Cominciato il 20 gennaio dai lavoratori lo sciopero generale che ha scosso l'isola di Guadalupe si è poi esteso in Martinica dal 5 febbraio.
Alcuni aspetti di questi due movimenti non sono stati identici. Lo sciopero generale è stato deciso e diretto in Guadalupe da un complesso di organizzazioni sia sindacali che politiche o associative raggruppate sotto la sigla LKP (In creolo Lyannaj Kont Pwofitasyon - Alleanza contro lo sfruttamento eccessivo). In Martinica, a lanciare lo sciopero generale il 5 febbraio è stato un comitato intersindacale che già da mesi si riuniva per coordinare le sue azioni tra i lavoratori.
Ma se alcuni aspetti e alcune vicende di questi due scioperi furono un po' differenti, la mobilitazione nelle due isole è stata sostanzialmente il risultato dell'azione massiccia e determinata dei lavoratori.
Tutta l'attività economica si è fermata sulle due isole quando i salariati hanno lasciato le imprese e organizzato dappertutto i loro picchetti di sciopero. Da quel momento lo sciopero si è imposto facendosi forte dei picchetti costituiti davanti alle zone commerciali e industriali, davanti al porto, all'elettricità, agli ospedali, ecc. Ha controllato la distribuzione dei carburanti e si è riservato la possibilità che i lavoratori dell'elettricità, che scioperavano ma facevano funzionare le centrali elettriche, potessero passare all'azione se necessario procedendo con interruzioni massicce dell'erogazione dell'ellettricità.
La famosa canzone ripresa in Guadalupe sin dall'inizio dello sciopero ("péyi la pa ta yo, péyi la sé tan nou... il paese non è loro, il paese è nostro, non vi faranno ciò che vogliono) che è stato il leitmotiv di tutte le manifestazioni è arrivata anche in Martinica! Ma inoltre la traduzione in creolo della Martinica, ha subito alcuni cambiamenti, in questi era promesso agli sfruttatori, ai "béké" (an bann béké espwatè é volé / una banda di béké, di sfruttatori e di ladri - I "béké" sono le famiglie ricche discendenti dai proprietari di schiavi) di essere buttati fuori o in mare. Le variazioni dipendevano dall'umore e dal comportamento dei padroni durante le trattative e nelle piazze !
I lavoratori delle due isole hanno seguito con attenzione e interesse lo svolgimento degli avvenimenti sull'isola vicina, sapendo benissimo che gli avversari con cui avveniva il confronto erano gli stessi sfruttatori. Sulle due isole si trovano le stesse famiglie Hayot, Despointes, Dereynal e soci; ci sono la Total, i proprietari o concessionari delle stesse ditte, delle stesse marche, Carrefour, Match, Cora, Leader Price o Renault, Peugeot, Mercedes, ecc.. controllati dallo stesso piccolo gruppo di padroni arroganti e sprezzanti.
Infatti le sorti dei lavoratori delle due isole erano collegate in questa lotta, si combatteva contro gli stessi mali: i bassi salari, il carovita, le speculazioni della Sara (controllata dalla Total) che fornisce i carburanti sulle due isole. La loro lotta ha seguito la stessa strada, quella dello sciopero generale.
Per gli sfruttatori, è stata una contestazione del loro diritto di decidere da soli di tutto in materia di economia. Per i lavoratori di queste due isole delle Antille, questo sciopero generale è stato un'azione promettente per potere portare avanti in futuro delle lotte ancora più fruttuose, per andare più avanti nella contestazione del diritto di proprietà dei capitalisti che di padre in figlio e da secoli saccheggiano queste due isole, sfruttando ferocemente la loro popolazione. Lo sciopero generale che ha unito in una stessa battaglia i discendenti, pronipoti di pronipoti di schiavi in una stessa lotta offensiva sarà senz'altro un cemento che li unirà in una battaglia più importante che oltre le cosiddette Antille francesi un giorno estenderà sulla regione caraibica per liberarla da ogni oppressione e da ogni sfruttamento.
Il presente articolo dei nostri compagni antillani del gruppo Combat Ouvrier (Combattimento Operaio) tratterà solo dello sviluppo della situazione in Guadalupe dove lo sciopero, cominciato due settimane prima della Martinica, conobbe episodi intensi che in parecchie occasioni hanno fatto temere che si potesse riprodurre ciò che era successo nel maggio 1967, quando lo sciopero cominciato con manifestazioni di operai edili finì con una strage dovuta alle forze di repressione, in cui ci furono più di 80 morti nella popolazione, come oggi confessano le autorità.
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Lo sciopero generale deciso dal collettivo di organizzazioni raggruppate sotto la sigla LKP è stato indetto dal giorno 20 gennaio 2009. Si è svolto dopo un mese di dicembre che già era stato agitato, tra l'altro con le prime manifestazioni contro il carovita. La fine dell'anno 2008 è stato segnato innanzitutto dalle manifestazioni dei piccoli padroni che durante tre giorni eressero dei blocchi sulle principali strade della Guadalupe per chiedere una diminuzione notevole dei prezzi dei carburanti. C'è da notare che queste manifestazioni , sulle stesse rivendicazioni, si svolgevano dopo le manifestazioni della Guayana, che a loro volta seguivano un movimento simile sviluppatosi alcune settimane prima con successo nell'isola di La Réunion.
Durante questi tre giorni di picchetti per ottenere la diminuzione dei prezzi dei carburanti, già s'era potuto misurare l'importanza del malcontento. Infatti dappertutto in Guadalupe la grande maggioranza della popolazione sosteneva i manifestanti e lo mostrava chiaramente: in numerosi blocchi sulle strade era la popolazione che portava da mangiare ai manifestanti. Quando fu ottenuto un successo col ribasso di 30 centesimi dei prezzi dei carburanti, questo fu percepito come una vittoria per tutti. Ma molti rimanevano insoddisfatti e dicevano che comunque tutti i prezzi erano troppo alti, e non solo quelli dei carburanti!
Il 5 dicembre 2008 all'appello dell'UGTG, il principale sindacato della Guadalupe, una trentina di organizzazioni sindacali e politiche si riunirono e criticarono il fatto che per finanziare il ribasso dei carburanti le assemblee locali avevano dato 3 milioni di euro di sovvenzioni alla Sara, la Società di Raffineria antillana, che ha il monopolio della fornitura dei carburanti nelle Antille. L'UGTG affermava anche la necessità di battersi per imporre un ribasso di tutti gli altri prezzi e propose una manifestazione il 16 dicembre per ottenere una nuova diminuzione dei prezzi dei carburanti e contro il carovita. Queste 31 organizzazioni sindacali, politiche e associative seguirono l'appello dell'UGTG. Uno sciopero di un giorno fu deciso per fare conoscere la posizione di questo cartello di organizzazioni.
L'avvertimento dei 16 e 17 dicembre 2008
Durante la giornata di mobilitazione del 16 dicembre, alcuni settori scioperarono ma erano solo una minoranza. Furono comunque abbastanza numerosi perché migliaia di manifestanti si riunissero a Pointe-à-Pitre in un comizio e poi in una manifestazione di quasi 6.000 persone. Una delegazione fu ricevuta dal sottoprefetto la cui risposta fu che non poteva né dire né fare nulla rispetto alle rivendicazioni presentate. Occorreva vedere il prefetto!
Quindi una nuova manifestazione fu decisa l'indomani a Basse-Terre davanti alla prefettura. Il prefetto fece sapere che era occupato dalla festa di Natale dei bimbi della prefettura e si rifiutò di ricevere i dirigenti delle organizzazioni.
