Il terremoto del 12 gennaio in Haiti :catastrofe naturale su sfondo di catastrofe sociale (Da “Lutte de classe” n° 126 – Marzo 2010)

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Il terremoto del 12 gennaio in Haiti :catastrofe naturale su sfondo di catastrofe sociale
27 febbraio 2010

(Da : « Lutte de Classe n° 126 - marzo 2010)

300.000 morti e forse di più. Decine di migliaia di feriti, molti dei quali avranno gravi postumi. Parecchie città, di cui la capitale Port-au-Prince, in gran parte distrutte. 1.300.000 persone senza tetto che, un mese e mezzo dopo la catastrofe, continuano a vivere in condizioni precarie nelle strade e gli spazi all'aria aperta perché le scosse continuano a far crollare le case screpolate.

Ecco il risultato del terremoto del 12 gennaio in Haiti!

Questa catastrofe naturale, una delle più importanti di questi anni, era una catastrofe annunciata. Lo era la catastrofe naturale, nel senso letterale del termine, perché i geologi che conoscono l'esistenza della faglia fra le placche tettoniche sotto l'isola già da molto tempo lanciavano allarmi. Senza nessuno risultato, cioè senza la minima reazione, né delle autorità locali, né delle autorità internazionali.

Se la catastrofe naturale era annunciata, le sue conseguenze, cioè la catastrofe sociale, lo erano ancora di più. Oltre ad Haiti altri paesi hanno conosciuto in passato terremoti di magnitudine paragonabile. Ma quando si producono in California o in Giappone, anche se è sempre drammatico, le conseguenze in questi paesi sviluppati e ricchi non hanno paragone con le conseguenze che ci sono state in Haiti.

In questo paese, di cui bisogna ricordare che è il più povero dell'emisfero americano e uno dei più poveri del mondo, basta una tempesta tropicale, o anche semplicemente una grossa pioggia, per provocare decine, centinaia o addirittura migliaia di vittime. Perché non esistono nel paese né mezzi di prevenzione, né mezzi di soccorso. Perché la popolazione povera - che è la stragrande maggioranza - costruisce come può e dove può, con materiali di qualità scadente.

Alcuni pennivendoli imbecilli, a chi piace la formula, hanno ripreso l'espressione "la maledizione pesa su Haiti". Ma se una maledizione c'è, è quella di essere stata prima la più ricca colonia della Francia, che durante due secoli ha imposto la schiavitù e la coltivazione forsennata della canna da zucchero, e innanzitutto lo sfruttamento di chi la coltivava, gli schiavi portati lì dall'Africa.

Poi quando gli schiavi si sollevarono, nel contesto della rivoluzione francese; quando furono vittoriosi e cacciarono gli eserciti di Napoleone Bonaparte per proclamare l'indipendenza, facendo di Haiti il primo Stato sorto da una rivolta di schiavi vittoriosa, lo Stato francese non si è accontentato di farsi una ragione della sua sconfitta. Dopo di avere imposto all'ex colonia un embargo economico, lo Stato francese alleato con il piccolo ceto dirigente del nuovo Stato haitiano finì per imporre al paese il risarcimento per gli ex proprietari di schiavi. E durante otto decenni, mentre in Francia i governi cambiavano e anche i regimi, mentre si passava dalla monarchia al regno di Napoleone Terzo, poi alla repubblica, Haiti continuò a pagare.

Continuò a pagare un debito che, con gli interessi, dissanguò il paese o meglio la stragrande maggioranza della popolazione, i contadini, la gente umile delle città, sottomessi ad uno sfruttamento sfrenato per arricchire le grandi banche francesi di cui alcune, o le loro eredi, sono ancor oggi ben conosciute.

Poi nel secolo successivo, ai saccheggiatori francesi si sono aggiunti i saccheggiatori statunitensi i cui eserciti, tra l'altro, hanno occupato Haiti durante buona parte del Novecento.

