Le istituzioni europee e i diritti delle donne (da "Lutte de classe" n 87 - marzo 2005)

Imprimer
Le istituzioni europee e i diritti delle donne
12 febbraio 2005

La libertà delle donne di disporre del loro corpo e, in particolare, di decidere se avere o no un figlio e quando, sembra una libertà evidente, elementare, un diritto fondamentale che dipende dal solo libero arbitrio della donna. Oggi, i mezzi medici, scientifici, materiali, umani esistenti permettono alle donne di esercitare in tutta coscienza questo potere di controllo sulla procreazione. I paesi che compongono l'Unione europea, come anche i paesi candidati ad entrarci, dispongono di questi mezzi.

Ciononostante, questo diritto e questa libertà continuano ad essere negati alle donne in un gran numero di paesi europei. E quando è riconosciuto nei testi di legge nazionali, questo diritto è assortito da restrizioni più o meno severe, che possono rendere il suo esercizio difficile se non impossibile.

Riprendendo un'espressione di Charles Fourier, uno dei precursori del socialismo, in Francia, all'inizio del XIX secolo, Engels scriveva in Socialismo utopistico e socialismo scientifico che "in una data società, il grado di emancipazione della donna è la misura naturale dell'emancipazione generale". I dignitari politici che si vogliono difensori dell'Unione europea così com'è, ripetono che l'Unione rappresenta "una comunità di valori", insomma un modello di civilizzazione per il mondo intero. Chiacchiere ! Se osserviamo come le istituzioni europee agiscono nei confronti dei diritti delle donne, della contraccezione, dell'interruzione volontaria di gravidanza, della fecondazione assistita, della libera unione, del matrimonio e del divorzio, non rappresentano per niente il progresso e la modernizzazione, ma al contrario l'accomodamento con gli aspetti più reazionari, più retrogradi, delle legislazioni nazionali. Il rifiuto di fatto e spesso di diritto della libertà delle donne a disporre del proprio corpo riflette un problema più generale, quello della condizione delle donne in seno alla società. In questo campo, la società capitalista, anche nei paesi che si vogliono più moderni, non si è ancora estratta dalla barbarie.

I metodi di contraccezione e ancor più l'interruzione volontaria di gravidanza non sono acquisiti nella maggior parte dei grandi paesi dell'Unione europea. E anche là dove lo sono, grazie alle lotte condotte dalle donne, è ancora necessario farli applicare correttamente e di difenderli.

I silenzi delle istituzioni europee

Nel 1957, l'Unione europea contava sei paesi (Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania, Italia, Paesi Bassi). In seguito si è allargata a nove (con l'adesione, nel 1973, della Danimarca, della Gran Bretagna e dell'Irlanda); poi a dieci nel 1981 (Grecia); a dodici nel 1986 (Spagna e Portogallo); a quindici nel 1995 (Svezia, Finlandia, Austria); ed infine, dal primo maggio 2004, a venticinque con l'aggiunta della Polonia, l'Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Slovenia, l'Estonia, la Lituania, la Lettonia, Cipro e Malta. Ad ogni tappa, per le donne, l'entrata del loro paese nell'Unione europea avrebbe potuto accompagnarsi di un miglioramento della loro condizione e del riconoscimento dei loro diritti tramite un allineamento della legislazione del loro proprio paese sulla legislazione più favorevole esistente nell'Unione. Ciò non è avvenuto né in campo sociale, né in quello delle libertà. E le legislazioni nazionali continuano ad imporsi in materia di contraccezione, di interruzione volontaria di gravidanza, di matrimonio e di divorzio. Eppure, paesi il cui peso economico e politico è preponderante nell'Unione europea, come la Francia, la Germania, il Regno Unito, avrebbero potuto pesare nel senso di un allargamento delle libertà e dei diritti delle donne, semplicemente iscrivendolo tra le condizioni di entrata nell'Unione. Le esigenze economiche, di concorrenza, di tariffe doganali, di deficit del budget, sono numerose e precise. Ma nel campo dei diritti democratici e delle libertà garantite, non si esige niente di concreto. La Costituzione europea, che in Francia è stata sottomessa a referendum, lascia ogni popolazione "alle leggi nazionali", per quanto restrittive e arcaiche possano essere.