Allora queste ultime si riunirono e decisero di costituire la LKP (Lyannaj Kont Pwofitasyon-Alleanza contro lo sfruttamento eccessivo) e di preparare una larga piattaforma di rivendicazioni. Una data fu fissata per l'azione da svolgere: sciopero generale dal 20 gennaio 2009. Le 31 organizzazioni furono rafforzate poi da nuove adesioni arrivando alla fine ad essere 48.
Le principali organizzazioni nella LKP
L'UGTG è stata all'origine del raggruppamento delle organizzazioni che costituirono la LKP. Da mesi l'UGTG aveva proposto ai sindacati di stendere una piattaforma di rivendicazioni comuni. Visto l'aumento del malcontento, manifestatosi con gli blocchi nelle strade da parte dei piccoli padroni alla fine del 2008, il processo si è accelerato in tal modo che le principali organizzazioni sindacali, UGTG, CGTG, FO, CFDT, FSU, SPEG, CTU, hanno costituito l'ossatura alla quale poi si sono aggiunte altre organizzazioni.
Così costituita la LKP è diventata una vera forza, ben decisa ad impegnarsi la lotta. Il fatto che l'UGTG sia un'organizzazione che raggruppa un gran numero di militanti decisi e sperimentati, a cui si erano aggiunti quelli della CGTG, di FO , CFDT, CTU e dei sindacati insegnanti, ha dato all'insieme della LKP una reale forza militante e un reale dinamismo combattente. Tutti coloro che vi avevano aderito volevano lottare, a parte pochissimi elementi esitanti che poi tuttavia sono stati trascinati nel movimento. Tutti volevano il successo dello sciopero generale, tutti volevano fare sorgere una forza più potente possibile di fronte al padronato e al governo per ottenere una vittoria contro costoro.
Successivamente il movimento indetto dai sindacati raggruppati intorno all'UGTG e alla CGTG si è aperto ad organizzazioni politiche anticolonialiste, d'estrema sinistra o indipendentiste, il Partito Comunista della Guadalupe, Combattimento Operaio, i Verdi, l'UPLG, Nonm, ecc. a cui si sono aggiunte organizzazioni contadine, di pescatori, organizzazioni ambientali, varie associazioni (consumatori, inquilini, difesa dell'acqua, dell'ambiente) e in fine anche associazioni culturali e ricreative (Akiyo, Voukoum, Kamodjaka) che hanno la particolarità di raggruppare migliaia di giovani. C'è da aggiungere inoltre che le associazioni di disabili sono state molto presenti, la loro rappresentante intervenendo alla televisione ha coperto il governo di vergogna quando fece sapere il livello ufficiale delle risorse di cui lei e i disabili disponevano. Gli unici esclusi da questa "Lyannaj" sono stati i partiti ufficiali rappresentati nelle assemblee di Guadalupe e di Francia.
Come ha funzionato la LKP
Dalla sua nascita la LKP ha funzionato prima come un comitato intersindacale. Si discutevano le cose da decidere e i partecipanti, in una discussione qualche volta vivace e appassionata, cercavano di convincersi reciprocamente. Il modo di discussione rimase sempre e fino in fondo aperto e fraterno anche durante le peggiori "litigate".
Ogni organizzazione aveva diritto a due rappresentanti per seduta, ma poteva scegliere i propri rappresentanti.
È stato detto in modo esplicito che ognuno proseguiva le proprie attività di sindacato, di partito o di associazione, ma quando sono state prese e stabilite decisioni all'interno della LKP e c'era un consenso - non c'è mai stata una votazione nella LKP - andavano applicate e difese da tutti.
Per capire meglio ciò che succedeva nella LKP, bisogna sapere che tutti i rappresentanti di sindacati o organizzazioni politiche, oppure di associazioni, sono gente che da trenta, venti o dieci anni per i più giovani si conoscono, hanno veramente fatto militanza insieme in vari campi (qualche volta difficili: carcere, clandestinità, picchetti, scioperi vari). Alcuni qualche volta sono passati da una organizzazione all'altra durante questo lungo periodo e nonostante le divergenze fossero vere, qualche volta esisteva una vera stima reciproca fra militanti. Questo ha molto facilitato le cose.
Come si spiega che 48 organizzazioni diverse hanno potuto raggrupparsi e lavorare insieme in LKP?
Due aspetti della loro politica hanno consentito a queste 48 organizzazioni di lavorare e lottare insieme senza troppi attriti e conflitti paralizzanti.
Innanzitutto c'era il loro autentico legame con la popolazione lavoratrice e povera. L'UGTG, l'organizzazione più forte di questo collettivo, è un sindacato di natura particolare, è molto radicato nelle categorie in cui si trovano i più giovani salariati, è al tempo stesso sindacato e organizzazione politicamente impegnata nella rivendicazione dell'indipendenza e funziona in realtà tanto come movimento politico quanto come sindacato. I suoi militanti sono anche molto impegnati sul terreno della cosiddetta militanza culturale.
I militanti di tutte le altre organizzazioni che hanno raggiunto la LKP sono anche gente legata quotidianamente ai problemi dei giovani, dei lavoratori, dei pensionati, dei disabili, ecc.
Poi c'è la comune opposizione al potere considerato dai più come un potere coloniale. Tutti esprimono da molto tempo, in modo più o meno chiaro e diretto, la loro opposizione al razzismo ufficiale ("i bianchi dirigono tutto: i béké, l'economia, gli originari dal territorio metropolitano, dirigono le amministrazioni, sono i grandi capi al rettorato, alle dogane, alle imposte, alla direzione dell'Agricoltura o delle Strade, ecc.. come alle banche o alle grandi imprese..."!)
Tutti risentono oggi profondamente la necessità di affermarsi di fronte a questo potere bianco che risulta da una lunga storia di schiavitù e di colonialismo. Questo sentimento si è rafforzato tanto più che la situazione economica della popolazione si sta degradando. I numeri che traducono questo degrado sono chiari: disoccupazione tre volte più forte che in Francia (27%), persone al reddito minimo sei volte più numerose in proporzione alla popolazione, reddito medio molto inferiore, una persona su sei vive sotto la soglia della povertà, ecc. Questa situazione doveva esplodere un giorno sulle piazze!
Ovviamente sono stati i lavoratori salariati ad indire uno sciopero generale e a portare avanti le loro proprie rivendicazioni (i 200 euro di aumento, la rivalorizzazione del salario minimo, ecc.). Ma rapidamente la forza del loro movimento e la loro determinazione ha mobilitato e conquistato tutti i ceti popolari, che a loro volta hanno portato avanti altre rivendicazioni ed hanno espresso allora con grande forza la loro opposizione al razzismo ufficiale e la loro sete di rispetto e di dignità in un paese dove si sentono come degli stranieri. Un paese completamente sottomesso agli interessi dei grandi possidenti e alle decisioni spesso arbitrarie di un potere insediato a 7.000 km dalla Guadalupe.
La piattaforma di rivendicazioni
Tutte le organizzazioni che costituirono la LKP decisero di stabilire una piattaforma di rivendicazioni secondo un metodo molto semplice: ogni organizzazione proponeva le sue rivendicazioni per iscritto, poi erano raggruppate e sottoposte alla discussione generale.
