L'estrema sinistra, la questione palestinese e Hamas

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18 novembre 2023

Da "Lutte de Classe" n°236 - Dicembre 2023 - Gennaio 2024

Dopo il 7 ottobre e la ripresa della guerra tra lo Stato di Israele e i palestinesi, vale la pena di esaminare le politiche assunte da due organizzazioni, NPA di Philippe Poutou e Olivier Besancenot (che pubblica L'Anticapitaliste) [1] e Révolution permanente (RP), il cui portavoce è Anasse Kazib.

Il 7 ottobre, NPA ha esordito pubblicando un comunicato stampa in cui si compiaceva del fatto che "l'offensiva" fosse "dalla parte della resistenza"e aggiungeva: " NPA ribadisce il suo sostegno ai palestinesi e ai mezzi di lotta che hanno scelto per resistere" [2]. Poi, probabilmente imbarazzato dal fatto che questi "mezzi di lotta" includessero il massacro di centinaia di civili israeliani e di braccianti thailandesi, NPA ha un po' cambiato posizione due giorni dopo [3] specificando che: "Il progetto politico e ideologico, la strategia e i mezzi di lotta" di Hamas non erano i suoi, deplorando "tutte le vittime civili" e denunciando "tutti i crimini di guerra" [3]. In nessun momento però NPA critica la natura di classe borghese di Hamas, né le sue politiche nazionaliste e reazionarie. E nel periodo successivo ha espresso la propria solidarietà ad Hamas, considerandolo come la direzione legittima del popolo palestinese, senza opporgli una politica di classe.

È vero che NPA non parla praticamente più di rivoluzione operaia e di comunismo. Al livello internazionale, la "solidarietà" con i popoli oppressi in generale, e in particolare con coloro che vogliono esserne i dirigenti, è il suo breviario. Non torneremo sul fatto che tale sostegno socialmente indistinto l'ha portato, nella guerra in Ucraina, a sostenere il campo NATO di Biden e Macron contro la Russia di Putin. In Francia, la sua espressione politica non è più molto diversa da quella di La France insoumise di Mélenchon, a cui ha proposto una campagna congiunta alle elezioni europee del 2024 [4], una mossa che fa seguito agli accordi elettorali siglati con questo partito nel 2020 e nel 2021, e tentati senza successo nel 2022 [4].

RP, invece, si dichiara trotskista e rivoluzionario. Va ricordato che questo gruppo, che deriva dalla corrente morenista, si è formato nel 2021 quando si è separato da NPA, che criticava per essersi avvicinato alla sinistra istituzionale. Sulla questione palestinese, RP difende di fatto una politica di sostegno alle organizzazioni nazionaliste simile a quella di NPA. Come NPA, RP attribuisce ad Hamas la responsabilità delle "vittime civili" del 7 ottobre, una critica che a suo tempo avrebbe potuto essere rivolta al potere bolscevico. Descrive Hamas come "organizzazione filocapitalista e religiosa" e spiega persino che il suo programma per uno Stato islamico è "reazionario" [5]. Ma nonostante questo lo sostiene, con il pretesto di appoggiare la "resistenza palestinese" o la "resistenza del campo palestinese". Nelle sue dichiarazioni pubbliche, RP si astiene dal criticare Hamas e sventola la bandiera nazionale palestinese. In un recente articolo, ha criticato Lutte ouvrière per essersi "allontanata dai principi di solidarietà elementare con le lotte di liberazione nazionale " [6]. Questo merita una risposta.

I comunisti e la questione nazionale

In un paese imperialista come la Francia, i rivoluzionari hanno certamente il dovere di esprimere la loro solidarietà con le vittime delle grandi potenze, in questo caso il popolo palestinese. Contrariamente a quanto scritto da RP, Lutte ouvrière non è neutrale e non equipara "un'organizzazione del movimento nazionale palestinese e lo Stato di Israele". Non abbiamo mai smesso di denunciare la politica dei dirigenti israeliani a discapito dei diritti fondamentali del popolo palestinese, e il loro terrorismo di Stato, la cui violenza si esercita su una scala completamente diversa da quella di Hamas, con la benedizione delle potenze imperialiste, compresa la Francia.

