Il comizio di presentazione dei candidati di Lutte Ouvrière nella regione parigina : Testo dell'intervento di Arlette Laguiller (Da "Lutte de Classe" n° 112 - aprile 2008)

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Il comizio di presentazione dei candidati di Lutte Ouvrière nella regione parigina : Testo dell'intervento di Arlette Laguiller
29 febbraio 2008

L'intervento della nostra compagna e portavoce Arlette Laguiller, di cui pubblichiamo qui il testo integrale, è stato tenuto in un comizio che ha riunito un largo pubblico della regione parigina nella grande sala della Mutualité a Parigi il 29 febbraio 2008.

A questa data, che precedeva di oltre una settimana il primo turno dello scrutinio, alcuni elementi - tra l'altro il numero delle liste di Lutte Ouvrière e delle liste a cui partecipavano dei compagni di Lutte Ouvrière - erano incomplete. Il numero definitivo è di 188 liste: 118 liste LO e 70 liste d'unione. Di queste 70 liste, 41 erano condotte da un capolista del PC, 25 da un capolista del PS, e c'erano quattro liste unitarie diverse. Allo stesso modo, alcuni avvenimenti politici a cui si accenna, ovviamente non sono più d'attualità dopo le elezioni. Pensiamo che sia ugualmente utile pubblicare questo testo, quale introduzione alla campagna di Lutte Ouvrière per i lettori di Lutte de Classe.

28 marzo 2008

Lavoratrici, lavoratori, compagni e amici,

In queste elezioni comunali sono presenti dei candidati di Lutte Ouvrière su 186 liste in 166 città, tenuto conto ovviamente delle liste nei distretti di Parigi, Lione e Marsiglia.

Questi numeri misurano il nostro sforzo, dato che presentiamo dei candidati in 58 città in più rispetto al 2001, ma dimostrano anche ovviamente i limiti della nostra presenza, quando si pensa al numero totale di città con più di 10 000 abitanti, ad esempio.

Vale a dire che la nostra campagna elettorale non è una campagna nazionale. Riguarda le città dove abbiamo dei candidati, sia su liste unitarie con altri partiti di sinistra, sia più spesso su liste di Lutte Ouvrière.

Infatti come sapete abbiamo deciso di associarci al livello locale, laddove era possibile, ai candidati del partito comunista, del partito socialista e di altri partiti di sinistra per costituire delle liste unitarie contro la destra al potere da sei anni.

Ovviamente i candidati che partecipano a queste liste unitarie, là dove si sono costituite, appartengono a partiti che hanno una loro propria politica. Molte divergenze ci separano, anche su delle questioni essenziali. Queste differenze continueranno ad esprimersi liberamente. Ma dopo sei anni di potere di destra, con la nausea che questo provoca nelle classi popolari e che si concretizza in Sarkozy, le divergenze non debbono impedire la solidarietà contro questa destra al potere.

Tali liste unitarie non erano possibili alle elezioni comunali del 2001, quando la sinistra era al potere e si stava comportando in modo tale da perdere 4 milioni di voti alle successive presidenziale. Non siamo stati solidali con questa sinistra che, al governo, si comportava come la destra. Ve ne ricordate: era responsabile del blocco dei salari, del via libera ai licenziamenti massicci nelle grandi imprese, delle soppressioni di posti di lavoro nei servizi pubblici, di privatizzazioni a tutto spiano. Non era possibile, per militanti che difendono i lavoratori, partecipare a liste che si richiamassero a questo governo che stava colpendo i lavoratori.

Oggi la situazione è differente, col potere di destra che fa una guerra aperta al mondo del lavoro.

Partecipiamo quindi a 69 liste unitarie. 40 sono sotto la guida di un capolista del PC, 24 sotto quella del PS, alle quali si aggiungono cinque liste unitarie diverse.

Là dove delle liste unitarie non hanno potuto costituirsi, abbiamo presentato nostre liste. Così saranno 117 le liste presentate da Lutte Ouvrière.

Queste comunali sono le prime elezioni, dopo le presidenziali, che hanno permesso a Sarkozy di accedere al suo posto, e dopo le legislative che, in seguito, gli hanno dato una confortevole maggioranza all'assemblea nazionale.

Quando è entrato all'Eliseo, Sarkozy certamente non erano nuovo in politica. Già da lunghi anni era legato al potere.

Le sua carriera ministeriale cominció presto. Fu interrotta per qualche tempo quando, nel 1995, tradì Chirac per Balladur. Dovette pagare con qualche anno lontano dai ministeri non tanto il tradimento, che nel loro mondo viene praticato frequentemente, bensì il fatto di aver scommesso sul cavallo sbagliato. Un allontanamento molto relativo peró: è rimasto sindaco di Neuilly e dei suoi ricchi cittadini. Poté quindi continuare a farsi degli amici ricchi.

