Le nostre possibilità di intervento di fronte alla generalizzazione dei licenziamenti ed alle riduzioni di personale

Testi del 33 congresso di Lutte Ouvrière (da "Lutte de classe" n 77)
dicembre 2003

Le chiusure di fabbriche, i piani di licenziamenti, le ristrutturazioni con riduzione del personale, espulsione dei lavoratori interinali o con contratti a durata determinata, dei precari, ecc., si susseguono e colpiscono ormai tutti i settori della vita economica, del settore pubblico (le ferrovie, le poste, l'elettricità, gli ospedali, l'educazione, i lavoratori degli enti locali...) come del privato (grandi imprese e loro subappalti - settori dell'alta tecnologia fino al commercio ed alla distribuzione) e di tutte le regioni. Il problema del lavoro, della precarietà e della compressione degli organici è diventato un problema maggiore, prioritario, che colpisce l'insieme del mondo del lavoro.

Di fatto -ciò si riflette nelle corrispondenze aziendali del nostro settimanale-, la maggior parte dei nostri compagni ormai sono, sia direttamente interessati, sia in contatto con lavoratori toccati dai licenziamenti, dalle soppressioni di posti di lavoro o dall'espulsione dei lavoratori precari. In un certo numero di posti, sono in condizione di intervenire e di partecipare alle lotte locali e regionali contro i licenziamenti. A volte essi stessi ne prendono l'iniziativa. D'altro canto, l'accoglienza da parte dei lavoratori minacciati di licenziamento nelle imprese dove non avevamo contatti sembra positiva. Forse il tono è disilluso ("ma cosa ci possiamo fare"), ma succede anche che l'accoglienza sia entusiasta e che ci domandino cosa fare.

Vista l'ampiezza e l'urgenza del problema (centinaia di piani di ristrutturazione programmati per quest'anno), si pone il problema di sapere se la nostra organizzazione, al di là della semplice propaganda nazionale e della nostra partecipazione alle lotte locali e specifiche, potrebbe impegnarsi sistematicamente e contribuire a tirar fuori la lotta contro i licenziamenti dai sentieri battuti degli atti di resistenza locale, a farla uscire dallo spezzettamento. Abbiamo già tentato alcune iniziative in questo senso, in funzione delle posizioni e dell'influenza di cui potevamo beneficiare in certe imprese direttamente toccate (i compagni della frazione nel 2001 alla Danone, la primavera scorsa alla ACT di Angers in accordo con i lavoratori salariati della Daewoo di Longwy, quest'autunno a Rennes con i salariati della STMicroelettronics e della Thomson coinvolgendo quelli dei subappalti, ma anche nelle fabbriche Peugeot-Citroën a proposito dell'espulsione degli interinali, e certamente in altri posti, senza dimenticare l'esperienza importante, ma che risale a 10 anni fa, della lotta della Chausson di Creil). Resta da sapere se abbiamo i mezzi di intervenire su un'altra scala, e come.

Il carattere delle lotte attuali

Le resistenze locali sono numerose. Le lotte passate o in corso sono più o meno dure, più o meno segnatete dalla disperazione... o da illusioni, a seconda della politica condotta dai leader sindacali locali. Spesso i responsabili sindacali si fidano delle promesse degli eletti locali e si accontentano di manifestazioni consensuali accettando promesse di piani di reindustrializzazione della regione. Ma, anche quando le forme di resistenza sono più radicali (scioperi con occupazione, a volte durante mesi, manifestazioni dinamiche, blocchi di autostrade, di incroci stradali), non aprono necessariamente migliori prospettive fin quando restano localizzate. Gli stessi leader sindacali possono d'altra parte spingere le lotte in un senso più radicale e partecipare nello stesso tempo alla gestione del "piano sociale" ed alle chiacchiere sulla politica industriale regionale (come alla Péchiney nei Pirenei, oppure alla Danone di Calais).