Ma la solidarietà non è la base di una politica marxista. Anche se ogni situazione è specifica, la questione delle lotte nazionali e del nazionalismo non è una novità per il movimento comunista. Nel criticare la nostra politica, RP si appella a Marx, Engels, Lenin e Trotsky. Questi ultimi non sono presenti per dare il loro parere, ma hanno lasciato una vasta letteratura sulla questione, in particolare Lenin e Trotsky, che si sono trovati di fronte sia la dominazione imperialista che numerosi movimenti di liberazione nazionale.

All'interno della Seconda Internazionale, Lenin sostenne i diritti dei polacchi e degli ebrei, vittime dell'oppressione nella Russia zarista. Ma si oppose ai nazionalisti borghesi polacchi e al Bund, che voleva organizzare solo i lavoratori ebrei. Ai suoi occhi, il riconoscimento del diritto all'autodeterminazione delle nazioni polacca, ebraica e altre, era inseparabile dalla lotta contro i nazionalisti che pretendevano di rappresentarle [7]. Durante la Prima guerra mondiale, Rosa Luxemburg e Lenin denunciarono la capitolazione del Partito socialista francese, del Partito Socialdemocratico tedesco e dei laburisti britannici, che difendevano i rispettivi imperialismi nella lotta per conservare o ampliare la loro quota di saccheggio coloniale. Il marxismo di questi dirigenti rivoluzionari era inequivocabile. RP sottolinea che, in Il socialismo e la guerra (1915), Lenin era favorevole alla vittoria del Marocco sulla Francia, dell'India sull'Inghilterra, della Persia o della Cina sulla Russia. Ma Lenin difendeva anche la lotta di classe del proletariato nei Paesi colonizzati o semi-coloniali contro le classi dirigenti locali e i loro rappresentanti, sultani, signori della guerra e maharaja.

Durante la Rivoluzione russa, il giovane governo sovietico riconobbe il diritto dei popoli all'autodeterminazione. Ma voleva una loro federazione nell'ambito di una trasformazione rivoluzionaria della società e lottò implacabilmente per il potere proletario contro i nazionalisti borghesi, fossero essi ucraini, polacchi o georgiani.

Al suo secondo congresso, nel 1920, l'Internazionale Comunista discusse le questioni nazionali e coloniali. Il suo programma prevedeva la lotta contro il colonialismo e l'imperialismo. Ma aggiunse:

"Nei Paesi oppressi esistono due movimenti che si separano ogni giorno di più: il primo è il movimento borghese-democratico-nazionalista, che ha un programma di indipendenza politica e di ordine borghese; l'altro è il movimento dei contadini e degli operai ignoranti e poveri, per la loro emancipazione da ogni tipo di sfruttamento.

Il primo cerca di guidare il secondo e spesso ci riesce in parte. Ma l'Internazionale Comunista e i partiti che vi aderiscono devono combattere questa tendenza e cercare di sviluppare un sentimento di classe indipendente nelle masse lavoratrici delle colonie.

Uno dei compiti più importanti a tal fine è la formazione di partiti comunisti che organizzino gli operai e i contadini e li conducano alla rivoluzione e all'instaurazione della Repubblica sovietica". (Tesi e aggiunte sulle questioni nazionali e coloniali, Tesi complementare 7).

Le stesse tesi sottolineavano la necessità di combattere "l'influenza reazionaria e medievale del clero", "il panislamismo, il panasiatismo e altri movimenti simili". E questo testo scritto da Lenin aggiungeva : "L'Internazionale comunista deve appoggiare i movimenti rivoluzionari nelle colonie e nei Paesi arretrati solo a condizione che gli elementi dei partiti comunisti più puri - e di fatto comunisti - siano raggruppati e istruiti ai loro compiti particolari, cioè sulla loro missione di combattere il movimento borghese e democratico" (Tesi 11). Ovunque fossero in grado di farlo, anche in India e in Palestina, i comunisti crearono partiti comunisti indipendenti dai movimenti nazionalisti borghesi.