Sin dal 2002 Sarkozy praticamente non ha mai smesso di fare il ministro, sotto i governi di Raffarin e poi di Villepin, essendo anche uno dei pilastri di questi governi. Ministro dell'economia o ministro degli interni, è riuscito a costruirsi un'immagine di uomo d'ordine, attaccando i lavoratori che sciopererebbero troppo spesso, gli statali che non lavorerebbero abbastanza, i disoccupati che non troverebbero lavoro perché non ne cercherebbero. E' diventato l'uomo dell'aspirapolvere industriale (Il "kärcher") per pulire le periferie, l'uomo delle operazioni poliziesche spettacolari, l'uomo della caccia agli immigrati. Grande amico dei ricchi, piaceva nei quartieri benestanti. I suoi movimenti del mento, la sua demagogia sulla sicurezza gli hanno aperto il cuore della frazione reazionaria e antioperaia della piccola borghesia.

Gli è andata bene dal punto di vista elettorale. Il suo gran successo è stato quello di sottrarre la clientela elettorale a Le Pen, togliendogli così la pagnotta, praticamente nel senso letterale del termine. L'elettorato d'estrema destra è stato sedotto da quest'uomo che aveva il discorso di Le Pen, la parlantina di Le Pen, e in più aveva il vantaggio di poter accedere alla presidenza della Repubblica.

Vale a dire che le classi lavoratrici non avevano nessuna ragione di vedere in quest'uomo altro che un nemico. E una volta al potere ha fatto presto a dimostrare a che punto lo era effettivamente.

Certamente non è, in realtà, molto diverso dai suoi predecessori, di un Raffarin o di un Villepin che hanno saputo, l'uno con un finto buonismo, l'altro con le sue arie da aristocratico, colpire il mondo del lavoro. Sarkozy non ha dovuto far altro che proseguire la stessa politica in versione più cinica e più provocatoria.

Non siamo mai stati tra quelli che hanno presentato l'arrivo di Sarkozy al potere come una "catastrofe politica" e non abbiamo mai chiamato alla "resistenza" come se con l'entrata di Sarkozy all'Eliseo si fosse instaurato un potere forte contro il quale, per i lavoratori, sarebbe stato più difficile battersi.

Da parte di una frazione della sinistra, tale catastrofismo mirava a far passare un messaggio subliminale: la scadenza che conta sarà ormai quella delle prossime elezioni presidenziali, nel 2012, tra cinque anni.

Ma no ! I lavoratori non possono aspettare, non vogliono subire i licenziamenti, la chiusura di fabbriche, comprese quelle di grandi gruppi i cui amministratori ostentano cinicamente profitti da record. Non possono aspettare che il loro potere d'acquisto crolli. Non possono guardare rassegnati l'allungamento degli orari di lavoro, l'allontanamento dell'età pensionistica e la diminuzione delle loro pensioni. Nonostante la pressione della disoccupazione, le loro forze sono integre. Sono loro che fanno funzionare l'economia. Gli enormi profitti delle grandi imprese sono esclusivamente il risultato del loro sfruttamento.

Allora, io sono convinta che ci sarà un'esplosione sociale, e non sarà la piccola persona di Sarkozy, fosse anche con l'aiuto dell'esercito di adulatori servili che lo circondano, che potrà arrestarla.

Questa è una convinzione, ma al tempo stesso è una speranza. E' l'unico modo che hanno i lavoratori per fermare la degradazione delle loro condizioni di esistenza. Non c'è altro mezzo. Durante i primi mesi del suo governo, Sarkozy era solo ad agitarsi sulla scena politica, dando fastidio persino ai suoi sostenitori. Poteva farlo perché il vero potere non sta sotto i riflettori ma dietro le quinte, in mano a coloro che tengono le fila.

Le scappatelle su uno yacht o un aereo privato, le vacanze in residenze di lusso pagate da amici miliardari, hanno giustamente nauseato le classi popolari. Non solo hanno dimostrato da che parte Sarkozy dirige la sua ammirazione e per conto di chi intende governare. Sono anche emblematiche del rapporto di subordinazione esistente tra chi paga e chi esegue, tra i grandi borghesi e il personale politico.

L'espressione "personale politico" è giustissima: per la borghesia, e innanzitutto per quella grande, tutti questi signori e signore che si precipitano nei palazzi presidenziali e ministeriali non sono altro che personale di esecuzione. Fanno quello che i dirigenti dell'economia chiedono loro di fare. E se le cose vanno male, sono loro a saltare.

Sarkozy aveva affermato alcuni anni fa, ben prima di arrivare alla presidenza, che voleva una destra senza complessi. E' probabilmente l'unica promessa che è riuscito a concretizzare, nella sua stessa persona.

Tutte le riforme varate da Sarkozy e Fillon sono misure destinate a rendere i ricchi ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri. E' una politica di classe apertamente ostentata.

Vi risparmio l'elenco di tutte queste misure perché le loro conseguenze sono scritte nelle condizioni di esistenza di ciascuno.

Alcune mirano a sgomberare davanti ai padroni anche ogni minimo ostacolo che potrebbe rallentare l'intensificazione dello sfruttamento. Altre mirano a dedicare alle grandi imprese, cioè ai loro proprietari e azionisti, una parte crescente delle finanze dello Stato, anche a costo di togliere i finanziamenti necessari agli ospedali, alla pubblica istruzione, ai trasporti pubblici, cioè ai servizi pubblici utili a tutta una popolazione.

Si chiudono ospedali e cliniche ostetriche distrettuali. Gli altri ospedali sono sempre più sovraccarichi, in mancanza di finanziamenti e di personale sufficienti. Non possono funzionare che imponendo al loro personale degli straordinari praticamente non pagati.

