No ai licenziamenti, ripartizione del lavoro tra tutti !

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25 maggio 2020

Editoriale di Lutte ouvrière - 25 Maggio 2020

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Dopo la minaccia del Covid-19, ecco quella delle chiusure di fabbriche e dei licenziamenti, e contro di essa, non si può aspettare nessuna protezione dallo stato! Lo evidenzia il caso della Renault.

Il costruttore automobilistico ha sparato il primo colpo di cannone dell'offensiva minacciando di chiudere quattro fabbriche, tra cui quella di Flins che fa lavorare 4 000 persone e decine di fornitori e di imprese di subappalto. E si è capito, dalle parole del ministro dell'Economia, che lo stato, che possiede il 15 % del capitale "non chiederà il mantenimento dell'occupazione".

Il fatto che un gruppo come la Renault decida, con la complicità del governo, di chiudere le fabbriche e di licenziare migliaia di dipendenti dimostra che nessuno è al riparo. Airbnb, Uber, André, La Halle, Safran, General Electric, Air France, Airbus e i suoi subappaltatori come Daher o Derichebourg Aéronautique..., l'elenco già lunga delle imprese che annunciano ristrutturazioni e licenziamenti sta per allungarsi giorno dopo giorno.

Nella guerra feroce del capitalismo, la crisi è sempre un'occasione per i capitalisti più potenti d'ingoiare i più deboli e di stringere la morsa sui subappaltatori e sui fornitori. E soprattutto, è sempre un pretesto e un mezzo di ricatto per imporre più sacrifici ai lavoratori.

Quindi, al contrario del Covid-19, la pandemia di chiusure e di licenziamenti non è affatto naturale. Sono scelte di classe: per i suoi profitti, la grande borghesia è pronta a far crepare i lavoratori. Non lo dobbiamo accettare!

Lottare contro i licenziamenti è una questione vitale per il mondo del lavoro e per l'intera società. Nel contesto di crisi attuale, nessuno può seriamente immaginarsi di trovare un altro mezzo di sussistenza. Perdere il proprio lavoro è una condanna alla povertà e al degrado.

Tra gli operai licenziati in questi anni, molti hanno cercato di mettersi in proprio. Alcuni sono diventati autisti di VTC, altri hanno creato il loro piccolo ristorante. Quanti oggi si ritrovano senza redditi e indebitati fino al collo? E per quanto riguarda quelli con un contratto precario o interinale, sono stati i primi a dover fare la fila per avere aiuti alimentari per la famiglia.

Ciò che vale per la sanità vale per l'occupazione: devono essere una priorità in tutta la società. Nessun operaio, nessun impiegato, nessun lavoratore interinale o precario deve perdere il posto e lo stipendio che gli permettono di vivere.

Di fronte al crollo delle ordinazioni e del fatturato, bisogna ripartire il lavoro fra tutti. Se l'attività è ridotta, le cadenze e il tempo di lavoro devono diminuire e gli stipendi essere mantenuti integralmente. Bisogna imporre di lavorare meno per lavorare tutti.

Ci sarà un costo? Si, ma l'anno scorso, le sole 40 prime imprese quotate in Borsa hanno realizzato 80 miliardi di euro di profitti, una somma equivalente a più di due milioni di posti di lavoro pagati 1 800 euro al mese, contributi inclusi. Come si fa a dire che i soldi non ci sono?

Anche la Renault, di cui il ministro dell'economia Le Maire pretende che "si gioca la propria sopravvivenza" può pagare. L'impresa ha fatto parlare di sé nel febbraio scorso annunciando una perdita di 140 milioni. Ma nel corso dei dieci anni passati, ha accumulato 24 miliardi di profitti tratti dallo sfruttamento del lavoro dell'insieme dei dipendenti, dall'operaio interinale all'ingegnere.

I profitti passati e presenti, il patrimonio degli azionisti devono servire a mantenere posti di lavoro e stipendi. Ed è vero anche per i soldi dello stato.

Durante il confinamento, lo stato ha garantito gli affari degli azionisti e dei capitalisti con decine di miliardi. Si è sostituito al grande padronato pagando la cassa integrazione per 12 milioni di dipendenti. Continuerà ad aiutarlo con i suoi vari piani di rilancio. Prevede di prestare sette miliardi alla Air France e cinque miliardi alla Renault. Allora, questi soldi dello stato devono servire a garantire l'occupazione e gli stipendi dei lavoratori, compresi quelli delle più piccole imprese!

Questo sarebbe impossibile, perché contrario alla competitività e alle regole del capitalismo? Ma queste regole servono solo ad arricchire una minoranza, a distruggere i posti di lavoro e a condannare i lavoratori alla miseria. Fanno di tutto una fonte di profitti e sottopongo i servizi pubblici, gli ospedali, ad una corsa alla redditività con il disastro sanitario che conosciamo. La stessa logica del capitalismo distrugge a poco a poco il pianeta.

Per i lavoratori e per la loro sopravvivenza, la ripartizione del lavoro tra tutti senza perdita di stipendio è l'unica risposta realistica. Se non vogliamo essere condannati a vivere delle briciole di una società in crisi, la dovremo imporre!