Durante la rivoluzione cinese (1925-1927), quando Lenin era morto e Trotsky era stato estromesso dalla direzione dell'Internazionale, Stalin, Zinoviev e Bukharin chiesero al giovane Partito Comunista Cinese di appoggiare il partito nazionalista Kuomintang e addirittura di fondersi con esso. Il resto della storia è noto: il Kuomintang di Ciang Kai-shek prese il potere, massacrò i proletari e liquidò i militanti comunisti che lo avevano sostenuto, prima di esercitare una feroce dittatura per più di vent'anni. Trotsky non smise mai di condannare questo codismo e al VI Congresso dell'Internazionale del 1928, dal suo esilio forzato, fece una critica a tutto campo della politica dell'Internazionale:

"La questione della natura e della politica della borghesia è determinata dall'intera struttura interna di classe della nazione che conduce la lotta rivoluzionaria, dall'epoca storica in cui questa lotta si svolge, dal grado di dipendenza economica, politica e militare che lega la borghesia autoctona all'imperialismo mondiale nel suo complesso o a una parte di esso, e infine - e questo è il punto principale - dal grado di attività di classe del proletariato autoctono e dallo stato dei suoi collegamenti con il movimento rivoluzionario internazionale. Una rivoluzione democratica o una liberazione nazionale possono consentire alla borghesia di approfondire ed estendere le sue possibilità di sfruttamento. L'intervento autonomo del proletariato nell'arena rivoluzionaria minaccia di toglierle tutte queste possibilità" (in L'Internazionale Comunista dopo Lenin).

Trotsky non si allontanò mai da questa posizione. Nel maggio 1940, nel Manifesto d'allarme della Quarta Internazionale sulla guerra imperialista e la rivoluzione imperialista mondiale, scriveva:

"La Quarta Internazionale non traccia una divisione stagna tra paesi arretrati e avanzati, rivoluzione democratica e socialista. Le unisce e le subordina alla lotta mondiale degli oppressi contro gli oppressori. Come l'unica forza autenticamente rivoluzionaria del nostro tempo è il proletariato internazionale, così l'unico programma autentico per la liquidazione di tutte le oppressioni sociali e nazionali è quello della rivoluzione permanente".

In seguito, il Segretariato Unificato della Quarta Internazionale abbandonò questa politica, seguendo le orme dei movimenti nazionalisti dei Paesi poveri, dal PC cinese ai sandinisti nicaraguensi, al FNL vietnamita e al FLN algerino, tutti presentati all'epoca come "portatori di socialismo".

Hamas e la lotta nazionale palestinese

Quando RP ha criticato il nostro slogan: "Contro l'imperialismo e le sue manovre, contro Netanyahu e Hamas, proletari di Francia, Palestina e Israele... uniamoci!", in realtà la critica punta solo l'espressione "contro Hamas". Hamas amministra la Striscia di Gaza dal 2007. Dopo aver vinto le elezioni del 2006 contro Al Fatah, screditato dai suoi compromessi con lo Stato di Israele, lo ha vinto dopo un sanguinoso scontro. Hamas (Movimento della Resistenza Islamica) si è così affermato sul terreno del nazionalismo borghese, ma ne è una versione religiosa e reazionaria. All'inizio ha cercato di confinare le donne ai lavori domestici, di imporre l'uso dell'hijab e il divieto di fumare in pubblico, prima di fare marcia indietro di fronte alle resistenze. E se a Gaza si svilupperà un movimento operaio comunista, si scontrerà con una repressione paragonabile a quella dei dirigenti dell'Iran o dell'Arabia Saudita, due regimi modello per questo ramo palestinese dei Fratelli Musulmani quale è Hamas.

