Questo è il testo della riunione pubblica di Arlette Laguiller tenutasi a Parigi venerdì 7 novembre 1997 nella grande sala della Mutualité per l'80° anniversario della rivoluzione russa.
Esattamente ottanta anni fa, il 7 novembre 1997, un breve comunicato rivolto "ai cittadini di Russia" annunciava :
"il governo provvisorio è destituito. Il potere di Stato è passato nelle mani dell'organo del Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado, il comitato rivoluzionario militare che sta alla testa del proletariato e della guarnigione di Pietrogrado.
La causa per cui il popolo ha lottato : proposta immediata di pace democratica, abolizione del diritto di proprietà agraria dei proprietari terrieri, controllo operaio della produzione, creazione di un governo dei Soviet, questa causa è assicurata;
Evviva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini !"
Il comunicato era firmato dal comitato rivoluzionario militare presso il Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado. Era stato redatto da Lenin.
I falsificatori all'opera
Nel settimanale Courrier International di questa settimana, il cui titolo di prima pagina è : "Russia, seppellire finalmente la rivoluzione d'Ottobre ?", un accademico russo, di età abbastanza alta da avere vissuto l'avvenimento, afferma che codesto giorno "non è successo nulla di particolare che merita di essere ricordato". Chiaramente, il venerabile accademico non ci spiega come mai tale evento, da lui qualificato un semplice "golpe di palazzo", ha potuto segnare la storia di tutto il nostro secolo che è stato testimone però di centinaia se non migliaia di colpi di Stato dimenticati da molto tempo.
In una recente trasmissione televisiva, due uomini considerati come dei storici e almeno uno come uno specialista della Russia, Max Gallo e Marc Ferro, conversavano sul tema del "golpe".
Il primo pontificava sulla facilità con la quale cinquemila golpisti bolscevichi sono riusciti, praticamente senza combattere, dopo alcune salve sparate dall'incrociatore "Aurora", a conquistare il potere.
Max Gallo, storico, letterato, ex ministro socialista e portavoce del governo Mauroy, non ha provato il bisogno di spiegare come questi "cinquemila golpisti" sarebbero riusciti in questo bel colpo in un paese dove, grazie alla guerra, l'esercito contava dieci milioni di soldati, e neanche come hanno potuto mantenersi al potere in un paese di centocinquanta milioni di abitanti, malgrado la guerra civile e l'intervento militare di una decina di potenze "alleate" di cui la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati-Uniti, il Giappone.
E' vero che ancora oggi ci sono storici che affermano che la Rivoluzione francese del 1789, di cui era sorta a suo tempo la Francia moderna della borghesia, è stata solo una successione di sobbalzi tanto violenti quanto irrazionali e inutili. Ma fortunatamente per l'umanità, non sono questi commentatori a fare la storia.
E vi risparmio i titoli carichi di odio degli articoli consacrati in questi giorni alla rivoluzione d'Ottobre da vari periodici. Alcuni esultano per il fatto che si sia chiuso finalmente ciò che considerano una parentesi della storia. Gli altri rivolgono ipocritamente la loro attenzione al "destino spezzato della Russia", secondo il titolo di una rivista di storia. Una squadra di sedicenti storici ha appena dedicato un "libro nero" agli "ottantacinque milioni di vittime del comunismo", collocando in questa sinistra contabilità tanto la Russia del periodo rivoluzionario quanto l'URSS di Stalin, la Cina e alcuni altri paesi come gli Stati dell'Europa dell'Est.
Anche ammesso che questo sia vero, c'è di fronte il capitalismo che può rivendicare il sinistro bilancio di 100 milioni di morti diretti o indiretti in solo quattro anni di Seconda guerra mondiale. E questa contabilità si ferma lì solo se si ignora le repressioni nel Marocco durante e dopo la guerra, le vittime delle controrivoluzioni degli anni venti, dell'ascesa del fascismo, i massacri e le guerre della decolonizzazione in India, in Indonesia, nel Madagascar, in Algeria, in Indocina o in Corea, in Palestina, quelle dell'apartheid in Africa del Sud e tutte le guerre e dittature fomentate dall'imperialismo nei continenti africano e sudamericano. E non parliamo delle carestie e della malnutrizione, perché per l'URSS, questi storici a senso unico contano tutto questo e perfino la carestia dovuta alla guerra civile sostenuta dall'intervento straniero, che fece un milione di morti.
In un'intervista dell'altro ieri alla radio, il capofila di questa squadra ha reso Lenin responsabile dei crimini di Stalin, nonché ha detto questa perla : "è stata la rivoluzione di febbraio ad introdurre la violenza in Russia " .
E' rivelatore tale "dimenticarsi" della guerra mondiale nella quale era sommersa la Russia nel 1917. Il libro fa sapienti paragoni tra fascismo e comunismo per decretare che il secondo ha fatto ancora più vittime del primo. Questi storici non hanno avuto l'idea di contare le vittime di questi innumerevoli conflitti locali in cui, in realtà, a confrontarsi con la pelle dei popoli come nel Biafra o nel Medio-Oriente c'erano grandi trusts rivali, e neanche le vittime dei sanguinosi conflitti etnici che, come nel Ruanda, ricoprono delle rivalità tra le potenze imperialiste.
Noi vogliamo invece parlare dell'attualità del comunismo di fronte al capitalismo.
Innanzitutto, è indispensabile tornare su questo passato oscurato dagli avversari del comunismo e snaturato da chi è stato, durante decenni, l'ammiratore senza riserva della politica di Stalin e suoi successori. Sia detto per inciso, essi sono chiaramente meno numerosi sin dal crollo dell'URSS, e spesso hanno raggiunto il campo dell'anticomunismo.
Torniamo dunque al 7 novembre 1917, quando per la prima volta dopo i tre mesi della Comune di Parigi sorta dopo la guerra franco-tedesca del 1870, schiacciata nel sangue, il proletariato, questa classe della società che non possiede niente altro che la sua forza di lavoro per vivere, si è impossessato del potere di Stato per tentare di trasformare la società.
Che ci possa essere una società senza sfruttatori e senza sfruttati, senza proprietà privata e senza oppressione, questa era un'idea vecchia quanto il capitalismo stesso. E non era un'idea russa o tedesca, bensì un'idea di qui poiché i suoi teorici erano prevalentemente francesi come Fourier o Saint-Simon. All'inizio era solo un sogno di visionari ; il sogno di uomini rivoltati dalla brutalità del capitalismo, che vennero chiamati in seguito "socialisti utopici". Utopici lo erano, ma erano socialisti con sincerità, a differenza dei dirigenti politici che oggi portano la stessa etichetta.
Poi, con alcuni uomini come Blanqui, che si affermava comunista e cercava di organizzare le donne e gli uomini decisi come lui ad "annientare l'aristocrazia del denaro", il sogno è diventato un'obbiettivo politico. Con Marx e Engels tale obbiettivo ha trovato delle fondamenta razionali, come conseguenza storica dell'evoluzione del capitalismo stesso.
Il capitalismo ha costruito le basi materiali del socialismo
Il grande merito storico del capitalismo, rispetto alle precedenti forme di organizzazione economica, sta nell'avere sviluppato le capacità di produzione ad un livello allora inimmaginabile.
Esso ha fatto uscire le scienze e le tecniche dall'infanzia, per metterle al servizio dello sviluppo capitalistico. Ha sostituito le officine con delle fabbriche sempre più grandi rifornite da tutto il mondo e producendo per il mondo intero ; l'agricoltura particellare con l'agricoltura industriale ; la bottega degli usurai con delle potenti banche con capitali in numerosi paesi. Ha spinto la divisione internazionale del lavoro a tal punto che oggi l'economia è un complesso unico su scala del globo. La mondializzazione di cui si parla tanto oggi è stata avviata sin dagli inizi del capitalismo. Perciò, sia detto per inciso, combattere la mondializzazione senza combattere il capitalismo è una pretesa tanto utopica quanto reazionaria. Ed è certamente segno del regresso delle vere idee socialiste e comuniste il fatto che un partito che si rivendica del movimento operaio, come il Partito comunista, si ritrova rispetto alla mondializzazione sulle stesse posizioni reazionarie di un de Villiers o di un Le Pen. Non è la mondializzazione dell'economia ad essere mortale per la società, è il fatto che questa economia mondializzata rimanga sottomessa alle cieche leggi del mercato e alla dominazione del gran capitale. Ma appunto, sarà la divisione internazionale del lavoro a permettere domani all'umanità, sbarazzata una volta per tutte del capitalismo, di produrre abbastanza, in qualità e in quantità, da assicurare a ciascuno a seconda dei suoi bisogni.
La ricerca del profitto privato e la concorrenza sono sempre stati i migliori pungoli dello sviluppo capitalistico. Anche quando, due secoli fa, quel modo di produzione rappresentava un progresso notevole rispetto all'immobilismo dei modi di produzione che stava distruggendo, il capitalismo si è sempre sviluppato spingendo nella miseria una maggioranza della popolazione per permettere ad una minoranza di concentrare nelle sue mani delle ricchezze crescenti. Anche nel suo periodo di ascesa, lo sviluppo capitalistico è stato caotico, segnato da crisi economiche periodiche, cioè da immensi sprechi di forze di lavoro.
Il capitalismo si è sviluppato con la sofferenza e il sangue, di cui il commercio degli schiavi è stato solo tra gli aspetti più caratteristici ; in Inghilterra per esempio, dove è nato, è cresciuto col trasformare degli uomini, delle donne e dei bambini in semplici prolungamenti dei macchinari e ha affamato, cacciandoli dalle loro terre, migliaia di contadini per trasformarli in operai d'industria sovrasfruttati ; ha conquistato il mondo facendone un campo di saccheggi e di guerre coloniali.
Ma ciò che rende allo stesso tempo possibile e necessaria la sostituzione del capitalismo con una forma d'organizzazione economica superiore, è il fatto che sia diventato un'ostacolo al progresso. Già da decenni, e perfino da un secolo, le capacità produttive sono più che sufficienti per garantire una vita decente a tutti i popoli della terra. Ma queste capacità produttive non sono sotto controllo della collettività. Sono sottomesse agli interessi del profitto capitalistico e alle cieche leggi del mercato.
