Dopo quattro anni di governi di centrosinistra imperniati sul PDS, divenuto poi i DS, sembra che l'Italia debba passare sotto il governo del polo di destra diretto da Silvio Berlusconi. Questi, dopo avere vinto le elezioni regionali dell'aprile 2000, sembra ormai il probabile vincitore delle elezioni politiche previste per la primavera del 2001, che forse saranno anticipate.
Questi mesi che forse saranno gli ultimi mesi del centrosinistra al governo sono segnati da un clima di delusione e di rancore nei confronti della sinistra, di spoliticizzazione o addirittura di politicizzazione in un senso reazionario e di ascesa del razzismo. La politica portata avanti dai governi di Romano Prodi e Massimo D'Alema è stata segnata dalle privatizzazioni, la deregolamentazione dell'economia, le sovvenzioni di ogni genere al gran capitale, che l'hanno aiutato ad arricchirsi ed a rafforzare le sue posizioni in un modo insperato. Al tempo stesso, ha demolito una serie di conquiste e di protezioni imposte dalla classe operaia nel corso della sua storia, demoralizzando i suoi militanti, lasciandoli nella prostrazione e favorendo, al contrario, le correnti più reazionarie nella società. E' la politica stessa di questa sinistra al governo a riportare al potere, in un modo spettacolare, la destra e le sue idee.
Da Prodi a D'Alema
Quando le elezioni politiche del 21 aprile 1996 hanno dato la vittoria all'Ulivo, già non si poteva parlare di una spinta a sinistra. La coalizione dell'Ulivo, costituita intorno al PDS e al PPI con un accordo di desistenza con Rifondazione comunista, era vantaggiata dal sistema elettorale maggioritario adottato pochi anni prima per tre quarti dei deputati. A destra invece, il "polo delle libertà" costituito intorno a Forza Italia e Alleanza Nazionale subiva la concorrenza della Lega Nord di Bossi che aveva rifiutato ogni tipo di accordo. E se l'Ulivo ebbe la maggioranza alla Camera dei deputati con l'appoggio di Rifondazione, nondimeno i voti della sinistra (Ulivo più Rifondazione) rimanevano largamente minoritari nel paese.
Però per il PDS, l'ex Partito comunista che aveva definitivamente abbandonato questo nome nel 1991 per diventare il "partito democratico della sinistra", l'arrivo dell'Ulivo al governo segnava una tappa decisiva ; dopo anni passati ad aspettare sulla soglia del potere, dopo anni passati ad affermare e riaffermare la sua disponibilità a governare l'Italia per conto della borghesia, veniva finalmente accettato per questa parte. La presenza del democristiano Romano Prodi alla testa della coalizione dell'"Ulivo" dava una legittimazione all'ex PC.
Mentre la legislatura cominciava con Prodi alla Presidenza del Consiglio, l'essenziale della sua maggioranza parlamentare gli era fornita dal PDS, mentre D'Alema, pur non membro del governo, diveniva sin da quel momento il numero due del regime. Portato alla testa della "commissione bicamerale", ebbe il compito di ricercare un consenso tra i partiti per riformare le istituzioni nel senso di una maggiore "governabilità", obiettivo al quale la borghesia italiana mira da tanto tempo e dal quale si avvicina senza mai raggiungerlo.
Però Prodi aveva bisogno a sinistra, per completare la maggioranza parlamentare, del sostegno dei deputati di Rifondazione. Bertinotti approfittò di questa posizione per fare il doppio gioco : criticando il governo e l'orientamento antioperaio dei progetti prodiani, minacciava periodicamente di non votarli, per poi farlo finalmente in cambio di alcuni cedimenti minori. Così per due anni Bertinotti cercò, pur sostenendo il governo, di apparire l'avvocato parlamentare degli interessi della classe operaia e dei ceti popolari. Col difendere la partecipazione alla maggioranza parlamentare con il solito argomento che abbandonarla avrebbe fatto il gioco delle destre e le avrebbe riportate al governo, Bertinotti fece anche presente che i suoi mercanteggiamenti nei confronti di Prodi permettevano di influire sulla politica del governo, o almeno di attenuare i suoi attacchi contro i lavoratori, e cioè che senza Bertinotti la politica di Prodi sarebbe stata ancora peggiore. Con tale politica Rifondazione e il suo segretario godettero certamente di qualche successo d'immagine nei confronti del loro elettorato, però il risultato fu anche di incoraggiare, a loro modo, la passività politica e sociale. Dovevano pagarlo in seguito.