E' evidente che le lotte locali e regionali contro i licenziamenti dovranno coordinarsi e generalizzarsi, in altre parole diventare offensive, per riscuotere qualche successo significativo. Ciò che significherebbe un confronto politico che apra nuove prospettive e nuovi compiti. Ma in questo campo nulla si fa spontaneamente.

Da parte delle confederazioni sindacali, cominciando dalla CGT, non c'è niente da aspettarsi a meno che questa non temi di essere scavalcata. Come ha detto recentemente il suo segretario generale Bernard Thibault ad una riunione della federazione metalmeccanica in occasione della firma dell'accordo sulla formazione professionale : "rifiutiamo di essere relegati alla gestione delle centinaia di piani sociali che si profilano. Noi vogliamo prendere il problema a monte, e pesare sulle scelte strategiche delle imprese". Da un lato, è un modo per riconoscere che la CGT è relegata effettivamente nella maggior parte dei casi alla gestione dei "piani sociali". Dall'altro, senza altra prospettiva, questo vuol dire chiedere al governo che ottenga dal padronato di invitare la CGT a discutere della politica industriale delle imprese. Da questo punto di vista, la spezzettamento locale e regionali delle lotte conviene perfettamente agli obiettivi espliciti della CGT. Non si tratta neanche di far pressione sui consiglieri regionali, ma di giustificare la partecipazione dei sindacati ai sedicenti progetti industriali preparati dai tecnocratici locali.

In che modo le mobilitazioni locali contro i licenziamenti potrebbero passare ad un altra tappa ?

Sicuramente in occasione di un'esplosione sociale -per definizione imprevedibile. Per esempio, se l'ondata di scioperi della primavera scorsa fosse stata più profonda, avrebbe potuto generalizzarsi, anche al settore privato, e quindi porre non solo il problema delle pensioni, ma anche quello dei licenziamenti, dell'occupazione nel settore pubblico, ecc. Ma la situazione attuale non è questa.

In ogni modo, sarebbe vano scommettere sulla spontaneità per sperare anche solo in un inizio di coordinamento delle lotte difensive attuali. Anche nel caso in cui i militanti locali riuscissero a mobilitare i lavoratori toccati da un piano di ristrutturazione, potrebbero appoggiarsi spesso sulle minoranze attive più o meno determinate, poiché il resto dei lavoratori salariati è rapidamente scoraggiato (il numero di lavoratori colpiti, in ogni sito, è molto spesso limitato). Ciò ha a che vedere con il carattere di tale tipo di lotta difensiva in cui i lavoratori si sentono particolarmente vulnerabili e dunque molto isolati. L'abbattimento arriva rapidamente. Così come concludeva una corrispondenza locale di LO a proposito delle manifestazioni dei lavoratori della GIAT Industria di Saint Chamond (LO del 3 ottobre), i lavoratori "sono più schiacciati che rivoltati". L'articolo si rammarica del fatto che i lavoratori si siano limitati a qualche ora di sospensione del lavoro invece di fare un vero sciopero. Ma si ritrova questo stato d'animo anche quando i militanti più combattivi riescono a mobilitare i lavoratori in azioni più dure. La mobilitazione dura mesi, con grandi sforzi. L'isolamento persiste. Poi si arriva alla chiusura... Ci si può mobilitare, fare sciopero, addirittura occupare la fabbrica, in altre parole resistere e tenere la testa alta, cosa essenziale per sostenere il morale. Ma nessuno crede veramente ad una vittoria qualunque.