"L'uomo ha cessato di essere schiavo della natura per diventare lo schiavo dei macchinari e, peggio ancora, lo schiavo della legge dell'offerta e della domanda. L'attuale crisi è testimone, in modo particolarmente tragico, di quanto questo dominatore fiero e audace della natura rimane lo schiavo delle potenze cieche della propria economia. Il compito storico della nostra epoca consiste nel sostituire l'azione incontrollata del mercato con un piano ragionevole, nel disciplinare le forze produttive, nel costringerle ad agire con armonia, al servizio docile dei bisogni dell'uomo".
Ecco, riassunto da Trockij qualche anno dopo la rivoluzione dell'ottobre 1917, il programma della rivoluzione sociale. Ma ben prima della rivoluzione russa, questo era stato il programma del movimento politico operaio, dei partiti socialisti della fine del secolo scorso.
Ed ecco come quel 7 novembre del 1917, fu il popolo russo, operai e contadini in divisa e proletariato industriale, prendendo il potere, a fare di questo programma di trasformazione sociale un programma di governo.
I ritardi della russia
Il ritardo economico, sociale e culturale, della Russia rispetto alle nazioni capitaliste, aggiunto al despotismo zarista faceva sì che da molto tempo la Russia era pronta per la rivoluzione che generazioni di operai e di intellettuali avevano aspettata e sperata. Ma per queste stesse ragioni, per questo arretramento, la Russia sembrava tra tutti i grandi paesi uno dei meno preparati per il socialismo.
La Russia di prima della rivoluzione era un territorio grande come l'Europa e l'Africa insieme, dove la grande industria e quindi il proletariato moderno erano solo alcune isole disperse nell'immensità delle campagne dove si viveva e si produceva come nel Medioevo, praticamente senza strade né ferrovie. I mugic russi, condannati all'orizzonte limitato dei loro villaggi, erano stati liberati dal servaggio da appena cinquanta anni. Vivevano ancora sotto la dominazione di questi 30000 grandi proprietari terrieri che possedevano, da soli, la stessa superficie che i 10 milioni di famiglie contadine, i 100 milioni di abitanti delle campagne.
Ma l'impero russo era anche la più vasta "prigione dei popoli" d'Europa, se non del mondo, con un centinaio di popoli assorbiti nel corso delle conquiste militari successive nell'impero zarista dove subivano un'oppressione violenta. Alcune di queste regioni - la Polonia, la Finlandia o i paesi baltici - avevano raggiunto un livello di sviluppo superiore al resto della Russia pur rimanendo ancora lontani dai livelli dell'Europa occidentale. Ma da molti secoli le società dell'Asia centrale praticamente non erano cambiate, senza parlare delle numerose popolazioni delle immense pianure siberiane, di cui alcune vivevano ancora praticamente all'età della pietra.
Una società anestetizzata dalla Chiesa, dominata da una burocrazia zarista venale, una nobiltà parassitaria, una Corte corrotta, la famiglia dello zar manipolata dal monaco pazzo e illuminato Rasputin, così era la Russia poco prima della Rivoluzione.
La Russia di allora era lontana, molto lontana dalla Francia, dalla Germania o dagli Stati Uniti e più vicina a paesi come la Cina o l'India, sia per le infrastrutture che per la sua produzione di beni materiali. E il ritardo era paragonabile nei campi della cultura e della civilizzazione, fosse solo per causa dell'analfabetismo della maggior parte della popolazione.
Il capitalismo è entrato in Russia innanzitutto per il tramite dei capitali inglesi o francesi. Questo portò alla subordinazione crescente della Russia a queste potenze imperialiste e alla sua partecipazione alla guerra mondiale, per difendere allo stesso tempo le ambizioni dinastiche dello zar e gli interessi del gran capitale inglese e francese.
Il proletariato russo, un proletariato giovane e combattivo
Ma con il fare sorgere delle grandi aziende in un certo numero di grandi città e regioni minerarie, il capitalismo nello stesso tempo dava vita ad un proletariato. Un proletariato che sin dall'inizio era più concentrato che ovunque nel mondo nelle grandi aziende, perché gli investitori non riproducono tutto lo sviluppo capitalistico e costruiscono subito delle aziende secondo le norme più moderne e più efficaci dell'epoca.
Tale proletariato era mal pagato, ma lavorava secondo le norme della tecnologia occidentale. Era un proletariato combattivo che, sin dalla sua nascita alla fine del secolo scorso, cominciava ad educarsi politicamente nel corso delle sue lotte.
Il despotismo congiunto dello zarismo e del gran capitale ha fatto sì che questa giovane classe operaia non fosse vincolata dal conservatorismo sociale trattenuto alla stessa epoca nei vecchi paesi capitalisti da tutta una parte del movimento operaio stesso.
Gli operai dell'industria, delle miniere e dei trasporti non erano molto numerosi nel momento della rivoluzione. Ma questi quattro milioni di proletari stavano per diventare il nucleo più cosciente intorno al quale la rivoluzione di decine di milioni di contadini si sarebbe organizzata.
Sono dunque i lavoratori di un paese arretrato e povero che stavano per essere il primo distaccamento della classe operaia mondiale a vincere una vittoria senza precedenti sulla borghesia internazionale, perché si trattava della debole borghesia russa e delle potenti borghesie inglese e francese.
Appena usciti dalla condizione di mugic e dalla barbarie del passato, essi incarnavano, nella putrefatta società russa, il progresso e la speranza di incarnarlo per l'insieme dell'umanità.
Fu la guerra, cominciata nel 1914, a partorire la rivoluzione. Le trincee furono il fulcro dove gli operai si mischiarono durante tre anni con i contadini, usciti brutalmente dall'isolamento dei loro villaggi per essere trascinati in questo macello mondiale di cui capivano tanto meno le ragioni che questi risultavano dalle rivalità tra grandi e lontane potenze finanziarie. La guerra nello stesso tempo metteva a prova senza mezzi termini l'incapacità di questa nobiltà che forniva gli ufficiali tanto arroganti quanto incompetenti, la borghesia che si arricchiva con le commesse di guerra, questi ministri corrotti che intrigavano con i dirigenti tedeschi mentre operai e contadini morivano uno accanto all'altro nelle trincee.
Il capofila stesso di questi liberali borghesi, Miljukof, diceva allora : "la storia non ha mai conosciuto un governo così stupido, così corrotto, così vigliacco, così traditore ".
La rivoluzione del febbraio 1917
All'epoca, il popolo russo veniva tradizionalmente descritto come paziente e i mugic come buoi. Questa pazienza è finita nel febbraio del 1917. Cominciata con una manifestazione di donne, l'esplosione popolare ha spazzato via in pochi giorni la dinastia dei Romanov che aveva oppresso la Russia durante tre secoli.
Furono gli operai e i soldati a fare la rivoluzione. Sono loro che hanno rovesciato lo zar e il suo regime. Ma appena rovesciato lo zarismo, banchieri e giuristi, professori e politicanti si sono installati al potere, hanno costituito il nuovo governo e, in nome della rivoluzione di cui si sono proclamati i dirigenti, hanno ordinato ai contadini e agli operai in divisa di tornare al fronte e a chi non era sotto le armi di tornare sia nelle fabbriche sia alla terra, senza cambiare niente e perfino senza cercare di fermare la follia guerriera.
La rivoluzione avrebbe potuto fermarsi a questo punto. Le potenze imperialiste alleate della Russia hanno subito riconosciuto quel governo provvisorio, sedicente rivoluzionario e tanto pronto a rimandare i soldati nelle trincee. Fin tanto che la rivoluzione significava solo un cambio di regime, ma non accordava né la pace ai soldati, né la terra ai contadini, né il pane agli operai, e sopratutto fin tanto che non toccava alla dominazione sociale dei grandi proprietari terrieri e della borghesia, i capi delle potenze imperialiste erano tutti pronti a tessere le lodi della rivoluzione.
E' significativo che oggi, mentre si esprimono solo gli avversari della rivoluzione russa, questi provano qualche indulgenza soltanto per la rivoluzione di febbraio.
Ricordando come le masse popolari erano state spossessate della loro rivoluzione nel 1789 in Francia o nel 1848 in Germania, la grande rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg, informata della rivoluzione di febbraio nel carcere in cui era rinchiusa per la sua opposizione alla guerra, si chiedeva preoccupata : "gli operai russi si lasceranno ancora ingannare ?"
Ma no, gli operai russi non si sono lasciati ingannare dalla borghesia ! Nonostante la loro debolezza numerica, avevano a loro favore due cose importantissime.
Avevano l'esperienza di lotte ricche e varie sotto lo zarismo, culminate nel 1905 dopo un'altra guerra, la guerra russo-giapponese, in una vera rivoluzione. In questa rivoluzione la classe operaia, rimasta sola nella lotta contro lo zarismo, era stata sconfitta. Ma questa rivoluzione le aveva insegnato molte cose ; nel suo seno si erano alzati decine di migliaia di quadri rivoluzionari ; e sopratutto, per la prima volta nella storia, erano sorti questi comitati rappresentativi delle masse in lotta, i consigli o "soviet" in russo che la classe operaia stava per far rinascere altrettanto spontaneamente nel 1917. Lenin affermava spesso che, senza la grande scuola che fu la rivoluzione del 1905 per grandi masse operaie, senza questa "ripetizione generale", il proletariato probabilmente non avrebbe potuto vincere nel 1917. Al contrario della visione limitata o interessata degli intellettuali della borghesia, la rivoluzione d'Ottobre non fu un colpo di Stato riuscito da un partito, ma fu attuata con il sostegno attivo e la partecipazione collettiva e cosciente di milioni di operai e contadini, in divisa di soldato o meno.