In questa discussione non sono mancate la passione e gli scontri! Per esempio la decisione di rivendicare 200 euro per i salari più bassi fino ai salari uguali ad 1,6 volta il salario minimo (lo Smic, salario minimo stabilito a livello nazionale in Francia, attualmente pari a 1030 euro netto - NdT) è stato il risultato di un severo confronto tra tutti. Così è stato anche per la rivendicazione dell'immissione in ruolo di tutto il personale precario.
Una ventina di rivendicazioni risultanti da queste discussioni sono state considerate delle rivendicazioni prioritarie. Erano quelle che portavano sulla diminuzione dei prezzi, l'aumento dei salari, la fissazione di un salario minimo locale tenendo conto del costo reale della vita nell'isola, la rivalorizzazione dei minimi sociali, la diminuzione dei prezzi del trasporto, il blocco degli affitti e l'annullamento degli ultimi aumenti del 2008.
In particolare, l'insieme delle organizzazioni decise quindi di rivendicare l'aumento di 200 euro per i salari fino ad 1,6 volta il salario minimo. La diminuzione del prezzo dei carburanti fu anche considerata una rivendicazione prioritaria, così come la restituzione da parte della Sara dei 3 milioni di euro versati dagli enti locali.
Altre rivendicazioni puntavano sulla diminuzione dei prezzi degli articoli e dei prodotti necessari agli agricoltori e ai pescatori, gli insegnanti chiedevano tra le altre cose la nomina di 19 insegnanti sui posti vacanti dal loro rientro a scuola. Oltre queste 18 rivendicazioni prioritarie la LKP presentò un insieme di quasi 160 rivendicazioni che riguardavano tutti gli aspetti della vita sociale ed economica, sottoposta da anni ad ingiustizie, abusi, alla corruzione di alcuni e ad aberrazioni amministrative, ecc. Le trattative si sono aperte quindi sulle rivendicazioni prioritarie ma, sin dall'inizio, dovettero affrontare il problema del salario. Le autorità prefettizie e locali provarono a far credere la loro buona volontà spiegando che avevano studiato l'insieme delle 160 rivendicazioni ed erano pronte a dare soddisfazione o risposte alla maggior parte. Ma gli scioperanti decisero di portare avanti alcuni problemi che consideravano prioritari: il prezzo dei carburanti e gli accordi con la Sara (la raffineria di petrolio), l'aumento del salario e la diminuzione dei prezzi. È stato sul problema dei salari (i 200 euro!) che lo sciopero si è prolungato per 44 giorni.
La campagna di comizi prima del 20 gennaio
Dopo le manifestazioni del 16 e del 17 dicembre le organizzazioni raggruppate nella LKP tesero insieme una serie di comizi nei più importanti comuni della Guadalupe. Questi comizi, spesso annunciati non più di un giorno prima o il giorno stesso, riunirono da 200 partecipanti (in Capesterre) a 500 secondo i comuni. In generale tali comizi pubblici, anche se organizzati dai grandi partiti, riuniscono al meglio una cinquantina di partecipanti. Era quindi un vero successo.
L'obiettivo era di spiegare alla popolazione le ragioni dell'appello allo sciopero generale. Ma al tempo stesso questi comizi erano in qualche modo una specie di "sondaggio" per sentire e misurare largamente le reazioni nella popolazione. Dappertutto l'accoglienza fu entusiasta, segno che questo appello allo sciopero generale era ben percepito dalla popolazione.
Il ruolo dei gestori delle stazioni servizio in sciopero per i propri problemi
Quattro giorni prima dell'inizio dello sciopero generale i gestori di stazioni servizio annunciarono che chiudevano le stazioni per protestare contro l'intento di un gruppo di grandi capitalisti della Guadalupe (in gran parte ricchi béké) di moltiplicare le stazioni automatiche di distribuzione. Questa iniziativa aiutava a rafforzare lo sciopero, tanto più che i salariati di queste stazioni sono scesi in sciopero occupandole. In seguito, durante lo sciopero, avrebbero ,in certi momenti, allentato la pressione sia per la propria volontà per consegnare carburante per una giornata o due, sia per rispondere alla precettazione prefettizia a favore dei servizi indispensabili (pompieri, sanità, ecc.)
Discussioni tattiche: fare o non fare sbarramenti il 20 gennaio?
Dopo l'inizio dello sciopero generale una discussione si è svolta in seno alla LKP. Occorreva organizzare blocchi fin dal primo giorno dello sciopero e così intralciare ogni traffico ? Infatti questo avrebbe impedito a tutti di recarsi al lavoro. Ma tale posizione aveva l'inconveniente di non permettere una reale valutazione dello sciopero e di rendere più difficile l'intervento dei salariati per organizzare dei picchetti di sciopero davanti alle imprese. Nonostante una certa tradizione di blocchi immediati che fa parte della pratica dell'UGTG, questa volta fu deciso di aspettare, di vedere e di contare sullo "sciopero marciante" (vedi sotto). Questi interventi degli scioperanti si sarebbero prolungati per parecchi giorni, fino alla fine della settimana, poiché lo sciopero sarebbe cominciato martedì 20 gennaio.
La prima giornata di sciopero
La prima giornata doveva essere l'inizio di una mobilitazione progressiva. Era previsto che sin dal primo giorno i vari settori dell'economia già in sciopero sarebbero andati a rafforzare i punti più deboli. Bisognava passare con importanti truppe di scioperanti da un'azienda all'altra, è quello che nel passato negli scioperi nelle Antille è stato chiamato "lo sciopero marciante", tradizione ereditata anche, si dice, dagli schiavi che così si spostavano attraverso i campi di canna da zucchero per organizzare i sollevamenti. Questo è stato molto ripreso negli scioperi dell'Ottocento e dell'inizio del Novecento perché era l'unico mezzo efficace per generalizzare un movimento in tutte le piantagioni.
Il 20 gennaio, non era stato previsto particolarmente di fare una manifestazione, ma solo un raduno per fare un punto sullo stato dello sciopero, davanti al palazzo della Mutualité. Si può affermare che tutti i dirigenti della LKP sono stati abbastanza sorpresi di vedere arrivare durante tutta la mattinata migliaia di persone venute da tutte le imprese, dai quartieri popolari, che si sono radunate davanti alla Mutualité. Un comizio si è svolto sul posto e la prima grande manifestazione è sfilata nelle vie di Pointe-à-Pitre. Più di 10.000 manifestanti gridavano rivendicazioni contro il carovita e per il salario, chiedendo un aumento di 200 euro. Il movimento era decollato. Si sarebbe rafforzato nei giorni successivi.
Il 21 gennaio, migliaia di manifestanti, a gruppi di parecchie centinaia, si sono sparsi (ancora lo "sciopero marciante"!) in vari punti dell'agglomerazione Pointe-à-Pitre/Les Abymes per rafforzare lo sciopero e sostenere gli scioperanti. Tra l'altro nel centro commerciale di Milenis e all'aeroporto dove si è svolto il primo faccia a faccia con i gendarmi, appena sbarcati.
Durante i giorni successivi migliaia di persone si sono recate davanti al palazzo della Mutualité. Tutto il quartiere era in permanenza occupato da scioperanti e manifestanti. I responsabili dei sindacati prendevano la parola per rivolgersi alla folla e dare il programma delle attività e delle azioni. Ogni sera un vero comizio si svolgeva davanti alle Mutualité con migliaia di persone.
