Se la destra fiamminga appare oggi particolarmente aggressiva nelle sue rivendicazioni particolaristiche, la sinistra vallona ha giocato anch'essa un triste ruolo nell'ascesa del regionalismo in Belgio. In particolare durante le due grandi crisi politiche che scossero il paese a dieci anni di distanza l'una dall'altra, nel 1950-51 e nel 1960-61.
La prima di queste crisi si sviluppò intorno a quella che venne chiamata la "questione reale". Nel maggio 1940 il re Leopoldo III, comandante in capo dell'esercito, dopo aver capitolato davanti all'esercito tedesco, era rimasto in Belgio mentre il suo governo, in esilio, lo dichiarava "incapace di regnare". Il suo atteggiamento, giudicato di collaborazione passiva con l'occupante, aveva eroso fortemente la sua popolarità. Trasferitosi in Germania nel 1944, si era ritirato in Svizzera dopo la fine della guerra. Nel frattempo la reggenza del regno era stata affidata a suo fratello. Nel marzo del 1950 fu organizzato un referendum sul ritorno del re. Il 57,7% dei belgi votarono a favore. Ma furono solo il 42% in Vallonia (Il 48,16% nel distretto di Bruxelles) mentre il "sì" fu largamente maggioritario nelle Fiandre. Infatti, a guardar bene, tali differenze erano determinate più da ragioni sociali che non da ragioni linguistiche. Il "no" più vigoroso venne dalle regioni operaie. Nelle Fiandre fu Anversa a dare la più bassa percentuale di "sì". In Vallonia quattro distretti su 13 si pronunciarono per il "sì".
I partiti di sinistra scatenarono una campagna di protesta contro il ritorno del re. Ma non per esigere una forma repubblicana di governo (il che ovviamente non avrebbe fatto altro che cambiare la forma del dominio capitalistico), bensì per chiedere che a salire sul trono del Belgio fosse un altro membro della famiglia reale.
La crisi toccò il suo culmine nel luglio 1951. Leopoldo III era tornato a Bruxelles il 22. Quattro giorni dopo ci fu uno sciopero generale nella regione di Liegi. La tensione salì ancora il 30, quando l'intervento della gendarmeria fece quattro morti durante un comizio.
La sinistra decise allora di organizzare una marcia su Bruxelles per esigere la partenza del re. Data la situazione, Leopoldo III si rassegnò finalmente ad abdicare a favore del figlio primogenito, Balduino.
Uno dei dirigenti della FGTB (Federazione Generale dei lavoratori del Belgio, sindacato che si definiva socialista), André Renard, il cui feudo era costituito dalla metallurgia di Liegi, si fece particolarmente notare nel corso di questa crisi proponendo la formazione di un governo separatista vallone, un progetto che l'abdicazione di Leopoldo III gettò nel dimenticatoio.
Dieci anni dopo, lo stesso Renard avrebbe giocato un ruolo determinante nello svolgimento di quello che fu chiamato "lo sciopero del secolo".
Nel 1960 il Belgio era governato da un gabinetto di destra presieduto da Gaston Eyskens (social-cristiano), e il partito socialista era all'opposizione dopo la sconfitta elettorale del mese di settembre. Questo governo volle fare applicare un piano di austerità conosciuto sotto il nome di "legge unica", che era una vera e propria dichiarazione di guerra a tutti i lavoratori del Belgio.
André Renard, vicesegretario generale della FGTB, incarnava una corrente che si dichiarava di sinistra ed insisteva sulla necessità di "riforme strutturali" che figuravano nel programma sindacale dal 1954. Ovviamente era molto corteggiato dalla maggior parte dei gruppi e dei militanti dell'estrema sinistra.
Il 16 dicembre del 1960, al comitato nazionale della FGTB, Renard presentò una mozione che evocava la preparazione di uno sciopero generale contro la legge unica, ed ebbe quasi la maggioranza. Ma fu la centrale dei servizi pubblici (un ramo della FGTB) a dare il primo segnale di lotta, chiamando ad uno sciopero ad oltranza a partire dal 20 dicembre, giorno in cui la "legge unica" doveva essere presentata alla Camera dei Deputati. Lo sciopero si estese a macchia d'olio in tutte le categorie.
La confederazione dei sindacati cristiani (CSC), pur criticando alcuni aspetti della "legge unica", prese posizione contro lo sciopero, tanto più che il cardinale Van Roey, primate del Belgio, pubblicò una dichiarazione nella quale affermava che "gli scioperi disordinati e irragionevoli a cui stiamo assistendo adesso vanno respinti e condannati da tutta la gente onesta e da tutti quelli che hanno ancora il senso della giustizia e del bene comune". Tale presa di posizione sollevò delle proteste alla base della CSC. Parecchie centrali sindacali cristiane, in Vallonia come nelle Fiandre dove la CSC era maggioritaria, si schierarono con lo sciopero in opposizione alla loro confederazione.
Sin dal 23 dicembre le organizzazioni regionali della FGTB di Liegi e di Namur avevano chiamato allo sciopero generale. Ma la direzione della FGTB in quanto tale si rifiutò di seguire questo esempio. Non condannava il movimento, alla pari del partito socialista, a cui non dispiaceva vedere quanto fosse in difficoltà la destra che l'aveva cacciato dal governo. La direzione dello sciopero era assicurata di fatto da un comitato di coordinamento delle "regionali" sindacali valloni, insediato da Renard.