I nostri tentativi recenti

Detto ciò, quando i compagni dispongono di un po' d'influenza in diverse imprese di una stessa regione (oppure di un punto di appoggio nella grande impresa), riescono ad organizzare iniziative inter-aziendali, in particolare comizi e manifestazioni, a livello regionale, anche se nulla è semplice in questo campo e le truppe non sono tanto numerose. La primavera scorsa per esempio, quelli della ACT hanno segnato qualche punto in questo senso nella regione di Angers, fino al punto di poter prevedere un'iniziativa nazionale con i salariati della Daewoo di Longwy (grazie alla funzionaria della camera del lavoro CGT di Longwy che aveva fatto la stessa cosa nella regione con i lavoratori della Daewoo). Una prima riunione si era svolta alla camera del lavoro di Parigi, alla quale avevano partecipato intorno a 30 o 40 salariati della Daewoo e della ACT, dei sindacalisti del Nord, cinque o sei sindacalisti della Danone di Ris-Orangis (accompagnati dall'avvocato vicino alla sinistra plurale che voleva suscitare un comitato anti-licenziamenti su una base estremamente giuridica e legalista), dei militanti della regione parigina ed un pugno di giovani intermittenti dello spettacolo membri della CNT che abusarono un po' troppo del loro tempo di parola di fronte ad un pubblico proletario venuto da lontano. Lo svolgimento della riunione d'altra parte era abbastanza improvvisato. Il giudizio espresso su questa riunione è da discutere ma il modo di procedere iniziale aveva i suoi meriti. Per continuare, sarebbe stato necessario in ogni modo metterci forze organizzate, perché questo tipo di iniziativa esige un lavoro di organizzazione e di contatti sistematici che necessita l'appoggio di un apparato militante, che va oltre i semplici compagni dell'azienda coinvolta che mettono il massimo dei loro sforzi per mobilitare la propria base. Questa è una scelta da fare.

E poi ci possono essere contesti politici favorevoli, capaci di dare un riscontro nazionale a questo tipo di iniziative. Fu questa la scommessa fatta dalla frazione alla Danone nel 2001. I salariati della Danone di Ris-Orangis non erano certo più mobilitati che altrove (si sono accontentati di qualche ora di sciopero e non hanno mai occupato la loro fabbrica, contrariamente a quelli di Calais o di altri). Ma la frazione aveva la fortuna di aver simpatizzanti in seno alla minoranza attiva, di fatto il gruppo inter-sindacale unito dalle lotte precedenti. Il tentativo non riuscì a coinvolgere la CGT e non potè andare oltre una manifestazione nazionale di 20 000 persone. Un impulso importante, ma non sufficiente, all'epoca, per riprendere l'iniziativa dopo le vacanze estive.

Un contesto che permette di mettere in cantiere iniziative volontaristiche

Nel contesto attuale caratterizzato dalla generalizzazione dei piani di licenziamento, anche se non bisogna aspettarsi ad un clima di generalizzazione delle lotte, non è assurdo guardare al problema in modo volontaristico, partendo dalle forze, anche se deboli, di cui disponiamo, se non per generalizzare, almeno per costruire un movimento che militi in questa direzione, la cui piattaforma potrebbe essere "tutti uniti contro i licenziamenti, le riduzioni di posti di lavoro e la precarietà", almeno per preparare un'eventuale crescita dei conflitti. Da questo punto di vista, sarebbe importante avanzare fin dall'inizio i nostri propri obiettivi (divieto dei licenziamenti, esproprio delle imprese che licenziano e fanno benefici, assunzione dei precari, assunzioni massicce nei servizi pubblici), poiché senza necessariamente avanzare formulazioni che chiuderebbero subito la porta ad altri, non si tratterebbe neanche di scomparire di fronte ai sindacalisti che considerano tali comitati solo sulla base di un'altra ipotetica soluzione industriale oppure della migliore gestione possibile (giuridica e legale) dei "piani sociali".