Così, la "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione", che costituisce la seconda grande parte del testo della Costituzione, si apre con un'apparente banalità generale, vale a dire che "Ogni persona ha diritto alla vita". Nei fatti, "diritto alla vita" è un'espressione delle organizzazioni anti-aborto, "pro-life", e non un'innocente banalità. Tanto più che, nel testo seguente, non c'è una sola parola sulla contraccezione né sull'interruzione volontaria di gravidanza. È precisato anche che "il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia sono garantiti dalle leggi nazionali che ne regolano l' esercizio". Ma il diritto di divorziare è sconosciuto dalla Costituzione. E per quanto riguarda il matrimonio, è significativo che rinvii ciascuno, anche lì, "alle leggi nazionali che ne regolano l'esercizio", anche nei piccoli paesi come Malta, dove la Chiesa cattolica è onnipotente, dove il divorzio non esiste e dove solo un tribunale ecclesiastico può eventualmente pronunciare l'annullamento di un matrimonio dopo un'interminabile processo, che può durare otto anni e più. Per le autorità europee, è esclusa ogni possibilità di pressione affinché Malta modifichi la sua legislazione. E le donne che sperano che l'entrata del loro paese nell'Unione europea apporti più libertà ed un miglioramento dei loro diritti dovranno battersi per imporlo.

Una delle rare volte in cui il Parlamento europeo ha affrontato tale problema, fu in seguito ad un rapporto depositato nel giugno 2002 dalla Commissione dei diritti della donna e dell'uguaglianza delle opportunità, che riguardava "la salute e i diritti sessuali e procreativi" delle donne, e mirava unicamente ad "incaricare il suo presidente di trasmettere la risoluzione al Consiglio, alla Commissione ed ai governi degli Stati membri e dei paesi candidati all'adesione". Una procedura modesta. Il testo proponeva che il Parlamento europeo " raccomandi ai governi" o "inviti immediatamente i governi" a migliorare i mezzi contraccettivi ed a facilitare la loro diffusione, a fare in modo che l'aborto sia "legalizzato, sicuro e accessibile a tutti", "ad astenersi in ogni caso dal condannare giuridicamente donne che hanno abortito illegalmente ", a dare un'educazione sessuale ai giovani e ad accrescere l'informazione delle popolazioni sulla contaminazione dell'aids. Il dibattito che ha accompagnato la presentazione del rapporto ha scatenato reazioni da parte di tutti i reazionari contro la contraccezione, l'IVG, l'educazione sessuale. E ciò, nonostante la relatrice della risoluzione avesse preso la precauzione di precisare che "questo rapporto non perora per un'armonizzazione della legislazione a livello europeo. Non impone niente agli Stati membri o agli Stati candidati". Ciò non ha impedito che una successione di violenti interventi si scagli contro la pretesa audacia del testo, contestando all'Unione europea ed agli eletti ogni autorità per affrontare il problema: "l'Unione europea deve astenersi dall'intervenire in tutto ciò che è di competenza degli Stati membri", diversi intervenienti dichiararono che non potevano tollerare tale "ingerenza esterna nell'autodeterminazione e nella libera coscienza dei popoli". Ovviamente, la contraccezione e l'interruzione volontaria di gravidanza erano denunciate, e la risoluzione era accusata di operare "per la promozione dell'aborto", il rappresentante di un partito olandese di destra fustigo' "la morale impura che prevale ai giorni nostri" affermando che se bisognava dibattere di qualcosa, non era certo dei diritti della donna ma dei "diritti del bambino, del bambino che è stato concepito e che si prepara a nascere". Finalmente, la risoluzione fu adottata di poco con 280 voti contro 240, ma senz'altra conseguenza che qualche vaga raccomandazione ai governi degli Stati membri o candidati, questa volta col tacito accordo dell'immensa maggioranza dei deputati, che non avevano nessuna voglia di prendere una decisione costrittiva. E da allora... più niente. Dopo due anni e mezzo, l'argomento non è stato più dibattuto.

