Francia: Una candidata comunista rivoluzionaria all'elezione presidenziale

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10 febbraio 2017

Lutte de classe n°181 - Febbraio 2017

Nell'elezione presidenziale che si terrà il 23 aprile e il 7 maggio in Francia, l'unica candidata che si dichiara comunista e vuole far sentire le esigenze dei lavoratori è Nathalie Arthaud, presentata da Lutte ouvrière (Lotta operaia). Riportiamo qui la traduzione di una parte del suo intervento nel comizio di Annonay (dipartimento dell'Ardèche) del 18 gennaio, in cui ha esposto il programma di classe da proporre all'approvazione dei lavoratori coscienti.

[...] Far sentire i nostri interessi di lavoratori salariati, di disoccupati, di pensionati in contrapposizione alla politica padronale, affermare le nostre rivendicazioni, i nostri obiettivi in quanto sfruttati, è ciò che di più utile possa essere fatto in queste elezioni.

I giochi sono fatti. Tutti coloro che hanno delle probabilità di accedere al secondo turno sono servi zelanti della borghesia. Dunque, non c'è motivo di trepidare: quello che uscirà dallo scrutinio a maggio sarà un nemico dei lavoratori. Per i lavoratori, la partita è truccata! Non dobbiamo prestarci a questo inganno elettorale.

Tuttavia, poiché ci danno la parola al primo turno, occorre cogliere l'occasione per esprimerci, per avanzare le nostre preoccupazioni di lavoratori, di operai, di disoccupati, di pensionati. Non lasciamo il monopolio della parola a politici borghesi, che pensano da borghesi! Facciamoci sentire! Abbiamo la nostra politica da difendere, una politica indipendente, una politica di classe, un programma per i lavoratori.

Farla finita con la disoccupazione: un lavoro ed un salario per tutti

Il primo punto di questo programma è sradicare la disoccupazione. Il padronato e tutti i politici al suo seguito sostengono che non si può far funzionare una fabbrica senza ordini sicuri e garantiti. Noi, in quanto lavoratori, dobbiamo affermare che non si può vivere senza lavoro e che la nostra vita non può dipendere dalle incertezze dei loro carnets di ordinazioni. Non siamo macchinari che si possono collegare o staccare. Abbiamo una vita, una famiglia. Gli affitti, le bollette cadono ogni mese, anche quando si è perso il posto di lavoro. Occorre sfamare i figli.

Occorre che tutti abbiano un lavoro ed un salario. La prima misura, di buon senso, è proibire i licenziamenti e i piani di soppressione di posti di lavoro, a cominciare dalle imprese che fanno profitti, pena l'espropriazione. Guardate cosa ha fatto il gruppo PSA Peugeot-Citroën. La PSA ha realizzato negli ultimi 18 mesi 2,4 miliardi di profitti ed ha soppresso 17000 posti di lavoro in tre anni. La Sanofi, che realizza da 7 ad 8 miliardi di euro di profitti ogni anno, ha soppresso 4700 posti di lavoro tra il 2008 ed il 2015, e ora ne sopprime altri 650! Certamente, costoro trovano sempre il modo di non parlare di licenziamenti, ma alla fine tutto questo si traduce in migliaia di disoccupati in più. Ebbene, occorre cominciare fermando tutti questi grandi produttori di disoccupati.

Non dimentico i salariati delle imprese più piccole e so che anche loro sono colpiti dai licenziamenti, ma la loro situazione dipende molto spesso dalle scelte di questi grandi gruppi. È il caso, ad esempio, della fabbrica Logo nel dipartimento del Giura, che rischia il fallimento con 220 licenziamenti in quanto il principale acquirente, la LVMH, ha deciso di interrompere le ordinazioni. Ebbene, occorre imporre alla LVMH di garantire un salario a tutti i lavoratori della Logo, i quali hanno contribuito alla prosperità del gruppo!

Parallelamente, occorre anche creare milioni di posti di lavoro per i giovani che entrano nel mercato del lavoro, per tutti coloro che da anni hanno diritto solo a poche ore di lavoro qua e là, per tutti coloro che sono respinti dalla produzione perché sono invalidi o disabili. Ciò è possibile da subito imponendo che il lavoro sia ripartito tra tutti. E sarebbe una misura salutare per tutto il mondo del lavoro.