Difatti nel settembre 1998 l'ulteriore tentativo di Bertinotti di fare pressione sul governo Prodi ebbe un risultato da lui inaspettato. Prodi e D'Alema si erano assicurati sottomano il sostegno di una parte dei deputati di Rifondazione. L'altro leader del partito Cossutta condannò "l'avventurismo" di Bertinotti. 21 deputati di Rifondazione su 35 dichiararono che, per non prendere il rischio di riportare la destra al governo, essi avrebbero votato la fiducia a Prodi malgrado le consegne contrarie del loro partito. Cossutta organizzò con questi deputati la scissione di Rifondazione e proclamò il nuovo "Partito dei Comunisti Italiani" (PdCI).
Questa scissione non fu sufficiente per salvare Prodi, perché alcuni altri deputati furono assenti durante il voto di fiducia. Ma dopo alcune altre manovre parlamentari una maggioranza fu ricostituita. Con l'appoggio dei deputati del PdCI a sinistra, l'Ulivo ebbe anche l'appoggio a destra dei deputati dell'Udeur, nuovo raggruppamento parlamentare creatosi per l'occasione intorno all'ex presidente della Repubblica Cossiga. E questa volta il Presidente del Consiglio fu Massimo D'Alema stesso, e non più Romano Prodi.
Così l'esito di questa crisi dell'autunno 1998 fu per l'ex Partito comunista ribattezzato PDS la consacrazione che ricercava da oltre cinquanta anni : venire a capeggiare un governo italiano. E lo stesso D'Alema, che poco prima la stampa ancora presentava come un uomo d'apparato che tanto sapeva di stalinismo, appariva l'artefice di questo successo e il maestro della situazione politica.
Si sa che da tanto tempo il motto di D'Alema era "fare dell'Italia un paese normale". Chiaramente con questo i dirigenti del PDS intendevano un paese dove la borghesia può tranquillamente imporre le sue scelte tramite l'alternanza al potere di due grandi partiti con delle politiche praticamente uguali, dove i sindacati danno il loro appoggio alla stabilità sociale con una concertazione in cui prevalgono gli interessi dei padroni, dove i lavoratori non scioperano, ecc... E difatti è a questa "normalizzazione" che D'Alema si è dedicato dopo come prima del suo arrivo alla presidenza del Consiglio.
Violenti attacchi antioperai
Prodi, oggi a capo della Commissione europea dopo di avere dovuto abbandonare la presidenza del Consiglio in Italia, si inorgoglisce di avere "portato l'Italia in Europa". Questo significa innanzitutto che durante i due anni del suo governo ha imperato l'austerità, necessaria secondo lui per soddisfare ai "criteri di Maastricht" per la partecipazione alla moneta comune europea, l'euro.
Ma se il gran padronato italiano, per i suoi affari e i suoi profitti, ci teneva tanto ad "entrare in Europa", non è stato lui a pagare il prezzo di questa austerità. Questa si è attuata con tagli drastici nelle spese pubbliche utili alla popolazione, dai trasporti alla salute e all'educazione, mentre i profitti padronali esplodevano e gli indici borsistici toccavano punte massime.
Il "patto per il lavoro" dell'autunno '96 tra sindacati, padronato e governo, firmato col pretesto di aiutare l'occupazione, fu seguito dal famoso "pacchetto" del ministro del lavoro Treu. Ma questo "pacchetto Treu" comportava innanzitutto delle misure di deregolamentazione per permettere alle imprese di assumere, in alcune zone del paese, con salari inferiori ai minimi contrattuali. Le leggi sulle assunzioni, ritenute dal padronato troppo impellenti, furono aggirate con l'introduzione del lavoro interinale o la generalizzazione delle "cooperative" i cui impiegati, sulla carta, non sono più salariati ma "soci" della cooperativa... e quindi non hanno più nessuna garanzia del posto di lavoro. Possono perderlo immediatamente, per esempio, il giorno in cui la cooperativa perde il contratto che ha con l'azienda, vuoi per lavori di pulizie, vuoi per lavori di carico e discarico, vuoi per altri lavori che così l'azienda può affidare a lavoratori precari e sottopagati...
