamo detto, avanzano i propri valori: la solidarietà di classe, la fratellanza, l'internazionalismo, le idee collettiviste...
Oggi, la contestazione del dominio della borghesia non esiste più, neppure quella riformista o quella deformata dallo stalinismo. Oggi, le forze politiche all'offensiva sono quelle che difendono l'ordine esistente: correnti reazionarie pronte ad usare ogni mezzo politico, anche il più estremo, pur di mantenere ad ogni costo il sistema capitalistico in crisi permanente, un sistema parassitario per tutta l'economia. E ciò si traduce nell'arretramento dell'intera società. Quando le battaglie cessano, quando gli oppressi subiscono, anche quei diritti conquistati con grandi lotte arretrano.
L'attuale situazione delle donne è indicativa del retrocedere di tutta la società poiché, come scriveva Charles Fourier nell'Ottocento, "in ogni società, il grado di emancipazione delle donne è la misura naturale dell'emancipazione generale".
Nei paesi poveri del pianeta, dove le popolazioni sono sottoposte a dittature infami o a guerre incessanti, la condizione delle donne non è affatto progredita e in alcuni luoghi è diventata persino spaventosa: abbandoni di neonate, matrimoni forzati, schiavitù, mutilazioni sessuali, stupri di guerra, delitti d'onore, esecuzioni pubbliche, omicidi... E anche quando le donne conquistano diritti partecipando alle lotte per l'indipendenza di alcuni di questi paesi, esse sono schiacciate dalla spinta delle forze reazionarie. Le figlie e le nipoti di quelle che si tolgono il velo sono costrette a portarlo di nuovo e a subire un codice della famiglia retrogrado, come avviene in Algeria. In Arabia Saudita, le donne sono costrette a scomparire sotto un velo nero che le copre dalla testa ai piedi. La loro sessualità è sotto controllo e possono essere lapidate in piazza per adulterio. Non hanno il diritto di uscire senza essere accompagnate da un uomo della famiglia. Non hanno il diritto di guidare. Nelle scuole le classi miste sono vietate...
In molti paesi, il ruolo delle donne nella società si limita a ciò che lo Stato e la mentalità concedono loro, e il diritto stesso all'esistenza può essere negato. Una canzone popolare dell'India dice: "Perché sei venuta al mondo, figlia mia, quando invece volevo un maschio? Vai dunque al mare a riempire il tuo secchio, che tu possa cadervi dentro ed annegare". In Cina ed in India, nei due paesi che concentrano un terzo della popolazione mondiale, c'è un deficit di nascite di bambine di più di 100 milioni. Questo squilibrio demografico porta all'eliminazione o al commercio di donne nelle regioni in cui gli uomini sono molto più numerosi.
L''imperialismo, nei paesi in cui si aggrappa putrescente ai suoi privilegi seminando la guerra, fa nascere bande armate che terrorizzano le popolazioni da controllare. E tutti questi integralisti religiosi, si tratti dei talebani in Afghanistan, o di Boko Haram in Africa o di Isis in Siria, fanno dell'odio delle donne una religione di Stato e danno, anche al più povero dei poveri, la possibilità di schiacciare un altro essere umano: la donna che gli è data in pasto. È il volto di una reazione estrema, l'immagine più barbara dell'arretramento che l'imperialismo impone al mondo per il proprio mantenimento in vita.
Anche nei paesi ricchi, la condizione delle donne paga un prezzo alla reazione
Questa evoluzione reazionaria si manifesta anche nei paesi ricchi. Nel novembre scorso, negli Stati Uniti, un pazzo furioso ha sparato nei dintorni di un centro d'i.v.g. del Colorado. Questo attacco è emblematico di altri, forse meno sanguinosi ma altrettanto violenti, contro il diritto all'aborto. In Francia, abortire è nuovamente diventato una sorta di percorso di guerra a causa delle misure d'austerità adottate dai vari governi contro l'ospedalizzazione pubblica, mediante la soppressione di posti, la chiusura di centri d'i.v.g., la penuria di ginecologi. La crisi, gli attacchi contro i servizi pubblici della sanità fanno arretrare il diritto all'aborto... E ricompaiono situazioni del passato con donne costrette, se ne hanno i mezzi, ad abortire all'estero quando i termini consentiti dalla legge sono superati. E poi ci sono i nemici dell'aborto come Marion Maréchal-Le Pen, che vuole sopprimere le sovvenzioni alla pianificazione familiare, e tutti i suoi seguaci che vogliono imporre la loro visione retrograda della famiglia: un papà, una mamma e un matrimonio... ovviamente in chiesa!