E oggi ancora, se i proprietari delle poche aziende esistenti, raggruppate in gran parte nella zona industriale di Port-au-Prince, sono di varie nazionalità, compreso haitiana, questa zona stessa lavora per le grandi catene commerciali americane. Così, in questo paese così vicino alle coste americane, gli operai guadagnano in un mese circa quanto percepiscono gli operai americani in un giorno!

Allora, anche se tra chi è morto sotto le macerie ci sono notabili e borghesi, anche se lo stesso palazzo presidenziale è crollato, la stragrande maggioranza delle vittime sono poveri. Sono morti tanto e più di povertà che non a causa della natura.

Al contrario delle stupidaggini propagate dai grandi mezzi d' informazione che per parecchi giorni hanno messo l'accento sui "saccheggi" così come sull'intervento "umanitario" degli Stati Uniti o della Francia, chi è stato salvato lo è stato innanzitutto dalla popolazione stessa, dai vicini, dai familiari o no, che in uno straordinario slancio di solidarietà si sono sforzati di liberare a mani nude quelli che si trovavano sotto le macerie. E lo hanno fatto durante questi due primi giorni in cui gli elicotteri, americani in particolare, non facevano altro che sorvolare Port-au-Prince per preparare lo sbarco di aerei e di militari per mettere sotto controllo l'aeroporto di Haiti.

Mentre le televisioni di tutto il mondo servivano ai telespettatori immagini di buoni samaritani venuti dalle grandi potenze per salvare alcune decine di esseri umani, l'intervento di queste grandi potenze era e rimane ancora irrisorio rispetto alle loro possibilità. Di più, era un intervento mirato. Mentre i borghesi haitiani lasciavano il paese per mettersi al riparo delle scosse della terra e delle minacce di epidemie, molti quartieri popolari non avevano né cibo né acqua potabile.

E, nell'ambito di una rivalità abbastanza indecente tra le grandi potenze, vinta chiaramente da quella più potente, ognuna cercava innanzitutto a promuovere le sue posizioni diplomatiche o militari. Gli Stati Uniti per esempio hanno inviato molto più soldati che medici e infermieri. E nonostante Clinton, che si è autoproclamato operatore umanitario capo e si faceva riprendere da tutte le telecamere presenti, la popolazione che dorme per strada non ha avuto tende in numero sufficiente per ripararsi mentre comincia la stagione delle piogge!

Si faccia un paragone: per venire in aiuto ai più di un milione di senzatetto in Haiti, Obama aveva promesso 100 milioni di dollari di aiuti, che saranno alla fine forse 300 milioni. Per venire in aiuto ai banchieri, gli Stati Uniti avevano sbloccato mille miliardi.

La Francia da parte sua parla di 300 milioni di aiuti. Ma l'ammontare del debito imposto dalla Francia ad Haiti, che ha dissanguato questo paese durante parecchi decenni, è stimato a circa 600 miliardi di euro odierni!

Non sono mancate le riunioni, i colloqui, i vertici tra capi di Stato, col pretesto dell'aiuto ad Haiti. E neanche sono mancate le visite di capi di Stato, di cui il passaggio lampo di Sarkozy è stato tra i più schifosi, lui che ha passato poche ore a sorvolare le macerie per potere vantarsi di essere stato il primo capo di Stato francese a recarsi in Haiti!

Nel frattempo, una parte della popolazione della capitale, fuggendo per gli odori pestilenziali, per le minacce di epidemie o semplicemente per la mancanza di vitto e di acqua potabile, si è riversata verso le campagne dove anche non c'è cibo, o comunque non abbastanza per tutti questi profughi dell'interno.

Ma come un rifletto di questa società, mentre la città è un cumulo di macerie, la zona industriale grazie alle sue strutture leggere è stata risparmiata dal terremoto e ha ripreso a funzionare. E le operaie e gli operai del tessile o delle piccole fabbriche metalmeccaniche di Port-au-Prince hanno ormai il "privilegio" di attraversare una città distrutta per potere farsi sfruttare in cambio di un salario di tre o quattro dollari al giorno!