Questo non è affatto in contraddizione con il fatto che il partito bolscevico assicurò la vittoria di questa rivoluzione sorta dalle profondità delle masse popolari. Perché, come lo temeva Rosa Luxemburg, le masse potevano essere ingannate e espropriate dalla loro rivoluzione.
I soviet e il partito bolscevico
Trockij, uno dei maggiori dirigenti della rivoluzione del 1917, dava questa spiegazione : "La borghesia liberale, in quanto a lei, può impossessarsi del potere e lo ha già preso più volte come risultato di lotte alle quali non aveva preso parte : possiede a tale effetto organi di prensione magnificamente sviluppati. Le masse lavoratrici però si trovano in un'altra situazione. Sono state abituate a dare e non a prendere. Lavorano, pazientano, fin tanto che si può, sperano, perdono pazienza, si sollevano, combattono, muoiono, danno la vittoria agli altri, sono ingannate, cadono nello scoraggiamento, di nuovo chinano la schiena, di nuovo lavorano. Questa è la storia delle masse popolari sotto tutti i regimi. Per prendere fermamente e sicuramente il potere nelle sue mani, il proletariato ha bisogno di un partito che superi da molto gli altri partiti per la chiarezza di pensiero e la decisione rivoluzionaria" .
Quel partito in Russia era il partito bolscevico, totalmente preparato moralmente per guidare il proletariato alla conquista del potere. Quel partito aveva profondamente fatto tesoro della comprensione marxista dell'evoluzione della società, e ciò l'aveva reso capace di distinguere, anche nei momenti più bui di reazione o di repressione, il corso sotterraneo della rivoluzione. Quel partito era stato plasmato in dure lotte durante i quindici anni scorsi tra la sua nascita e la rivoluzione ; era un partito composto da un numero relativamente piccolo di donne e uomini, operai ma anche intellettuali, tutti però dedicando completamente la loro esistenza alla rivoluzione sociale, e tutti molto legati alle masse operaie, nelle quali vedevano l'unica leva possibile per trasformare la società.
Ci volle la riunione di questi due elementi, la maturità politica dell'insieme del proletariato e il partito bolscevico, per impedire che la rivoluzione di febbraio sia finita con un colpo di stato militare, per il quale i candidati non erano pochi. Se le masse operaie hanno in un primo periodo lasciato fare quel "governo provvisorio" borghese che si proclamò tanto più rivoluzionario che non voleva cambiare niente, hanno avuto l'intelligenza politica di darsi i mezzi per potere rovesciare il corso degli avvenimenti. Cito qui il racconto di Rhyss Williams, giornalista americano amico di John Reed e presente in Russia a quell'epoca :
"Le masse russe erano a quel momento "ragionevoli". Lasciarono i borghesi formare il loro "governo provvisorio"... Ma prima di tornare nelle trincee, nelle fabbriche, alla terra, crearono delle organizzazioni secondo la loro volontà. Per ogni fabbrica di munizioni, gli operai scelsero uno di loro di cui si fidavano. Nelle fabbriche di scarpe e nelle filature, fu la stessa cosa. I mattonifici, le vetrerie, e le altre industrie seguirono l'esempio. Questi rappresentanti eletti direttamente dai loro pari formarono il Soviet, consiglio dei rappresentanti degli operai.
Nello stesso modo, le armate formarono dei Soviet dei rappresentanti di soldati e i villaggi dei Soviet dei rappresentanti dei contadini... I soviet erano quindi composti, non di politicanti chiacchieroni ed ignoranti, ma di uomini che conoscevano il loro mestiere : di minatori che sapevano cosa è una miniera, di meccanici che sapevano cosa sono i macchinari, di contadini che sapevano cosa è la terra, di soldati che sapevano cosa è la guerra, di maestri di scuola che sapevano cosa sono gli alunni. I soviet si formarono in tutta la Russia : in ogni città, ogni villaggio e ogni reggimento. Qualche settimana dopo il crollo della vecchia struttura zarista, un sesto della superficie della terra era dotato di queste nuove organizzazioni sociali. In tutta la storia non ci fu un fenomeno più stupefacente".
Il soviet, un organo rappresentativo più democratico del parlamento borghese
Questi soviet, con i loro eletti revocabili in qualunque momento, riflettendo di giorno in giorno lo stato d'anima delle masse, hanno rappresentato la popolazione lavoratrice in modo molto più democratico che questi parlamenti borghesi in cui i lavoratori eleggono i deputati per quatto o cinque anni, senza avere però alcun mezzo di cambiare i loro rappresentanti durante quel periodo, anche se questi eletti tradiscono completamente le loro promesse.
La presenza in tutte le città industriali di guarnigioni militari gonfiate dalla guerra, invece di dare al governo provvisorio i mezzi per schiacciare la rivoluzione, ha dato al contrario alla rivoluzione l'opportunità di smembrare l'apparato di repressione della classe dirigente. La prossimità agevolava l'influenza degli operai rivoluzionari sulle caserme. L'esercito fu disgregato dall'interno, minato dall'opposizione tra i soldati, contadini sopratutto, e la gerarchia militare, dominata al vertice dall'aristocrazia e, sotto di lei, dai figli di borghesi. E fu attraverso questi loro consigli, i soviet di soldati, che i contadini ebbero una rappresentanza nelle città, laddove batteva il cuore della rivoluzione e la sua direzione.
Nei primi mesi della rivoluzione, i bolscevichi erano molto minoritari in questi soviet. Ma si sono rafforzati ad ogni tradimento del "governo provvisorio", ad ogni rinnegamento dei partiti che pretendevano rappresentare la rivoluzione.
I bolscevichi si rafforzarono ogni volta che gli avvenimenti dimostrarono alle masse che le esitazioni del governo compromettevano perfino il poco che era stato acquisito nella rivoluzione di febbraio, cioè le libertà democratiche. Piaccia o no a tutti i commentatori socialdemocratici della rivoluzione russa, la scelta non era tra la democrazia e la dittatura del proletariato, bensì tra una dittatura militare, con forse l'aggiunta del ritorno allo zarismo, o il potere dei soviet. E quando il 7 novembre 1917 i soviet hanno preso il potere nella capitale, una maggioranza di rappresentanti bolscevichi era stata eletta nel modo più democratico.
Senza la partecipazione attiva di centinaia di migliaia di membri attivi di una rete di soviet coprendo il paese e sostenendo pienamente il nuovo potere stabilitosi a Pietrogrado e appoggiato da milioni di operai e contadini poveri, il partito bolscevico non sarebbe stato portato alla testa del potere o non avrebbe potuto mantenersi e i soviet non avrebbero potuto neanche conservarlo.
Lenin e Trockij, nei primi tempi della rivoluzione, non avevano alcun apparato di Stato a disposizione, né un esercito di funzionari, né amministrazione industriale, né rappresentanti del potere centrale nel paese. Furono i soviet a trasmettere alla base, nella vasta Russia, la politica rivoluzionaria che esprimeva le loro aspirazioni.
Il proletariato era ormai al potere. Trockij ricorda la sorpresa di certi esponenti dello Stato zarista cacciati e l'ironia dei commentatori occidentali che, di fronte al fatto che il nuovo potere permetteva ad un sottufficiale di diventare comandante supremo, ad un infermiere di diventare direttore di un ospedale, ad un fabbro di dirigere un'azienda, ad un portinaio di presiedere un tribunale, non gli davano più di qualche settimana di vita.
"Per forza si dovette crederlo", Trockij ribadiva. "Infatti non si poteva non crederlo mentre i sottufficiali battevano i generale, il sindaco ex bracciante vinceva la resistenza della vecchia burocrazia, il lampista metteva ordine nei trasporti, il fabbro diventato direttore ristabiliva l'industria".
Allora, se la rivoluzione russa oggi è ancora attuale, è in primo luogo perché ha dato la dimostrazione della capacità della classe operaia ad esercitare il potere per trasformare la società.
L'atteggiamento nei confronti di questo nuovo Stato creato dalla rivoluzione doveva dividere il movimento operaio per parecchi decenni, di cui i primi due furono i più cruciali.
E oggi ancora, questa divisione del movimento operaio porta il segno della rivoluzione russa.
L'ondata rivoluzionaria in Europa
I commentatori ostili trionfano oggi : la rivoluzione russa non ha portato ad una società senza classe, ha solo dato vita ad una burocrazia privilegiata che, da qualche tempo, sta ristabilendo il capitalismo. Non ha portato alla sparizione dello Stato, anzi ha portato ad uno Stato onnipotente che, innanzitutto ai tempi di Stalin, fu una dittatura feroce.
Tutti questi argomenti non servono soltanto agli avversari di sempre della rivoluzione russa per giustificare i loro atteggiamenti passati. Gli servono innanzitutto a dimostrare che il fallimento dell'Unione sovietica è il fallimento del comunismo stesso.
Allora oggi, 80 anni dopo, quale bilancio si può fare della rivoluzione russa, dal punto di vista del comunismo e non dei suoi avversari ?
L'inizio della rivoluzione sociale, Marx e Engels e tutti i socialisti del secolo scorso lo immaginavano nei paesi industriali avanzati.
Secondo Marx, la costruzione del socialismo, del comunismo, cioè l'organizzazione razionale dell'economia su altre basi che la proprietà privata, la concorrenza e il profitto, necessitava un alto livello economico che solo lo sviluppo capitalistico giunto ad una certa maturità poteva garantire. Necessitano l'industrializzazione, una certa accumulazione di ricchezza, una concentrazione economica e un certo livello di cultura e di civilizzazione.
I dirigenti della rivoluzione operaia conoscevano tanto bene le idee di Marx quanto l'arretramento della Russia. Ma non ragionavano soltanto rispetto alla sola Russia, ma rispetto a tutta l'Europa. Certo la Russia non era matura per il socialismo, ma l'occidente sviluppato lo era. E come rivoluzionari internazionalisti, essi non proponevano al proletariato russo che dava prova di una formidabile energia rivoluzionaria di tornare al lavoro per proseguire la guerra imperialista, aspettando che il capitalismo russo abbia sviluppato l'economia. Prevedevano che la presa del potere dal proletariato in piena guerra mondiale, in un paese dalle dimensioni e dall'importanza della Russia, poteva essere una leva formidabile per attrarre sulla strada della rivoluzione il proletariato dei paesi sviluppati dell'Europa occidentale.