In pochi anni si è assistito così, nelle imprese, alla moltiplicazione di statuti differenti per il personale. Laddove prima c'erano solo lavoratori salariati da uno stesso padrone, si trovano ormai lavoratori delle "cooperative", lavoratori interinali, lavoratori con contratti a termine, giovani in "Contratti Formazione Lavoro" (CFL), professionisti trasformatisi in lavoratori autonomi con "partita IVA" ai quali l'azienda paga una fattura ma che devono pagarsi gli oneri sociali, o lavoratori "esternalizzati" perché l'impresa di cui erano salariati ha dato al loro settore d'attività l'apparenza di un'azienda autonoma. Così i carrellisti e magazzinieri delle fabbriche Fiat ormai sono dipendenti TNT, un'azienda che dal punto di vista contrattuale non è più metalmeccanica ma... commercio !
Conseguenza di questa evoluzione è, ovviamente, il degrado delle condizioni di lavoro e tra l'altro l'aumento degli infortuni sul lavoro. Con 6000 morti sul lavoro in questi cinque ultimi anni, l'Italia è uno dei paesi europei con la statistica più alta da questo punto di vista;
L'ondata di deregolamentazione risultava in gran parte, ovviamente, dal consenso sindacale. Le tre confederazioni CGIL, CISL, UIL, l'hanno appoggiata senza battere ciglio, in nome della cosiddetta "modernizzazione" delle relazioni industriali. Al tempo stesso, in occasione del rinnovamento dei contratti di categoria, si mostravano pronte a firmare accordi segnati dalla moderazione salariale e da sostanziali contropartite date al padronato in materia di organizzazione e innanzitutto di orari di lavoro, tramite gli straordinari e la flessibilità.
D'altra parte, i governi Prodi e D'Alema avviavano un programma di privatizzazioni di gran respiro, toccando le telecomunicazioni, l'elettricità, i trasporti pubblici e tutto il settore a partecipazioni statali, destinando lo stesso IRI alla liquidazione. Cercavano ad imporre la loro logica liberale di "redditività" perfino nei settori della Sanità o dell'educazione.
A questo va aggiunta l'offensiva contro le pensioni, in corso in Italia come negli altri paesi europei. L'introduzione dei fondi pensione è ormai avviata. Dopo aspre negoziazioni tra banche, rappresentanti padronali e governo, i TFR dei lavoratori stanno per essere un punto di partenza per la costituzione di questi fondi pensione che permetteranno al capitale finanziario di disporre di somme enormi per la speculazione.
Un altro obiettivo dei governi Prodi, poi D'Alema, è stato l'attacco al diritto di sciopero nel settore pubblico. Già questo era stato nel 1991 oggetto di una "autolimitazione", concertata tra le confederazioni sindacali e i pubblici poteri e poi sancita dalla legge, che impone un preavviso di dieci giorni per ogni sciopero, e lo proibisce totalmente nei trasporti pubblici nei periodi di grandi spostamenti come il periodo natalizio, Pasqua o le vacanze d'estate.
Il Giubileo dell'anno 2000 è stato ancora l'occasione per le tre confederazioni, oltre dimostrare il loro conformismo nei confronti della Chiesa, di aggiungere ancora un capitolo all'"autolimitazione" degli scioperi : si sono impegnate a non organizzare scioperi dei trasporti durante le manifestazioni importanti del Giubileo. Ma è vero che ormai non ne organizzano più comunque, né a quei momenti, né ad altri ! Parallelamente la Camera dei deputati ha votato una legge che accentua la legge del 1991, aumentando le sanzioni e prevedendo per esempio che treni e trasporti aerei non potranno scioperare contemporaneamente, ed estendendo il campo della legge ad altre categorie. Questa evoluzione legislativa è stata definita "molto positiva" dai dirigenti sindacali, dalla CGIL all'UIL, a cui questa legge dà dei mezzi per lottare contro l'azione dei sindacati di base, spesso corporativisti, che si sviluppano nel settore dei trasporti.