Al contrario di ciò che fu spesso affermato in seguito, e sebbene l'influenza della CSC e del cattolicesimo fosse importante, le Fiandre s'impegnarono nel movimento, che all'inizio fu largamente seguito ad Anversa e a Gand.
Il governo Eyskens scelse di lasciare marcire la situazione. La gendarmeria belga uccise tre manifestanti operai. Lo sciopero si prolungava, ma era chiaro che il governo sarebbe rimasto sulle sue posizioni, e occorreva cercare un'esito politico alla crisi.
L'idea di una marcia su Bruxelles cominciava ad estendersi tra gli scioperanti più radicali che si ricordavano del precedente del 1951 che aveva costretto Leopoldo III all'abdicazione. Ma questa volta i dirigenti del partito socialista e quelli della FGTB (Renard compreso), dichiararono che tale iniziativa sarebbe stata un'avventura politica da condannare. Di fronte ad un governo che prolungava il conflitto e scommetteva proprio sul fatto che né il partito socialista, né la FGTB avrebbero osato chiamare i lavoratori a rovesciarlo, lo sciopero non poteva proseguire all'infinito.
Il 22 gennaio, dopo 34 giorni di sciopero e dopo che il Parlamento aveva votato la "legge unica", le "regionali" vallone della FGTB decisero di "sospendere" lo sciopero, cioè di porvi fine.
Col pretesto che lo sciopero aveva iniziato ad indebolirsi nelle Fiandre (che il coordinamento delle "regionali" vallone aveva abbandonata alla sua sorte), Renard, a mo' di prospettiva politica, rilanciò la sua propaganda federalista. Mentre la borghesia e il governo belgi attaccavano sia i lavoratori valloni che quelli fiamminghi, egli propose ai lavoratori valloni di difendere i loro posti di lavoro e i loro salari nell'ambito della sola Vallonia, presentando i lavoratori fiamminghi come i responsabili del fallimento del movimento. Chiamò alla costruzione di un Movimento Popolare Vallone (MPW) i cui i membri avrebbero potuto avere una multi-appartenenza (PS, FGTB e MPW).
L'MPW conobbe un successo popolare incontestabile in Vallonia. Ma la rivendicazione del federalismo ebbe rapidamente la meglio sulle "riforme strutturali" che Renard presentava pure come essenziali. E dopo la sua morte prematura nel 1962, a 51 anni, l'MPW evolse sempre più apertamente verso destra.
Ma l'estrema sinistra belga, essenzialmente rappresentata dai militanti del Segretariato Internazionale della Quarta Internazionale (SI), che nel 1963 sarebbe diventato il Segretariato Unificato, non ebbe una parte gloriosa nel lancio del movimento. Dal 1952 la politica del SI era imperniata intorno all'"entrismo sui generis", che pretendeva che i militanti trotskisti influenzassero i socialdemocratici di sinistra (o i militanti dei partiti comunisti nei paesi in cui questi erano maggioritari nel movimento operaio). Gli aderenti del SI nel Belgio (il più conosciuto dei quali era Ernest Mandel) militavano quindi in seno al PSB e quelli più giovani alle JGS (giovani guardie socialiste).
Dopo la creazione dell'MPW, Mandel scriveva ai suoi compagni (dalle memorie di uno di loro, Georges Dobbeleer): "non dobbiamo nutrire nessuna illusione quanto alla possibilità pratica del movimento di ottenere il federalismo, senza parlare delle riforme strutturali anticapitalistiche. Però l'MPW si confonde essenzialmente con l'ala più combattiva dei sindacalisti e delle masse dei lavoratori di Vallonia (...). Raccomandiamo quindi a tutti gli amici valloni di entrare nell'MPW, e addirittura di prendere l'iniziativa di costituirne delle sezioni locali laddove possono farlo."
Mandel stesso doveva constatare pochi anni dopo: "nelle Fiandre l'identificazione del MPW con un ombroso autonomismo vallone spezzò di botto l'evoluzione a sinistra di decine di migliaia di scioperanti del dicembre 1960".
I militanti dell'SI si condannavano in questo modo a fare una acrobazia impossibile tra la loro difesa del federalismo vallone (che li porterà nel 1965 a militare in seno ad un "Partito Vallone dei Lavoratori" dopo la loro espulsione dal PSB) e -lo impone il trotskismo, d'altra parte- l'affermazione della loro solidarietà con i lavoratori fiamminghi.
Ma se all'inizio degli anni '60 la Vallonia era ancora la regione economicamente più sviluppata, e quindi la più operaia del Belgio, situazione di fatto sulla quale Renard si basava per giustificare le sue prese di posizione federaliste, mezzo secolo più tardi la situazione si era invertita a favore delle Fiandre. E, ritorno di fiamma della storia, ci sono purtroppo nelle Fiandre tanti demagoghi quanti ce ne furono in Vallonia (anche se socialmente e politicamente si collocano su un altro terreno) a promuovere la politica del "non c'è ragione di pagare per gli altri".
16 gennaio 2008