L'entrata nell'Europa non apporta alcun sostegno al diritto delle donne

Per i paesi la cui legislazione nazionale è particolarmente reazionaria nei confronti delle donne, l'entrata nell'Unione europea non comporta dunque nessun cambiamento. Le autorità europee hanno finanche accettato da parte degli Stati membri restrizioni alle disposizioni europee quando queste rischiavano di entrare in contraddizione con le leggi nazionali.

Fu il caso, nel febbraio 1992, col trattato di Maastricht che, per soddisfare le esigenze dell'Irlanda, precisò in un allegato che "nessuna disposizione del trattato sull'Unione Europea (...) intacca l'applicazione in Irlanda dell'articolo 40.3.3 della Costituzione dell'Irlanda", articolo che vieta l'aborto. Le giurisdizioni europee si limitano a raccomandare all'Irlanda di permettere la diffusione di informazioni generali sulla pratica dell'aborto all'estero ed in particolare di lasciare le donne che desidererebbero praticare un'IVG, andare liberamente in Inghilterra. Ma anche questo era troppo per uno Stato la cui Costituzione precisa che il posto delle donne è tra le mura domestiche e mette l'educazione sotto il controllo della Chiesa cattolica. Nel febbraio 1992, il caso di una ragazzina di 14 anni, incinta in seguito a diversi stupri, aveva sollevato l'opinione pubblica a causa del rifiuto dei tribunali dell'autorizzazione ad andare ad abortire in Gran Bretagna. Finalmente, la Corte suprema autorizzò la ragazzina - che minacciava di suicidarsi - ad andare in Inghilterra, col pretesto che l'interdizione dell'aborto metteva in pericolo la vita della madre. Ma non bisognava permettere a questo caso di far giurisprudenza ed aprire cosi' una breccia nel divieto dell'interruzione volontaria di gravidanza, qualunque siano le circostanze. La Chiesa cattolica, il Vaticano e la lobbie anti-aborto non cessarono di far riconfermare quest'interdizione. Un referendum si svolse il 6 marzo 2002 sul divieto assoluto dell'IVG, anche in caso di pericolo di morte imminente (suicidio) della madre. Fu respinto per poco. Come anche per poco (50,3% dei voti contro 49,7%) nel novembre 1995 fu finalmente legalizzato il divorzio con un referendum. Benché l'Irlanda faccia parte della Comunità europea dal 1973, il divorzio fu vietato per ancora più di vent'anni e se fu legalizzato nel 1995, le istituzioni europee non c'entravano. Oggigiorno, la contraccezione è legalizzata e teoricamente le donne irlandesi possono ottenere un aiuto da parte dei servizi di pianificazione familiare, laddove esistono. Ma in molte regioni del paese, i mezzi contraccettivi restano indisponibili.