E poi l'offensiva più recente riguarda il diritto di licenziare e in primo luogo l'articolo dello statuto dei lavoratori del 1970 sulla "giusta causa" che costringe un padrone a reintegrare un lavoratore licenziato ingiustamente. Da molto tempo il padronato ha preso di mira quest'articolo e protesta contro la legislazione del lavoro dell'Italia, le cui "rigidità" e il cui troppo alto "costo del lavoro" sarebbero secondo lui causa delle difficoltà economiche e della forte disoccupazione. Non gli basta avere aggirato la legge con la moltiplicazione dei tipi di contratto, dal lavoro interinale alle cooperative, il padronato chiede adesso l'abolizione dell'articolo sulla "giusta causa" col solito pretesto che, per potere creare posti di lavoro, prima occorrerebbe potere licenziare a discrezione.
Per ora il referendum radicale del 21 maggio scorso che mirava a tale abolizione è fallito. Ma il governo Amato, che ha sostituito D'Alema dopo le regionali d'aprile, sta studiando vari progetti di legge per agevolare i licenziamenti. E pare che il centrosinistra non abbia l'intento di lasciare il posto a Berlusconi prima di avere portato a termine questo elemento dell'offensiva antioperaia. Se in questi anni il padronato ha potuto approfittare di una situazione in cui poteva contare sulla collaborazione dei sindacati e di un cosiddetto governo di sinistra per fare passare le sue esigenze, vuole approfittarne fino in fondo.
La corsa della sinistra verso il centro
I dirigenti DS, e anche quelli delle confederazioni sindacali, non hanno mancato di giustificare la loro azione con le necessità del "mercato" o della "modernizzazione". Ogni tipo di protezione del lavoratore, risultato delle conquiste imposte in passato, viene ormai dichiarato "arcaico" come ha fatto D'Alema col proclamare in un discorso ai padroni che ormai "il posto fisso" è una cosa superata : stando a lui, il lavoratore deve ormai piegarsi alla logica di flessibilità dell'economia moderna. Dal canto loro, i dirigenti sindacali hanno da molto tempo cancellato ciò che nel loro discorso poteva ancora evocare la lotta di classe. Simbolo di questa evoluzione è stata la loro decisione di sopprimere la manifestazione del 1° maggio 2000 a Roma per causa di Giubileo per raggiungere... il concerto per la pace organizzato dal Papa !
Ma i cedimenti dei governi Prodi e D'Alema sotto le pressioni della destra hanno anche un volto più direttamente politico. Tra l'altro, alla pressione della Lega Nord di Bossi e alle sue divagazioni sull'indipendenza della "Padania", hanno risposto con l'instaurazione parziale del federalismo, dando alle regioni poteri che aumenteranno le possibilità del Nord ricco di non pagare per il Sud povero, cioè la sostanza stessa delle rivendicazioni di Bossi.
E poi è anche sotto D'Alema che alcuni casi svelati durante l'operazione "mani pulite" hanno trovato una conclusione. Andreotti, quest'ex primo ministro accusato di corruzione e di collusione con la Mafia, è stato assolto in modo spettacolare mentre, dalle file dei politici di ogni genere, si alzavano grida di vendetta contro questi giudici che per qualche anno hanno turbato il gioco politico con le loro inchieste sulla corruzione. La tradizionale omertà dello Stato italiano, messa per qualche tempo a soqquadro, è stata ristabilita.
Dal punto di vista della politica estera, gli anni Prodi-D'Alema hanno visto l'impegno dell'esercito italiano in Albania, con l'appoggio dell'Unione europea e dell'ONU, per ristabilire l'ordine e la sicurezza a favore dei commercianti ed industriali dei paesi imperialistici, e in primo luogo dell'imperialismo italiano in questo suo tradizionale settore d'influenza.