Secondo loro, l'unico modo per superare "l'immaturità" della società russa per il socialismo comportava la vittoria del proletariato nei paesi di economia sviluppata. Pensavano che la rivoluzione russa poteva essere il detonatore di tale propagazione della rivoluzione.
Questo non era un augurio astratto. Nei mesi successivi, metà Europa si infiammava. Fu prima la Finlandia, seguita dalla Germania dove le masse insorte hanno costretto l'imperatore ad abdicare il 9 novembre 1918. Questa volta, non era un paese arretrato, bensì il paese più sviluppato e più industrializzato d'Europa che si copriva di Consigli operai. Dal gennaio al maggio 1919, le sommosse operaie si inseguirono a Berlino, in Sassonia, a Monaco. Nella capitale della Baviera ci fu anche per poco tempo un potere sovietico. In Ungheria, la debole borghesia lasciò senza combattere il potere alle forze del proletariato, ai partiti operai, prima che un intervento straniero riesca a schiacciare la rivoluzione per insediare una dittatura.
Per la prima volta della sua storia, la borghesia imperialista e il suo sistema economico tremavano sulla loro base. Eppure la guerra aveva appena dimostrato di quanti potenti mezzi la borghesia disponeva. Ma sono le classi lavoratrici a fare funzionare la macchina produttiva del capitalismo, nonché la sua macchina militare. La potenza militare dell'imperialismo crollava nello stesso tempo che si svegliava la coscienza del proletariato.
Mai il rovesciamento dell'ordine capitalistico era apparso così vicino. Si apriva la possibilità che una parte dell'Europa sia governata dai lavoratori. Grandi scioperi in Italia nel 1920, ondate di scioperi in Francia e Gran-Bretagna dimostrarono in seguito che tutto il proletariato europeo si stava mobilitando.
Tutto l'avvenire a breve termine dell'umanità era in gioco in Germania che, con la sua potente industria, il suo proletariato numeroso, organizzato, colto e educato socialmente e politicamente, poteva portare tutto ciò che mancava alla rivoluzione russa. Ma la classe operaia tedesca è stata sconfitta, e sconfitta innanzitutto perché la borghesia tedesca ha trovato, nella direzione stessa del movimento operaio, nella socialdemocrazia, un alleato decisivo e tanto più efficace contro i lavoratori che godeva della loro fiducia.
I tradimenti della socialdemocrazia
E' determinante la responsabilità della socialdemocrazia nella sconfitta della rivoluzione operaia in Germania e, di conseguenza, nella battuta d'arresto a tutta l'ondata rivoluzionaria. Non è una responsabilità indiretta, per inesperienza, per mancanza di competenza, o per non essere stata abbastanza preparata per gli eventi rivoluzionari. No, i capi della socialdemocrazia tedesca hanno scelto in piena coscienza il campo avverso col mettersi a disposizione dello Stato-Maggiore militare più potente e più reazionario d'Europa.
Il dirigente socialdemocratico Noske aveva anche proclamato che, se per vincere le masse insorte ci voleva un cane sanguinoso, poteva essere lui.
E' impossibile indovinare quale impulso un potere proletario insediato su scala di gran parte d'Europa, e forse della totalità, avrebbe potuto dare all'economia e alla civilizzazione mondiale. Non si può riscrivere la storia diversamente.
Certamente, questo avrebbe almeno sconvolto i rapporti tra i popoli in seno all'Europa. Questo avrebbe costituito, soprattutto su base statalizzate, un'autorità economica capace di controbilanciare gli Stati-Uniti e senz'altro di opporre il proletariato più potente del mondo, il suo, alla borghesia americana.
Invece sappiamo oggi ciò che la sopravvivenza del sistema capitalistico è costata all'umanità, sin dagli anni successivi e fino ai nostri giorni.
Nell'immediato dopoguerra, il trattato di Versailles ha consacrato la balcanizzazione dell'Europa, con popoli tagliati in due da frontiere artificiali di cui si è visto recentemente in Bosnia le conseguenze remote. L'insediamento di una serie di dittature, Horthy in Ungheria, Pilsutski in Polonia e altri in Romania, Bulgaria, Iugoslavia, e Mussolini che in Italia ha inventato il fascismo, perfino il nome.
E poi, solo undici anni dopo la prima guerra mondiale, ci fu il crac alla Borsa di New York, seguito dal crollo dell'economia americana, le fabbriche chiuse una dopo l'altra, milioni di operai buttati sul lastrico, i contadini rovinati, centinaia di migliaia di famiglie erranti sulle strade da una città all'altra, in cerca disperata di un lavoro, le mense dei poveri. In tre anni, la produzione industriale americana, di gran lunga la più potente del mondo, è calata del 50%.
Poi la crisi si è estesa dappertutto nel mondo capitalistico, di cui l'Europa. L'economia tedesca è crollata a sua volta. Milioni di lavoratori si sono trovati di colpo disoccupati, nello stesso tempo che centinaia di migliaia di commercianti, bottegai, artigiani, erano rovinati. Lì stavano le basi obiettive del nazismo.
E mentre le truppe d'assalto di Hitler cominciavano di rappresentare un pericolo minaccioso per la classe operaia e per la società, la socialdemocrazia è stata di nuovo la forza principale per legare le mani dei lavoratori e disarmarli. E grazie al tradimento della socialdemocrazia, alle dimissioni dei suoi dirigenti di fronte alla battaglia inevitabile, Hitler ha potuto arrivare al potere, schiacciare la classe operaia tedesca, e impegnarsi in una politica di riarmamento per una nuova compartizione del mondo a favore della borghesia tedesca.
Allora se vogliamo parlare di responsabilità politica, lì c'è ne una. Quella della socialdemocrazia è schiacciante, anche se sin da un certo momento la sua parte è stata completata da quella del partito comunista tedesco sotto direzione di Stalin. Alcuni dei propri dirigenti della socialdemocrazia sarebbero vittime di Hitler, ma questo non toglie niente alla loro responsabilità, sia per l'ascesa del nazismo, sia per la marcia verso la seconda guerra mondiale che ne fu la conseguenza. E' lei che, due volte in quindici anni, ha legato le mani della classe operaia ! E cosa sono le conseguenze della rivoluzione russa paragonate a questo ?
Et ottanta anni dopo si può ancora parlare della responsabilità schiacciante della socialdemocrazia nella sopravvivenza della società capitalistica e del suo succedersi di miserie, di guerre e di infamie.
Come lo affermava Trockij all'epoca: ""La storia si è svolta in tal modo che all'epoca della guerra imperialista la socialdemocrazia tedesca si è rivelata - e si può adesso affermarlo con un'obiettività totale - il fattore più controrivoluzionario nella storia mondiale". E' questo ruolo controrivoluzionario della socialdemocrazia su scala europea che ha isolato la rivoluzione russa e l'ha ridotta alla situazione di un campo assediato.
E da quel punto di vista, in complemento della sua parte nel mantenimento e il consolidamento del capitalismo in Europa e nel mondo, la socialdemocrazia ha creato le basi economiche e sociali che hanno fatto degenerare lo Stato russo e consentito a Stalin di sorgere dal letame burocratico.
L'isolamento della rivoluzione e la degenerazione dello stato operaio
L'isolamento della rivoluzione in un paese arretrato non ha consentito, nonostante tutti i sacrifici e le prodezze tecniche, di uscire dal sottosviluppo, terreno sul quale è cresciuto un ceto di privilegiati che ha dato vita ad una dittatura che aveva il merito, per loro, di difendere i loro privilegi contro le masse impoverite.
Se Stalin, secondo un'espressione di Trockij, è stato uno dei maggiori criminali della storia, la socialdemocrazia è responsabile della situazione che ha prodotto Stalin.
Infatti, lasciata sola dopo la sconfitta del proletariato tedesco, la rivoluzione sovietica era condannata. I suoi dirigenti, Lenin e Trockij, lo sapevano. Sapevano che il socialismo poteva essere ultimato solo sulla base di uno sviluppo enorme delle forze produttive che solo la divisione internazionale del lavoro poteva garantire.
La loro speranza è stata che nel 1917-1919 il proletariato aveva perso solo una battaglia, e quindi che altre battaglie potrebbero seguire in altri posti che la Russia, ma questa volta con delle organizzazioni capaci di portare il proletariato alla vittoria. Con lo scopo di creare, di educare, di rafforzare queste organizzazioni, la direzione del partito bolscevico ha creato l'Internazionale comunista, che voleva essere il partito mondiale della rivoluzione.
Ma dopo l'ondata rivoluzionaria del 1918-1919 e le sconfitte successive, non ci fu un'altra ascesa rivoluzionaria. O, per essere più esatti, quando ci fu la nuova ascesa negli anni trenta in Spagna e in Francia, la burocrazia sovietica e i partiti comunisti che controllava sono diventati a loro volta, accanto alla socialdemocrazia, alleati della borghesia e si opposero allo slancio rivoluzionario delle masse.
Fatto sta che nel 1921, all'uscita di una guerra civile, alimentata da interventi stranieri che per il popolo russo avevano prolungato la guerra mondiale, la Russia era rovinata come nessun altro paese nel mondo.
Sin dai primi giorni la rivoluzione proletaria aveva soppresso la grande proprietà terriera e allo stesso tempo gli enormi prelievi di questa classe parassitaria sull'economia. Aveva espropriato la borghesia e impugnato l'organizzazione dell'economia.
Questo era uno sconvolgimento considerevole, mai visto, dei rapporti sociali e dell'organizzazione economica. Per la prima volta nella storia, uno Stato s'impegnava nel compito di organizzare la produzione attraverso l'applicazione dei principi socialisti.