Altro esempio, il Portogallo, entrato nella Comunità europea nel 1986, nello stesso momento della Spagna. Nel 2004 l'aborto è ancora illegale e punito con la prigione, tranne in casi estremi: rischio di morte della madre, violenze sessuali, rischio di malformazioni del bimbo, che è difficile provare di fronte ad un corpo medico abbastanza largamente ostile all'aborto e mentre molti ospedali rifiutano di praticare le interruzioni di gravidanza. Il divieto dell'IVG è stata confermato nel 1998 da un referendum al quale ha preso parte meno di un terzo della popolazione. Tale referendum respingeva una revisione della legge proposta dal Partito socialista e che era stata appena approvata dal Parlamento portoghese. La Chiesa aveva condotto una campagna frenetica contro ogni ammorbidimento dell'interdizione dell'aborto. Nel giugno 2002, al Parlamento europeo, nell'ambito della discussione sul rapporto a proposito della "salute e dei diritti sessuali e procreativi" (già citato), una parlamentare portoghese chiedeva "la solidarietà dell'Europa" sulla questione, ricordando la situazione delle donne nel suo paese e denunciando i processi che si erano svolti in una città del Nord del paese, Maia, e conclusi qualche mese prima, nel gennaio 2002. Nel corso di tali processi, 17 donne accusate di aver praticato un aborto clandestino, furono insultate da un tribunale e subirono la vergogna di vedere tutta la loro vita privata spiattellata. Una giovane donna - che aveva confessato - fu condannata a 4 mesi di carcere, le altre rilasciate in mancanza di prove ma un'ostetrica, accusata di averle aiutate, fu condannata, dal canto suo, ad otto anni e mezzo di carcere (graziata nel gennaio 2004). La "solidarietà" delle istituzioni europee si limito' all'ascolto. Anche in Portogallo, la presa della Chiesa sull'opinione è potente ed i preti militano attivamente contro ogni alleggerimento della legislazione, sostenendo tutto quanto il paese offre di bigotti, di conservatori e di reazionari.

Di nuovo, nel marzo 2004, ogni ammorbidimento legislativo fu rifiutato. Quante e quanti militano in Portogallo a favore della legalizzazione della contraccezione e dell'IVG non possono contare per niente sulle istituzioni europee. Alcune organizzazioni femministe si sono mobilitate, come per esempio Women on Wave (donne sulle onde), organizzazione olandese la cui nave Borndiep, attrezzata con una clinica ginecologica, ha gettato l'ancora al largo delle coste portoghesi. Ma solo al largo, poiché il governo portoghese gli ha vietato di accostare ed ha perfino mandato, nel settembre scorso, due navi da guerra per sorvegliarla, dopo avergli rifiutato il rifornimento di acqua e carburante che la nave ha dovuto andare a fare in un porto spagnolo. Oggigiorno, anche se i dati restano incompleti poiché molto difficili da raccogliere, si stima il numero di aborti clandestini tra 20000 e 40000 all'anno. Quelle che lo possono partono in Spagna, verso le cliniche private. Le altre si arrangiano, col rischio di danneggiare gravemente la loro salute e di essere condannate. L'educazione sessuale resta inesistente e l'accesso ai servizi della pianificazione familiare ed alla contraccezione largamente insufficiente.

Più recentemente, il primo maggio 2004, dieci nuovi paesi sono entrati nell'Unione ed anche questa volta, sono stati accolti senza nessuna esigenza in materia di riconoscimento dei diritti delle donne. Per Malta, l'entrata nell'Unione europea ha confermato una legislazione nazionale di un'altra epoca. Il governo maltese si è allarmato in effetti del dibattito che si era svolto nel 2002 sulla "salute e diritti sessuali e procreativi" delle donne e si era concluso con delle semplici raccomandazioni. Ha considerato che si trattava di una vera pressione politica che andava nel senso di un cambiamento della sua legislazione ed ha ottenuto che un protocollo sia allegato al trattato di adesione, per garantire che la legislazione europea non ha e non avrà in nessun caso autorità per modificare la legge nazionale sull'IVG - vietata a Malta - né per modificarne l'applicazione.