Le masse che rafforzano le manifestazioni: scioperanti e poveri
Il 20 gennaio praticamente tutti i settori dell'economia sono coinvolti nello sciopero, tutta la zona industriale rimane chiusa, i lavoratori dell'elettricità scioperano, quelli della centrale termica di Le Moule, dei grandi centri commerciali, una parte del personale della sanità, il personale delle stazioni di servizio, tutto il personale comunale, ed anche tutte le scuole e l'università sono chiuse, essendo il personale di questi stabilimenti in sciopero totale. Insomma lo sciopero generale si impone in tutta l'isola!
Ma dopo le prime manifestazioni, ogni giorno migliaia di persone che non erano salariati delle aziende in sciopero, disoccupati, gente povera, un gran numero di donne, tutti venuti dai quartieri popolari e qualche volta dai villaggi, hanno raggiunto il movimento. Le manifestazioni di lavoratori, che in generale in quelle più importanti raggruppano da 5.000 ad 8.000 persone, aumentarono giorno dopo giorno raggiungendo 20.000, poi 30.000 e qualche giorno fino a 40.000 partecipanti (alcuni giornalisti hanno addirittura scritto di 50.000) il che è importantissimo e rappresenta quasi un decimo della popolazione totale dell'isola.
L'importanza di questa mobilitazione è stata tale che le autorità prefettizie hanno capito che non era possibile opporcisi frontalmente. E il prefetto ha cominciato allora delle discussioni sulla forma che avrebbero dovuto prendere le trattative con la LKP. Si era lontani dall'arrogante rifiuto del 17 dicembre!
Il coinvolgimento dei ceti poveri, di tutti gli indigenti e dei bisognosi non era sorprendente. Questi avevano capito che lo sciopero generale era deciso ad andare fino in fondo. Avevano capito che i lavoratori in sciopero e la LKP che dirigeva questo sciopero volevano fare una lotta vera e che questa volta il movimento non si sarebbe fermato prima di aver ottenuto soddisfazione. Questo ha fatto crescere la fiducia degli esitanti, dei timorosi e degli scettici. E tutta questa fiducia che nasceva in questi ceti poveri li ha portati alla decisione di aderire al movimento e a fare sentire la propria voce.
Per molti manifestanti si trattava tanto di una questione di rivendicazioni quanto di dignità, e spesso era la cosa più importante. Si trattava di esprimere nelle piazze tutta la loro sofferenza, l'umiliazione permanente che accompagna la situazione stessa di povertà e di miseria, tutto il loro rancore di fronte all'arroganza e al disprezzo dei padroni della società. Questo rancore era diretto sia contro il padronato, sia anche contro tutti i rappresentanti del potere, poiché gli uni come gli altri sono sempre pronti a schiacciare e ad umiliare i più poveri. In gran parte è stato questo sentimento di ingiustizia e di umiliazione a far scendere nelle piazze a migliaia e migliaia la gente povera.
Le peripezie delle trattative
Ci furono due fasi nelle trattative: l'una si svolse completamente sotto gli occhi della popolazione perché fu trasmessa alla radio e alla televisione. E ci fu una seconda fase dalla quale furono esclusi i mass media, si svolse in prefettura in presenza del segretario di Stato all'Oltre Mare, Yves Jego.
La prima fase delle trattative, (dal 24 al 28 gennaio) ebbe una parte importantissima nel rafforzamento della mobilitazione.
Si cominciò con un lungo confronto sulla forma della trattativa. La LKP espresse l'esigenza di discutere con tutti i protagonisti insieme: prefetto, presidenti delle assemblee regionale e dipartimentale, parlamentari e rappresentanti del padronato. I presidenti delle assemblee locali e particolarmente Lurel, il presidente (Partito Socialista) della regione, resistevano volendo negoziare separatamente. La LKP rifiutò seccamente. Alla fine tutta questa gente accettò di ritrovarsi al World Trade Center (WTC), un edificio situato sul porto di Jarry. Le trattative dovevano cominciare sabato 24 gennaio nel pomeriggio.
La mattina un'enorme manifestazione di più di 20 000 persone scese nelle vie di Pointe-à-Pitre. Poi migliaia di manifestanti accompagnarono la delegazione del LKP. All'inizio un grosso cordone di gendarmi ebbe la pretesa di vietare l'accesso del parcheggio del WTC a queste migliaia di manifestanti. La televisione (Canale 10, una televisione privata molto popolare) filmò il primo confronto verbale tra Domota, portavoce del LKP, e il capo dei militari. Domota affermò che la LKP non sarebbe andato alla trattativa se i manifestanti non l'avessero accompagnato, e anche la televisione. Dopo parecchi scambi verbali il prefetto capitolò e così la delegazione del LKP arrivò con un forte sostegno. Il rapporto delle forze era a favore dei lavoratori.
Durante quattro giorni, tutta la discussione tra la LKP da un lato, gli eletti, il prefetto, i padroni dall'altro, si svolse sotto gli occhi, qualche volta sbalorditi, di tutta la popolazione della Guadalupe. Questa ebbe così la possibilità di constatare fino a che punto gli eletti davano prova di inconsistenza e di impotenza, fino a che punto il rappresentante dello Stato, il prefetto, era incostante e poco chiaro, e fino a che punto i padroni erano in malafede, piagnucolavano, affermavano di essere in grandi difficoltà e incapaci di rispondere alle rivendicazioni dei lavoratori. Ma rimanevano senza voce, volgevano la testa quando i rappresentanti della LKP mettevano sul tavolo le cifre delle sovvenzioni che ricevono dallo Stato.
Queste trasmissioni che proseguirono durante tutte le trattative ebbero un impatto importante sulla popolazione e fecero schierare nel campo della LKP tutti gli esitanti e gli scettici.
Infatti, esse mostrarono in modo chiaro la giustezza delle rivendicazioni della LKP, la forza delle sue convinzioni, la serietà dei suoi rappresentanti di fronte a padroni in malafede, bugiardi, di fronte ad eletti che ostentavano la loro impotenza e la loro incapacità di rispondere alle rivendicazioni, di fronte ad un prefetto rappresentante dello Stato che confessava che non poteva un gran ché ma affermava allo stesso tempo che poteva impegnarsi su alcuni punti. Alla fine il prefetto ruppe le trattative e lasciò la sala dopo che fu letto un messaggio del segretario di Stato Jego.
La folla numerosa nei pressi del luogo dove si svolgeva la trattativa potè anche seguire direttamente questi dibattiti riunita davanti gli schermi giganti sistemati all'esterno. L'ultimo giorno di questa fase della trattativa una parte della sala stessa fu invasa da alcuni manifestanti che in questo modo si trovarono più vicini ai negoziatori. Non furono in imbarazzo nel reagire durante gli interventi, plaudirono quando la relazione di Domota si oppose ai padroni e al rappresentante dello Stato, quando spiegò che più si sale nella gerarchia delle aziende o dello Stato e più i responsabili diventano chiari di pelle e perfino bianchi! I manifestanti applaudirono anche Nomertin, segretario generale della CGTG quando si alzò per rivolgersi, non ai presenti al tavolo della trattativa, ma oltre nella sala ai manifestanti presenti per denunciare gli intrallazzi fra Sara e capitalisti e dire che tutto questo non era più accettabile.
All'indomani di queste trattative teletrasmesse, tutta la popolazione fece commenti sulla debolezza e le menzogne del potere, sulla "verità" che era uscita dalla bocca di Domota e Nomertin. Il sangue freddo e la pertinenza delle dichiarazioni erano opposti all'assenza di risposta dei padroni e all'impotenza ostentata degli eletti ("sapete, a Parigi non ci ascoltano!" dichiarò la deputata e sindaco Janny Marc). La dichiarazione sferzante di Jalton (deputato e sindaco di Les Abymes) fece anche impressione quando praticamente diede al prefetto del mascalzone per essersi alzato volgendo così le spalle a quelli che erano venuti fare sentire le loro rivendicazioni!