Definire Hamas la "principale organizzazione della resistenza palestinese" è un abuso linguistico, per non dire una truffa. Da diciassette anni esercita la sua dittatura sui 2,2 milioni di abitanti di Gaza. Gestisce un piccolo apparato statale, con un'amministrazione, il prelievo di tasse, una milizia, prigioni e un intero apparato repressivo. Prima del 7 ottobre poteva conservare un certo prestigio agli occhi dei gazesi, ma forse no. Hamas non organizza elezioni. È oggetto di molte critiche: i suoi quadri, che difendono i privilegi della borghesia palestinese, sono spesso corrotti e vivono meglio del resto degli abitanti. Negli ultimi anni sono nate diverse mobilitazioni spontanee tramite i social network, come il movimento We want to live del 2019, durante il quale migliaia di giovani hanno manifestato contro le tasse e la povertà, prima di essere violentemente repressi da Hamas. Nella sua lotta contro Israele, non cerca di creare o fare affidamento su un movimento di massa, ma prova a soffocare qualsiasi rivolta spontanea. Nella primavera del 2021, quando i giovani dei quartieri occupati di Gerusalemme, della Cisgiordania e dei campi profughi sono insorti, Hamas ha cercato di approfittare della situazione per affermarsi come interlocutore indispensabile delle autorità israeliane, sparando razzi verso Israele per dimostrare di essere l'unica organizzazione combattente. Lo Stato di Israele ha risposto bombardando Gaza e questo scontro militare ha posto fine alla rivolta giovanile.

Mentre una parte delle masse palestinesi si fida di Hamas, quest'ultimo non si fida di loro. È, scrive RP, "militarmente, la principale organizzazione della resistenza nazionale". Ma Hamas agisce e prende decisioni al di fuori del controllo della popolazione palestinese e dei più poveri. I suoi metodi non mirano a permettere alle masse che si ribellano di prendere coscienza della loro forza, di organizzarsi e di fare un apprendimento politico. Ha creato una milizia che non è controllata dai lavoratori, che conduce la sua politica indipendentemente dai loro interessi e poi chiede loro di sostenerla di fronte alla repressione. L'attacco del 7 ottobre è stato lanciato dalla sua direzione senza alcun controllo o discussione, imponendo le sue conseguenze alla popolazione di Gaza, che da allora paga il prezzo dei bombardamenti e dei massacri dell'esercito israeliano.

I dirigenti di Hamas avevano ovviamente previsto la sanguinosa risposta di Israele. Questo non è necessariamente in contraddizione con la sua strategia, che mira a unire i palestinesi (compresi quelli della Cisgiordania) dietro di sé, e che allarga ulteriormente il sanguinoso abisso creato dallo Stato di Israele tra i due popoli. Come spiega cinicamente uno dei suoi leader, Khalil al-Hayya: "L'obiettivo di Hamas non è gestire Gaza o portarle acqua, elettricità o altro" (New York Times, 8 novembre). I gazesi sono una massa di manovra per i dirigenti di Hamas, che sono protetti dall'Emiro del Qatar, un regime i cui dignitari prosperano grazie al feroce sfruttamento di decine di migliaia di lavoratori, soprattutto immigrati. Hamas non mette affatto in discussione il capitalismo e il dominio della borghesia, anzi li difende. Quando incanala a proprio vantaggio la rivolta dei giovani palestinesi verso lo scontro militare, contribuisce a suo modo al mantenimento dell'ordine sociale e, in ultima analisi, dell'ordine imperialista. Rappresenta un'ennesima variante del nazionalismo borghese, in una versione religiosa particolarmente reazionaria. Così come l'OLP impone la sua legge in Cisgiordania, Hamas a Gaza è un gendarme che impone la sua legge alla popolazione cercando di combattere quella di Israele, ma nell'ambito dell'ordine sociale esistente.

RP ci critica per aver sostenuto l'unità dei lavoratori palestinesi ed ebrei, un'aspirazione che sarebbe fuori dalla realtà e non prenderebbe in conto "il regime di apartheid che caratterizza Israele" (30 ottobre). Eppure in un altro articolo RP ha sostenuto "la più profonda unità... anche con i lavoratori di Israele che sono pronti a rompere con il sionismo" [8]. è difficile capire...