Ciò che però minaccia ancor di più il diritto all'aborto e i diritti delle donne in generale, è l'arretramento delle coscienze. Quante migliaia di giovani donne oggi, certamente decine di migliaia, possono pensare di abortire se negli istituti universitari coloro che difendono il diritto all'aborto subiscono la pressione degli altri, il peso di una morale di altri tempi... tanto che la semplice idea che le donne hanno il diritto di disporre del proprio corpo rimane ancora una battaglia da condurre? Le idee reazionarie sono nell'aria da tempo: il razzismo, la misoginia, l'omofobia, la spinta delle idee oscurantiste e religiose. Le stesse idee dei filosofi dei Lumi sono passate di moda in questa società che proclama a gran voce che è normale ci siano diseguaglianze e che i deboli vengano schiacciati. E gli integralisti religiosi, prodotto della putrefazione della società, cercano di far credere, nella loro ricerca del potere, che la salvezza dal dominio dell'occidente si trovi nella battaglia contro le idee progressiste, in particolare contro il femminismo.
Per la fine dell'oppressione delle donne, come per la liberazione dell'insieme della società, è vitale che il movimento operaio risorga
Contro il rilevante riflusso delle idee progressiste, contro tutte le correnti politiche reazionarie, è vitale che riappaia il movimento operaio, con le sue battaglie, i suoi valori. Sono stati infatti gli interventi di massa della classe operaia, le sue lotte a far progredire la società e a dare agli oppressi, in particolare alle donne, diritti che non avevano. Ed occorre anche che risorga un partito che rappresenti gli interessi politici del proletariato. Un partito che si opporrà a tutte le forme di disuguaglianza e d'oppressione nei quartieri, nelle imprese, nelle scuole, in tutta la vita sociale.
L'oppressione delle donne si è fatta sistema da quando la società si è divisa in classi sociali sulla base della proprietà privata dei mezzi di produzione. Se è vero che le donne non costituiscono una classe sociale, tuttavia sono una parte della classe operaia. Per le donne proletarie che subiscono direttamente lo sfruttamento capitalistico non hanno molta scelta nella lotta contro la precarietà, i salari bassi, il disprezzo padronale e le disuguaglianze inerenti alla loro condizione femminile. Esse devono collegare la propria battaglia a quella dell'insieme dei lavoratori contro lo sfruttatore comune.
Vogliamo altresì rivolgerci alle donne che, per buone o per cattive ragioni, non pensano di appartenere alla classe operaia, o non ancora. Se vogliono liberarsi realmente dalla propria oppressione, il loro posto è a fianco di quelle e di quelli che lottano contro questa società di sfruttamento. Le donne potranno liberarsi completamente dall'oppressione soltanto mediante una lotta finalizzata a distruggere la società capitalistica che si basa sulle disuguaglianze e sullo sfruttamento. Per essere femministi conseguenti, come per essere antirazzisti o anticolonialisti conseguenti, non si può che essere comunisti.
La nostra convinzione profonda è che l'umanità non si divida tra uomini e donne, tra neri e bianchi, tra quelli che hanno documenti e coloro che non ne hanno. È l'organizzazione capitalistica che divide la società in due classi sociali dagli interessi antagonistici. E siamo altrettanto convinti che la classe delle lavoratrici e dei lavoratori abbia un ruolo storico da compiere: farla finita una volta per tutte con questo mondo barbaro.
E, quando il nostro mondo sarà liberato da questa divisione, sarà finalmente l'inizio di un'altra storia, quella dell'umanità liberata. Le differenze saranno ricchezze e, a quel punto, cosa ne sarà delle relazioni tra uomini e donne, quando la società sarà liberata dalla proprietà privata, dai rapporti di potere e di dominio, quando gli esseri umani si saranno liberati di tutto l'ammasso di pregiudizi, pressioni e stereotipi? Siamo incapaci di immaginare oggi quali potranno essere le relazioni sociali in un'altra umanità, ma questo non ci deve impedire di lottare perché le generazioni future possano vivere completamente libere e coscienti.
Per concludere, ecco ciò che diceva la nostra compagna Arlette Laguiller nel 1974. Era la prima donna, una lavoratrice, che si candidava alle elezioni presidenziali:
"Donne mie sorelle, operai miei fratelli [...],
Per i socialisti rivoluzionari, l'uguaglianza dell'uomo e della donna non è un diritto, è un fatto. Se la donna occupa oggi una situazione inferiore all'uomo, ciò non è dovuto alla sua mancanza di capacità, che esiste soltanto nella testa dei reazionari; è perché viviamo in una società di sfruttamento, una società fondata sull'ingiustizia e sulla disuguaglianza. E le donne, tutte le donne, anche quelle della borghesia, sono vittime di questa società di sfruttamento [...]. Ma non è un caso se proprio una militante dell'estrema sinistra sia l'unica a difendere tali idee, come donna, in questa campagna elettorale. [...]
Ciò significa che solo i rivoluzionari socialisti fanno conseguire le azioni alle idee. Perché la libertà non si divide. Le donne saranno realmente libere ed uguali, cioè considerate per il loro valore umano, soltanto quando tutti gli individui saranno liberi. Tutti gli individui, anche quelli che oggi sopportano ogni genere di oppressione e sfruttamento. [...] Tutte queste catene, tutte queste oppressioni sono collegate tra loro e, nella grande battaglia per la libertà, le donne hanno un posto che tocca loro di diritto".