In questo modo la popolazione di ogni ceto fece politica per tre giorni ad un alto livello; aveva visto il volto e il comportamento di quelli che dirigono la popolazione, venuti dalla Francia o politici eletti come Lurel, che pensano che "non tocca alla piazza decidere". La popolazione, facendo un paragone tra questo atteggiamento e quello dei rappresentanti della LKP che, in loro nome, contestavano l'autorità e la legittimità di questa gente, non ebbe nessuna esitazione per scegliere il proprio campo!
Furono momenti fortissimi per quel movimento. Dopo la rottura col prefetto, il suo abbandono precipitoso della trattativa, la LKP chiamò a nuove manifestazioni e il numero dei manifestanti aumentò; si videro nelle piazze parecchie decine di migliaia di persone venute dagli strati più profondi della popolazione. Erano presenti non solo i lavoratori, gli scioperanti, i membri dei sindacati, insegnanti, giovani, ma anche tutto un popolo di gente povera che spesso manifestavano per la prima volta nella loro vita e tutti affermavano, più che le loro rivendicazioni, la loro gioia fortissima di ritrovarsi così numerosi e di cantare senza tregua in creolo: "il paese non è loro, il paese è nostro, e non faranno ciò che vogliono nel nostro paese"!
La seconda fase delle trattative (dal 4 all'8 febbraio)
La seconda fase delle trattative fu condotta da Jego. Era in qualche modo un inviato del suo governo e dichiarò che sarebbe rimasto tutto il tempo necessario per risolvere i problemi. Rapidamente si rese conto che la situazione era seria e la determinazione e la forza dello sciopero importanti.
Fu lui, davanti al rifiuto ostinato dei padroni della confederazione padronale Medef (equivalente francese di Confindustria - NdT), ad esprimere la prima base d'accordo: lo Stato si sarebbe impegnato per la metà dei 200 euro e i padroni e gli enti locali avrebbero fatto il resto! Era il corpo centrale della sua proposta. Ci furono ancora ore di trattative su qualche particolare comunque importante: fino a che livello di salario questo aumento si sarebbe applicato? E le altre categorie, e i salariati con orari parziali, ecc? Poi un preaccordo fu stabilito e doveva essere firmato poche ore dopo. Ma nel momento di firmare, tutta la popolazione venne a sapere con stupore che Jego era ripartito, sconfessato dal suo governo! L'accordo, secondo il primo ministro Fillon, non era più possibile.
Il passo falso di Jego, sconfessato da Fillon : i grossi béké sono dietro le quinte
Il governo rifiutava di sancire l'accordo steso dal suo proprio inviato, incaricato da lui per i negoziati. Questa partenza fu accolta come una nuova dimostrazione del disprezzo di chi governa. Il prefetto rifiutò allora di ricevere una delegazione di scioperanti perché, disse, non c'era più niente da dire! Nomertin affermò : "il potere è vacante, tocca a noi sostituirlo". I manifestanti arrabbiati non erano molto lontano dal pensarlo. Nuove forze di repressione erano state inviate davanti ai cancelli della prefettura, prova che le autorità sapevano che la partenza di Jego sarebbe stata interpretata per ciò che era, un tradimento e un modo per non lasciare gli scioperanti vincere minimamente. L'opinione generale era che i grossi béké erano intervenuti presso Fillon o anche Sarkozy per fare fallire l'accordo. Ipotesi altamente probabile, conoscendo le abitudini dei capitalisti e i loro legami col potere.
Il movimento diventa più duro: i blocchi delle strade (16 - 20 febbraio)
Dopo questo episodio il numero dei manifestanti aumentò ancora. Ma a questo punto i dirigenti della LKP annunciarono: "siamo stanchi di marciare nelle strade", "non marceremo più", "bisogna fermare tutto, il paese deve essere completamente bloccato! Fate dei blocchi dappertutto, su tutte le strade, non deve funzionare più niente".
Per reazione alla partenza di Jego e all'atteggiamento del governo francese che sconfessava l'accordo concluso, la LKP chiamò la popolazione a fare blocchi dappertutto, dove si poteva. Allora apparsero una moltitudine di blocchi su tutte le strade della Guadalupe. Qualche volta la gente costruiva dei blocchi nel proprio quartiere; giovani delle campagne lo fecero a loro volta, costruendo qua e là su qualche strada secondaria sbarramenti presidiati e controllati molto seriamente. Tale reazione della popolazione dimostrava a che punto il movimento era popolare in tutta l'isola, compreso nelle zone rurali.
I principali blocchi però furono costruiti sui grandi assi stradali, essenzialmente dai militanti del movimento, sindacalisti, militanti politici, ecc.. Al tempo stesso molta popolazione delle vicinanze veniva a portare il suo sostegno a questi blocchi, in particolare i giovani che partecipavano direttamente al loro consolidamento e alla loro difesa di fronte ai gendarmi.
La tattica era di non opporsi direttamente ai gendarmi, ma quando questi avevano sgomberato gli sbarramenti, bisognava immediatamente ricostruirli. In questo gioco, molto spesso, nonostante la superiorità, la possibilità di lanciare lacrimogeni sui manifestanti, le forze di repressione si stancavano perché dovevano al tempo stesso far fronte a numerosi blocchi costruiti in numerosi punti del territorio.
Almeno in due zone, Gosier (Poucette) e il ponte della Boucan, i gendarmi non riuscirono mai a distruggere i blocchi, tanto l'opposizione di fronte a loro era forte.
La presenza ai blocchi fu l'occasione di numerosi scambi e un'esperienza utile per i più giovani che così dimostrarono il loro coraggio e la loro determinazione.
Ma innanzitutto questi blocchi erano l'occasione per la popolazione, per i giovani e i meno giovani e le donne dei quartieri vicini, di prendere nelle proprie mani l'organizzazione di questo aspetto della lotta. Si cominciava con la preparazione, poiché per costruire uno blocco ci vogliono molti materiali e non si possono improvvisare al momento in cui viene dato l'ordine di costruire gli sbarramenti. Bisogna avere sottomano tutti il necessario; quindi in tutti i luoghi dove si dovevano costruire gli sbarramenti, i materiali necessari furono radunati nelle vicinanze: vecchie carrozzerie di macchine, vecchi frigoriferi, massi ed ogni genere di materiali raccolti nei quartieri o nelle discariche selvagge dovevano essere portati lì.
Successivamente, bisognava costruire lo sbarramento prima dell'arrivo delle forze di repressione, preferibilmente di notte, e costituire squadre intorno a questi blocchi; si stabiliva un collegamento tra quelli che erano su questi sbarramenti e i paesi vicini.
Su certi sbarramenti come La Boucan-Sainte-Rose, fu eretta un'autentica fortezza. Tutto il quartiere intorno, che ha una lunga esperienza degli sbarramenti, si era organizzato per reggere più a lungo possibile di fronte alle forze di repressione. Tutto era previsto anche, da parte degli abitanti del quartiere, l'alimentazione dei combattenti perché uno sbarramento va presidiato e ricostituito giorno e notte. Tali sbarramenti popolari sono apparsi a Capesterre, Morne-à-l'eau, Sainte-Anne, Gosier, Petit-Bourg.