L'insufficienza dei crediti alla pubblica istruzione si traduce con soppressioni di posti di lavoro, mentre bisognerebbe aumentare il numero di insegnanti per far fronte alla difficoltà di insegnamento nelle scuole dei quartieri popolari. In mancanza di mezzi, la scuola stenta sempre più a trasmettere non solo il sapere, ma addirittura un minimo di insegnamento alla vita sociale.

Quanto ai trasporti pubblici ci si rallegra del record di velocità sulle nuove linee del treno ad alta velocità. Ma tutti gli abitanti della periferia parigina conoscono la gran miseria dei treni di quella zona.

E tutto è così. Per potere dedicare più aiuti e sovvenzioni alle grandi imprese, si sopprimono posti di lavoro o si limitano gli orari d'apertura delle poste, si raggruppano i centri di previdenza sociale allontanandoli in questo modo dall'utenza.

Per facilitare lo sfruttamento, il governo rende gli orari di lavoro più flessibili e i licenziamenti più facili. Per questo si sforza di modificare la legislazione del lavoro e di indebolire i contratti per avvicinarli sempre di più ai contratti precari. Per questo, se la prende con il diritto di sciopero.

Quanto allo slogan elettorale di Sarkozy, "lavorare di più per guadagnare di più", già era cinico come demagogia elettorale. Ma oggi, mentre grandi gruppi ricchissimi annunciano la chiusure di imprese, dall'Arcelor-Mittal di Gandrange alla Michelin di Toul, la Smoby nel Jura o Miko-Nestlé in Saint-Dizier, mentre la Peugeot-Citroën riduce il suo organico, agli occhi dei lavoratori buttati sul lastrico e delle loro famiglie, lo slogan di Sarkozy suona come una sinistra provocazione.

Sarkozy è riuscito in pochi mesi ad attirare sulla sua persona l'odio delle classi popolari.

Ebbene, è necessario che in occasione di queste elezioni comunali questo odio si esprima. Bisogna che Sarkozy e la sua cricca siano largamente biasimati.

A giudicare dai sondaggi, il credito di Sarkozy sta crollando anche tra il suo elettorato di destra. Lasciamo ai giornalisti le speculazioni sulla peso che, in questa perdita di fiducia, è dovuta al suo stile da nuovo ricco e all'ostentazione della sua vita privata. La destra ha il capo che si merita.

Di fronte alla disaffezione del suo elettorato, Sarkozy prova a riprendere l'iniziativa utilizzando i vecchi sotterfugi che gli erano riusciti alle presidenziali. Ha mobilitato un migliaio di poliziotti a Villiers-le-Bel davanti a giornalisti dovutamente convocati. Ricomincia a fare il fanfarone contro gli immigrati e contro i giovani della periferia. Fa appello alla corte di cassazione per rendere retroattivo il fermo cautelare dei criminali, spinge il suo scagnozzo, segretario di Stato dei territori d'oltremare, Estrosi, a rimettere in discussione il diritto territoriale in Mayotte, come se delle madri comoriane che fanno nascere un figlio su questa piccola isola proclamata francese minacciassero la Francia con una catastrofe nazionale. Propone tutto quello che può lusingare l'elettorato di destra e i suoi pregiudizi più stupidi e più barbari!

E adesso ostenta anche la sua funzione di canonico onorario della chiesa San Giovanni in Laterano di Roma, che sa di medioevo, per far arrivare un messaggio a quattro diaconi cattolici tradizionalisti recentemente ordinati. Ce ne vuole per riconquistare i sentimenti, e innanzitutto i voti di tutti gli integralisti, di tutti i baciapile che hanno contribuito all'elezione di Sarkozy, ma la cui bigotteria è stata offesa dalle avventure sentimentali del presidente.

Non so se questi vecchi trucchi, anche se intrisi d'acqua santa, consentiranno a Sarkozy di risollevarsi presso l'elettorato di destra e d'estrema destra. E per dirla tutta, non è esattamente la nostra preoccupazione.

Una cosa però è sicura, non si risolleverà nell'opinione dell'elettorato popolare, perché anche se le misure del governo non spiegano da sole il degrado delle condizioni d'esistenza delle classi popolari, comunque vi contribuiscono non poco. Ed è un degrado evidente.

Chi, nelle classi popolari, non constata l'ascesa della povertà, anche per i salariati che hanno un posto di lavoro stabile? Il potere d'acquisto crolla con l'aumento dei prezzi. Tutto aumenta: la benzina, il gas, gasolio ad uso domestico.

L'aumento che ha spesso le conseguenze più drammatiche è quello degli affitti. Tra coloro che non hanno altro domicilio che la strada, e il cui numero è in rapido aumento, un terzo sono salariati. Sono donne e uomini che anche se lavorano di più -secondo l'espressione cinica di Sarkozy- non guadagnano abbastanza per pagarsi l'affitto.

Di fronte al movimento di protesta organizzato l'inverno scorso dall'associazione Don Chisciotte, il governo aveva fatto finta di cedere e aveva fatto votare dalla sua maggioranza il "diritto all'alloggio opponibile" (una sorta di emergenza abitativa). Ma quelli che hanno manifestato pochi giorni fa a Parigi con le varie associazioni di senza-casa, tra cui la fondazione Abbé Pierre, hanno sottolineato giustamente che un articolo di legge non costituisce un tetto. Vantarsi della bontà di un voto all'assemblea è particolarmente cinico quando non è stato fatto niente di concreto e il numero di senza-casa non smette di aumentare, e il numero di quelli che non hanno una casa decente ancora di più.

