Qual è il significato politico del "campo dei lavoratori"? (Da "Lutte de Classe" n° 105, maggio-giugno 2007)

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Qual è il significato politico del "campo dei lavoratori"?
maggio 2007

Un certo numero di militanti politici si sono sentiti presi di mira dal manifesto in cui scrivevamo a proposito di Arlette Laguiller: "chi altri può dirsi sinceramente nel campo dei lavoratori".

Alcuni hanno detto: "ma ce ne sono altri che difendono i lavoratori!" Altri candidati hanno detto che erano, loro stessi, dei lavoratori.

E infatti si può ben essere un lavoratore non difendendo affatto i lavoratori. E si può anche pretendere di difenderli alla maniera di Marie-George Buffet, di Ségolène Royal, o addirittura di Sarkozy che pretende di riabilitare il lavoro e di fare guadagnare di più i lavoratori attraverso la soppressione delle tasse e degli oneri sociali che dovrebbero pagare sugli straordinari.

Si possono infine difendere i lavoratori con delle frasi confuse con tante altre affermazioni, ecologiste, altromondiste, anticapitalistiche o antiliberali, che non difendono un vero cambiamento dei rapporti di forza sociali tra il mondo del lavoro e la classe capitalista.

Il liberismo, la globalizzazione, o il saccheggio del pianeta sono prodotti del capitalismo e non difetti indipendenti. Allora, nell'attesa di rovesciare definitivamente questo sistema sociale, bisogna fare in modo che i lavoratori e la popolazione controllino strettamente gli atti e innanzitutto le finanze, cioè le contabilità e i progetti, sia delle grandi imprese che delle piccole che molto spesso dipendono dalle prime. Per questo possiamo dire che nessun altro poteva affermare sinceramente di essere nel campo, e solo nel campo dei lavoratori contro la borghesia.

Allo stesso modo la stampa ed alcuni altri hanno spesso scherzato sull'espressione: "lavoratrici, lavoratori" utilizzata sistematicamente da Arlette Laguiller durante i suoi comizi.

Invece non scherzano su tutte le donne e uomini politici che si rivolgono "alle francesi e ai francesi", "alle cittadine e ai cittadini" o ai loro "cari connazionali". Eppure potrebbero farlo, perché essi utilizzano queste espressioni, più che superate, da molto più tempo che Arlette. Ma queste ultime espressioni non sono semplicemente vecchie, sono menzognere.

Perché tutti i "francesi", tutti i "cittadini" o anche i loro "cari connazionali" non sono uguali né davanti alla legge né nella società. Ci sono da un lato i ricchi, e dall'altro i poveri. C'è il padronato piccolo e grande, e quelli che lo arricchiscono, i lavoratori. I primi approfittano del lavoro dei secondi, che vivono solo del loro lavoro o più precisamente del loro salario poiché non godono dell'intero prodotto del loro lavoro.

Tra i lavoratori ci sono i lavoratori salariati, e ci sono i padroni di ristoranti, padroni parrucchieri, artigiani, padroni di piccole e medie imprese, i quali dicono che lavorano anche loro. Formalmente è vero! La differenza sta nel fatto che non vivono solo del proprio lavoro, vivono anche del lavoro di alcuni o più salariati che sfruttano. E nelle grandi imprese qualche volta le condizioni sono tremende, sulle catene di montaggio automobilistiche, nelle miniere, poiché ce ne sono ancora, nell'edilizia, o in tutte le attività umane che sono proprietà del padronato, dall'industria chimica alle piccole sartorie.

Certamente ci sono delle differenze tra le varie categorie di lavoratori salariati. Ci sono gli operai, gli impiegati, i tecnici e i dirigenti, gli infermieri, gli insegnanti, i ferrovieri, i postini... e la lista di queste categorie è molto lunga. Purtroppo, molti di questi lavoratori non vogliono essere confusi con gli altri e qualche volta si ritengono superiori. E i meno coscienti non vogliono essere pagati nello stesso modo. Questi sono insensibili ai redditi dei più ricchi, ma si sentono al loro posto solo quando ci sono lavoratori meno pagati di loro.

Quando entrano in lotta, per esempio quando entrano in sciopero, le loro rivendicazioni allora sono diverse le une dalle altre e quindi scioperano per rivendicazioni categoriali.