Bisognava anche prendere sul posto varie decisioni: chi si poteva lasciare passare e chi no, le ambulanze, i pompieri? Fino a che punto bisognava resistere alle forze di repressione? Spesso non era tanto facile, tra l'altro con i giovani che qualche volta volevano confrontarsi comunque con queste forze di repressione che consideravano una vera provocazione. Tutto questo, lo dovevano decidere i manifestanti degli sbarramenti e la popolazione presente. A seconda degli sbarramenti le cose si svolgevano più o meno così, e qualche volta militanti di organizzazioni decidevano praticamente senza preoccuparsi di fare partecipare la popolazione intorno. Ma non avveniva sempre così, perché la popolazione si sentiva coinvolta in ciò che succedeva.
Occorre anche parlare dello sbarramento di Gosier (sulla strada nazionale) che fu il primo sbarramento eretto dopo l'appello della LKP. Gli elementi che lo componevano erano disposti su più di 1 km di strada. Lì si raggrupparono parecchie centinaia di manifestanti e di gente della popolazione delle vicinanze.
Il primo urto con le molto numerose forze di repressione fu duro, tentarono allora una manovra d'intimidazione, accerchiando una quarantina di manifestanti, vietandogli di circolare e di essere attivi sullo sbarramento. Quel giorno la popolazione fu cacciata a colpi di granate lacrimogene e manganellate. Alex Lollia, responsabile sindacale della CTU, fu ferito e severamente picchiato al punto di dovere essere ricoverato all'ospedale. Una decina di manifestanti furono anche arrestati e trasportati al commissariato di Pointe-à-Pitre.
Ma questo episodio portò a un'importante manifestazione nelle vicinanze del commissariato per chiedere la loro liberazione, e una folla di avvocati, simpatizzanti della LKP, si recò al commissariato accompagnata da una delegazione della LKP per esigere la scarcerazione di questi manifestanti.
Un episodio significativo: quando i poliziotti chiesero l'identità ai manifestanti solo tre di loro avevano i documenti, questi risposero alla domanda in questo modo: "mi chiamo LKP1, LKP2, LKP3...". Gli fu consegnato quindi un avviso di garanzia in cui veniva ufficialmente indicato che i sunnominati LKP1, LKP2, LKP3, ecc..; dovevano presentarsi in tribunale nel mese di giugno! Nonostante questi tentativi d'intimidazione lo sbarramento resse fino alla decisione della LKP di attenuare i blochi. Ma anche allora bisognava praticamente avere una guida per riuscire a circolare nel dedalo che si era creato.
L'assassinio e i funerali di Jacques Bino: apogeo e svolta del movimento (22 febbraio)
Nella notte più dura, dopo due giorni di blocchi, ci furono numerosi scontri tra gruppi di giovani col passamontagna e le forze di repressione. Alcuni incendi scoppiarono qua e là, il centro commerciale di Destrelland fu attaccato da gruppi di giovani ben organizzati, col passamontagna, questi filmati nelle strade da una televisione spiegavano senza nessuna ambiguità il loro impegno nel movimento in corso, dicendo in sostanza: solo questo linguaggio, quello della violenza, li farà tornare alla trattativa; se è quello che vogliono, allora gliela daremo!
I gendarmi riuscirono a respingere con difficoltà i gruppi che attaccavano il centro commerciale. Infatti in vari punti delle zone urbane ci furono vere e proprie esplosioni di collera, accompagnate da ogni genere di danni (incendi di negozi, di macchine, occupazione e depredazioni al palazzo di città di Sainte-Rose, blocchi incendiati a Pointe-à-Pitre, ecc.).
In questa valanga di violenza e di distruzione, non tutto veniva necessariamente da manifestanti e nell'ambito del movimento intorno allo sciopero generale. Alcuni delinquenti approfittavano del clima per agire per il proprio conto, per il proprio obiettivo, ma anche fra di loro c'era gente che dirigeva i colpi contro le forze di repressione.
Nel corso della notte del 17 febbraio il sindacalista Jacques Bino fu ucciso in circostanze che non sono ancora chiarite, nonostante il fatto che un uomo sarebbe poi venuto spontaneamente consegnarsi alla giustizia e autoaccusarsi dell'assassinio. Questa morte provocò un'emozione enorme, anche perché si trattava di un militante della CGTG e del movimento culturale Akiyo. La LKP decise che tutto il movimento gli avrebbe reso omaggio e per due giorni ci fu la veglia e i funerali.
In seno alla LKP alcuni chiesero durante questi due giorni di attenuare i blocchi (i manifestanti aprivano dei passaggi ma gli sbarramenti non venivano smantellati) per permettere a più persone possibile di recarsi alla veglia e ai funerali. Questi ultimi si trasformarono in un'impressionante manifestazione in cui si affermò con forza un sentimento di solidarietà e di dignità, sentimento che sembrava unire, saldare tutti i presenti contro l'oppressione e l'umiliazione del potere politico ed economico bianco.
La prefettura e i padroni annunciano una ripresa delle trattative in presenza di due "mediatori" inviati dal governo
Di fronte all'importanza degli incidenti della notte e alla resistenza ostinata degli sbarramenti, il prefetto con l'appoggio del governo moltiplicò le offerte di ripresa delle trattative. La LKP riaffermò che la sola base di discussione era il preaccordo discusso l'8 febbraio e niente altro. Dopo varie peripezie le trattative ripresero.
L'attenuazione dei blocchi deciso durante l'omaggio a Bino, proseguì durante tutte le trattative. Ma nel frattempo il prefetto, probabilmente su ordine del governo, decise di soddisfare le rivendicazioni dei gestori di stazioni di servizio. La sistemazione di stazioni automatiche voluta da un gruppo di grandi capitalisti locali fu molto limitata e i piccoli gestori valutarono che avevano abbastanza garanzie da potere riaprire le stazioni. Ma siccome la maggioranza dei salariati di queste stazioni era in sciopero, la distribuzione di benzina rimase molto difficile, tra l'altro gli incidenti si moltiplicarono in queste stazioni dove ogni tanto intervenivano le forze di repressione per fare applicare la precettazione del prefetto. Questi, chiaramente, aveva voluto liberarsi dal problema dei gestori, sperando di fare arrivare quantità di carburanti per esercitare una pressione dei non-scioperanti e degli anti-LKP sul movimento. Ma nonostante alcuni servizi e attività ripresero, il movimento appariva sempre fortissimo. Questo fu dimostrato a più riprese durante varie manifestazioni: l'accompagnamento della delegazione che negoziava, la chiusura dei negozi di Pointe-à-Pitre, la chiusura della zona industriale di Jarry, la manifestazione degli scioperanti nei centri commerciali, il mantenimento della chiusura degli alberghi, i picchetti di sciopero all'elettricità, ecc.. Quindi, il gran colpo della "liberazione" del carburante non riuscì a dividere né ad indebolire il movimento. Le scuole rimasero chiuse, i trasportatori rimasero immobili, continuavano i picchetti di sciopero dei lavoratori dell'energia, sempre pronti in caso di necessità ad interrompere massicciamente l'elettricità, aspettando che un accordo complessivo fosse firmato con la LKP.