Centinaia di migliaia di famiglie popolari che hanno ancora un tetto sulla testa vivono in autentici tuguri, in alloggi fatiscenti, in case popolari degradate perché non ci sono finanziamenti per la loro manutenzione né per il loro rinnovamento.

E come si fa a non ribellarsi a questo aumento esplosivo del prezzo dei prodotti alimentari di base che chiunque faccia la spesa può verificare e che è stato valutato da un'inchiesta di "60 millions de consommateurs" ripresa anche da "Le Figaro": dal 17 al 40% per lo yogurt, dal 31 al 45% per gli spaghetti, dal 10 al 44% per il prosciutto, e tutto questo in soli due mesi?

E mentre i prezzi aumentano, come aumentano i profitti dei gruppi capitalisti dell'industria agroalimentare o della distribuzione, i salari, da parte loro, non aumentano, non più delle pensioni di vecchiaia o di invalidità o dei sussidi per i disoccupati disabili.

Allora certamente l'aumento generale di tutti i salari, sussidi e pensioni è oggi un'esigenza vitale! E davanti al riaccendersi dell'inflazione, un'altra rivendicazione torna d'attualità: quella della scala mobile di tutti i salari e di tutte le pensioni.

Ma quel che succede a proposito dei prezzi pone un altro problema, molto più generale. I fabbricanti di prodotti alimentari e le grandi reti di distribuzione fanno ricadere l'uno sull'altro la responsabilità di questi brutali aumenti dei prezzi.

Fillon stesso evoca le necessità di un controllo. Forse invierà una squadra di ispettori della repressione delle frode in alcuni supermercati o centrali d'acquisto per fare un po' di scena. Ma tutti sanno che non servirà a niente. Prima perché ci sono ben più supermercati in questo paese che non ispettori della repressione delle frode. E comunque i supermercati sono liberi di stabilire i prezzi.

Si dice che gli aumenti dei prezzi sono dovuti all'aumento dei prezzi delle materie prime. Ma perché i prezzi di alcune materie prime alimentari sono in aumento? Per il grano, il granoturco o la soia, si sa benissimo che questi aumenti di prezzi sono dovuti essenzialmente alla speculazione, cioè all'acquisto di grandi quantità di questi prodotti da parte dei gruppi capitalisti importanti capaci di influire sul mercato mondiale.

Ma come controllarli? Come impedirgli di nuocere?

Come non combattere tale organizzazione economica in cui alcuni grandi gruppi capitalisti, per fare un profitto supplementare, affamano intere popolazioni?

Da parecchi giorni il Camerun è scosso da sommosse della fame. Non è il primo, né in Africa né altrove. E ce ne saranno altre perché gli aumenti dei prezzi, già drammatici per le famiglie più povere anche in un paese sviluppato come la Francia, nei paesi poveri significano condannare alla fame una parte della popolazione.

Ma gli aumenti di prezzi che subiamo qui in Francia non si limitano ai prodotti la cui materia di base è oggetto di speculazione. L'esempio della carne suina, come quella della frutta o delle verdure dimostra che, anche quando i prezzi pagati ai contadini che le producono non aumentano, o addirittura diminuiscono, i prezzi pagati dai consumatori aumentano lo stesso.

Ma chi è che si riempie le tasche, anche a costo di spingere migliaia di famiglie povere a nutrirsi sempre peggio?

Le grandi imprese agroalimentari, i grandi salumifici, concorrono con le grandi catene di distribuzione per fare reciprocamente il massimo profitto. Non solo ingannano i consumatori, ma pagano i loro operai, i loro impiegati, le loro cassiere con salari miseri. Allora questi salariati hanno ragione di lottare.

Ciò che appare particolarmente rivoltante per i prodotti agroalimentari è vero per tutta l'economia. Le grandi imprese hanno la piena sovranità su quel che fanno, sui loro profitti colossali, senza che la società possa controllare da dove viene il loro denaro e a che cosa serve.

Fintanto che sarà così, finché le grandi imprese capitalistiche decideranno tutto, finché potranno aumentare i loro prezzi senza preoccuparsi delle conseguenze per i più poveri, finché potranno decidere di chiudere una fabbrica qua, di delocalizzarne un'altra là, i lavoratori saranno inevitabilmente sospinti verso la miseria.

Per questo affermiamo, e lo ripetiamo da anni, che la misura essenziale che i lavoratori dovranno mettere in cima alle loro rivendicazioni, una misura che dovranno imporre quando saranno in situazione di cambiare il rapporto di forza in loro favore, sarà di imporre il controllo da parte della popolazione sulla contabilità delle imprese, e innanzitutto di quelle più grandi.

Questo significa controllare ogni giorno il denaro che ricevono e che spendono, sapere il perché e il per come. Questi super e ipermercati, per esempio, quali tangenti, quale margine di guadagno impongono ai loro fornitori più piccoli e più deboli, ai produttori contadini ed artigiani? Così potenti come sono, quali accordi segreti stipulano con i fornitori per derubare insieme i consumatori?