Molto spesso i movimenti a cui assistiamo oggi sono movimenti di lavoratori contro i licenziamenti, o più precisamente contro il loro proprio licenziamento perché il loro padrone ha deciso un cosiddetto "piano sociale" e di buttare sul lastrico una parte di loro. Così combattono con le spalle al muro. Il loro sciopero non dà fastidio al padrone che comunque vuole diminuire la produzione. Combattono nell'indifferenza generale dei lavoratori di altre categorie sociali che non si sentono coinvolti, e qualche volta provano anche qualche sollievo perché questa volta non è capitato a loro.

In passato, in particolare quando c'erano molti operai, non solo nell'industria, ma anche lavoratori manuali, la gran maggioranza dei lavoratori era cosciente di appartenere ad una stessa classe sociale, e cosciente che nella società esistevano due principali classi: i padroni da un lato, i lavoratori dall'altro. Due principali classi sociali dagli interessi antagonistici perché si condividevano in modo molto disuguale il prodotto sociale che proveniva dall'attività dei salariati.

Oggi questo tende a scomparire, e si potrebbe anche credere che sia completamente scomparso. In realtà non è completamente vero. Lo si vede in certi conflitti sociali in cui, anche se in modo limitato, riappare. Si vede allora che tutto ciò esiste ancora nella coscienza dei salariati, mentre non è mai sparito da quella del padronato. Basta solo sentire oggi le parole dei dirigenti del padronato e vedere come sanno difendere gli interessi generali della loro propria classe sociale.

Questa situazione è in parte dovuta a delle cause che non dipendono completamente dai lavoratori stessi.

Le radici dell'unità dei lavoratori

Prima di tutto c'è il fatto che i partiti politici, quali i partiti socialisti della grande epoca dell'Ottocento, che difendevano la classe operaia, adesso non la difendono più. Non difendono i suoi interessi morali, e neanche i suoi interessi materiali. Hanno solo un desiderio, quello di integrarsi all'apparato di Stato della borghesia, di avere dei deputati, dei senatori, ministri, consiglieri di qua o di là, non per cambiare la sorte delle masse, ma per cambiare la propria.

Parallelamente i sindacati dei lavoratori sono cambiati anche di natura. Sono diventati più inclini a discutere con i padroni che non ad organizzare i lavoratori in modo che siano in grado di difendersi, e in particolare che abbiano la volontà di farlo collettivamente. I sindacati non difendono il fatto che ci sia un'unica classe dei lavoratori, di qualsiasi categoria siano. Difendono innanzi tutto rivendicazioni categoriali per giustificare la loro esistenza. Ritengono che chiedendo poco hanno maggiori possibilità di ottenerlo e che essendo poco offensivi hanno più possibilità di rabbonire il loro interlocutore, il padronato, e che questo sarà sufficiente a mantenere il loro credito nel mondo del lavoro. Non preparano più e non organizzano più le lotte, ma pensano di esistere solo grazie alle negoziazioni col padronato e alle leggi che proteggono il loro "diritto sindacale".

Ovviamente è un calcolo sbagliato, perché oggi pochi lavoratori aderiscono al sindacato, cioè hanno una tessera sindacale, e molti meno ancora dedicano un po' di tempo a far rivivere i sindacati. Ma vivono attraverso le negoziazioni che derivano dai diritti sindacali, e non hanno bisogno per questo di tesserati.

Alcuni tra i militanti sindacali e politici che non hanno abbandonato le loro idee, pensano che questa situazione sia irreversibile. I militanti di Lutte Ouvrière sanno che, nella vita sociale e politica, ci sono punti alti e punti bassi, lunghi periodi in cui la coscienza di classe dell'insieme del lavoratori diminuisce, ma che ci sono anche momenti in cui risale repentinamente, e in cui i lavoratori ritrovano lo spirito di solidarietà, di cooperazione, il dinamismo e la combattività che caratterizzano il loro mondo.