Ma questo doveva essere fatto nelle condizioni più difficili. La Russia sovietica portava il peso del suo arretramento economico. Non solo il livello di produzione era estremamente basso e quindi non si poteva socializzare altro che la miseria. L'arretramento aveva lasciato fuori dallo sviluppo capitalistico precedente la maggior parte dell'economia. Anche solo il censimento delle possibilità produttive e dei bisogni, che sta alla base del socialismo e può essere tanto facile nei paesi sviluppati con il loro sistema bancario presente dappertutto, con i loro trusts centralizzati, a condizione che il proletariato ne prenda il controllo e rompa il segreto commerciale, tale censimento era di una difficoltà straordinaria in un paese dominato dalla piccola produzione isolata.
Questa piccola produzione dispersa sul territorio, rifletto dell'arretramento economico del paese, rappresentava una parte importante dell'economia e delle regioni intere che scappavano ad ogni possibilità di controllo e di organizzazione. E' questo che ha costretto il governo sovietico, per un certo tempo e fino ad un certo punto, a venire a patti con la produzione capitalistica e a lasciare un certo spazio al profitto e all'arricchimento privati.
Durante parecchi anni, ci fu questa competizione tra il settore dell'economia statalizzato dall'azione del proletariato da un lato e, dall'altro, il settore privato fonte di permanente rigenerazione della borghesia. Non fu solo, e non poteva essere, una tranquilla competizione tra delle forme diverse d'organizzazione economica. Fu un'autentica guerra sociale che prolungava la rivoluzione del 1917, opponendo un proletariato, ancora più debole numericamente che prima della guerra civile e delle sue distruzioni, ad una borghesia sparpagliata ma sempre rinascente.
L'economia statalizzata vinse però questa guerra, ma non nel miglior modo : vinse con i metodi burocratici e dittatoriali dell'apparato di Stato stalinista e al prezzo di drammi che potevano essere evitati.
La rivoluzione non è stata vinta dall'esterno, con il ritorno della borghesia sulla scia di un esercito d'invasione. Non è neanche stata vinta da uno sviluppo del settore privato tale da consentire alla borghesia di rafforzarsi al punto di riconquistare il potere economico, poi il potere politico.
La rivoluzione è stata vinta da dentro, da una specie di cancro interno, dallo sviluppo di una burocrazia sul corpo dell'apparato di Stato. La stanchezza del proletariato dopo anni di rivoluzione e di guerra civile, l'indebolimento della sua capacità e volontà di controllare lo Stato, l'economia e la vita sociale, hanno aperto uno spazio per l'emersione di questo ceto di burocrati. Ma una volta consolidata, questa burocrazia non voleva più del controllo delle masse operaie, evitava di suscitarlo, prima di opporcisi tanto più violentemente che la posizione di burocrate doveva essere sempre più sinonimo di privilegi.
Questo nuovo ceto privilegiato - che di fatto ha scelto Stalin come difensore e capo - era in un certo modo un prodotto della rivoluzione proletaria. Ma non era il prodotto della rivoluzione vittoriosa, della rivoluzione all'assalto dell'avvenire, bensì del regresso della rivoluzione. Nello stesso modo il bonapartismo del primo Napoleone, con questo imperatore e i suoi principi da paccottiglia, è stato alla stessa volta prodotto della rivoluzione, nonché espressione della sua fine.
Lo stalinismo : una dittatura contro la classe operaia
E' sempre stato di moda tra gli intellettuali borghesi in generale, e particolarmente tra i socialdemocratici, di rimproverare alla rivoluzione d'Ottobre di avere portato a Stalin. Si, in seguito al suo isolamento in un paese povero, la prima rivoluzione proletaria vittoriosa finalmente ha portato ad una dittatura.
Ma a suo tempo la lunga marcia della borghesia verso il potere si è forse svolta in modo democratico ? Anche in Francia, dove il popolo rivoluzionario dal 1789 al 1795 ha radicalmente spazzato via dalla società le scorie del passato, ottanta anni sono stati necessari alla borghesia per darsi dopo il 1871 una repubblica parlamentare pressappoco stabile.
E non è stata forse una borghesia bene stabilita, ricca e civilizzata, la borghesia tedesca, a dare il potere politico ad una delle dittature più abiette del secolo, quella di Hitler ? E anche oggi, mentre il regno della borghesia sul mondo è in questo momento incontestato, in quanti paesi sta governando in modo democratico ? E quando sono al governo, quanti dei nostri "democratici" di qui, "socialisti" o no, , proteggono, armano e finanziano, in Africa o altrove, dei regimi che sono delle dittature infame contro il loro popolo ?
Ma in realtà, l'evocazione di Stalin serve a questa gente solo per prendersela con la rivoluzione d'ottobre. Perché non era Stalin che la borghesia temeva, anzi le potenze imperialiste hanno saputo farsene un alleato nelle rivalità che le opponevano l'una all'altra durante la Seconda Guerra mondiale per esempio, nonché sopratutto nella guerra di classe che le opponeva al proletariato.
Perché se Stalin è stato un dittatore, la sua dittatura si è insediata e consolidata innanzitutto contro la classe operaia stessa. Per atteggiarsi a erede della rivoluzione d'ottobre, Stalin ha fisicamente liquidato la quasi-totalità di quelli che hanno fatto la rivoluzione. Per potere atteggiarsi a rappresentante del comunismo, ha imbavagliato la classe operaia, vietato le sue organizzazioni. Queste erano dimostrazioni utili per la borghesia mondiale.
La marcia cosciente verso il comunismo non è stata fermata in quel mese di dicembre 1991 in cui l'ultimo nominato dei capi della burocrazia, Eltsin, ha decretato lo scioglimento dell'Unione sovietica e la sua volontà di adoperarsi per il ritorno del capitalismo. La rivoluzione è stata schiacciata meno di dieci anni dopo ottobre 1917, quando la burocrazia si è definitivamente sostituita ai lavoratori rivoluzionari alla direzione dello Stato sovietico.
Gli acquisti della rivoluzione russa
La Russia e tutti i paesi che a lei erano associati nell'ambito dell'Unione sovietica, hanno però proseguito la loro evoluzione grazie allo slancio dato dalla rivoluzione d'Ottobre durante ancora parecchi decenni fino all'era di Gorbaciov e, in qualche misura, fino ai nostri giorni.
In effetti, una volta al potere, la burocrazia non ha soppresso la statalizzazione dell'economia. Si è impossessata dello Stato. Ha perfino organizzato la pianificazione dell'economia. Ma invece di farne uno strumento per soddisfare i bisogni di tutti, ne ha fatto un mezzo per soddisfare prima i suoi propri privilegi e nascondere i suoi prelevamenti sul prodotto sociale.
La pianificazione burocratica, cioè senza questo controllo dei produttori e consumatori che permette di renderla molto adatta ai bisogni, è una cosa molto diversa dalla pianificazione sotto controllo operaio così come la volevano i dirigenti della rivoluzione russa.
Però se si fa il paragone per parecchi decenni tra questa pianificazione sviata e imperfetta e le più perfette economie di mercato, perfino quella degli Stati Uniti, ebbene tale paragone certamente non è a svantaggio di ciò che è risultato dalla rivoluzione russa !
Infatti, nonostante tutte le conseguenze negative dell'isolamento economico, malgrado i metodi burocratici, malgrado l'insaziabile parassitismo della burocrazia, l'economia sovietica ha progredito durante parecchi decenni più fortemente di qualsiasi paese borghese.
Tra 1926 e 1938, durante quel periodo in cui il mondo capitalistico è stato scosso dalla grande crisi, la produzione industriale è rimasta complessivamente stagnante negli Stati Uniti, stagnante anche in Francia, è raddoppiata nel Giappone ma è stata moltiplicata per otto nell'Unione sovietica. E se, prima della Seconda Guerra mondiale, la produzione industriale dell'Unione sovietica rappresentava meno di un terzo della produzione industriale americana, ne rappresentava più della metà nel 1970. Eppure gli Stati Uniti beneficiano della divisione internazionale del lavoro, nonché del saccheggio del Terzo mondo.
L'immenso spreco della crisi del 1929, dovuto alla natura stessa dell'economia capitalistica, ha respinto la produzione parecchi anni indietro, e di più la guerra mondiale stessa è stata la conseguenza della crisi che non lasciava all'imperialismo tedesco altra scelta che la guerra.
Allora, se la rivoluzione d'ottobre avesse portato solo questo, cioè preservare il paese dalla crisi ed accelerare lo sviluppo della produzione, sarebbe già giustificata dal punto di vista storico, anche se si deve ribadire che il proletariato aveva preso il potere in Russia con un'ambizione ben più vasta di quella di sviluppare un paese solo.
L'Unione sovietica non ha realizzato il socialismo, e l'idea stessa che questo sarebbe stato possibile era una stupidaggine propagandata dalla burocrazia stessa a da tutti i partiti comunisti che presentavano allora l'Unione sovietica della burocrazia di Stalin e dopo come il paradiso sulla terra. Grazie però alla proprietà statale e alla pianificazione, grazie all'organizzazione economica resa possibile dalla rivoluzione proletaria, l'Unione sovietica sottosviluppata è diventata la seconda potenza industriale del mondo. Nessun paese arretrato dalle dimensioni o dalla complessità dell'Unione sovietica, né l'India, né il Brasile, l'Indonesia o altri, ha conosciuto sulla base del capitalismo e dell'integrazione nel mercato mondiale dominato dall'imperialismo, durante lo stesso periodo, uno sviluppo paragonabile.
La stessa Russia di oggi è un vivo esempio del regresso rappresentato dal ritorno verso l'integrazione nel mondo capitalistico. Anche senza che tale integrazione sia compiuta, e ci manca, per delle ragioni che certamente non sono solo economiche ma anche politiche, la produzione è caduta di metà in meno di dieci anni
Ma il progresso realizzato in Unione sovietica grazie alle fondamenta economiche gettate dalla rivoluzione non si misura soltanto con le statistiche della produzione.
