L'Iraq obiettivo e vittima delle grandi manovre dell'imperialismo - Cercle Léon Trotsky
E' in questo contesto di guerra latente, condotta da dodici anni contro la popolazione irachena da tre successive amministrazioni americane, tanto repubblicane quanto democratiche, che si sono prodotti gli attentati dell'11 settembre 2001. E questi attentati hanno segnato una svolta.
Non si tratta tanto del merito della politica americana, che è sempre stata ispirata dalla difesa dell'ordine imperialista in generale e dagli interessi dei suoi trust in particolare. Ma l'11 settembre e la gigantesca strumentalizzazione dell'opinione che lo ha seguito hanno fornito ai dirigenti americani maggiori possibilità politiche.
Bush, quel presidente eletto con difficoltà, che una parte dei media prendeva in giro come un balordo texano, che faceva brutta figura nei sondaggi, ne è stato il primo beneficiario. Sfruttando l'emozione creata dagli attentati per sviluppare un discorso guerrafondaio, Bush è riuscito dall'oggi al domani a raggiungere il massimo della popolarità e a fare dimenticare i suoi debutti poco gloriosi alla Casa Bianca.
Ma al di là della personalità di Bush, l'11 settembre ha segnato una svolta di cui ha beneficiato tutta la classe politica americana, creando nell'opinione pubblica un consenso che mette fine al periodo aperto dalla guerra del Vietnam.
La lunga guerra contro il Vietnam, che l'imperialismo non riuscì a vincere e gli costò tanto caro, dal punto di vista finanziario e soprattutto umano, aveva suscitato all'epoca una forte corrente pacifista. Ma al di là di queste correnti, lo spettacolo dei "body-bags", questi sacchi di plastica contenendo i resti dei soldati americani morti, e lo spettacolo di quelli che tornavano da questa sporca guerra mutilati nel loro corpo e nella loro mente, avevano segnato la coscienza collettiva americana. L'imperialismo americano non ha certo smesso pertanto di intervenire dappertutto. Ma i dirigenti politici dovevano farlo con cautela ed in particolare evitare che soldati americani morissero in questi interventi.
Col passare del tempo, lo stato d'animo cominciò a cambiare. Ma è stato l'11 settembre a permettere ai dirigenti americani di far passare, a gli occhi dell'opinione pubblica americana, la più abietta mascalzonata imperialista per una battaglia di legittima difesa della democrazia contro il terrorismo, del bene contro il male.
Da un anno a questa parte questo consenso è stato mantenuto da una violenta campagna orchestrata dall'amministrazione Bush, che mirava ad alimentare la paura del terrorismo che lo sottende, e al tempo stesso a dargli un derivato, quello della guerra contro il terrorismo.
Tutti hanno cominciato ad agitare lo spettro del terrorismo a qualunque proposito, dai politici ai media e a tutti quelli che costruiscono l'opinione pubblica. Le istituzioni politiche hanno rincarato la dose, adottando misure di sicurezza destinate a dare credito alla necessità di uno stato di emergenza. Queste misure vanno dalla costituzione di tribunali d'eccezione, di cui i giudici sono anonimi, all'attribuzione alla polizia di poteri discrezionali per effettuare sorveglianze, intercettazioni e perquisizioni a volontà, alla possibilità del carcere preventivo illimitato per le persone sospettate di avere un legame con il terrorismo e alla sospensione di fatto dei diritti di cui godevano gli stranieri.
L'apparato di repressione ha seguito, quando non ha preceduto la legislazione. Ha organizzato delle retate contro migliaia di stranieri il cui unico crimine era di essere originari del Medio Oriente. Per parecchi mesi ha gonfiato le notizie sulla cosiddetta minaccia degli attentati all'antrace. Ha moltiplicato i comunicati di vittoria annunciando la scoperta di cosiddette cellule di Al Qaeda che avrebbero operato sul territorio americano, senza che alcun avviso di garanzia sia stato emesso contro questi cosiddetti terroristi, a parte qualche infrazione minore alla legislazione sull'immigrazione.
Mantenendo il clima di unione nazionale e il consenso intorno alla guerra contro il terrorismo, tale campagna ha consentito ai dirigenti americani di attuare la loro aggressione all'Afghanistan senza incontrare nessuna opposizione notevole nell'opinione pubblica.
Da lì a considerare che era venuto il momento di regolare i conti con l'Iraq, c'era solo un passo che Bush ha varcato in questi ultimi mesi, lanciando la sua campagna contro Saddam Hussein.
Ovviamente anche i più attivi degli specialisti in condizionamento dell'opinione di Bush non sono riusciti a trovare un qualche argomento sul presunto legame tra Saddam Hussein e il terrorismo. Questo è stato confermato ancora l'8 ottobre davanti ad una commissione parlamentare dal direttore della CIA in persona. Ma non importa ! Anche se non poteva coinvolgere Saddam Hussein negli attentati del 11 settembre e con Bin Laden, Bush si accontenta benissimo delle storie più fantastiche sulle famose armi di distruzione di massa con cui Saddam Hussein minaccerebbe il cosiddetto mondo libero.
Su questa base Bush è andato a reclutare degli alleati tra gli imperialismi di secondo rango. Il primo ministro britannico Blair non ha fatto nessuna difficoltà. Come al solito si è messo a disposizione di Washington appena ricevuto l'ordine. E a dimostrazione del suo entusiasmo ha già deciso di richiamare personale medico di riserva. Quanto a Chirac, se ha fatto complimenti, discutendo le formulazioni della risoluzione proposta dagli Stati Uniti al consiglio di sicurezza dell'Onu,non vuole pertanto rischiare di rimanere fuori dal regolamento finale, per paura che gli interessi dei trust francesi ne siano lesi. E, fosse solo per questa ragione, si adeguerà alla politica dei dirigenti americani prima che sia troppo tardi.