Ovviamente la destra utilizza l'esistenza di un flusso di profughi provenienti dall'Albania o dal Kurdistan sulle coste adriatiche per accusare il governo di mancare di fermezza e denunciare il cosiddetto pericolo dell'immigrazione. Alle campagne della stampa che mette in rilievo tutti i fatti di cronaca che coinvolgono degli extracomunitari o i misfatti della Mafia albanese, dimenticando che la Mafia è innanzitutto una specialità italiana, Prodi e D'Alema hanno risposto solo con l'intensificazione dei controlli e della sorveglianza delle coste, fino ad affondare qualche imbarcazione carica di "boat people" albanesi. Così la stessa politica governativa ha contribuito all'ascesa del razzismo e di tutte le demagogie sulla sicurezza dei cittadini.
E poi il governo D'Alema ha anche avuto l'occasione, alla primavera del '99, di impegnare il suo paese nella coalizione occidentale costituita per l'intervento militare in Serbia e nel Kosovo, e questo nonostante i problemi di coscienza della frazione "comunista" della sua maggioranza -il PdCI cossuttiano- che malgrado il suo tradizionale filoserbismo ha dovuto ingoiare questo rospo come gli altri.
Così in pochi anni i dirigenti di questa sinistra italiana arrivata al governo hanno fatto di tutto per liberarsi affrettatamente di tutto ciò che nei loro discorsi, nelle loro prese di posizione, poteva ancora evocare qualche riferimento di sinistra -e non parliamo neanche dei riferimenti "comunisti" ormai seppelliti da molto tempo. Non c'è da stupirsi se il loro elettorato, i lavoratori e i ceti popolari, presi di mira da una serie di attacchi, messi a confronto con una società sempre più dura, devastata dalla disoccupazione e segnata dall'estensione della precarietà, si trovano in piena confusione nel "paese normale" che D'Alema ha preparato loro.
Così ormai una parte dell'elettorato popolare vien regolarmente a mancare ai DS. Nel giugno del '99, dopo i brutti risultati delle elezioni europee, i DS hanno perso il municipio di Bologna, storica e simbolica roccaforte del vecchio PC, a favore del candidato di Forza Italia. E poi le elezioni regionali di questo aprile 2000 sono state un successo per Berlusconi.
Im ambo i casi, tale successo risultava meno da uno spostamento di voti a favore della destra che da un'astensione massiccia degli elettori tradizionali della sinistra, particolarmente notevole nei quartieri popolari. C'è da aggiungere, nel caso delle elezioni regionali, il fatto che il Polo di Berlusconi (Forza Italia e Alleanza Nazionale) questa volta abbia potuto accordarsi con la Lega Nord. Questa divisione della destra che nel 1996 aveva permesso al centrosinistra, pur minoritario nell'elettorato, di vincere le elezioni, è quindi superata e consente a Berlusconi di apparire vincitore, non solo di queste elezioni regionali ma secondo ogni probabilità delle prossime elezioni politiche.
Le difficoltà dei DS
Comunque la sconfitta delle regionali ha costretto D'Alema a dare le dimissioni dalla presidenza del Consiglio. Lo ha sostituito Amato, ex presidente del Consiglio rimasto famoso per il piano d'austerità varato dal governo che dirigeva nel 1992. E D'Alema ha potuto verificare in prima persona che tutte le riforme del sistema politico per cui si è impegnato in questi anni non hanno cambiato granché, in fin dei conti, nei costumi di questo mondo politico.
Già questo si era verificato all'autunno del 99 quando i socialisti, pur ridotti allo stato di gruppetto alcuni anni fa dalle conseguenze di "mani pulite", sono riusciti a mettere in crisi il suo governo e l'hanno costretto ad un rimpasto ministeriale per ottenere qualche posto in più.
In seno agli stessi DS, D'Alema viene criticato adesso che la sua politica porta con troppa evidenza a perdere voti e poltrone. Dopo aver dovuto trarre le conclusioni del crollo elettorale con le dimissioni dalla presidenza del Consiglio, D'Alema cerca di riprendere le redini di un partito logorato dal suo passaggio al governo e che ormai teme un ulteriore crollo alle prossime elezioni politiche.