In passato si citava l'esempio della solidarietà dei minatori del carbone. Quando c'era un incidente alla miniera, le sirene suonavano in tutti i casolari, e tutti i minatori di tutti i pozzi circostanti accorrevano per soccorrere i loro compagni, qualche volta a rischio della loro stessa vita. Questo era vero nelle miniere, come per i marinai, nell'industria e nell'edilizia e lo è ancora. E' questa, la solidarietà che s'impara al lavoro. Ma tale solidarietà era mantenuta viva dai lavoratori più coscienti organizzati nei sindacati e nei partiti operai.

Questa solidarietà, la si ritrova nelle lotte, in cui i lavoratori corrono il rischio di perdere soldi, e qualche volta il posto di lavoro, essendo convinti che se vinceranno, tutti ne trarranno vantaggio.

Certamente non si entra in lotta per il piacere di farlo. Per il mondo del lavoro, questo non è un gioco. Non si tratta di rompere vetri, bloccare un pedaggio dell'autostrada, bruciare alcuni pneumatici o saccheggiare qualche ufficio.

No, questa è una prova di forza tra il padronato e i lavoratori. Si tratta, arrestando il lavoro, occupando le imprese, di colpire il padronato al portafoglio. Ogni salariato rischia di perdere soldi ma i padroni ne perdono ancora di più quando i loro salariati smettono di lavorare. La loro ricchezza viene dal lavoro, dal lavoro degli altri e i loro portafoglio è ben più sensibile del loro cuore.

I militanti di Lutte Ouvrière agiscono per ricostruire tali organizzazioni. Prioritariamente per ricostruire un'organizzazione politica, ma militano anche in seno ai sindacati con l'obiettivo, non di reclutare politicamente, ma di renderli più combattivi e spingerli a difendere meglio gli interessi generali dei salariati.

Candidarsi alle elezioni non è per loro un obiettivo in sé. E' semplicemente servirsi della libertà di parola, il poco di democrazia che esiste in questa società, per esprimersi, per difendere le loro idee, per farle conoscere, per conquistarvi quanti più lavoratori possibile. Per questo, per esempio, i nostri candidati non si accodano alle idee che attraversano momentaneamente la gioventù. Il farlo forse permetterebbe di guadagnare dei voti. Ma questo avverrebbe a detrimento di ciò è fondamentale difendere. Si appoggiano solo alla coscienza di classe dei lavoratori. Quando questa diminuisce, l'udienza di Lutte Ouvrière diminuisce. Ma i suoi militanti non si adatteranno alle correnti alla moda, nella misura in cui queste correnti non sono portatrici di un futuro per la società.

Ciò che è necessario al mondo del lavoro, è ricreare un partito che difenda i suoi interessi sociali e anzitutto politici, e questo è possibile. La democrazia elettorale, è stato detto molto spesso, è una trappola perché i lavoratori non hanno la possibilità di farsi sentire specificamente in questo ambito. Coloro che hanno maggiore possibilità di parola deformano tutte le idee, i fatti sociali, la realtà. Quando Nicolas Sarkozy pretende di riabilitare il lavoro, non si riferisce al lavoro dei salariati. No, con questo nome vuole riabilitare la condizione del padronato e in particolare del grande padronato. Basta vedere chi sono i suoi amici personali.

Rivolte della gioventù e lotte dei lavoratori

Oggi si potrebbe dire che le lotte dei lavoratori, dei salariati, sono in declino, ma sono sostituite da quelle della gioventù. Della gioventù dei quartieri popolari o della gioventù delle scuole e delle università. Ma questo non è vero, perché per quanto radicali siano queste lotte, non hanno alcuna possibilità di cambiare la società in un senso favorevole. Non sarà col bruciare le macchine dei vicini che si potrà cambiare la società. Non la si cambierà neanche col saccheggiare i locali della scuola o dell'università.

Ovviamente, gli studenti in lotta contro il CPE all'inizio del 2006 non hanno fatto solo questo. Hanno partecipato numerosi a grandi manifestazioni nel corso di quelle settimane. Hanno organizzato assemblee per coordinare il loro movimento. Non hanno parlato di "direzione" perché erano ostili ad ogni tipo di potere, ma di "coordinamenti", i quali dirigevano più o meno i movimenti, ma non avevano l'obiettivo di cambiare la società e, soprattutto, non davano nessun fastidio al padronato. Hanno dato fastidio al governo al punto di farlo indietreggiare, ma non erano affatto l'embrione, e neanche l'abbozzo, di un contropotere opposto a quello della borghesia. Per questo non sono tali lotte a poter cambiare la società. Inoltre quando sono finite, non ne rimane niente perché i loro attori, due o tre anni dopo, non hanno più intorno a loro nessuno con chi parlarne.