Diciamo e ripetiamo che tutto questo è possibile, e alla portata del mondo del lavoro, perché ogni operazione commerciale, come ogni operazione bancaria, passa tra le mani dei lavoratori. Negli iper e supermercati, tutte le entrate provenienti dai clienti passano tra le mani delle cassiere. Sono gli impiegati della contabilità a totalizzarle. Sono dei lavoratori a produrre, muovere i prodotti, manipolarli e trasformarli. Sicuramente ognuno non vede altro che una piccola parte del processo, ma mettessero insieme tutto ciò che ognuno sa, i lavoratori saprebbero tutto.

Ci sono associazioni di consumatori che fanno un buon lavoro. Sono state queste a destare l'attenzione dei mass media sull'importanza degli aumenti dei prezzi che le casalinghe constatano da parecchie settimane. Sono loro che hanno destato l'attenzione sul livello artificialmente alto delle tariffe della telefonia cellulare.

Certamente sarebbe necessario riconoscere a queste associazioni di consumatori diritti d'investigazione e di controllo più larghi. Ma possiamo immaginare quanto la loro efficacia sarebbe moltiplicata se potessero contare sulla testimonianza dei lavoratori che occupano tutte le tappe della catena di produzione e di commercializzazione.

Oggi le leggi vietano ai lavoratori d'informarsi reciprocamente dell'andamento della loro impresa e a maggior ragione di centralizzate le loro conoscenze parziali, in nome del segreto commerciale, del segreto industriale, del segreto bancario. Si vieta anche ai membri dei comitati d'impresa di svelare le poche informazioni che i padroni concedono. Molto spesso i lavoratori di un'impresa sono gli ultimi ad avere notizia di un progetto di riduzione d'organico o di chiusura di una fabbrica, qualche volta pianificato con mesi o addirittura anni d'anticipo.

Ma le leggi sul segreto degli affari possono essere cambiate. E per cominciare si può non rispettarle.

Infatti sono leggi inique, contrarie agli interessi della maggioranza della società. Le leggi sul segreto industriale, bancario e commerciale non hanno nessun'altra ragione che quella di proteggere i capitalisti, le loro pratiche mafiose, le loro ruberie, i loro sprechi dallo sguardo della popolazione.

Da qualche giorno ci riempiono di discorsi moralistici sui "paradisi fiscali" dove il segreto è spinto all'estremo, a tal punto da diventare un problema per gli stessi stati. Ma rispetto alla propria popolazione tutte le banche, tutte le imprese sono paradisi fiscali dove i padroni, i consigli d'amministrazione, protetti dal segreto, possono fare quello che vogliono con i loro capitali, le loro fabbriche che possono chiudere, i loro lavoratori che possono buttare sul lastrico.

E' tutto questo che bisogna rendere trasparente davanti alla popolazione.

Non abbiamo mai sentito la parola "controllo" quanto in queste ultime settimane, dopo lo scandalo della Société Générale e dei suoi 5 miliardi di euro andati in fumo, o lo scandalo dei miliardi che hanno preso la via delle banche del Lichtenstein, o anche lo scandalo delle intese tra consorzi dei prodotti detersivi o per la pulizia della casa per vendere al prezzo più caro possibile le loro cianfrusaglie.

Nella bocca dei responsabili dell'economia e della politica, la parola "controllo" è solo ipocrisia perché innanzitutto non vogliono che la società possa controllare ciò che fanno i gruppi capitalisti e il modo in cui accumulano i loro profitti. Perché questo rivelerebbe che tutte le imprese potrebbero aumentare il salario dei loro lavoratori e al tempo stesso abbassare i prezzi. Rivelerebbe che i licenziamenti collettivi non sono mai giustificati, e che c'è sempre la possibilità di salvare i posti di lavoro a condizione di diminuire un po' i dividendi degli azionisti. Rivelerebbe ancora di più lo spreco determinato dal loro sistema economico. Solo l'insieme dei lavoratori, gli operai come gli impiegati o i tecnici, può dare al controllo il suo vero senso.

Si dice che profitti siano indispensabili al buon andamento dell'economia. E gli amministratori delegati delle grandi imprese continuano a pavoneggiarsi davanti ai loro azionisti annunciando per il 2007 profitti alti come negli anni precedenti, nonostante le difficoltà dell'economia, nonostante la crisi finanziaria e bancaria.

Di colpo gli azionisti sempre più ricchi possono pagare a buon prezzo i loro grandi commessi. I padroni delle grandi imprese in Francia sono diventati quelli più pagati di tutta l'Europa! E poi ecco che scoppia oggi un secondo scandalo ben significativo, con Denis Gautier-Sauvagnac. Questo ex presidente della federazione padronale metalmeccanica alcuni mesi fa è stato preso con le mani nel sacco in un grosso affare di corruzione. Certo, è stato mandato in pensione subito. Ma si è appena saputo che ha negoziato la sua uscita dal Medef (Confindustria) e ha percepito una tangente consistente in più di un milione e mezzo di euro per tenere la lingua a posto. Questa somma si aggiunge ai 20 000 euro al mese che continua a percepire a titolo di delegato generale della federazione metalmeccanica. Inoltre, poiché è sotto avviso di garanzia, il Medef s'è impegnato ad assumersi tutte le spese processuali e le eventuali multe.