In quasi tutte le imprese, nel privato come nel pubblico, il carico di lavoro è aumentato, gli orari di lavoro - a cui occorre aggiungere il tempo di trasporto - sono diventati intollerabili. Occorre alleviare la fatica di chi è occupato diminuendo l'orario lavorativo e creando dei veri posti di lavoro con contratti a tempo indeterminato e a salario pieno. Occorre fare l'opposto di ciò che la Renault sta facendo, e cioè imporre un secondo accordo di competitività con straordinari e sabati lavorativi obbligatori!

Osservate cosa succede con l'epidemia d'influenza: ci sono forse troppi infermieri o aiutanti negli ospedali? Osservate quel gran pasticcio qual è l'istruzione nazionale. Ci sono forse troppi insegnanti? Per quanto riguarda le case, ne servirebbero un milione alla portata di un salario operaio; non abbiamo più bisogno di muratori e di ingegneri? Occorre soddisfare numerosi bisogni nella società e creare molti posti di lavoro.

Alcuni ci spiegano che, con l'ammodernamento dei mezzi di produzione e con i guadagni di produttività, ci saranno sempre meno posti di lavoro. Ma questo è un ragionamento da padroni. Anziché creare la disoccupazione per gli uni e i sovraccarichi di lavoro per gli altri, i robot ed i guadagni di produttività dovrebbero alleviare la fatica dei salariati, diminuire i ritmi e l'orario di lavoro di tutti. Ma ciò implica che non si facciano funzionare le imprese allo scopo di ottenere sempre più profitti.

Se lasciamo fare al grande padronato, ben presto non ci saranno sei milioni di disoccupati, ma sette o otto milioni. La ripartizione del lavoro tra tutti e la riduzione dell'orario di lavoro sono obiettivi necessari per i lavoratori.

Sono anche prospettive vitali per tutta la società. La disoccupazione è una peste che fa imputridire la società dall'interno. Peggiora la miseria, crea marginalità. Spinge all'individualismo, alla concorrenza tra lavoratori. È anche da lì che nascono la paura dell'altro e la disumanizzazione sociale. La lotta contro la disoccupazione è una condizione di sopravvivenza per la società.

Nessun salario sotto 1800 euro netto; 300 euro di aumento per tutti

Bisogna aumentare i salari e le pensioni. I principali candidati che hanno delle probabilità di accedere all'Eliseo ci spiegano che per le imprese è impossibile aumentare lo smic, il salario minimo. La Le Pen spiega che lei "non ha mai proposto un aumento dello smic (Lo smic è il salario minimo legale in Francia - NdT) pagato dalle imprese", ciò perché innanzitutto non vuole creare difficoltà al padronato! Ma non esistono le difficoltà che hanno milioni di donne e di uomini a trovare casa, a curarsi o anche semplicemente ad alimentarsi, le privazioni che vengono loro inflitte perché mal retribuiti? La Le Pen e tutti gli altri candidati se ne fregano. Ebbene, noi no!

Capita che la CGT quantifichi a 1800 euro il salario mensile che oggi sarebbe necessario per vivere decentemente. La metà dei lavoratori dipendenti di questo paese guadagna meno di 1800 euro. Ebbene sì, nessun salario dovrebbe essere inferiore a 1800 euro netto e bisognerebbe aumentare tutti i salari di 300 euro. Sarebbe solo un recupero, dopo parecchi decenni di blocco dei salari, un blocco che demolisce gradualmente il potere d'acquisto dello stesso salario nominale.

Basta fare i conti. Occorre pagare tra 500 e 700 euro per l'affitto o il mutuo e a volte molto di più; 50 o 100 euro al mese per il gas, l'elettricità, l'acqua; 50 o 100 euro per le assicurazioni o la previdenza integrativa. Occorre pagare l'accesso a Internet, il telefono cellulare. Occorre pagare le rate dell'auto, assicurarla, fare il pieno, e sono almeno altri 400 o 500 euro che se ne vanno. Occorre poi pagare le tasse sul reddito, quelle sulla casa. Alla fine, ci rimane meno di una ventina di euro al giorno per pagare prodotti alimentari, vestiti, altri prodotti d'uso corrente, le distrazioni, il tempo libero e l'accesso alla cultura. Per chi ha figli, è ancora più difficile farcela.