Oggigiorno, nel 2003, i piani di licenziamenti si succedono e si moltiplicano, senza attirare ciononostante l'interesse dei mass media. Le manifestazioni locali sono diventate quasi una routine, parte del paesaggio sociale. Ciò crea un clima in cui si mischiano la rivolta e l'abbattimento. Tutti sono toccati, eppure tutti restano isolati. Ci si è abituati, e la politica degli apparati sindacali incita alla rassegnazione. Ciononostante l'ondata ha raggiunto tutti i settori, e una lotta ai margini della classe operaia come quella degli intermittenti dello spettacolo riflette bene la situazione generale. Vengono chiusi centri di smistamento e uffici delle poste ; le ferrovie annunciano nuove riduzioni di personale, gli aiutanti-educatori sono licenziati, così come gli interinali delle grandi imprese del settore automobilistico, come anche i precari nei musei di Parigi ; qui si chiude un'ospedale ostetrico, laggiù una scuola materna o un ospedale; la città di Orléans si prepara ad affidare la pulizia delle scuole a società private... In certe regioni, oltre alle decine di imprese private che chiudono (come nella regione di Mulhouse oppure di Compiègne ... vedi articoli di LO), nella scuola, nella posta, negli ospedali i servizi sono ridimensionati. Il ricorso al lavoro precario si generalizza, a cominciare dal settore pubblico, nazionale e comunale. La mancanza di personale nei servizi pubblici, in particolare negli ospedali dove i malati che arrivano ormai devono aspettare che si liberi un letto, comincia a commuovere la popolazione.

In breve, si tratta di una situazione che forse, parallelamente alla nostra partecipazione alle centinaia di lotte in corso, può permetterci di esaminare la possibilità di costruire in modo volontaristico una specie di movimento contro i licenziamenti e le riduzioni di personale. Sul terreno della lotta femminista nelle periferie, alcune (e alcuni) militanti più o meno legate al PS oppure a SOS Razzismo sono riusciti a lanciare dall'alto un movimento come quello di "né puttane né sottomesse", con buone ragioni e tutto sommato con un certo successo. Un'organizzazione come la nostra, che dispone di diverse centinaia di militanti nelle imprese, altrettanti insegnanti che hanno partecipato attivamente agli scioperi della primavera scorsa, e di contatti in un buon numero di imprese di differenti settori, in tutto il paese, forse avrebbe i mezzi per costruire un movimento del tipo "tutti uniti contro i licenziamenti, le riduzioni di posti e la precarietà" (oppure trovando formule più sorprendenti come per esempio : "né gettabili né flessibili, tutti insieme contro i licenziatori ; senza lavoro, piccoli lavori, troppo lavoro, tutti insieme... idee migliori verranno sicuramente strada facendo).

In una prima fase in cui testeremmo l'impatto di questo tipo di iniziative, non bisognerebbe costruirlo sulla base di proclami, ma in qualche modo dal basso, appoggiandosi in primo luogo sulle posizioni militanti e sui legami di cui dispongono i nostri compagni in tutto il paese, verificando ciò che è possibile fare, e in un secondo momento coordinare le iniziative a livello nazionale. Beninteso, noi ci sforzeremmo di privilegiare i settori dove avremmo "un punto di appiglio", per esempio in un'impresa dove il problema si pone direttamente e dove abbiamo compagni, oppure legami privilegiati (tra l'altro tramite alcuni dei nostri consiglieri regionali).

Il ruolo di un tale movimento

Il vantaggio di questo tipo di movimento contro i piani di licenziamenti, la precarietà e le riduzioni di personale, rispetto ai movimenti dei disoccupati iniziati dalla CGT oppure del tipo di AC ! ("Agire contro la disoccupazione" - ndt) (che d'altro canto, qualche anno fa, era riuscito a dare impulso ad un movimento nazionale non insignificante), consiste in primo luogo nel fatto che si indirizza direttamente alla classe operaia in attività, non ancora emarginata e nello stesso tempo può riattivare quelli che sono stati licenziati in questi ultimi anni, cominciando dai militanti che hanno fatto l'esperienza delle lotte difensive precedenti. In più, per un'organizzazione come la nostra, sarebbe un investimento militante e politico sul terreno di classe che maggiormente ci preoccupa. Infine, un movimento di questo tipo permetterebbe di fare da ponte tra i lavoratori minacciati di licenziamento che sono già in lotta o che lo sono stati, e quelli che non lo sono ancora.