Nello stesso modo bisognava escludere che l'Unione europea tenti alcunché nei confronti degli altri paesi arrivati nello stesso tempo, ed in particolare che faccia pressione su un grande paese come la Polonia. Là sarebbe bastato ritornare qualche anno indietro poiché l'aborto era legale fino al 1993. Alla domanda della donna e per ragioni anche di tipo sociale, gli interventi potevano svolgersi gratuitamente negli ospedali pubblici. In cambio, le organizzazioni di pianificazione familiare erano malviste dallo Stato ed i mezzi di contraccezione poco diffusi. Ma a partire dal 1989, le pressioni per annullare il diritto all'IVG si sono fatte insistenti e la gerarchia cattolica esigeva una nuova legge che lo vieti. Nel 1993, l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza fu radicalmente limitato, con l'appoggio del presidente della Repubblica Lech Walesa. Ancora oggi è autorizzato solo per strette ragioni mediche, in caso di stupro o di malformazione del feto. Le organizzazioni femministe notano che in Polonia molti ospedali pubblici rifiutano di praticare ogni interruzione, anche legale. Prima della legge del 1993, circa 100 000 IVG erano registrate ogni anno. Da allora, le IVG legali sono diminuite considerabilmente (a circa 150 nel 1999), il che vuol dire che la quasi totalità degli aborti si svolgono clandestinamente, in condizioni pericolose per quelle che non possono far fronte alle spese di soggiorno in una delle cliniche private, dove prospera il mercato nero degli aborti clandestini. I medici possono essere condannati a due anni di carcere e dieci anni di privazione del diritto di esercitare la professione per aver praticato un aborto illegale. Quanto alla contraccezione, costa molto caro e la maggior parte delle donne non ha accesso a metodi efficaci. Nel settembre 2000, solo l'8% prendeva la pillola. Nelle scuole, l'educazione sessuale non esiste. Nell'aprile 2004, un gruppo di parlamentari polacchi ha presentato un progetto di legge che proponeva la legalizzazione dell'IVG entro un certo termine... senza seguito.

Quando nel maggio 2004, la Polonia è entrata nell'Unione europea, ha posto immediatamente le sue condizioni ed non ha voluto alcuna pressione per liberalizzare la sua legislazione. Attualmente, il controllo della Chiesa è totale sugli asili, le scuole materne, i doposcuola, i centri medici, finanziati spesso dal Vaticano. La separazione della Chiesa e dello Stato non esiste più dal 1995 ed il divorzio è rimesso in discussione. La Lega delle famiglie, un partito integralista cattolico e nazionalista, che dispone al Parlamento europeo di dieci seggi sui 54 riservati alla Polonia, conduce una campagna particolarmente aggressiva per ottenere l'interdizione del divorzio e la prigione per tutti i farmacisti che vendano metodi contraccettivi. Tutto ciò non impedisce alle autorità europee di considerare che "la democrazia polacca soddisfa i criteri politici di Copenaghen" e di aprirle le porte dell'Unione europea. Ma tali criteri non si preoccupano delle condizioni di vita delle donne in particolare, non più di quelle della popolazione laboriosa in genere d'altronde. Soddisfare i criteri significa solamente "mantenere delle istituzioni stabili, avere un'economia di mercato aperta e concorrenziale e sottoscrivere gli obiettivi dell'unione politica, economica e monetaria" dell'Europa. Il resto è accessorio.

La legalità ed il regno dell'ipocrisia

Ma anche nei paesi europei dove il diritto all'IVG ed alla contraccezione è sancito dalla legge, le cose non sono sempre semplici e facili. Il Consiglio d'Europa riconosce che in materia di contraccezione, l'informazione e la diffusione dei metodi contraccettivi non sono assicurati dagli Stati, che si rimettono ad associazioni private come la Pianificazione familiare. Nella quasi totalità degli Stati dell'Unione europea, i giovani, la popolazione delle zone rurali, gli immigrati sono abbandonati a sé stessi. Nel 2002, le autorità europee notavano che il tasso di gravidanza tra le adolescenti, gravidanze desiderate o no, era in aumento in tutti i paesi dell'Unione europea e metteva in causa la debolezza delle politiche di contraccezione e di informazione presso i giovani. Nei programmi scolastici, l'educazione sessuale da cui dipende il ricorso più o meno sistematico ai contraccettivi era ritenuta insufficiente, quando non totalmente assente.