A che punto è la situazione oggi, a fine febbraio, circa sei settimane dopo il terremoto? Questi sono alcuni brani della testimonianza dei nostri compagni dell'Organizzazione dei lavoratori Rivoluzionari di Haiti (OTR - UCI):

"Giovedì 26 febbraio, l'ufficio della Protezione Civile decreta l"allerta arancione" su tutti i dipartimenti del paese. Infatti il cielo è nero di nuvole. La stagione delle piogge è imminente. Il panico sconvolge queste centinaia di migliaia di senza tetto o di gente che vive in rifugi di fortuna fatti con pezzi di tessuto, il più delle volte con coperte incapaci di fermare il sole e ancora meno la pioggia. Il panico è reale ogni volta -come questo pomeriggio- che il tempo è brutto e la pioggia minaccia. L'assenza di tende o di rifugi provvisori che possano resistere alla pioggia è all'origine di questo panico.

Lunedì 22 febbraio c'era stata una scossa di magnitudine 4,7 sulla scala Richter alle 4:36 del mattino. L'indomani 23, un'altra questa volta all' 1:26, dello stesso magnitudine. Queste scosse hanno fatto decine di feriti tra i senza tetto che, fuggendo la pioggia, si erano rifugiati all'interno di case danneggiate.

Le tende, chieste senza successo da più di un mese dalla popolazione sinistrata, dimostrano ancora una volta il fallimento dello Stato. Cinque manifestazioni di senza tetto si sono svolte nello spazio di un mese dopo il 12 gennaio per chiedere delle tende e da mangiare. A mo' di risposta il governo dice di contare tra l'altro sul PAM (Programma Alimentare Mondiale) per dare da mangiare ai senza tetto affamati, e sull'OIM per le tende. Su 200.000 tende promesse da più di un mese, il governo lamenta di averne ricevuto solo 23.000. A chi e come queste migliaia di tende regalate sono state distribuite? La domanda principale che si fa spesso nei accampamenti è quella: dove sono andati i 90 milioni di gourdes (la moneta haitiana) di cui il governo disponeva per il carnevale? Non c'è stato carnevale. Perché questi soldi non sono stati utilizzati per dare delle tende alla popolazione sinistrata? Le casse pubbliche sono vuote? Dove sono passati i miliardi di gourdes di tasse raccolte dallo Stato haitiano? Il governo haitiano è incapace di fornire il vitto e un riparo provvisorio ad alcune centinaia di migliaia di sinistrati di una catastrofe che ha fatto più di 300000 morti. Cosa si deve dire per i 9 milioni di abitanti del paese?

PARLANDO DI NUMERI

Il bilancio del terremoto del 12 gennaio in Haiti potrebbe arrivare a 300.000 morti, ha annunciato domenica 21 febbraio scorso il presidente haitiano René Préval in viaggio a Playa de Carmen nell'ambito di un vertice regionale tra il Messico e i paesi caraibici.

"Oggi la cosa più urgente è proteggere il milione e mezzo di persone che vivono per strada e che affrontano le intemperie", ha proseguito il presidente haitiano che voleva approfittare di questo vertice nel Messico per raccogliere fondi. Secondo un rapporto della direzione della Protezione Civile ci sarebbero più di 300.000 case distrutte o fortemente danneggiate.

Rispetto alle perdite in vite umane i numeri di cui si parla sono certamente sotto la realtà. Più dell'80% delle costruzioni che ospitavano scuole e università sono distrutte o fortemente danneggiate. La popolazione della maggioranza dei licei (stabilimenti scolastici pubblici) di Port-au-Prince va da 4.000 ad 8.000 alunni ripartiti su due turni (della mattina e della sera). Il sisma si è prodotto verso le 16,53. Nel liceo Daniel Fignolé per esempio, dove la maggioranza degli alunni del gruppo della sera aveva già lasciato l'edificio per la mancanza di elettricità, gli esperti hanno contato 1020 cadaveri. Immaginiamo quindi la situazione negli stabilimenti scolastici che funzionavano a pieno rendimento al momento del sisma.