Un tale movimento, pur supponendo che noi fossimo capaci di contribuire alla sua costruzione, da solo non basterebbe a suscitare una lotta unitaria capace di far indietreggiare il governo e il padronato. Ma, composto da militanti di diversi settori economici, potrebbe diventare un punto di riferimento per i lavoratori che qua e là si mobilitano contro i licenziamenti. Gli apparati sindacali tradizionali in molti posti lo ostacolerebbero sicuramente (ma niente ci dice che altrove non possiamo coinvolgere altri militanti sindacali, ciò che sarebbe uno dei nostri obiettivi). Ma l'esistenza di questo tipo di movimento a livello regionale e nazionale, che abbia come prospettiva esplicita l'unificazione delle lotte contro i piani di ristrutturazione, potrebbe contribuire a dare un nuovo orizzonte di mobilitazione ai lavoratori direttamente confrontati ai licenziamenti. E se oggi c'è posto per questo tipo di movimento, tanto vale che sia un'organizzazione rivoluzionaria che ne prenda l'iniziativa e che ci lavori, coinvolgendo le altre formazioni sindacali o politiche senza nessuna esclusività, piuttosto che un apparato riformista (ipotesi non necessariamente da escludere. Immaginiamo per esempio che i sindacati Sud, oppure il PC su basi molto "gestionali" e legaliste, lancino questo tipo di iniziativa, e che assistessimo alla nascita di un movimento al quale saremmo forse spinti a partecipare ma che non offrirebbe certo le stesse prospettive di quello di cui parliamo).

Concretamente

Non si tratterebbe, almeno in un primo tempo, di lanciare appelli, né di rivolgersi al livello nazionale alle altre organizzazioni, sindacali o politiche, e neanche al resto dell'estrema sinistra. Né di lanciare una campagna di propaganda (cosa che faremo in ogni modo, e che abbiamo già cominciato di fare, sugli stessi grandi temi, in occasione della campagna elettorale di quest'anno). Si tratta in primo luogo di vedere ciò che è alla portata della nostra organizzazione.

In quasi tutte le regioni disponiamo di militanti sindacali e politici conosciuti, che avrebbero ragioni dirette di prendere l'iniziativa di... diciamo un "collettivo" contro i licenziamenti, la precarietà e le riduzioni di personale. A cominciare dai compagni che occupano funzioni sindacali nelle grandi imprese minacciate da piani sociali. Quando in una stessa regione disponiamo di gruppi di militanti in diverse imprese di questo tipo, questi potrebbero incontrarsi e rivolgersi in seguito agli altri dove si pongono gli stessi problemi e proporre di incontrarsi. Ma potrebbe essere anche un postino, un delegato conosciuto della Peugeot, un sindacalista che lavora al Consiglio generale del dipartimento di una grande città, un'infermiera, un anziano lavoratore della società AZF, un ferroviere, un militante della previdenza sociale, uno o una lavoratrice di un'impresa di pulizie che abbia condotto recentemente una lotta vittoriosa, un salariato di EDF (vedi il preciso articolo in LO del 12 settembre sulla riduzione del 40% degli organici nei servizi tecnici in un anno, e i guasti che ne sono seguiti quest'estate a Parigi), ecc. Quando dei militanti sono direttamente implicati nelle lotte contro i licenziamenti, come quelli di Rennes in questo momento, è ancora più facile. Ma in realtà possiamo esplorare dappertutto le possibilità di mettere in piedi questo tipo di "comitato", "collettivo", "coordinamento" oppure qualsiasi altro termine che inciti a riunire salariati di vari settori, se possibile partendo da lotte esistenti, o a partire da problemi esistenti (chiusura di uffici postali, di cliniche ostetriche, di classi delle scuole primarie...). Allo stesso modo possono far parte degli iniziatori i nostri consiglieri regionali o comunali (vedi per esempio, l'intervento del nostro consigliere comunale di Colomiers a proposito dei 65 lavoratori licenziati dal maggio scorso dalla tipografia Bessières - LO del 12 settembre); oppure degli insegnanti che hanno scioperato nella primavera scorsa e che si erano fatti conoscere a questo titolo nelle imprese delle loro parti.