Dunque, 1800 euro netti sono certamente il minimo necessario per tutti i salari e le pensioni! Quanto ai sussidi sociali minimi come l'RSA o l'assegno per adulti disabili, essi devono essere trasformati in salario perché tutti devono avere il diritto di essere inseriti in un'attività utile.

Questi 1800 euro sono soltanto un recupero. Dieci anni fa lo smic, che oggi è di 1150 euro netti, era di 1000 euro. E già all'epoca era in ritardo sull'inflazione. In dieci anni lo smic è aumentato del 15%. Ma lo sapete di quanto è aumentato il salario dei grandi manager? Del 65%!

Dunque sì, occorre un minimo di 1800 euro netto al mese ed un aumento di 300 euro di tutti i salari. E affinché questi aumenti siano duraturi, occorre che i salari e le pensioni seguano gli aumenti del costo della vita, quelli degli affitti, del gas, delle mutue, delle imposte e delle tasse. Ci dicono che non c'è più inflazione, ma basta paragonare la propria tassa sulla casa, la bolletta dell'elettricità o la polizza dell'assicurazione per vedere che i prezzi aumentano. Dunque, i nostri salari e le nostre pensioni devono seguire il costo della vita!

Alcuni esperti, molto ben pagati, mi hanno già spiegato a varie riprese che questo programma è completamente utopistico e costringerebbe molte imprese a chiudere. Parlo di 1800 euro al mese e mi si parla d'utopia! Sarebbe quindi utopistico sperare di vivere senza dover fare i conti per un solo euro speso? Sarebbe utopistico sperare di poter riscaldarsi come si deve, pagare gli studi dei figli, la patente? Allora, se è utopistico, se non è concepibile nell'ambito di questo sistema, vuol dire che senza il rovesciamento della borghesia non ci sarà salvezza per i lavoratori.

Curiosamente però, gli stessi che parlano d'utopia appena si parla del salario dei lavoratori non mostrano troppo sdegno davanti agli aumenti estravaganti del dirigente della Renault Carlos Ghosn, del dirigente della PSA Tavares e dei dirigenti di altre grandi imprese. Gli stessi sono a conoscenza dell'aumento dei dividendi degli azionisti delle imprese del Cac 40, e soprattutto della crescita incessante dei patrimoni dei più ricchi. Ebbene, chi dice che 1800 euro al mese sono un'utopia, fa una scelta di classe.

Se c'è un'utopia, essa sta nell'attendersi questi aumenti dai borghesi o dal futuro presidente della Repubblica! Per riuscire ad ottenerli, occorrerà ricollegarsi alle lotte collettive ed imporre un nuovo rapporto di forza nei confronti del padronato.

Controllo dei lavoratori sulle imprese

L'ho detto, la società è ricca, molto ricca. I padroni ci dicono che non hanno soldi per assumere, per aumentare i salari. Non li crediamo! Per loro contano solo i profitti.

Per questo motivo i lavoratori devono imporre la trasparenza sui conti delle imprese, quelli veri, non quelli che vengono dichiarati o comunicati ai sindacati nei comitati aziendali. Il grande padronato ha eretto la menzogna e l'opacità ad arte di governare. Ed anche se è di moda per i politici parlare di trasparenza e denunciare l'evasione fiscale, essi continuano a difendere il segreto degli affari e a vietare ai lavoratori dipendenti di rivelare le informazioni di cui dispongono sui conti dell'impresa.

Nell'aprile scorso, gli eurodeputati socialisti, quelli centristi dell'UDI e del Modem, quelli della destra e del FN si sono trovati d'accordo per votare, tutti insieme, la direttiva europea sulla protezione del segreto degli affari. E ci credo! Se i lavoratori avessero accesso a tutte queste contabilità, potrebbero conoscere quanto sia grande la frode quando si parla di costo del lavoro. Il lavoro non costa ai padroni, gli frutta. Anche il minimo centesimo guadagnato dalla borghesia trova origine nello sfruttamento del lavoro; i milioni di euro spesi dai ricchi per mantenere il loro tenore di vita da parassiti sono prodotti dalla fatica e dal sudore dei lavoratori.