LA MONTAGNA DEGLI AIUTI AD HAITI PARTORISCE UN TOPOLINO DI ACCAMPAMENTI DI FORTUNA.

Gli americani da parte loro hanno annunciato ufficialmente di avere speso circa 800 milioni di dollari in Haiti, in meno di un mese dopo il sisma. Per le grandi organizzazioni internazionali quali la Croce Rossa, l'Unicef, l'Oim, l'Usaid, ecc., sono state versate somme colossali per venire in aiuto alle famiglie sinistrate. L'Onu ha già raccolto circa 2 miliardi di dollari per la ricostruzione di Haiti. Fino a questa parte, cioè una quarantina di giorni dopo il sisma, più dei due terzi delle popolazioni sinistrate non hanno tende. La maggioranza degli accampamenti lamentano di non avere ricevuto niente, se non acqua per alcuni e una razione alimentare di una giornata per altri. Dall'inizio delle operazioni di aiuto all'indomani del sisma, 2.678 voli umanitari sono atterrati a Port-au-Prince secondo il rapporto di situazione del 15 al 21 febbraio della direzione della Protezione Civile. Le navi non si contano. Il governo francese ha effettuato un numero importante di voli umanitari come quello del 1º febbraio provenienta dalla Martinica, che con tre passeggeri per un centinaio di posti e una dozzina di cartoni di cibo. Come si vede, gli aiuti affluiscono ad Haiti!

Lo testimoniano anche le schiere di veicoli nuovi fiammanti che provocano ingorghi del traffico nelle strade di Port-au-Prince. Quando la disgrazia degli uni fa la felicità degli altri.

ZONA INDUSTRIALE

Le imprese di appalto danneggiate dal passaggio del sisma sono rare. Perciò, meno di due settimane dopo, le fabbriche hanno progressivamente ricominciato a lavorare per eseguire gli ordini in attesa. La ripresa è stata difficile. I padroni, facendo finta di ignorare ciò che i lavoratori avevano appena vissuto, li hanno costretti a ritmi infernali per compensare i numerosi lavoratori assenti perché alcuni si erano recati in provincia dopo il sisma e altri erano feriti o morti.

Ma i padroni ne approfittano per cercare di ottenere milioni col pretesto che avrebbero registrato molte perdite. Alcuni di loro hanno ricevuto aiuti alimentari per i lavoratori ma questi ultimi non hanno percepito niente.

LA PRESENZA MASSICCIA E INUTILE DEI MILITARI STRANIERI

Il governo americano ha dispiegato 20000 militari dopo il sisma. Le forze dell'Onu erano 9000. I francesi non sono di meno. Mentre ci sarebbe bisogno innanzitutto di personale medico, si assiste piuttosto ad un'invasione di militari stranieri.

LA SITUAZIONE SANITARIA

Molti casi di malaria e di febbre tifoide sono diagnosticati negli ospedali e centri sanitari. Le epidemie si annunciano visto le condizioni in cui vivono i sinistrati negli accampamenti di fortuna."

Questo è il contesto in cui i nostri compagni dell'OTR di Haiti hanno ricominciato a militare. Hanno ricominciato le loro attività verso la zona industriale e i suoi lavoratori, a cui si è aggiunta naturalmente un'attività supplementare in direzione di questi autentici campi di profughi interni che sono queste concentrazioni nelle strade di decine, centinaia e qualche volta migliaia di donne, uomini e bambini che vivono in rifugi improvvisati.

Il loro intervento mira a propagandare, oralmente e quando è possibile per iscritto, prima la constatazione che, durante il terremoto come dopo, lo Stato e tutti i suoi organismi sono completamente scomparsi, concludendo poi non solo che questo Stato non serviva a niente se non a reprimere, ma anche che può essere sostituito dalla popolazione stessa capace di organizzarsi.