Quando, fra sospensioni e riprese, le trattative ricominciarono, questa volta andarono avanti fino alla firma, il 26 febbraio, dell'accordo sui 200 euro chiamato "accordo Jacques Bino" in omaggio al militante assassinato durante gli avvenimenti. La confederazione padronale Medef si rifiutò di firmare per due ragioni. Una, disse, era che il preambolo dell'accordo parlava di "economia di piantagioni" ereditata dal passato coloniale. E poi, e soprattutto, l'articolo 5 dell'accordo dice che la ripartizione attuale dei 200 euro tra i padroni, gli enti locali e lo Stato, si sarebbe evoluta: entro 12 mesi la parte degli enti (50 euro) sarebbe messa a carico dei padroni, e entro 36 mesi anche la parte dello Stato sarebbe ripresa al conto dei padroni. Questo punto, ancora oggi, blocca la firma di alcuni padroni. Ma il Medef ha mostrato così la sua malafede perché questa confederazione raggruppa i più grossi e più ricchi padroni delle due isole. Questo era tanto più evidente poiché la maggior parte dei piccoli e medi padroni hanno firmato l'accordo scaturito dalla trattativa.
Questa rivendicazione dei 200 euro è stato il punto di confronto di avversari sociali che li fece scontrare in campo, l'uno contro l'altro. Infatti, oltre il contenuto materiale della rivendicazione dei 200 euro, i padroni ed anche il loro Stato, non volevano accettare di arretrare su questo punto. Perché con questo sciopero generale, con queste rivendicazioni vi era da parte dei lavoratori un cambio di atteggiamento: passavano dalla difensiva all'offensiva! I padroni volevano fare sì che fosse un fallimento. Ma questa gente, nonostante lo Stato con le sue forze di repressione, nonostante la furbizia e le manovre dei suoi politici, non ci riuscirono perché di fronte hanno trovato tutta una classe di lavoratori salariati mobilitati, a cui si affiancò mobilitandosi, l'immensa maggioranza dei ceti popolari!
Su altri punti che erano anche importanti nella lista dei 160 punti, la LKP sostenuta largamente dagli scioperanti e dalla popolazione mobilitata, valutò che bisognava andare fino ad un accordo complessivo abbastanza chiaro da potere sospendere lo sciopero generale. La sospensione arrivò mercoledì 4 marzo, dopo 44 giorni di sciopero.
La LKP, dirigente dello sciopero del 20 gennaio
Come l'abbiamo detto precedentemente, la principale forza organizzata in seno alla LKP era l'UGTG. Ma non era l'unica. Ognuna delle 48 organizzazioni presenti dava un effettivo contributo, sia rispetto alla presenza nelle aziende che alla notorietà nella popolazione e tra i lavoratori. Così la CGTG è meno radicata dell'UGTG ma lo è in settori importanti quali l'elettricità (nelle tre centrali elettriche dell'isola), le fabbriche di zucchero, la grandi aziende della zona industriale, la distribuzione d'acqua, alcuni grandi supermercati, nell'edilizia e nelle piantagioni di banane. La CTU è importante in alcuni grandi supermercati. Ma la grande forza dell'UGTG sta nell'essere maggioritaria in numerosi settori dove sono presenti innanzitutto giovani lavoratori: le stazioni di servizio, gli alberghi, la vigilanza, gli impiegati comunali, i grandi supermercati, le società di pulizie e di manutenzione e tramite il personale della Camera di Commercio sull'aeroporto di Les Abymes. Alle ultime elezioni dei probiviri, l'UGTG è stata la prima organizzazione, ottenendo in modo schiacciante la metà dei voti espressi, seguita dalla CGTG col 19%, mentre l'insieme degli altri sindacati si dividevano il resto dei voti.
Il movimento fu lanciato e diretto dalla LKP e rimase sempre sotto la sua direzione. Bisogna notare che da anni si è assistito allo svolgimento di numerosi scioperi, i lavoratori della Guadalupe hanno dato prova di una reale combattività. Spesso sono i lavoratori stessi a decidere questi scioperi, accompagnati o sostenuti dai sindacati. Non esiste più nessuna burocrazia sindacale abbastanza forte da addormentare questa combattività o da sviarla.
Questo si spiega con la storia recente del partito comunista (PCG) che dal 1945 al 1960 era radicato fra le masse, ottenendo importanti successi elettorali, poi perse progressivamente questa influenza dopo parecchie scissioni nelle sue file. Questo ebbe conseguenze anche sulla CGTG di cui i principali dirigenti e militanti attivi erano membri del PCG. La CGTG subì un primo riflusso con la quasi scomparsa del settore dello zucchero: ci furono migliaia di licenziamenti nelle fabbriche di zucchero e le piantagioni. Durante gli anni sessanta la CGTG apparve come un'organizzazione meno combattiva e, all'inizio degli anni settanta, fu direttamente contestata dai lavoratori nelle piantagioni, nell'edilizia, il commercio e tra i portuali.
I primi militanti indipendentisti si appoggiarono a questo malcontento per creare i primi sindacati influenzati o diretti da indipendentisti con l'aiuto di militanti in rottura con la CGTG. Così nacquero l'UTA (Unione dei lavoratori agricoli), poi l'UGTG (Unione generale dei lavoratori della Guadalupe), poi l'unione dei lavoratori della sanità che divenne maggioritaria negli ospedali e cliniche facendo rifluire in modo spettacolare l'influenza dominante della CGTG. Crollarono anche i sindacati del commercio della CGTG e solo l'edilizia, l'elettricità, le piantagioni di banane e le ultime fabbriche di zucchero resistettero. Le varie scissioni che si svolsero nel PCG lo indebolirono definitivamente e parallelamente questo indebolimento fu trasmesso alla CGTG. Durante alcuni anni essa resistette bene o male alla pressione dei sindacati indipendentisti. Poi ci fu una ripresa dalla fine degli anni novanta (1997-1999).
Oggi tutti i sindacati esistenti sono piuttosto combattivi e non sono sotto l'influenza di un apparato che abbia la propria politica, sorto dalle sue file o da un gran partito riformista, e abbastanza forte da giocare un ruolo di freno alla combattività dei lavoratori.
Tale situazione favorisce ovviamente le lotte e quando la LKP indisse lo sciopero generale, bastò che questo appello corrispondesse all'ascesa di un profondo malcontento tra i lavoratori, ma anche tra tutti i ceti popolari poveri, per far scendere nelle piazze ad ogni manifestazione decine di migliaia di lavoratori, di giovani disoccupati e disoccupate, e di pensionati...
Cosa hanno guadagnato i lavoratori e tutti i partecipanti di questo grande movimento in questo sciopero generale?
Il padroni e il governo hanno fatto di tutto per impedire che gli scioperanti e tutto il movimento popolare a loro intorno non ottenessero la vittoria. Hanno trascinato le cose per le lunghe, il tanto e più possibile. Hanno cominciato a discutere sulla "forma della discussione", hanno cercato di fare passare l'idea che, visto l'importanza della lista di rivendicazioni, fosse meglio sospendere lo sciopero per continuare la discussione. Il Medef rappresentante del grande padronato all'inizio ha raggruppato dietro di se tutto il padronato, grande, medio e piccolo, nero e bianco, assicurando che una rivendicazione di 200 euro di aumento avrebbe condotto alla morte delle imprese. Ma davanti alla determinazione e al rafforzamento continuo delle manifestazioni, padroni e governo hanno dovuto constatare l'evidenza: occorreva negoziare o almeno far finta di negoziare. Ci fu l'episodio della partenza del prefetto durante la prima trattativa, poi ci fu la partenza di Jego. Poi ci fu una sceneggiata organizzata all'Eliseo da Sarkozy con la riunione degli eletti dei dipartimenti d'oltremare.