Dal lato dei padroni e degli azionisti il denaro scorre a fiumi! Sono gli unici a beneficiare degli alti profitti delle imprese.

Infatti questi profitti non sono utili, né ai lavoratori né alla società. Sono perfino nocivi. Da molti anni le grandi imprese, invece di investire nella produzione e di creare posti di lavoro, investono il loro denaro in operazioni finanziarie, cioè, per parlare chiaro, nella speculazione.

Si impongono ai lavoratori condizioni di lavoro sempre più dure che li logorano, che li invecchiano prematuramente, quando non li spingono al suicidio. Si bloccano i salari. Si impone, in nome della competitività, sempre più lavoro e sempre più mal pagato. Tutto questo per fare sì che i profitti realizzati vengano giocati alla roulette della speculazione finanziaria, con la conseguenza di una crisi finanziaria come questa, cominciata nell'estate 2007 e che chiaramente non è finita.

Non sappiamo più dei dirigenti dell'economia se l'attuale crisi finanziaria si tradurrà in fallimenti di banche, fabbriche chiuse, code davanti alle mense dei poveri, come negli anni 30. Ma questa crisi, anche se rimane limitata a quel che è attualmente, rappresenta uno spreco enorme per la società. Quanti bisogni elementari di quanti milioni di persone si sarebbero potuti soddisfare con le decine, le centinaia di miliardi di dollari andati in fumo nella speculazione? Quanti alloggi decenti si sarebbero potuti costruire, quante scuole, ospedali, ambulatori, quante regioni sottosviluppate del pianeta si sarebbero potute dotare di infrastrutture? Quante donne, uomini, bambini si sarebbero potuti salvare dalla denutrizione e dalla fame?

Ecco perché da parte nostra continuiamo a rivendicare le idee comuniste. Il sistema capitalistico basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sullo sfruttamento, sul mercato, sulla concorrenza, sulla ricerca del profitto, non è soltanto ingiusto. E' anche irrazionale, incapace di permettere all'umanità un progresso in misura delle sue possibilità scientifiche e tecniche.

La prospettiva che intendiamo incarnare è quella che mira a rovesciare il capitalismo e a sostituirlo con un sistema economico e sociale più giusto e più razionale. E abbiamo la convinzione che la classe operaia rimane l'unica classe sociale che ha potenzialmente i mezzi di andare fino in fondo alla trasformazione sociale: espropriare il grande capitale e gettare le fondamenta di un'organizzazione economica nuova.

Ma perché la classe operaia possa, al momento giusto, impugnare questo programma, bisogna che esista un partito operaio rivoluzionario che lo difenda e lo faccia conoscere ai lavoratori. Non un partito acchiappatutto, un po' altromondista, un po' ecologista, un po' femminista, un po' solidale con i popoli oppressi, ma un partito comunista rivoluzionario che si richiami alle idee che sono state incarnate in passato da Marx, Engels, Rosa Luxemburg, Lenin e Trotskij.

Bisogna che la classe operaia si dia di nuovo un partito come lo sono stati, a loro volta, il partito socialista, il partito comunista alle origini. Certamente la classe operaia, la classe sociale di quelli che non hanno altro che il proprio salario per vivere e non sfruttano nessuno, non è più la stessa di un secolo fa. Si è allargata. Si è diversificata. Non è più costituita essenzialmente soltanto da operai manuali. L'evoluzione economica ha fatto nascere molte altre categorie che fanno parte del mondo del lavoro e portano avanti l'economia odierna. Agli operai delle grandi imprese di produzione, a quelli dell'edilizia e dei lavori pubblici, ai ferrovieri, si sono aggiunti gli impiegati bancari, delle assicurazioni o dell'amministrazione, i tecnici, i chimici, gli ingegneri, gli informatici, gli agenti dell'elettricità e del gas, quelli della manutenzione di strade e autostrade.

E poi ce ne sono tanti altri che vivono solo di un salario insufficiente e svolgono tutti un ruolo utile alla vita sociale: dal personale dell'ospedale a quello della pubblica istruzione e ai postini. E fanno anche parte della classe operaia quelli che la follia del sistema capitalista ha allontanato dalla produzione e trasformato in disoccupati. Come ne fanno parte i vecchi lavoratori, oggi pensionati.

La nostra ragione d'essere fondamentale è di agire per la rinascita di un partito che la classe operaia, così com'è oggi, possa riconoscere come suo, e che incarni la prospettiva della trasformazione radicale del sistema economico e sociale.

Ma tale prospettiva non può e non deve impedire di partecipare alle lotte quotidiane della nostra classe sociale. Al contrario. Le due cose vanno di pari passo. I partiti operai rivoluzionari del passato erano anche capaci di portare avanti queste battaglie quotidiane nel modo più efficace possibile.

In queste battaglie quotidiane ci sono gli scioperi, come quello della Snecma di cui ha appena parlato il compagno Patrice Crunil. Ci sono anche le battaglie politiche, piccole e grandi. Le prossime comunali sono una di queste.

Nella situazione politica odierna si tratta di fare in modo che l'elettorato popolare affermi nella maniera più estesa possibile a Sarkozy che la sua sceneggiata non persuade, e alla destra che le classi popolari ne hanno abbastanza del suo potere.