Quanto alle manifestazioni, anche quelle importanti, possono influenzare delle lotte ma non cambiano niente di per sé se non hanno un seguito efficace.

Molti giovani, istintivamente di sinistra, nonostante alcuni siano ostili al partito socialista o al partito comunista, o addirittura ad ogni partito, considerato come un irregimentamento, credono che basti scendere in piazza per cambiare le cose. Quelli che nel 2002 tra i due turni della presidenziale hanno manifestato alla Bastiglia prima di votare per Chirac, quindi per Sarkozy, pur essendo convinti di avere fatto indietreggiare o addirittura fermato il fascismo, erano fuori dalla realtà. Se ci fosse stata veramente una minaccia fascista all'epoca, alla Bastiglia sarebbero stati massacrati, e forse non avrebbero avuto neanche l'occasione di votare al secondo turno, vietato.

Ma questo infantilismo non è dovuto ad una mancanza di intelligenza, più semplicemente è dovuto all'assenza di esperienza e di cultura politica. Esperienza e cultura che si possono acquisire solo con la partecipazione alle attività di un partito coerente che si dedichi risolutamente ed esclusivamente alla difesa degli interessi politici e sociali del mondo del lavoro, ad un partito che difenda e mantenga, in seno a questa popolazione, la coscienza di appartenere ad una stessa classe sociale.

Il padronato, e innanzitutto quello più grande e più potente, non è assolutamente infastidito da questo tipo di azioni.

Ovviamente possono impedire al governo di mettere in pratica una legge che ha fatto votare, come fu il caso del CPE. Ma non cambia niente per il padronato. Cambia qualcosa solo per il lacché politici del capitale, ma non diminuisce la potenza economica di quest'ultimo, e non cambia affatto la società e neanche i rapporti di forza sociali.

D'altra parte c'è soprattutto il fatto che i lavoratori sono una classe sociale numerosa e stabile, nonostante i licenziamenti. In un'impresa di un migliaio di salariati, ce ne sono centinaia che rimangono nella stessa impresa per 10, 20, 30, addirittura 40 anni. Centinaia che stanno per accumulare le stesse esperienze, centinaia che si conosceranno gli uni con gli altri, tesseranno dei legami e saranno solidali, soprattutto se molti di loro si dedicano a far rivivere i sindacati, o addirittura un partito politico che rappresenti gli interessi politici del mondo del lavoro.

Invece gli scolari rimangono a scuola o al liceo solo pochi anni, soprattutto quelli che hanno l'età per riflettere, tra 15 e 18 anni. Gli studenti universitari, anche loro, sono studenti solo per qualche anno. Dopo questi pochi anni, una minoranza di loro diverrà medico, avvocato, dirigente politico o commerciale, studiando Scienze politiche o commerciali, anche se per l'immensa maggioranza diverranno salariati. Saranno dei lavoratori intellettuali e, come per i lavoratori manuali, la loro vita dipenderà dal loro salario e il loro futuro dipenderà anche dai loro padroni. Se il consiglio d'amministrazione a Parigi, Berlino, New York o Tokio, decide che per il corso delle azioni in Borsa è conveniente licenziare personale, si sbarazzerà di loro come di un kleenex, anche se sono ingegneri.

E' stato così alla Airbus per esempio, e anche alla Peugeot-Citroën, dove ci sono operai, ma anche dirigenti i cui i posti di lavoro saranno soppressi. E' questa la differenza tra le rivolte dei giovani e le lotte dei lavoratori.

Per questo i giovani scolari o studenti universitari, se vogliono contribuire a cambiare la società mentre sono ancora giovani scolari o studenti, devono allearsi ai lavoratori, condividere la cultura che hanno ricevuto, trasmettere le idee generose che hanno ancora perché sono giovani, e così contribuire a creare un partito del mondo del lavoro. Un partito per cambiare la società, un partito rivoluzionario.