In questo immenso paese sottosviluppato, dove la stragrande maggioranza della popolazione, cioè più di cento milioni di persone, non sapeva né leggere né scrivere, il potere sovietico ha liquidato in pochi anni l'analfabetismo. Ha dovuto dedicare a questo uno sforzo fantastico, creare dal nulla alfabeti nelle lingue di alcune decine di popoli che non conoscevano la scrittura. Ma appunto, in questa organizzazione economica, non era il profitto privato a medio termine ad orientare gli sforzi e a fissare le priorità. Lenin nel suo ultimo scritto politico, polemizzando con i socialdemocratici che si erano opposti al potere sovietico come si erano opposti alla rivoluzione d'ottobre in nome dell'immaturità della Russia per il socialismo, scriveva : "Voi decretate che, per creare il socialismo, bisogna essere civilizzato. Benissimo. Ma perché non potremmo cominciare col creare le premesse della civilizzazione tali l'espulsione dei proprietari terrieri e dei capitalisti russi, a costo di camminare poi verso il socialismo ? In quale libro avete trovato la certezza che tale scappatoia del solito corrente storico era inammissibile o impossibile ?"
E anche sotto questo aspetto, nonostante la burocrazia e la sua dittatura, la Russia una volta analfabeta è diventata il paese che dieci anni fa ancora aveva più diplomati universitari e, tra di loro, una inconsueta proporzione di donne rispetto alla maggior parte dei paesi capitalisti, pure sviluppati.
Allora qualunque cosa affermino gli scribacchini che in questi giorni si danno da fare per demolire la memoria della rivoluzione russa, non possono cancellare il fatto che questa rivoluzione e l'Unione sovietica da lei creata hanno segnato tutto il secolo. Lo hanno fatto in modo diretto durante l'ondata rivoluzionaria successiva al 1917, strappando un sesto del mondo alla dominazione del gran capitale, e in modo indiretto poi, perché fu l'esistenza dell'Unione sovietica e l'influenza che ha esercitato sulla piccola borghesia nazionalista dei paesi oppressi ad agevolare l'apparizione di Stati come la Cina, Cuba e il Vietnam che, pur non assumendo affatto una posizione di classe proletaria, hanno osato però, almeno per un certo tempo, opporsi alla dominazione dell'imperialismo.
Si, la prima rivoluzione proletaria, sebbene sia stata tradita e sfigurata, ha segnato molto di più questo secolo nel senso del progresso che il capitalismo il quale al suo attivo ha innanzitutto fatti come la colonizzazione all'inizio del secolo, il primo macello mondiale poi il secondo, le crisi e le loro conseguenze tragiche, il nazismo tra l'altro.
E la stessa esultanza dei fautori del capitalismo quando danno l'annuncio che finalmente, ottanta anni dopo, la rivoluzione dell'ottobre 1917 sarebbe stata liquidata, dimostra a che punto temevano questa rivoluzione.
Il fatto che hanno avuto bisogno di ottanta anni per digerire questa prima rivoluzione proletaria che i suoi propri dirigenti erano da molto tempo pronti a liquidare, è il maggiore segno di debolezza del loro sistema. L'imperialismo sopravvive innanzitutto perché il proletariato non è in situazione di contestarlo veramente. Ma il proletariato è a questo punto perché le correnti politiche sorte dalle sue file, prima e innanzitutto la socialdemocrazia, lo stalinismo poi, gli hanno legato le mani a più riprese per portarlo al boia.
E per l'avvenire ?
Da parecchi anni, tutti i mezzi d'informazione di cui la borghesia dispone ribadiscono che il comunismo ha fatto fallimento. Sia questa idea chiaramente formulata o meno, si tratta di affermare che il capitalismo è destinato a durare per l'eternità. E' ciò che credevano a proposito del loro potere i faraoni d'Egitto e tutti i monarchi delle corti europee del secolo scorso. Ma questo dimostra tutt'al più che gli intellettuali della borghesia sono tanto incapaci di dominare le prospettive storiche quanto la borghesia è incapace di dominare la propria economia.
Il primo tentativo del proletariato per porre fine alla società capitalistica si è concluso con uno scacco dal punto di vista della prospettiva immediata a cui questo tentativo mirava. Ma neanche la borghesia è riuscita in un solo giorno, né in un secolo, a sostituire il suo proprio potere e la sua propria economia alla classe feudale dei proprietari terrieri e alla monarchia.
Sicuramente, i rivoluzionari di ogni generazione, Marx e Engels al secolo scorso, Lenin, Trockij e Rosa Luxembourg all'inizio del nostro, aspettavano la vittoria della rivoluzione sociale a breve scadenza. Il capitalismo ha conosciuto un autentico periodo di ascesa durante qualche decennio dopo che Marx ne avesse ipotizzato la caduta.
Se invece le previsioni ottimiste di Lenin e Trockij rispetto alla prossima vittoria del comunismo non si sono verificate, non è che sarebbero state smentite da un nuovo periodo di ascesa economica paragonabile a quello della seconda metà del secolo scorso. Tutt'al più si può dire che il capitalismo e l'imperialismo sono sopravvissuti.
Se cerchiamo di rispondere alla questione del perché, dobbiamo prima fare una constatazione generale : i regimi sociali non spariscono solo perché il loro tempo è passato. In Francia per esempio, era già chiaro per i contemporanei più lucidi, e a maggior ragione oggi, che la società feudale era superata sin dall'inizio della monarchia assoluta, con François 1° sin dalla prima metà del 16° secolo 16, questa monarchia assoluta che al suo apice ha trasformato l'aristocrazia una volta guerriera in burattini incipriati e imparucchiati, rinchiusi nel ghetto dorato di Versailles. Eppure in Francia l'ordine feudale è sopravvissuto quasi un secolo à Louis XIV°, e ancora di più in Germania. E alcuni di questi vestigi non sono ancora spariti in Inghilterra, che fu però la culla del capitalismo industriale, a giudicare dal ridicolo e anacronistico spettacolo di una monarchia che sopravvive con un cerimoniale che senz'altro avrebbe fatto imprecare Rousseau già due secoli fa.
E qui si giunge all'aspetto soggettivo, cioè al ruolo dei partiti. Abbiamo già parlato del ruolo controrivoluzionario dei partiti socialdemocratici in Germania, in Francia, in Italia, in Spagna e per contraccolpo nel destino dell'URSS. Abbiamo evocato anche il ruolo controrivoluzionario dei partiti stalinisti.
Ma altri, come il partito bolscevico, possono giocare una parte rivoluzionaria indispensabile. Se non ci sono, non c'è neanche rivoluzione.
L'imperialismo non è meno condannato a sparire oggi che ai tempi dell'ondata rivoluzionaria del 1917. Il proletariato non ha meno possibilità di farla finita con la vecchia società che all'epoca. E i mezzi materiali per creare un'organizzazione economica razionale su scala del mondo risultano molto più importanti oggi che all'epoca della rivoluzione russa. Ciò che manca alla classe operaia, sono dei partiti tanto decisi a cambiare la società quanto lo era il partito bolscevico all'epoca in Russia.
Questa mancanza stessa ha una spiegazione storica. In partenza, c'è stato questo tradimento della socialdemocrazia che ho evocata poco fa. Ma, appena gli elementi più rivoluzionari del proletariato si erano staccati dalla socialdemocrazia per raggiungere la corrente comunista, la degenerazione burocratica dell'Unione sovietica ha trasformato i partiti comunisti stessi, prima in strumenti di questa burocrazia, poi in strumenti della borghesia .
Tra le due guerre mondiali in cui questo si è prodotto, questi due tradimenti si sono susseguiti troppo rapidamente perché il proletariato potesse prenderne coscienza e fare sorgere e selezionare una nuova direzione. E il vuoto così costituito ha segnato anche la storia del dopoguerra in cui, dalla Cina all'Indonesia, all'India o il Vietnam, le masse di nuovo si sono mosse. Perché ad occupare questo vuoto è stata la piccola borghesia nazionalista, spesso adornandosi con l'abito socialista o comunista, mais non avendo affatto per programma di appoggiarsi sul proletariato per rovesciare il capitalismo nel mondo. Bisogna ricordare la grande responsabilità degli intellettuali di questi paesi che, invece di partire da una comprensione complessiva della società, invece di combattere l'imperialismo nelle sue fondamenta capitaliste, hanno al contrario ristretto l'orizzonte degli oppressi per farli combattere solo per l'indipendenza nazionale, presentando per di più questi combattimenti come la battaglia per il comunismo.
Ma questo comunismo nazionalista, costruito per di più sul socialismo in un paese solo, quello di Mao Dze Dong, di Ho Chi Minh, di Tito o di Castro, non apriva alcuna prospettiva di trasformazione sociale su scala mondiale. E le masse oppresse, spezzato il loro slancio, sono state di nuovo deluse e disorientate. Il sedicente comunismo del terzomondismo ha lasciato il posto all'ascesa delle idee apertamente reazionarie, come quelle degli integralisti religiosi.
Lo spreco capitalistico
Ma questo non durerà perché, se il capitalismo è sopravvissuto, non è diventato migliore. Al contrario, ha spinto le sue ignominie, mais anche le sue contraddizioni, fino all'ultimo.
Il capitalismo sarebbe diventato più armonioso, come lo affermano i difensori cinici del "mondialismo" come Alain Minc ? Ma no. Duecento trusts giganteschi, impiegando meno dell'1 % della classe operaia nel mondo, assicurano un quarto dell'attività economica mondiale. Ma il loro crescente controllo sull'economia mondiale non sopprime la concorrenza, al contrario la inasprisce.
E' diventato più razionale il capitalismo ? Sta forse sviluppando la produzione alla misura delle sue immense possibilità ? Ma no. Una parte crescente dei suoi mezzi immensi viene sviata verso le sfere finanziarie. E' un capitalismo sempre più usurario che si nutre di se stesso. Mangiarsi la coda è possibile per qualche tempo, ma non per sempre : se non si muore di fame, lo stesso si finisce col morire.