Infatti un apartheid esiste, soprattutto nei confronti dei gazesi e dei palestinesi della Cisgiordania, ma l'articolo del 30 ottobre sembra ignorare i due milioni di palestinesi che vivono in Israele e che spesso lavorano accanto agli ebrei israeliani e a decine di migliaia di immigrati da altri Paesi. In realtà, RP ci critica perché basiamo la nostra politica sul terreno della classe operaia. Invoca Marx, Engels, Lenin e Trotsky... dimenticando la bussola di tutta la loro lotta: "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!". E ci fa il rimprovero di "sostituire furtivamente la lotta di liberazione nazionale palestinese [con] una lotta dei 'lavoratori' contro le 'classi dominanti'". Ma non lo facciamo furtivamente, lo rivendichiamo, mentre con RP la lotta dei lavoratori scompare.

Al posto di una politica di classe, questa organizzazione ricorre alla "trans-crescita" della lotta per l'autodeterminazione nazionale in una rivoluzione operaia", un termine formalmente ripreso da Lenin e Trotsky, ma che è stato spesso utilizzato da correnti che si definiscono trotskiste per giustificare il loro allineamento dietro le direzioni nazionaliste piccolo-borghesi e la loro rinuncia a costruire nella classe operaia il partito comunista rivoluzionario che, nel 1917, aveva permesso alla rivoluzione democratica borghese di "trans-crescere" in una rivoluzione socialista.

Se i rivoluzionari riconoscono il diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato, riconoscono anche il diritto degli israeliani, che oggi costituiscono una nazione di fatto che vive sul territorio della Palestina, ad avere una propria esistenza nazionale. D'altra parte, i rivoluzionari contestano lo Stato di Israele, non solo perché è uno Stato borghese, ma perché è stato creato sulla base di una politica sionista filo-imperialista, negando i diritti dei palestinesi, cacciandoli dalla loro terra a centinaia di migliaia, parcheggiandoli nei campi e, ancora oggi, schiacciandoli con le bombe. Tuttavia, lo slogan "Distruggete lo Stato di Israele" non può essere il loro, perché i nazionalisti che lo propongono non parlano ovviamente della sua distruzione da parte del proletariato rivoluzionario, ma della sua distruzione a vantaggio di un altro Stato. Di fatto, i rivoluzionari considerano questo slogan come una negazione del diritto degli israeliani di oggi di continuare ad avere, in una forma o nell'altra, la loro esistenza nazionale.

I rivoluzionari lottano innanzitutto perché i lavoratori prendano il potere, integrando la loro lotta con quella del proletariato mondiale per rovesciare l'imperialismo. Di fronte all'attuale frammentazione dovuta alla colonizzazione e alle sue conseguenze, difendono l'idea di una federazione socialista dei popoli del Medio Oriente. Questa unirebbe i popoli che oggi vivono in Israele, negli Stati limitrofi sorti dall'ex mandato britannico, in Cisgiordania, a Gaza, nelle varie parti di Gerusalemme e in quelli dell'ex mandato francese. I marxisti rivoluzionari si erano già trovati di fronte a questo tipo di problema più di un secolo fa. La guerra del 1914-1918 aveva contrapposto immensi imperi (Francia, Regno Unito, Russia) a potenze come la Germania, che volevano ridisegnare i confini a loro vantaggio, non solo nella divisione coloniale dell'Africa e dell'Asia, ma anche in quella dell'Europa. Trotsky sottolineava che "per il proletariato europeo non si tratta di difendere la "patria" nazionalista, che è il principale freno al progresso economico. Si tratta di creare una patria molto più grande: le Repubbliche degli Stati Uniti d'Europa, il primo passo sulla strada degli Stati Uniti del mondo. All'imperialismo senza via d'uscita dal capitalismo il proletariato può solo opporre un'organizzazione socialista. Per rispondere ai problemi irrisolvibili posti dal capitalismo il proletariato deve ricorrere ai suoi propri metodi: quelli del grande cambiamento sociale"[9].