Per questo noi, militanti di Lutte Ouvrière, ci rivolgiamo essenzialmente ai lavoratori, giovani e meno giovani. Salutiamo l'entusiasmo e il radicalismo della gioventù studentesca e scolastica. Capiamo le ragioni della violenza, anche cieca, della gioventù dei quartieri poveri, pur spiegando che non siamo d'accordo con i suoi atti. Infatti, sia presso la gioventù delle periferie sia presso i giovani delle scuole o delle facoltà, difendiamo la politica che consiste nel rafforzare la coscienza politica e sociale dei lavoratori.

Ovviamente, la gioventù delle periferie è disoccupata e gli scolari o gli studenti non sono ancora al lavoro. Ma appartengono lo stesso alla classe sociale dei lavoratori. I lavoratori, i disoccupati, e anche i lavoratori pensionati, appartengono ad una stessa classe sociale e i giovani, se non ci appartengono ancora, ne fanno integralmente parte. Prima per la famiglia in cui sono nati e in cui vivono, e poi per il loro futuro, anche se rifiutano di immaginare questo futuro.

Ci si può chiedere cosa significhi essere rivoluzionario socialista o comunista oggi

Essere rivoluzionario, è ovvio, vuol dire essere per un cambiamento radicale della società. Non si tratta di una rivoluzione nella letteratura, le arti o i costumi come nel 1968 e negli anni successivi, né di una "rottura", o di un cambio di società come dicono, fingendo di essere seri, i dirigenti politici dei grandi partiti, compresi quelli di destra.

Essere rivoluzionario vuol dire agire per un cambiamento radicale quanto lo fu la rivoluzione francese del settecento, e più profondo ancora di ciò che fu la rivoluzione russa del 1917 che si limitò ad un solo paese, che per di più era arretrato per il 90% della sua economia e della sua popolazione, ed era anche il più arretrato d'Europa. Tale cambiamento sociale mira alla soppressione dell'economia capitalistica e di ciò che ne deriva, l'imperialismo e la sua maschera odierna, il "liberismo" e la "globalizzazione".

Significa la soppressione della proprietà privata di una classe ricca su tutti i grandi mezzi di produzione, di distribuzione, di trasporto. Il peggio non è il fatto che possiede questi strumenti di produzione, il peggio è che il loro funzionamento non è coerente. E' coerente all'interno di ogni impresa, ma nelle relazioni tra queste imprese e tra i paesi, la ripartizione, gli scambi si fanno in modo anarchico. Si fanno tramite la ricerca del profitto più alto possibile e la concorrenza fra tutti attraverso il mercato capitalistico, in cui la regolazione degli scambi si fa solo in modo ritardato e con sobbalzi catastrofici. Questo porta ad un enorme spreco del prodotto sociale e a crisi economiche qualche volta catastrofiche. Queste crisi portano ad un sovrasfruttamento dei lavoratori che viene limitato solo dalle reazioni eventuali di questi ultimi. La classe capitalista, incatenata al suo modo di produzione, di ripartizione, di regolazione dal mercato, non può che sfruttare al massimo il mondo del lavoro per trarne più profitti possibile.

Nei paesi economicamente sviluppati, le reazioni del mondo del lavoro, concentrato, potente anche se non utilizza sempre questa potenza, limitano il livello dei prelievi del capitale sul prodotto del lavoro. Ma anche nei paesi poveri, molto poveri, sottosviluppati, dove il reddito medio pro capite è spesso 100 volte, o anche più, inferiore al reddito pro capite dei paesi industrializzati, che sono paesi dove la miseria è estrema, dove l'aspettativa di vita è dimezzata, dove la mortalità infantile è catastrofica, il capitalismo mondiale è ancora capace di estrarre plusvalore dal lavoro di questi miserabili. Certo il ricavo pro capite è inferiore a quello degli altri paesi, ma questo viene compensato dal numero.

Un cambio di società significa togliere dalle mani dei consigli d'amministrazione delle grandi società, e anche delle altre, la potenza economica che permette loro di esercitare una dittatura sociale e politica, qualunque siano le forme più o meno democratiche del paese, sull'insieme delle altre classi.