I loro interventi partono dalla constatazione che i responsabili ufficiali hanno fallito. Si sono rivelati completamente incapaci di fare fronte alle conseguenze della catastrofe. Erano semplicemente assenti. La popolazione si è ritrovata non solo senza mezzi, ma senza un piano, senza la minima indicazione di ciò che bisognava fare, senza il minimo coordinamento.

Di cui la conclusione tratta dai nostri compagni:

"Quelli che sono stati salvati lo sono stati dalla popolazione stessa, grazie alla solidarietà. È questa solidarietà a fare la nostra forza. Perché sia operante, ci vuole un coordinamento. Bisogna eleggere i nostri propri responsabili. In questi tempi di catastrofe abbiamo potuto verificare in ogni cortile, in ogni raggruppamento di fortuna, il valore degli uomini delle donne. È tra quelli che abbiamo potuto apprezzare che bisogna scegliere i nostri responsabili.

Bisogna creare, dappertutto laddove è possibile, "comitati di sopravvivenza" che s'incarichino del censimento dei bisogni e della ripartizione di tutto ciò che è necessario alla sopravvivenza: acqua, medicine, cibo, effetti per dormire. Possiamo fidarci solo dei nostri, di quelli tra di noi che avremo eletti e rimarranno sotto il nostro controllo. Non dobbiamo accettare che dei singoli possano sviare a loro profitto i viveri e si riempiano le tasche mentre siamo sotto minaccia di morire di sete o di fame.

Non possiamo neanche fidarci della polizia né delle truppe d'occupazione di varia provenienza. Dobbiamo assicurare noi stessi la nostra sicurezza. Tocca alle donne e uomini sorti dalle nostre file, sotto il nostro controllo, assicurare l'ordine e la sicurezza di tutti

Abbiamo constatato che non possiamo contare su nessuno. Ma se ci organizzeremo, non avremo bisogno di nessuno. Organizzarci, eleggere i nostri propri responsabili, farci sentire collettivamente, questi sono i compiti vitali del momento. È alla nostra portata, ed è indispensabile.

Bisogna requisire tutte le scorte di vitto, quelli depositi che appartengono a grossi importatori, ai supermercati o a singoli ricchi, così come le scorte di effetti per la notte, di materiali per la cucina, di attrezzature da sgombero. La proprietà privata non ha luogo di essere in una catastrofe collettiva e non è opponibile alla sopravvivenza degli esseri umani. Deve essere sospesa, tanto più che molti ricchi singoli sono partiti con i primi aerei d'evacuazione, la vita salva e le valigie piene. Il censimento di queste scorte va fatto collettivamente, vanno requisite e eventualmente ripartite sotto controllo di tutti i responsabili della comunità coinvolta. Il saccheggio individuale non può e non deve essere impedito che dalla disciplina di una collettività che sia in grado di determinare le priorità e di impedire che la ripartizione sia quella della legge della giungla.

Nello stesso modo va ripartito il vitto arrivato nell'ambito dell'aiuto internazionale. L'inquadramento della distribuzione di viveri da parte di truppe armate fino alle denti, non solo è un attentato alla dignità ma non impedisce affatto l'anarchia, la legge del più forte, perché questi dispensatori di viveri non conoscono né i bisogni reali né le priorità. Tocca ad ogni collettività assicurare la sua propria disciplina.

Le autorità, tanto quelle nazionali che si ripresentano adesso, dopo avere dimostrato di non servire a niente, quanto le autorità internazionali, in realtà americane, che esercitano apertamente il potere, rispetteranno tanto più i nostri bisogni e le nostre esigenze quanto più ci faremo sentire. E farci sentire è innanzitutto dimostrare che siamo organizzati e che i rappresentanti che ci siamo dati godono dell'appoggio massiccio della popolazione povera".

Il futuro ci dirà come le vittime povere del terremoto saranno sensibili a questo discorso. Ma occorreva che questa voce si faccia sentire.