Da parte nostra ci contribuiremo nelle città dove presentiamo dei candidati.

Pensiamo che i governi che si succedono alla testa dello Stato, che siano di sinistra o di destra, difendono sempre fondamentalmente gli interessi del grande capitale. I benefici dei grandi gruppi capitalistici sono tanto prosperi sotto un governo di sinistra quanto sotto un governo di destra. Ma non per questo poniamo un segno d'uguaglianza tra la sinistra e la destra, in particolare nel campo della gestione comunale. I lavoratori sanno benissimo che, in linea di massima, è meglio vivere in una città controllata dalla sinistra che non in una città di destra. Anche se tutti sanno che la gestione comunale ha vincoli molto stretti.

Certamente nessun municipio può risolvere i problemi principali del lavoratori, la disoccupazione, i bassi salari.

Nessun municipio può prescindere dalla dittatura dei grandi gruppi industriali e finanziari che, chiudendo una fabbrica, possono rovinare una città.

Nessun municipio può sostituire le mancanze dello Stato. Non può opporsi al degrado dei servizi pubblici, anche se è al livello comunale che si manifestano le conseguenze della chiusura di un ufficio postale, della soppressione di classi o di posti d'insegnanti.

E poi la prefettura, cioè il governo, ha il potere di annullare le decisioni prese da un consiglio comunale che non gli piacciono.

Ma all'interno di questi stretti limiti, il municipio può fare delle scelte: preoccuparsi di più delle case popolari, favorire l'arredamento dei quartieri popolari piuttosto che del centro città. Sulle mense scolastiche, sugli aiuti sociali, sulle sovvenzioni alle associazioni; in numerosi campi il comune è portato a fare delle scelte. Queste scelte possono essere più o meno favorevoli alle classi lavoratrici. E il comune può, innanzitutto, comportarsi in modo tale che i salariati, i pensionati, i disoccupati possano avere tutte le ragioni di pensare che troveranno, nel municipio, gente che capisce i loro problemi e prova a trovare delle soluzioni

Se mandate dei militanti di Lutte Ouvrière al consiglio comunale, vi posso garantire che lì saranno i rappresentanti degli interessi sociali e politici degli sfruttati, dei disoccupati, dei pensionati e dei più poveri. Faranno nel consiglio comunale quello che hanno sempre fatto come militanti. Appoggeranno ciò che sarà favorevole per i lavoratori. Criticheranno ciò che non lo è. Si impegneranno a sostenere e ad esprimere in seno al consiglio comunale le lotte di quelli che difendono le loro condizioni di vita e di lavoro, dei lavoratori in sciopero, francesi o immigrati, di quelli che lottano per una casa decente, utenti che rifiutano il degrado dei trasporti, delle scuole, dei servizi pubblici.

Laddove faranno parte di una maggioranza comunale di sinistra, saranno solidali, tranne ovviamente per le decisioni contrarie agli interessi dei lavoratori. Faranno di tutto per evitare che tali decisioni vengano prese. Conserveranno ovviamente tutta la loro libertà d'espressione.

Tra i consiglieri comunali di Lutte Ouvrière eletti alle comunali del 2001, parecchi hanno esercitato il loro mandato in un comune di sinistra. Senza far parte della maggioranza comunale hanno votato senza settarismo ciò che, nelle proposte del municipio, migliorava anche solo un po' le cose per le classi popolari. Facendo un bilancio dei sette anni passati nei consigli comunali, tali voti hanno costituito la maggioranza dei casi. Non ci orientiamo con formule astratte, ma secondo gli interessi della popolazione salariata.

E poi non c'è solo quello che succede in seno ai consigli comunali. Questo conta ovviamente, ma l'attività di un partito militante si svolge anche nei quartieri, nelle piazze, nei caseggiati popolari.

Per noi di Lutte Ouvrière la nostra attività politica essenziale si svolge nelle imprese. Ma sappiamo che una parte della vita del mondo del lavoro si svolge nei quartieri popolari o nelle case popolari.

In passato i partiti operai erano ben più presenti nei quartieri popolari e vi sviluppavano un'attività politica.

Molti problemi di questi quartieri, l'inciviltà, l'individualismo, il comunitarismo, sono fondamentalmente dovuti alle mancanze dello Stato, della pubblica istruzione alla quale si tolgono mezzi per agire, e più ancora a tutto il sistema economico e sociale in cui viviamo. Ma quando il movimento operaio era presente nei quartieri popolari, riusciva fino a un certo punto a compensare queste mancanze. Non in nome della morale della classe possidente, ma proprio in nome dei valori del movimento operaio. A cominciare dalla solidarietà, dall'azione collettiva. Molti problemi locali si possono risolvere senza che alcuna amministrazione ci si immischi, con le iniziative della popolazione stessa.

Cercheremo di favorire le iniziative della popolazione utilizzando il mandato di consigliere comunale, se gli elettori ce lo vorranno affidare. E là dove non sarà il caso e non avremo compagni nel consiglio comunale, faremo lo stesso questa attività politica.