Essere rivoluzionario significa agire per preparare un tale cambiamento di società, una tale rivoluzione. Per questo ci vogliono strumenti, partiti che rappresentino l'esperienza delle classi popolari, la memoria delle loro lotte, che ne traggano le lezioni, che educhino politicamente i loro membri. Bisogna quindi creare almeno un tale partito, la cui propaganda e l'attività nel mondo del lavoro consisteranno anche nel chiamare il numero più alto possibile di lavoratori, giovani o meno giovani, ad organizzarsi in comune per lo stesso obiettivo.

Dittatura economica della borghesia su tutta la società, o democrazia sociale senza il potere della borghesia

Ma gli attori di questa trasformazione sociale, e innanzitutto del regime sociale e politico che ne risulterebbe, non possono essere che i lavoratori salariati. Infatti per lottare contro la dittatura economica della borghesia, bisogna che un grande numero di individui interessati a questa trasformazione, a questa rivoluzione, partecipino alle decisioni e alle azioni.

Perché i lavoratori salariati, e non altre categorie sociali che sono qualche volta anche loro, sono oppresse dallo stesso sistema economico, pur senza averne sempre coscienza? E' il caso degli artigiani, o anche dei piccoli imprenditori, dei membri delle classi intellettuali e di molti altri ancora, che pur disponendo di un'agiatezza finanziaria maggiore rispetto ai lavoratori collocati a un livello più basso, vivono in una società disumana e poco propizia allo sviluppo umano e culturale, compreso il loro.

I lavoratori salariati sono naturalmente la categoria sociale più concentrata sugli stessi luoghi di lavoro perché ci si ritrovano quotidianamente a centinaia e a migliaia. Quotidianamente, possono riunirsi, decidere, discutere democraticamente senza necessariamente rimettersi a dirigenti politici lontani. Comunque, anche se devono ricorrere a tali deleghe di potere, che possono essere necessarie in un grande paese, hanno i mezzi per controllarli, addirittura per costringerli ad agire nel senso degli interessi della popolazione.

E' questo il comunismo, è questa la democrazia sociale che si può opporre alla dittatura del capitale.

Ovviamente, per provocazione o slogan propagandistico si può dire, come fece Carlo Marx, che anche questo sarebbe una dittatura. Ma sarebbe una dittatura sociale dell'immensa maggioranza, la classe dei lavoratori, su una piccola minoranza, la borghesia, che agirebbe solo negli interessi di tutta la popolazione.

Per questo dei rivoluzionari socialisti e comunisti, sia quelli di una volta che quelli di oggi o di domani, possono contare solo sui lavoratori per cambiare le basi economiche della società ed instaurare un regime di governo democratico, governo che si fonderebbe poco a poco nella quasi totalità della popolazione, decentralizzandosi man mano che scompariranno i conflitti tra sfruttatori e sfruttati.

Le scelte che proponiamo alla gioventù

Questo è essere rivoluzionario, oggi come ieri, e per questo i rivoluzionari non possono accontentarsi di appoggiarsi alle rivolte o anche alle lotte della gioventù, anche se la gioventù avrà una grande parte in tale rivoluzione. Per questo, cerchiamo di difendere presso i giovani le idee che difendiamo presso il mondo del lavoro. Non vogliamo regolare il nostro passo sulle loro azioni, né andare nel senso delle loro preoccupazioni immediate e delle strade in cui impegnano il loro radicalismo.

Non diciamo che hanno avuto ragione a coloro che, nel 2002, sono andati in corteo alla Bastiglia credendo così di ostacolare Le Pen e il fascismo, e lo diciamo ancora meno a chi ha votato o chiamato a votare Chirac all'epoca. Non diciamo, e non diremo che ha avuto ragione chi ha fatto cortei minoritari contro l'elezione di Sarkozy. Era prima che bisognava darsi i mezzi per cambiare le cose, non quando l'elezione era fatta.

L'elezione di Sarkozy non è una catastrofe politica. Presentarla oggi nel modo in cui ieri si presentava Le Pen è il peggior modo di lottare contro l'oppressione delle potenze del denaro rappresentate politicamente da Sarkozy. Le Pen non era il fascismo alle porte del potere. E Sarkozy non è il fascismo alla presidenza della Repubblica. E' un uomo di destra, ma non lo è più di Chirac, Giscard, Pompidou o De Gaulle, e non meno di Mitterrand che era un falso uomo di sinistra che aveva flirtato col governo di Pétain, condotto la repressione in Algeria, condannato a morte dei militanti dell'FLN o dei militanti francesi filo-algerini.