Creazione di collettivi contro i licenziamenti, le riduzioni di posti di lavoro e la precarietà -coordinazione di questi collettivi

Certo, all'inizio, questo tipo di "collettivi", a parte qualche eccezione rilevante, probabilmente riunirebbe solo militanti che già conosciamo (oppure maggiormente nostri propri militanti, anche se non è quanto cerchiamo di fare !) ma che dispongono ciononostante di una legittimità, qualunque essa sia. In ogni caso i compagni, a seconda delle situazioni e delle possibilità locali, potranno sondare i risultati di tali iniziative, misurare chi riescono ad organizzarvici. E a seconda di tale o tale altro successo locale, noi potremmo in un secondo tempo (il che non vuol dire molto tempo dopo, ma semplicemente il tempo di verificare se incontriamo un riscontro reale) prevedere di riunire questi collettivi locali o regionali in "riunione", "conferenza", addirittura "coordinamento" nazionale (avremo il tempo di valutare i termini più appropriati) contro i licenziamenti, le riduzioni di personale e la precarietà.

Certo, la creazione di tali collettivi sarebbe tanto più rapida e legittima quanto più si appoggierebbe su lotte effettive. Ma le situazioni saranno certamente molto diverse. In un certo modo poco importa. Strada facendo, si vedrà.

Ne abbiamo le forze ? E'compatibile con la prossima campagna elettorale ?

In senso stretto, la costruzione, in qualche modo "a freddo" di un tale movimento nazionale contro i licenziamenti, oltrepassa di lunga le nostre sole forze organizzative e le nostre sfere d'influenza particolari. Per riprendere l'esempio del movimento "né puttane né sottomesse", se all'inizio non poteva contare che su un numero molto ridotto di militanti, disponeva di tutti gli agganci che SOS Razzismo tramite il PS ha potuto mettere a sua disposizione al livello dei comuni o delle regioni. A nostro attivo, anche se non abbiamo né sindaci né notabili, abbiamo certamente più militanti... cosa che non risolve di per sé il problema.

"L'ideale" sarebbe che un tale movimento contro i licenziamenti potesse disporre di punti d'appoggio politici e sindacali nella maggior parte delle imprese e delle località colpite. Ora, da questo punto di vista, ciò che vediamo già apparire sono piuttosto gli ostacoli. Il movimento operaio è quello che è. Ciò non toglie che la necessità di un tale movimento si fa sentire. Ciò significa che dovremmo, come spesso, investirci in qualcosa che oltrepassa le nostre proprie forze (la scommessa abituale del modo di intervento di un'organizzazione rivoluzionaria). In altre parole, partendo dalle forze militanti di cui disponiamo trovare i mezzi per dare impulso... e coinvolgere non solo i lavoratori di base interessati, ma rapidamente e mano a mano che i primi successi parziali si faranno sentire cercar di coinvolgere altre organizzazioni sugli obiettivi definiti, neutralizzando nello stesso tempo i freni provenienti dalle direzioni dei grandi apparati.

Altro problema immediato : abbiamo i mezzi per disperdere le nostre forze tra la futura campagna elettorale (vale a dire, in fondo, una campagna politica al livello nazionale, di cui uno dei temi principali sarà d'altronde quello della lotta contro i licenziamenti), e l'investimento militante nella costruzione di un tale movimento ? Non è incompatibile ? Dando per scontato che la campagna politica rappresentata dalla campagna elettorale è prioritaria (e condiziona in un certo senso le nostre altre capacità di intervento).