Ma il capitalismo soddisfa un po meglio i bisogni elementari di tutti ? No. Milioni di persone muoiono ogni anno dalla carestia. Centinaia di milioni sono malnutrite. Più di un quarto dell'umanità vive senza acqua potabile e, fra gli altri, un numero sempre crescente comincia a mancarne. Si muore ancora da malattie che da molto tempo si sa guarire, solo perché non è redditivo produrre, e ancora più spesso trasportare, le medicine che le potrebbero curare. E, in quanto ai bisogni più moderni, l'educazione o più semplicemente l'alfabetizzazione, tutto questo rimane un lusso inconcepibile per gran parte della popolazione del mondo.
Il capitalismo fa meno sprechi ?
Certamente no. Il primo di questi sprechi è la disoccupazione stessa. Anche nei paesi capitalisti più sviluppati, dove si concentrano la maggior parte delle imprese esistenti e la quasi- totalità dei grandi capitali, una frazione importante della popolazione è ridotta alla disoccupazione : 20 milioni nella sola Europa occidentale. E la disoccupazione non è solo una calamità per chi la subisce, è uno spreco gigantesco di forze di lavoro, di intelligenze, di capacità. E' anche un immenso spreco questi capitali che si dirigono verso settori inutili, perfino nocivi. I due settori più importanti del commercio internazionale sono sempre il commercio delle armi e quello delle droghe.
Il capitalismo sta colmando, fosse solo un po, fosse solo poco a poco, lo scarto tra le classi ricche e le classi povere ?
E' ciò che hanno affermato per molto tempo i riformisti di ogni genere per rifiutare la necessità della rivoluzione. Perché la precipitazione e la violenza, dicevano, se il progresso economico finisce col garantire una vita accettabile per tutti ?
Ma oggi, anche i riformisti più ottusi non osano più affermare questo, tanto è evidente che la disuguaglianza e lo scarto tra i più ricchi e la maggioranza lavoratrice della popolazione crescono ! Su scala del mondo, 358 famiglie possiedono, come patrimonio, più dell'equivalente dei redditi annui di 2,6 miliardi di esseri umani ! La povertà cresce anche nei paesi ricchi.
Per riprendere l'espressione di un redattore del mensile Le Monde Diplomatique : "Anche al punto più buio della Grande Depressione del 1929, non c'era stato un numero così alto di genti immiseriti in Europa. Se ai 20 milioni di disoccupati si aggiunge gli esclusi di ogni genere, ne risulta una popolazione europea di qualche 50 milioni di persone impoverite, spesso nei casolari di periferie urbane alla deriva. 10 milioni di loro vivono con meno di sessanta franchi al giorno".
Allora cosa si può dire della miseria indescrivibile delle grandi città dei paesi poveri ?
La povertà non è dovuta ad una causa naturale, ad un terremoto o un ciclone , sebbene queste catastrofi naturali siano più distruttive di vite umane nei poveri che nei paesi ricchi. Certamente questo non è casuale. La povertà è generata dal funzionamento normale del capitalismo.
Il capitalismo sarebbe colmando lo scaro tra paesi ricchi e paesi poveri ?
Sicuramente no. I media ogni tanto esaltano il "miracolo economico" di tale o talaltro paese povero. Questi paesi non sono mai stati numerosi. E per di più il recente crac delle borse asiatiche e la rovina economica che ne consegue nella regione hanno dimostrato cosa c'era dietro il miracolo malesiano, tailandese o indonesiano.
E, per prendere un esempio nel continente africano, da trenta anni la produzione alimentaria è diminuita del 20%. Questa situazione rivoltante non è dovuta a delle cause che già non sono completamente naturali quali l'avanzata della siccità in alcune regioni, e neanche al carattere primitivo dell'attrezzatura agricola, bensì alla politica agricola imposta dall'imperialismo, esclusivamente orientata verso l'esportazione.
Quindi le grandi potenze imperialiste possono elaborare un arsenale di leggi repressive, possono circondarsi con filo spinato e barriere elettrificate, questo non impedirà "tutta la miseria del mondo" -secondo le parole dell'ex primo ministro francese Rocard di provare disperatamente a raggiungere i paesi dove c'è una possibilità maggiore di sopravvivenza, anche piccola.
Il capitalismo è diventato più sociale, più propenso a rispettare il mondo del lavoro ?
Anche nei paesi capitalisti sviluppati, dove le lotte operaie del passato o il timore di queste lotte hanno imposto un certo numero di leggi sociali e alcune protezioni per i lavoratori, queste leggi sono sempre meno rispettate e queste protezioni sono smantellate.
Ma nel resto del mondo, non c'è neanche questo. Un recente colloquio ha ricordato che oggi, all'alba del terzo millenario, ci sono nel mondo circa 200 milioni di bambini di 10 o perfino 6 anni impiegati come due secoli fa, ai tempi della rivoluzione industriale in Inghilterra, in filature, officine di tessitura, fabbriche di componenti elettronici, o addirittura nella fabbricazione di prodotti chimici pericolosi o nelle miniere !
Un'organizzazione economica irresponsabile
Lenin parlava a suo tempo dell'imperialismo come della fase senile del capitalismo. Ma oggi è un capitalismo in putrefazione, un'economia sempre più mafiosa, segnati dalla corruzione su grande scala, in cui i limiti tra classe politica, ambienti affaristici e malavita tendono a sparire. Quante banche girano con il denaro riciclato della droga ? Quante fortune si costruiscono nelle più sporche speculazioni ?
E' anche un'economia incapace di preservare il pianeta. I grandi problemi ecologici come l'inquinamento dei mari, la sparizione progressiva dell'ozono atmosferico, i rifiuti nucleari indistruttibili, sono naturalmente transnazionali. L'economia capitalistica, rinchiusa tra la doppia barriera della proprietà privata e degli Stati nazionali, è incapace di proporre a questi grandi problemi anche solo l'inizio di una soluzione. L'unica cosa che questa economia sappia fare è trasformare i paesi poveri in luoghi di scarico per i rifiuti tossici dei paesi ricchi. Esportare i rifiuti tossici dei paesi industriali verso la Guinea-Bissao, il Congo o il Benino, corrompendo alcuni ministri del posto, è anche diventato un commercio fiorente.
La stampa ha riportato le riunioni tra rappresentanti di alcuni paesi industriali per provare a definire una soglia da non superare, a meno di provocare conseguenze irreparabili per l'atmosfera. Si progettava di stabilire delle quote per i vari paesi. Ma molto rapidamente, questo si è trasformato in un mercanteggiamento nel quale i paesi più ricchi si proponevano di comprare le quote d'inquinamento dei paesi povero !
Allora, sarebbe questa l'organizzazione economica dell'avvenire ? E ci sarebbe ancora un avvenire con quel funzionamento cieco e irresponsabile ?
Il capitalismo è un sistema economico e sociale in cui anche i progressi scientifici o tecnici sono sviati per rivolgersi contro l'uomo. I casi come quello della mucca pazza, del sangue infettato o dell'amianto dimostrano a cosa porta la ricerca del profitto a breve termine.
L'umanità ha già pagato caro il modo in cui l'imperialismo si è servito di questo progresso fantastico dell'energia nucleare. E si può anche temere ciò che le altrettanto considerevoli scoperte nel campo della genetica riservano all'umanità fin tanto che il capitalismo dominerà la ricerca e la sorte delle sue scoperte.
Ma la sopravvivenza di questo sistema capitalistico senile ha anche delle conseguenze politiche. Mentre gli imperativi bisogni dei grandi trust portano all'organizzazioni di entità economiche più vaste degli Stati i cui stretti limiti sono sempre più in contraddizione con la mondializzazione dell'economia, gli Stati stessi si scompongono in frammenti incapaci di vivere autonomamente ma drizzati uno contro l'altro in nome del nazionalismo. In Europa, dopo la decomposizione della Iugoslavia, della Russia o della Cecoslovacchia, ci sono più frontiere e più barriere che dieci anni fa, e ben più che all'inizio di questo secolo. All'epoca d'Internet e delle comunicazioni planetarie, il regno del capitalismo porta ad uno spezzettamento crescente dell'umanità, a delle opposizioni o conflitti sanguinosi a seconda della nazionalità o dell'etnia.
Il capitalismo minaccia di far cadere la società nella barbarie
E' ancora questa sopravvivenza di una forma di organizzazione sociale che non corrisponde più alla nostra epoca a fare risorgere, nel contesto e con i mezzi della nostra epoca, tanti residui barbari del passato. C'è dappertutto uno sviluppo dei misticismi e delle idee reazionarie. Ma oggi, sono turboreattori a trasportare pellegrini di tutte le religioni. Le esibizioni del papa sono organizzate da specialisti degli spettacoli e ritrasmesse alla televisione via satellite. E gli astrologi pretendono di utilizzare i computer per stabilire gli oroscopi. In un paese come la Francia, a quanto pare, ci sono 20.000 maghi, astrologi e medium. E anche con le decine di marabutti venuti dall'Africa, faticano a rispondere alla domanda di circa 4 milioni di clienti regolari ! La tiratura delle riviste di astrologia aumenta continuamente e due di loro superano le 100000 copie.
E' ovviamente in questa palude reazionaria, nauseabonda, che le organizzazioni d'estrema destra pescano la loro demagogia.
Non sono solo i rivoluzionari a constatare e denunciare tutta questa barbarie moderna nelle condizioni materiali e nelle anime. La televisione stessa trasmette regolarmente queste scene insostenibili di bambini morendo di fame, le immagini della miseria insopportabile dei "bidonville" d'Africa, d'Asia o d'America latina. Ci ha trasmesso l'immagine di questi profughi del Ruanda camminando nella foresta, il cui flusso diminuiva man mano che i più deboli cadevano e morivano sul ciglio della strada. Sì, anche la televisione ci informe ma, nello stesso tempo, ci sta abituando. Tutto questo finisce col sembrare normale, poiché tutto questo esiste. E' anche in questo modo che quelli che dirigono il mondo provano a renderci complici.