Certamente nei quartieri popolari ci sono associazioni che provano a migliorare le cose concretamente, a favore della popolazione povera, nel campo dell'educazione, nel campo culturale e di molte altre cose. Tanto meglio. Siamo solidali con queste associazioni come lo siamo con tutti quelli che esprimono le esigenze o le rivendicazioni dei più poveri in questo o quel campo specifico, così come quelle che lottano per il diritto alla casa o che difendono la dignità e i diritti dei lavoratori immigrati.

Ma accanto all'attività di tutte queste associazioni, è importante che nei quartieri popolari sia presente anche una politica che rappresenti gli interessi delle classi sfruttate.

Come ho ricordato poco fa, la nostra scelta fondamentale, per noi di Lutte Ouvrière, è di militare sul terreno politico di una prospettiva di trasformazione radicale della società.

Far conoscere, popolarizzare queste idee, quelle della lotta di classe, quelle dell'emancipazione sociale, conquistare a queste idee delle simpatie e, quando è possibile, dei militanti, fa parte da sempre delle nostre attività essenziali nelle imprese.

Ma questo si può anche fare nei quartieri operai. La storia del movimento operaio da questo punto di vista è piena di insegnamenti. Nessuno può ignorare il ruolo svolto dall'attività politica locale nel radicamento delle idee marxiste tra i lavoratori e nello sviluppo del partito socialista, quando era rivoluzionario. E nessuno può ignorare il ruolo svolto dalle Camere del Lavoro nello sviluppo del movimento operaio organizzato.

Allora, bisogna cercare di convincere intorno a noi, non solo laddove lavoriamo, ma anche nei nostri quartieri. Bisogna stabilire dei legami, discutere di idee politiche e, forse a partire dei problemi locali, provare a chiarire le cose per i nostri, sui problemi generali della nostra classe sociale.

Bisogna propagare il senso di solidarietà nel mondo del lavoro, tra le varie categorie di lavoratori, e anche tra disoccupati e lavoratori che tanto spesso la borghesia cerca di mettere gli uni contro gli altri.

Pensiamo come Marx che "l'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi". Certamente i lavoratori non possono emanciparsi nell'ambito di un solo comune! Ma possono scoprire le idee politiche e le prospettive comuniste nei loro quartieri così come nelle loro imprese. Possono anche fare esperienza di azione collettiva.

Un quartiere, anche popolare, o un caseggiato di case popolari, certamente non possono essere assimilati ad un'impresa. I lavoratori lì sono confusi con altre categorie sociali, e innanzitutto è nelle imprese che i lavoratori sono direttamente contrapposti ai loro sfruttatori e che possono esprimere la loro potenza sociale.

Tutto quelli che hanno vissuto o vivono uno sciopero che sia un po' importante e durevole, sanno che al di là delle rivendicazioni portate avanti e della soddisfazione ottenuta, uno sciopero è una formidabile scuola di solidarietà per tutti quelli che vi hanno partecipato.

Ebbene, un caseggiato popolare, un quartiere, possono diventare anch'essi luoghi d'apprendistato per l'azione collettiva. I partiti operai lo sapevano fare su grande scala in passato, fosse solo con l'opposizione collettiva ad uno sfratto ingiustificato, oppure venendo in aiuto agli scioperanti di un'impresa vicina.

E poi, anche lì, tutti quelli che hanno fatto uno sciopero rimasto isolato sanno per esperienza quanto l'accoglienza della popolazione operaia locale sia importante per tenere duro. Il sostegno non si esprime soltanto nella raccolta di soldi, bensì in molte altre manifestazioni concrete di solidarietà.

Lo ripeto ancora una volta, anche senza consiglieri comunali si possono fare una propaganda comunista e delle azioni collettive in un quartiere. E abbiamo certamente intenzione di fare questo lavoro ovunque le nostre forze ce lo permettano, anche se non siamo nel consiglio comunale. Ma un consiglio comunale puó essere un punto d'appoggio.

I consiglieri comunali di Lutte Ouvrière saranno questi punti d'appoggio.

Allora, compagni e amici, rimane una settimana per fare campagna. La nostra campagna, lo ripeto, non è nazionale, innanzitutto perché siamo presenti solo in un numero limitato di città. E poi perché ci sono situazioni politiche locali estremamente variegate, in funzione, per esempio, delle presenza o meno di alleanze col MoDem da parte di un settore della sinistra, senza neanche parlare delle varie personalità politiche individuali.

Ma nelle città dove siamo presenti, bisogna portare avanti la nostra campagna con determinazione. Laddove Lutte Ouvrière presenta una lista, bisogna convincere gli elettori che un voto in più per questa lista sarà uno schiaffo in più per Sarkozy. Laddove i candidati di Lutte Ouvrière sono presenti su liste unitarie bisogna convincere che votare per questa lista sarà contribuire ad amplificare la protesta contro Sarkozy. E in ogni caso permetterà di eleggere consiglieri comunali di Lutte Ouvrière.

Ovunque bisogna fare di tutto per stabilire legami supplementari con i nostri, coi lavoratori, i salariati, i disoccupati, i pensionati, dei legami che ci consentiranno di ritrovarli dopo le elezioni comunali, nelle attività politiche che portiamo avanti nelle loro città.

Allora, votate e fate votare contro la destra, e inviate nei consigli comunali dei militanti di Lutte Ouvrière!

29 febbraio 2008