Nonostante tutti questi indugi, tutti questi tentativi di contare sull'esaurimento dello sciopero, esso ha retto. I padroni dovevano rassegnarsi a cedere su un certo numero di punti. Alla fine, rispetto ai salari, l'accordo sui 200 euro firmato giovedì 26 febbraio era praticamente quello che Jego aveva accettato, poi che il governo aveva sconfessato: comportava una parte padronale, una parte degli enti locali e una parte dal governo (100 euro). È lì che si vede il cinismo di questa gente perché questi piccoli giochi ignobili hanno avuto delle conseguenze tragiche. È stato il loro rifiuto di soddisfare le rivendicazioni, le loro manovre, a sollevare il sentimento di sdegno di tutta la popolazione e degli scioperanti! È stato questo che ha provocato un indurimento delle manifestazioni. E è stato nel corso di una di queste notti di lotta che Bino, militante della CGTG e militante culturale, fu ucciso. È stato nel corso di queste notti di blocchi che un altro giovane morì contro un ostacolo, un terzo fu ferito gravemente e parecchi giovani subirono da parte dei gendarmi ferite da armi da fuoco alla gambe.
Niente di tutto questo sarebbe successo se l'accordo stabilito in presenza di Jego (l'8 febbraio!) fosse stato siglato due settimane prima. Ma il gran padronato si era impuntato, fra loto uno degli Hayot, uno dei più ricchi padroni della Martinica e della Guadalupe, uno di quelli che possono entrare all'Eliseo senza neanche mostrare il documento, uno di quelli che possono svegliare Fillon in piena notte per chiedergli un servizio o per esigerlo.
Questo accordo di per sé non rappresentava un immenso sforzo da parte dei padroni poiché lo Stato e gli enti locali prendevano a carico più della metà di questi 200 euro di aumento, per tre anni. Ma ciò che il padronato rifiutava era di vedere una lotta in cui i salariati avevano preso l'offensiva, una lotta generale per costringerli a cedere qualcosa. Hayot, gran capo degli sfruttatori delle Antille non voleva in nessun modo uscire dal conflitto cedendo davanti ai lavoratori. Tanto più che a partire dal 5 febbraio un imponente movimento di sciopero generale cominciò anche in Martinica, santuario e riserva di caccia di questi grandi padroni béké eredi in linea diretta dei grandi piantatori schiavisti del Settecento e dell'Ottocento. Questo era inaccettabile. Allora cercarono di scoraggiare gli scioperanti trascinando le cose per le lunghe.
Ma la determinazione degli scioperanti era tale, il sostegno popolare così immenso che furono costretti a mollare su un certo numero di punti. L'accordo Jego fu ripreso, i padroni lesinarono un po', passando da 1,6 salario minimo ad 1,4 e da un aumento del 6% al 4% per gli altri. I prezzi dei carburanti subirono un nuovo ribasso, il congelamento degli affitti e l'annullamento dell'aumento dell'inizio di gennaio furono effettivi, gli insegnanti ottennero la nomina di 19 insegnanti sui posti liberi ed anche altre rivendicazioni. Poiché il Medef rifiutò di firmare l'accordo sul salario, il governo si impegnò a lanciare una procedura di estensione dell'accordo a tutte le imprese del privato. Ma i lavoratori, non fidandosi per niente della parola del governo, decisero di andare loro stessi costringere, grazie alla mobilitazione, tutte le "imprese Medef" ad applicare l'accordo.
Questo ha portato, anche dopo la sospensione ufficiale del conflitto, ad una nuova ondata di mobilitazione. Si è visto di nuovo agire lo "sciopero marciante". Centinaia di scioperanti sono andati da un centro commerciale all'altro, da un albergo all'altro, su tutta la zona industriale per imporre l'applicazione dell'accordo Bino (nome che la LKP fece iscrivere sull'accordo salariale in omaggio al sindacalista assassinato durante gli avvenimenti). Dappertutto i lavoratori riprendevano la parola d'ordine: "applicate l'accordo Bino". E infatti oggi l'accordo si è generalizzato anche se rimangono ancora alcuni padroni recalcitranti da convincere. Anche le imprese appartenente ad Hayot hanno dovuto rassegnarsi e oggi quasi tutti hanno accettato di applicarlo. Alcuni l'hanno fatto pur dicendo che rifiutavano di firmare il preambolo dell'accordo perché li designava come eredi dell'economia schiavista. Ma tutti accettarono il principio dei 200 euro.
Aggiungiamo al bilancio numerosi altri punti in cui le cose sono cambiate o stanno cambiando, tra l'altro nei servizi, le spese bancarie, la tariffa della distribuzione dell'acqua in cui erano stati denunciati numerosi abusi. I precari non hanno ancora ottenuto soddisfazione sulla loro situazione, con i cosiddetti contratti aiutati, ma oggi sono mobilitati e decisi a migliorare la loro situazione. Sarebbe troppo lungo esaminare la centinaia di punti della piattaforma della LKP, ma sotto molti aspetti dei miglioramenti sono stati ottenuti. La lista definitiva dei prodotti sottomessi al ribasso dei prezzi non è ancora pubblicata, ma anche lì la trattativa prosegue tra la delegazione della LKP e i rappresentanti della grande distribuzione, sotto la pressione di manifestanti sempre presenti vicino ai luoghi di trattativa. Ciò che si aspetta è un ribasso dal 15 al 20% su una lista di 100 generi di prodotti di prima necessità.
Nel complesso, quindi, questo sciopero generale è stato un importante successo dei lavoratori e della popolazione povera. Questo successo è confermato da ciò che è successo in Martinica dove lo sciopero generale, anche lì, ha fatto indietreggiare i grandi padroni (gli stessi della Guadalupe!) e in particolare la loro componente béké così arrogante e sprezzante nei confronti dei lavoratori.
Nonostante le difficoltà del movimento, nonostante la lunghezza di questo sciopero, è un successo perché ciò che gli scioperanti hanno ottenuto in questo movimento è molto più di tutto ciò che avrebbero potuto ottenere in scioperi settoriali o isolati. Ma oltre le rivendicazioni materiali conquistate, il grande movimento che hanno appena condotto gli ha permesso di prendere coscienza dell'immensa forza collettiva che rappresentano.
Ormai sanno che tutti insieme sono più forti che da soli nella loro impresa, che da soli nel loro quartiere. E' un'importantissima acquisizione per il futuro. L'esperienza dello sciopero generale segnerà profondamente l'insieme dei lavoratori e l'insieme dei ceti poveri della Guadalupe. Si può dire che il metodo è acquisito, fa ormai parte dell'esperienza e sarà ripetuto in futuro. I lavoratori lo sanno e lo dicono: siamo solo alla prima battaglia, sia perché la crisi in corso a livello mondiale li costringerà a riesaminare sia il salario che il ribasso dei prezzi, sia perché i padroni, vendicativi e naturalmente in cerca di rivincita, proveranno con tutti i mezzi ad annullare ciò che è stato conquistato in questo sciopero generale.
Allora un giorno o l'altro bisognerà ricominciare e occorrerà farlo meglio, correggendo gli errori e le insufficienze di questo primo movimento. I lavoratori sanno essere autocritici. Sapranno vedere dove erano le debolezze e si può dire che il prossimo sciopero generale si svolgerà ad un altro livello, avrà obiettivi più alti e contesterà ben più fortemente il dominio del padronato sulla società e il suo controllo dell'economia.
26 marzo 2009