Noi diciamo no ! Tutto questo rimane ignominioso, indegno della nostra epoca, rivoltante, perché tutto questo non è una fatalità ; perché tutto questo non deriva dalla natura umana, bensì da un'organizzazione sociale, e perché questa organizzazione sociale può essere cambiata e va cambiata !
E essere rivoluzionario oggi, innanzitutto, vuol dire rifiutare di essere complice nell'unico modo possibile, combattendo l'ordine capitalistico che genera tutte queste ignominie.
Sì, il capitalismo dovrà essere sostituito, sotto pena di fare cadere l'umanità nella barbarie. Le possibilità di un'organizzazione economica diretta razionalmente, al meglio degli interessi della collettività umana e su scala planetaria, sono più grandi oggi che non lo sono mai state nel passato.
La generazione che ha fatto la rivoluzione del 1917 conosceva ancora solo gli inizi esitanti dell'utilizzo dell'energia elettrica, dell'aviazione o della radio. Oggi l'elettronica, i satelliti artificiali, le fitte reti d'informazione che coprono il globo danno delle possibilità grandiose per gestire l'economia senza danni per le risorse del nostro pianeta.
Le banche con le loro interconnessioni su scala mondiale potrebbero essere un formidabile mezzo di controllo e d'informazione per una direzione razionale dell'economia, se questa rete non fosse utilizzata solo per le informazioni sui corsi borsistici o la speculazione, cioè una realtà virtuale, ma per delle informazioni sull'economia reale.
I satelliti che girano intorno alla terra e osservano le raccolte per permettere ai trust che monopolizzano il commercio agricolo internazionale di speculare meglio, potrebbero agevolare la produzione razionale dei prodotti agricoli di base.
All'occasione dello sciopero dei camionisti, la televisione ha fatto vedere le immagini di queste grandi società di trasporto di cui tutti i camion sono collegati via satellite ad una base che conosce ad ogni momento la posizione di ogni camion, e così li può dirottare. Oggi, questo serve a meglio cogliere le opportunità del mercato nella concorrenza feroce che oppone i capitalisti del trasporto tra di loro. Domani, in un'economia liberata dal profitto e in cui queste miriadi di imprese di trasporto sarebbero riunite in vaste cooperative che non sarebbero in guerra le une contro le altre, questo sarebbe un formidabile mezzo di pianificazione dei trasporti, di riduzione del tempo di lavoro e di diminuzione dell'inquinamento atmosferico o sonoro.
Lo sviluppo stesso dei grandi trust, con la loro organizzazione interna spesso efficace, potrebbe essere utilizzato a condizione che le informazioni così centralizzate al livello di ognuno di questi trust non servano solo alla concorrenza contro il trust rivale, né per elaborare il migliore metodo per spogliare i popoli, ma nell'interesse di tutti.
Ma perché tutti questi elementi possano permettere all'umanità di fare un vero balzo in avanti, occorre espropriare la grande borghesia, porre fine alla concorrenza tra i trust e tra le banche, definire un piano di produzione in funzione dei bisogni reali e non solo dei bisogni solvibili, instaurare un controllo permanente dei lavoratori, dei consumatori, della popolazione in generale sul funzionamento di ogni impresa particolare, sull'economia di una città, di una regione, di uno Stato.
Si potrebbe allora contemporaneamente aumentare la produzione entro i limiti di ciò che è necessario senza distruggere la natura e, allo stesso tempo, lavorare meno. I frutti del progresso scientifico e tecnico potrebbero così servire a tutta la popolazione lavoratrice e non solo rendere un profitto ad alcuni.
Il censimento quasi istantaneo dei bisogni non comporta alcuna difficoltà tecnica all'epoca delle carte bancarie e delle reti informatiche. E all'epoca d'Internet e dei computer a domicilio, è molto facile di consultare la popolazione, praticamente in permanenza, e per prendere delle decisioni che riguardano la sua vita, e non solo per eleggere un deputato che non serve a niente.
E' rispetto a questa vasta prospettiva che tutti i dibattiti attuali sulla mondializzazione o sull'unificazione europea sono falsi dibattiti in cui si confrontano solo piccole sfumature di opinioni che tutte considerano che il capitalismo è destinato a durare.
Sì, la mondializzazione, cioè la soppressione di barriere di fronte agli spostamenti di capitali e merci, inasprisce la concorrenza, la rende più selvaggia ancora e favoreggia innanzitutto i grossi pescecani del capitalismo contro i piccoli.
Ma il problema non è la mondializzazione, è la concorrenza capitalistica !
La nostra epoca esige una pianificazione mondiale
Oggi, la mondializzazione è innanzitutto quella dei trasferimenti finanziari. I trasferimenti di denaro in cerca di profitto a breve termine nella speculazione monetaria o borsistica rappresentano ottanta volte il denaro trasferito per pagare la scambio delle merci. Ebbene questi capitali accumulati nello sfruttamento vanno espropriati e utilizzati in modo razionale per i bisogni dell'umanità. Questa è la rivoluzione da fare, anziché sognare di disciplinare questi capitali o anche solo di tassarli, pur lasciandoli nelle mani della classe capitalistica !
Ma il fatto che la produzione oggi sia mondializzata su scala tutt'altra che nel passato non è uno svantaggio per la marcia verso il comunismo, ne costituisce invece la condizione fondamentale. L'interesse dell'umanità è di gestire le sue principali ricchezze naturali, le ricchezze del sottosuolo, dei mari, in modo collettivo su scala internazionale. Sì, la nostra epoca esige la pianificazione su scala mondiale di un certo numero di risorse e di un certo numero di produzioni. Il che non significa che tutto va centralizzato, e molti aspetti della vita economica e, a maggior ragione, della vita sociale e culturale, possono essere gestiti localmente.
Il proletariato al potere su scala internazionale brancolerà certamente in molti settori prima di riuscire ad organizzare la produzione in modo armonioso. Ma questi brancolamenti costeranno molto meno caro all'umanità che la perpetuazione del capitalismo. Inoltre molte esperienze, buone o meno, dei primi anni della rivoluzione russa saranno preziose.
Grazie al progresso scientifico e tecnico, il pianeta si restringe. Le basi obbiettive del comunismo sono più salde oggi che mai nel passato, e il proletariato costituisce sempre questa forza sociale capace di portare fino in fondo questa rivoluzione sociale cominciata nel 1917 dai proletari di Russia.
Manca alla nostra epoca che il proletariato ritrovi la coscienza di queste realtà, un'espressione politica, dei partiti che non cerchino di sistemarsi nell'ordine sociale esistente, bensì di trasformarlo da cima a fondo. Certo, la classe operaia non appare oggi come una forza rivoluzionaria. Ma, in nessuna epoca della sua storia, la classe operaia è stata rivoluzionaria in permanenza. E' su questa classe sociale, la nostra, che grava tutto il peso della società, il peso dello sfruttamento quotidiano stesso, ma anche tutto il peso esercitato dalla società borghese sulle menti, dall'educazione alla cultura e alle notizie quotidiane dispensate dai media che in maggior parte sono completamente sotto controllo del gran capitale. Si fa di tutto per trasmettere i valori propri della società borghese, la sua sottomissione al denaro, il conformismo sociale, l'individualismo.
Solo la classe operaia è rivoluzionaria
E' molto difficile spezzare queste barriere, e la classe operaia ci riesce solo in periodi eccezionali, in periodi di crisi sociali profonde che si producono solo due o tre volte in un secolo. Ma se, per tutti i marxisti, la classe operaia è l'unica classe rivoluzionaria di oggi, nel senso storico del termine, è perché è l'unica forza sociale capace di cogliere queste occasioni eccezionali per sconvolgere le fondamenta stesse dell'economia capitalistica, cioè la proprietà privata dei mezzi di produzione alla quale non è affatto vincolata.
Oggi, i grandi partiti che si rivendicano della classe operaia non mirano affatto a tale prospettiva. Il loro obbiettivo politico è limitato all'accesso al governo per gestire da leali servitori gli affari della borghesia .
Perciò occorre alzarsi anche contro questa negazione più sottile della rivoluzione russa di chi vuole ancora rivendicarsi del comunismo ma vuole riferirsi a Marx e rinnegare Lenin e il partito bolscevico.
Ridurre il marxismo e il comunismo alla sola condanna della società attuale, è trasformarli in una specie di religione civile che promette un'avvenire felice senza dare alla classe operaia i mezzi per attuarlo.
Sì, occorrono nuovi partiti socialisti e comunisti rivoluzionari. Sì, bisogna capire perché solo nel paese dove esisteva un partito come il partito bolscevico, il proletariato ha potuto prendere il potere. Certo un partito della stessa natura del Partito bolscevico in Russia non sarebbe una copia conforme di questo. Il proletariato in Francia non ha le stesse tradizioni, buone e cattive, ed è più colto del proletariato russo dell'epoca della rivoluzione. Ma occorre un partito che sia pari al Partito bolscevico per la fedeltà alle idee e al programma di trasformazione sociale, che abbia la stessa dedizione alla classe operaia e anche la stessa coesione.
Il primo giornale della corrente bolscevica nascente era intitolato Iskra, cioè La scintilla, e portava la divisa $$oDalla scintilla sorgerà la fiamma. Questo pareva all'epoca, cioè nel 1902, molto pretenzioso per un piccolo gruppo di donne e uomini di fronte ad un mastodonte come lo Stato zarista, eppure erano queste parole ad annunciare l'avvenire.
Allora non sappiamo in quale punto del globo e quale frazione della classe operaia ritroverà per prima la strada della coscienza del suo insostituibile ruolo storico. Non possiamo prevedere in quale crisi sociale, attraverso quali battaglie politiche essa si ricollegherà con la battaglia impegnata nel 1917.
Ma sappiamo che l'avvenire della rivoluzione sociale, e di conseguenza l'avvenire dell'umanità, sta nella direzione indicata il 7 novembre 1917, ottanta anni fa, dalla Rivoluzione russa che ci dice ancora oggi : "Sì, l'avvenire dell'umanità non è il capitalismo, ma il comunismo !".