Ma difatti tutto questo segna un altro smacco : presidente della commissione bicamerale, D'Alema voleva anche dimostrare le sue capacità di statista, e al di là di questo il senso dello Stato degli stessi DS, con una riforma di merito del sistema politico per la quale ricercava il consenso, sia del centrosinistra raggruppato intorno ai Ds che del centrodestra raggruppato intorno a Berlusconi. Ma la commissione bicamerale è fallita dopo innumerevoli discussioni perché ovviamente le diverse forze politiche non si accordavano sul sistema elettorale da adottare. Certamente, non c'era da stupirsi che i piccoli partiti del centro non accettassero facilmente un sistema elettorale completamente maggioritario nel quale non avrebbero più avuto spazio. Ma lo stesso Berlusconi e Forza Italia, col fare ostruzionismo ai progetti di D'Alema, hanno trovato il modo di raggruppare i malcontenti con loro.
Dopo il fallimento della bicamerale, si è assistito con i referendum radicali a due tentativi in meno di un anno per fare adottare un sistema elettorale completamente maggioritario. Ma i due tentativi sono falliti. Il referendum della primavera del '99 per l'abolizione della quota proporzionale ancora vigente per un quarto dei deputati non ha raggiunto il quorum del 50%, e non l'ha raggiunto neanche quello organizzato un anno dopo sulla stessa questione. Nessuno dei referendum del 21 maggio 2000 ha raggiunto il quorum, tra l'altro grazie all'appello all'astensione di Forza Italia. La soppressione totale della quota proporzionale rimane ancora allo stato di progetto, e questo segna uno smacco, non solo per i radicali promotori dei referendum, ma anche per D'Alema e i DS che avevano chiamato a votare "sì" a questa soppressione.
Nella voglia di D'Alema di fare dell'Italia un "paese normale", c'era anche ovviamente l'idea di fare dei DS un partito socialdemocratico "normale", cioè con una vera egemonia a sinistra, alla pari per esempio dei socialdemocratici tedeschi o dei laburisti inglesi. Ma a sinistra, il mantenimento parziale della proporzionale lascia uno spazio di autonomia a Rifondazione comunista. In quanto alla loro destra, i DS avrebbero voluto riuscire ad assorbire diverse forze politiche del centro in seno ad un gran raggruppamento di centrosinistra. L'operazione "Ulivo" e il lancio di Prodi sul proscenio politico, in fondo, facevano parte di questa operazione. Quest'operazione è stata ripetuta poi con l'appoggio dato all'ex giudice di "mani pulite" Antonio Di Pietro in un'elezione parziale. Ma Di Pietro e Prodi non sono stati per niente riconoscenti a D'Alema per essere così stati messi in orbita. Col fondare il nuovo partito dei "Democratici", abbandonando per l'occasione il simbolo dell'Ulivo per quello dell'Asinello, hanno tagliato l'erba sotto i piedi di D'Alema nella sua corsa per coprire il centro dell'arco politico. Nello stesso modo, il ritorno di Amato alla presidenza del Consiglio segna una resurrezione politica dei socialisti, che potrebbe far perdere terreno ai DS.
Coll'adottare il discorso del "mercato", del liberalismo ad ogni costo, i DS pensavano però impedire quel tipo di concorrenza. Ma su questo terreno c'è sempre qualcuno più al centro o più a destra di se stesso. Prodi o Di Pietro, i socialisti o la Bonino, ne sono la dimostrazione; sembra che il nuovo presidente del Consiglio Amato voglia attuare freneticamente, nei pochi mesi di cui forse dispone per governare, tutto ciò che il centrosinistra non è ancora riuscito a fare in materia di liberalizzazione, di flessibilità di potere senza freno dato a questo Dio "mercato" ormai adorato da tutti i politici italiani.
Così, se il passaggio al governo ha fatto perdere loro una parte della loro base popolare, i DS non hanno conquistato alla loro destra ciò che hanno perso alla loro sinistra, e cominciano di pagarlo dal punto di vista elettorale.