Non bisogna vedere il presente e il futuro come catastrofici.

Non diremo alla gioventù che la globalizzazione è un fenomeno nuovo e catastrofico. Esiste, sotto i suoi aspetti peggiori, da più di un secolo. E quelli che fanno una bandiera dell'anti-globalizzazione o dell'antiliberismo non hanno altra alternativa che rivendicare il ritorno a frontiere economiche chiuse, a tasse doganali che rincarerebbero tutto quello che viene consumato all'interno del paese.

Il riscaldamento del pianeta è una catastrofe annunciata, ma la società capitalistica genera catastrofi che sono attuali e altrettanto gravi. E' contro queste che bisogna lottare e non semplicemente provare a convincere i dirigenti politici ed economici del pianeta ad essere più coscienti, oppure convincere la popolazione a circolare in bici piuttosto che in macchina. Miliardi di abitanti della terra, al momento attuale, non hanno alcun altro mezzo di trasporto che i loro piedi, perché non hanno affatto né trasporti collettivi, né trasporti individuali. E questo li costringe qualche volta a fare decine di chilometri a piedi ogni giorno. E' questo che bisogna provare a cambiare.

E per questo, ci vogliono degli strumenti. E il primo strumento, l'abbiamo detto, è un partito politico potente, che difenda gli interessi politici del mondo del lavoro perché solo il mondo del lavoro ha il numero, la potenza e il ruolo sociale necessari per poter cambiare la società sia sul piano economico che sociale, o anche ecologico, e farne una vera democrazia.

Certamente ci candidiamo alle elezioni ma, come abbiamo detto prima, questo è fondamentalmente per difendere queste idee. Non per ottenere risultati vantaggiosi. Quando li otteniamo, è appunto sulla base di queste idee.

Nelle elezioni, la nostra propaganda contiene rivendicazioni che vogliamo popolarizzare, in modo che siano quelle delle lotte future, sopratutto lotte importanti. E le lotte importanti dei lavoratori hanno la caratteristica di prendersela con la borghesia, col padronato, toccando la produzione, fermando l'economia e quindi fermando i profitti. E' lì che sta la prova di forza. Ed è a quel momento che si possono imporre alla borghesia rivendicazioni essenziali.

E se parliamo di alcune rivendicazioni economiche in funzione della situazione sociale delle classi lavoratrici come, per esempio, il recupero del tenore di vita, sia per i salari più bassi sia per tutti gli altri, se rivendichiamo l'arresto di ogni sovvenzione alle imprese capitaliste per dedicare questo denaro a creare posti di lavoro nei servizi pubblici, oppure l'aumento dell'imposta sugli introiti delle società per poter ricostruire il numero di alloggi popolari che adesso mancano drammaticamente a tutta la popolazione, poniamo innanzitutto alla testa del nostro programma l'obiettivo del controllo, da parte dei lavoratori, delle associazioni e di tutta la popolazione, della contabilità e dei progetti di tutte le grandi imprese, senza dimenticare le medie o piccole che dipendono dalle grandi.

Questo non è il programma di una rivoluzione, ma è una rivendicazione essenziale in una lotta generale, perché sarebbe un cambiamento decisivo del rapporto di forza sociale, o addirittura politico, tra la popolazione lavoratrice e la borghesia. Sarebbe anche una transizione tra un programma strettamente rivendicativo e il programma che sarebbe necessario in una crisi rivoluzionaria.

Invece non andremo nel senso delle correnti dominanti tra la gioventù o tra una parte dei lavoratori, difendendo degli obiettivi indefiniti e non decisivi, come l'altromondismo, l'ecologia, un impreciso anticapitalismo, semplicemente per conquistare dei voti. "Ottenere dei voti" non è un obiettivo in sé. Peraltro, anche se fossimo eletti, non potremmo cambiare niente della società senza un movimento di massa potente che riunisca una maggioranza di lavoratori.

Per questo noi, militanti di Lutte Ouvrière, ci rivolgiamo innanzi tutto ai lavoratori e a quelli, giovani o meno giovani, che lo diventeranno.