La soppressione del segreto bancario e commerciale consentirebbe ai ragionieri, alle segretarie, ai magazzinieri, a tutti i lavoratori di comunicare le informazioni di cui sono a conoscenza. Molti lavoratori sono indignati dai comportamenti della loro direzione, perché sanno che sono contrari agli interessi dei suoi dipendenti, della popolazione o dell'ambiente.

I lavoratori sono spesso i primi a suonare il campanello d'allarme, semplicemente perché sono in prima fila e vedono cosa succede. Allora, occorre dare loro i mezzi legali di dire tutto ciò che vedono, senza essere minacciati di licenziamento o di misure di ritorsione. Bisogna sopprimere il segreto degli affari.

Questa misura è un obiettivo essenziale perché modificherebbe il rapporto di forza tra il padronato ed i lavoratori e darebbe nuovi strumenti a questi ultimi. Sarebbe la fine dei ricatti padronali, delle voci e delle notizie false. I lavoratori saprebbero cosa devono aspettarsi, potrebbero giocare d'anticipo, organizzarsi di fronte agli attacchi padronali e prendere l'iniziativa per imporre i loro interessi.

Un programma di classe

Questo è il nostro programma. Ma non è, come per tutti gli altri candidati, un elenco di promesse che saranno disattese con la stessa velocità di come sono state inventate. È un programma che ci deve orientare per le nostre battaglie quotidiane.

È anche un programma di sopravvivenza per i ceti popolari, che deriva dai nostri bisogni. È il programma più radicale, perché siamo gli unici ad impegnarci completamente dalla parte dei lavoratori. Perché, contrariamente agli altri candidati, non cerchiamo di salvare la borghesia ed i suoi profitti: la combattiamo e siamo pronti a combatterla fino alla fine, cioè fino ad espropriarla e a requisire le grandi imprese. Perché, contrariamente agli altri candidati, non consideriamo la competitività, il mercato e la concorrenza come leggi della natura, ma come le basi di un sistema stabilito da una minoranza e funzionale soltanto ad una minoranza. Possiamo difendere gli interessi vitali per il mondo del lavoro perché siamo comunisti.

Il voto ed il partito che manca ai lavoratori

Faccio appello ai lavoratori che sono d'accordo con questo programma affinché votino per la mia candidatura. Faccio loro appello ad esprimere un voto di classe e di combattività. Votare non è ancora agire e combattere davvero. Ma le battaglie cominciano nelle teste. Non ci si può lanciare in una battaglia senza essere sicuri della sua legittimità. Non si può vincere senza essere sicuri dei nostri interessi, senza capire dove sono i nostri nemici, i nostri falsi amici. Tutto ciò si plasma nella lotta delle idee e nella battaglia politica. Il primo turno di queste elezioni ci dà l'opportunità di avanzare in questa direzione, perciò bisogna seguirla.

Non abbiamo ancora un partito da opporre alla borghesia, o comunque non abbiamo un partito capace di condurre la battaglia politica ad armi pari con i partiti borghesi. E lì sta tutta la questione. Se da decenni le condizioni d'esistenza dei lavoratori arretrano, se i lavoratori sono disorientati, se la confusione impera in molte teste, è perché da tempo non ci sono più partiti operai degni di questo nome.

Il voto per la mia candidatura consentirà, nel periodo elettorale, di far apparire i lavoratori come una forza politica, come un campo politico. Ma bisogna che ciò si mantenga dopo le elezioni. Infatti, i lavoratori non hanno bisogno di esprimere i loro interessi soltanto al momento delle elezioni. Essi hanno bisogno di condurre questa battaglia in modo permanente, ogni giorno nelle imprese, ogni giorno contro la politica antioperaia attuata dai vari governi.

Occorre un partito che affermi che la società è divisa in due classi dagli interessi irriconciliabili e che dobbiamo batterci, contando soltanto sulle nostre forze, per difendere il nostro diritto all'esistenza. Un partito che affermerà che i lavoratori possono fare a meno del grande capitale, perché sono loro a far funzionare tutto nella società.

Votare non è ancora costruire un partito. Ma già significa riunirsi puntualmente dietro a una bandiera. E da un momento elettorale ad un altro, da movimenti di sciopero a manifestazioni, tutto è parte della costruzione del partito. Allora votate e portate la gente che vi è intorno per far sentire le esigenze dei lavoratori, aiutateci a costruire un partito per i lavoratori. [...]

18 gennaio 2017