Oggi, un partito comunista rivoluzionario che esistesse tra i palestinesi dovrà ovviamente tenere conto del forte sentimento nazionale delle classi popolari, ma unendo quello che è un sentimento di oppressione e di rivolta contro l'oppressione nazionale e lo sfruttamento alla lotta di classe per la trasformazione rivoluzionaria dell'intera regione. In Palestina, come altrove, la classe operaia e le masse povere hanno interessi propri che non si limitano all'aspirazione a un'esistenza nazionale.

Le successive guerre condotte da Israele hanno disperso i palestinesi in tutta la regione, dal Libano alla Giordania, alla Siria... In passato, questa situazione ha dato loro un'uditorio speciale presso i loro fratelli di classe nei vari Paesi interessati, e allo stesso tempo ha reso nemici mortali i vari regimi arabi , come dimostra il massacro del Settembre Nero del 1970, quando il regno di Giordania massacrò migliaia di rifugiati palestinesi nei suoi confini. Ancora oggi, le manifestazioni a sostegno del popolo palestinese mobilitano centinaia di migliaia di persone in Algeria, Tunisia, Yemen e Iraq. L'Arabia Saudita, che solo ieri stava negoziando il suo riconoscimento con Israele, ha dovuto fare marcia indietro, anche se temporaneamente, temendo che la rabbia ora rivolta contro l'imperialismo si rivolga contro il suo regime di feudali imborghesiti.

In sostanza, Hamas aspira a gestire uno Stato che possa giocare un ruolo a pieno titolo nel concerto degli Stati mediorientali e che non sia solo uno Stato fantoccio sotto assedio, come è attualmente Gaza. Egli aspira infatti ad essere un degno rappresentante della borghesia palestinese garantendo il suo dominio sulle masse palestinesi. I rivoluzionari comunisti, al contrario, vogliono che le classi lavoratrici palestinesi, arabe, ebree, ecc. strappino il potere alla borghesia ed esercitino il loro dominio di classe. Laddove l'OLP e Hamas insistono sull'unità del popolo palestinese - dietro la loro bandiera, venerata da RP e dall'NPA - i rivoluzionari insistono sulle contraddizioni di classe, su ciò che contrappone i palestinesi poveri ai più ricchi e su ciò che può unirli ai proletari e alle masse povere dell'intera regione.

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Hamas cerca infatti un compromesso con l'imperialismo e di esserne riconosciuto, anche se parla di distruggere l'"entità sionista" di Israele. Difende gli interessi della borghesia, e la sua politica è l'antitesi degli interessi dei palestinesi oppressi, di cui teme la rivolta. È con i palestinesi che i rivoluzionari devono essere solidali nella lotta contro l'imperialismo. Sostenere Hamas per opportunismo, equipararlo alla "legittima resistenza" di un intero popolo, fare del riconoscimento del sentimento di oppressione nazionale dei palestinesi un sostegno alla politica nazionalista di un'organizzazione religiosa reazionaria come Hamas, significa abbandonare qualunque politica di classe.

18 novembre 2023

[1] Oggi esistono due NPA: quello che fa capo a Philippe Poutou e Olivier Besancenot, che pubblica l'Anticapitaliste, la cui politica è discussa in questo articolo, e quello che pubblica il mensile Révolutionnaires, di cui non si parla qui.

[2]https://nouveaupartianticapitaliste.org/ communique/offensive-de-gaza-nous sommes-tous-et-toutes-palestiniennes

[3] https://nouveaupartianticapitaliste.org/communique/offensive-de-gaza-les...

[4]https://blogs.mediapart.fr/les-invites-de-mediapart/blog/021023/contre-l...

[5] https://www.revolutionpermanente.fr/Soutenir-la-resistance-palestinienne...

[6]https://www.revolutionpermanente.fr/Lutte-ouvriere-le-NPA-C-et-la-lutte-...

[7] Si veda, ad esempio, Lenin, Tesi sulla questione nazionale, 1913.

[8] Philippe Alcoy, "Soutenir-la-resistance-palestinienne-est-ce-soutenir-la-strategie-et-les-methodes-du-Hamas?", Révolution permanente, 11 ottobre 2023.

[9] Lev Trotsky, La guerra e l'Internazionale, 31 ottobre 1914.