E' vero che, rispetto ai politici centristi concorrenti, i DS conservano una carta essenziale : il controllo dell'apparato sindacale che conserva il peso maggiore nella classe operaia, cioè l'apparato CGIL. In fondo è grazie a lui che la borghesia italiana è riuscita a rimettere in discussione tante conquiste operaie senza dovere affrontare reazioni sociali notevoli. In fondo, è l'unica sostanziale differenza sociale rimasta tra i DS e gli altri politici alla Prodi o Amato. Ma non è sicuro che, nel prossimo periodo, la borghesia italiana darà a quest'elemento la stessa importanza che in passato. A forza di perdere credito nei confronti dei lavoratori, le burocrazie sindacali perdono anche il loro valore per la borghesia stessa. Una frazione di questa finisce col pensare che, tutto sommato, per fare prevalere i suoi interessi si potrebbe anche fare a meno del tramite dei burocrati sindacali.
Difatti, nel campo padronale, si sta assistendo ad una specie di radicalizzazione degli attacchi antioperai. Per i nuovi dirigenti confindustriali come per i dirigenti dei "giovani industriali", l'Italia così come esce da questi quattro anni di governi di centrosinistra è ancora troppo statalista, troppo regolamentata, il sistema politico e sociale comporta ancora troppi freni alla potenza padronale. E chiedono ancora, non solo la possibilità di licenziare a discrezione, ma ancora più flessibilità, meno oneri sociali e meno vincoli per le imprese, meno tasse e più aiuti finanziari.
Anche la contrattazione collettiva viene presa di mira. Le confederazioni sindacali hanno un bel dimostrarsi concilianti con gli interessi del padronato, e firmare da anni contratti di categoria che segnano un regresso dopo l'altro nelle condizioni di lavoro o di salario dei lavoratori, tutto questo secondo i padroni significa ancora troppi vincoli. Di fronte a questi sindacati che da anni si appiattiscono di fronte a loro e per chi l'idea di servirsi della forza collettiva dei lavoratori risulta ormai "superata", una parte dei padroni ritengono, in fondo molto logicamente, che potrebbero benissimo fare a medo di questo stesso tramite sindacale, che considerano "superato" anche lui.
Rifondazione Comunista in cerca di un "alternativa".
Così nel prossimo periodo, tutte le organizzazioni tradizionali della sinistra italiano potrebbero pagare le conseguenze dell'appiattimento e della servilità di cui hanno dato prova, da anni, rispetto agli interessi della borghesia. Questo si sta già verificando per i DS e potrebbe verificarsi rapidamente per le organizzazioni sindacali. Ma è anche vero in realtà per Rifondazione comunista, la cui opposizione solo velleitaria e verbale alla politica governativa non gli ha permesso di approfittare, alla sinistra dei DS, dell'indebolimento di questi ultimi.
Dopo aver sostenuto per due anni il governo Prodi, il tentativo di Bertinotti all'autunno 1998 di rincarare il prezzo del suo sostegno ha portato alla scissione del PdCI cossuttiano e alla perdita della maggior parte dei deputati di Rifondazione. In se questa perdita non sarebbe stata la cosa più grave ; ma questa uscita dalla maggioranza parlamentare non si è accompagnata con un cambio sostanziale di politica. Dopo come prima, Rifondazione si è accantonata alla parte di opposizione parlamentare ed istituzionale. Lungi dal provare ad esprimere una vera opposizione di classe alla politica del governo D'Alema, Bertinotti ha proseguito nel fantasticare sulle chimere col presentarsi come il partito di un'"alternativa" il cui modello sarebbe stato... il governo Jospin in Francia, la cui politica secondo lui sarebbe fatta di "riforme" "per evitare le conseguenze sociali delle politiche liberali, delle logiche di mercato e di liquidazione dello Stato sociale".