Questo è un certo modo di vedere le cose. Ma ce n'è un altro. Le due "campagne" (la campagna di propaganda politica, elettorale e la campagna "organizzativa" per la costruzione di un tale movimento), possono anche rafforzarsi l'un l'altra e essere portate avanti con gli stessi militanti, nelle stesse imprese, gli stessi ambienti (insegnanti, servizi pubblici... quartieri popolari...), le stesse località (laddove da due anni abbiamo fatto lo sforzo di riunire quelli che ci hanno aiutati nelle ultime campagne elettorali). Esse possono essere complementari, e coincidere per quanto riguarda le forze impegnate. Un esempio concreto : in un certo modo noi abbiamo cominciato, a giusto titolo, la nostra pre-campagna quest'estate organizzando carovane nelle regioni più sinistrate, mirando nello stesso tempo alle imprese toccate dai licenziamenti. Ci ritorneremo sicuramente, e probabilmente prima della campagna elettorale in senso stretto. Cosa ci impedisce, attraverso gli stessi sforzi di presenza politica, di proporre ai lavoratori che contatteremo di organizzarsi in un comitato contro i licenziamenti, insieme ad altri ? Tutto quello che rischiamo è che ciò ci richieda effettivamente di moltiplicare i nostri sforzi... se incontriamo risposte positive. Ma in questo caso, chi lo rimpiangerà ?

I problemi

Diversi problemi si pongono : freni o ostacoli da parte dei sindacati nelle imprese o delle camere del lavoro in certi casi, ma non in altri (il caso della camera del lavoro di Longwy forse non è isolato. Alcuni militanti delle camere del lavoro ci hanno accolto favorevolmente nelle carovane). Rapporti da gestire con certi collettivi di sindacalisti e di avvocati legati al PC, al PS o alla CGT che non intravedano nient'altro al di fuori di una procedura ultra - legalista, oppure da politicanti, legata ai consiglieri locali. Rapporti con le altre organizzazioni, sindacali o politiche. Rapporto con gli altri militanti di estrema sinistra, le loro proprie iniziative, la loro partecipazione. Anche in questo caso, vedremo strada facendo, sapendo che riscuoteremo veri successi solo a condizione di riuscire a coinvolgerne altri.

Certo, il successo di tale impresa non è garantito. Il fallimento sarebbe se non riuscissimo a mettere in piedi altro che gusci vuoti, che raggruppino i nostri soli propri militanti eventualmente con qualche altro "gauchiste". Ma nel contesto attuale non è irrealista tentarlo.

In un certo modo, sarebbe anche un mezzo per dare una continuità militante, almeno sulla nostra scala, ai movimenti di scioperi della scorsa primavera e al ruolo che abbiamo potuto giocarci. Nell'immediato, tutti i compagni lo constatano, non bisogna aspettarsi una nuova mobilitazione degli insegnanti, dei postini o dei ferrovieri. Ma i contatti militanti esistono sempre, senza che nessuno li concretizzi (e sappiamo bene che le riunioni post-movimenti, "a vuoto", durano poco). A prescindere dalle future battaglie da portare avanti sulla rimessa in discussione della previdenza sociale e del sistema sanitario, gli scioperanti di prima delle vacanze, nell'educazione nazionale come nelle poste o le ferrovie, sono sensibilizzati ai problemi di riduzioni del personale ed alla precarietà. D'altra parte, l'ondata di piani di licenziamenti si è accelerata. Noi abbiamo dunque obiettivi da proporre non solo a quelli che abbiamo coinvolto nelle lotte della primavera, ma anche ai contatti che abbiamo preso in quell'occasione e questa estate in vari settori.

E se riuscissimo anche solo parzialmente a mettere in piedi un tale movimento, parallelamente alla campagna elettorale di quest'anno, ciò non potrebbe che metterci in una situazione migliore per intervenire in caso di lotte importanti e darci nuove possibilità per combattere i freni degli apparati.

Il testo "le possibilità di intervento di fronte alla generalizzazione dei piani di licenziamenti e alle riduzioni di personale", è stato sottoposto alla discussione dalla minoranza. Il testo seguente, "nelle elezioni... e dintorni" è seguito da una mozione che è stata sottoposta alla discussione dalla minoranza, e che è stata bocciata dal 97% dei votanti che considera che, se nelle sue grandi linee, il metodo proposto potrebbe ipotizzarsi in un periodo di ascesa delle lotte, non corrisponde per niente alla situazione attuale.

1 novembre 2003