Tale "alternativa" non ha nessuna credibilità, tanto è ovvio che dall'altro lato delle Alpi la politica di Jospin in fondo non è differente di quella di D'Alema o di Blair o di Schroeder. E non ha consentito a Rifondazione né di aumentare davvero i risultati elettorali del partito, né di ridare fiducia e morale ai militanti. Il partito è stato reso sempre più passivo dall'attività esclusivamente istituzionale dei dirigenti, mentre molti aderenti abbandonavano Rifondazione e addirittura l'attività militante. Poi i brutti risultati delle elezioni europee del '99 (4,1%) hanno portato il partito a riagganciarsi ai DS e al centrosinistra per concludere un accordo elettorale per le regionali d'aprile 2000. Quest'alleanza con quelli che denunciava ancora poco tempo prima ha ancora accentuato il disorientamento di una frazione del partito, portando alcuni militanti e addirittura circoli interi a dichiarare che avrebbero disubbidito al partito e non voterebbero per questo centrosinistra al governo.
Adesso i risultati un po' migliorati di Rifondazione nelle elezioni regionali d'aprile, poi lo smacco del referendum di abolizione della proporzionale, danno almeno provvisoriamente un po' più di spazio al partito. Ma questo non cambia le sue prospettive. Saltando da una fantasticheria all'altra, Bertinotti e la direzione di Rifondazione adesso parlano di una nuova "alternativa politica". Questa, che alcuni chiamano già "sinistra plurale" sarebbe un raggruppamento di Rifondazione, degli intellettuali del quotidiano "il Manifesto", di esponenti della sinistra sindacale CGIL, di qualche rappresentante della sinistra DS in rottura col partito, e di qualche altro. In quanto al contenuto politico, esso comporterebbe l'esaltazione del "movimento sociale", delle manifestazioni contro la conferenza di Seattle, dell'ecologia o di "nuovi soggetti" quali i "centri sociali", senza dimenticare gli indiani del Chiapas, il subcomandante Marcos o la difesa della "Tobin Tax" sui movimenti di capitali. "Liberazione" vede in tutti questi movimenti "la possibilità concreta di battere il liberalismo e di definire un progetto alternativo" con "l'intervento cosciente delle forze anticapitalistiche" e rimprovera a Rifondazione stessa "i ritardi nell'apertura e nell'innovazione" o la sua insufficiente rottura con "le simbologie del comunismo novecentesco"... L'articolo (Liberazione del 16 giugno 2000), è vero, è firmato da un militante della sezione italiana della Quarta Internazionale. Ma in questo caso questi militanti, che sono confluiti in Rifondazione e fanno parte della maggioranza congressuale, sono in perfetta sintonia con Bertinotti.
Così Rifondazione cerca di occupare un certo spazio politico, ai margini dei DS, con i fumosi discorsi di moda sul "movimento sociale", Seattle o i "nuovi soggetti". Questo fa pensare ai tentativi della "Sinistra Unita" spagnola di differenziarsi dal Partito Socialista, pur rimanendo sullo stesso terreno politico, un terreno in realtà profondamente riformista anche lui nonostante alcune parvenze più a sinistra, e questo non dovrebbe aprire prospettive migliori di questa "Sinistra Unita" andata solo da un crollo elettorale all'altro.
Comunque, quasi dieci anni dopo la sua creazione nel 1991 in reazione all'abbandono dell'etichetta comunista dalla maggioranza del vecchio PC, Rifondazione rimane sempre ben lungi dal definirsi come una forza veramente comunista e come un partito di classe, e questo disarma e demoralizza sempre di più chi aveva visto nella sua nascita la speranza della creazione di un tale partito.
Però è solo su queste basi che i militanti che si appellano sinceramente alla classe operaia possono combattere. Per chi vuole lottare seriamente per la difesa dei suoi interessi, per riconquistare il terreno perso nei confronti della borghesia, per ridare ai lavoratori una prospettiva di lotta, non c'è altra strada che di battersi per la rinascita di un vero partito comunista che combatta su basi di classe. La strada in tale direzione può sembrare lunga e difficile, tanto più in questo paesaggio di demolizione lasciato dietro da questi anni di un governo cosiddetto di sinistra che ha portato gli attacchi peggiori contro la classe operaia. Ma non c'è altra strada.
Allora, ben al di là della questione di sapere quanto tempo ancora il governo di centrosinistra reggerà, la questione della ricostruzione di un tale partito, comunista e rivoluzionario, è l'unica vera questione per i militanti rivoluzionari e per tutti i lavoratori coscienti.
20 giugno 2000