In Italia, dal 1970, la "dissoluzione del matrimonio civile" (poiché il legame religioso non si dissolve ed i termine divorzio è dunque proscritto !) è iscritta nella legge. Malgrado l'influenza della Chiesa, la legge del 22 maggio 1978, che autorizza l'interruzione volontaria di gravidanza, è abbastanza liberale nel testo: non esige che una semplice domanda della donna e deve effettuarsi entro 90 giorni, dopo aver consultato un medico in un centro pubblico autorizzato. La legge è stata confermata senza cambiamenti da un referendum il 17 maggio 1981. Ma in pratica, questo diritto incontra molti ostacoli per essere applicato correttamente, senza contare tutti i bigotti e reazionari imboscati, pronti a partire all'assalto di tale diritto appena l'occasione si presenta.

Per esempio, nell'agosto 2004, il ministro della Salute del governo Berlusconi, Sirchia, non ha trovato meglio che chiedere l'instaurazione di una tassa sull'aborto. Prevedeva di far pagare il 50% del costo del secondo aborto e integralmente i successivi. L'idea era di punire le donne per il non rispetto delle precauzioni contraccettive. La proposta ha sollevato un moto di protesta ed è stata respinta ma gli argomenti che scandivano il suo discorso sono stati ripresi da tutto quanto la società italiana conta di reazionari e di fanatici religiosi. Le donne che fanno ricorso all'IVG sono state qualificate di "assassine"; su un sito Internet creato all'iniziativa di giovani napoletani del partito Alleanza nazionale è stata lanciata una petizione col titolo "la vita è un diritto, l'aborto è un omicidio: sostieni l'appello del ministro Sirchia".

Anche laddove la legge riconosce alcuni diritti alle donne in materia di libertà di controllo della procreazione, le forze reazionarie e la gerarchia clericale non abbandonano la lotta. Inneggiano al "rispetto della vita", ma si beffano di tutte quelle che muoiono di aborti clandestini o che restano traumatizzate. E naturalmente, il "rispetto della vita" non ha mai impedito alla gerarchia clericale di benedire gli eserciti che partono in guerra né di sostenere dittature che torturano e assassinano.

Una tale offensiva contro la legalizzazione dell'IVG e della contraccezione non è nuova in Italia e ci sono voluti molti anni affinché la legge sia rispettata. E non lo è dappertutto. Nel 1981, tre anni dopo la sua promulgazione, la legge era quasi totalmente ignorata in tutta la metà sud del paese come anche in Veneto, dominato dal grande partito della destra reazionaria e cattolica, la Democrazia cristiana. Nel dicembre 1999, il caso di una ragazzina siciliana di tredici anni, handicappata mentale, incinta in seguito ad una violenza carnale, e per la quale il suo tutore, medico, chiedeva una IVG, scatenò una campagna violenta contro il diritto all'aborto. La ragazzina fu ritenuta in un centro cattolico aspettando che il termine legale di intervento fosse oltrepassato, il tutore fu etichettato di "abortatore", il quotidiano del Vaticano, l'Osservatore Romano, faceva i suoi titoli sul ritorno agli orrori del razzismo nazista, l'arcivescovo della città della ragazzina faceva pubblicamente campagna contro l'aborto. Alla fine i tribunali decisero a favore del tutore senza peraltro che i militanti per una limitazione drastica della legge mollassero. Oggi, negli ospedali le liste di attesa sono lunghe ed i medici fanno valere spesso l'obiezione di coscienza per non praticare le IVG, rigettando le giovani donne nella clandestinità, o verso cliniche private nelle quali si ritrovano a volte gli stessi medici, obiettori di coscienza negli ospedali pubblici ma pronti, a pagamento, a dimenticare la loro pretesa coscienza. Quanto alla pillola del giorno dopo, la RU 486, nell'agosto scorso era in fase di sperimentazione nella sola città di Torino e non autorizzata nel resto dell'Italia... col pretesto che non sarebbe solo contraccettiva ma provocherebbe un vero aborto.

In Francia la contraccezione è autorizzata dalla legge Neuwirth del dicembre 1967; con la legge Veil del 1975, migliorata nel 2001 con un allungamento del termine legale di autorizzazione dell'aborto da dieci a dodici settimane, possiede una legislazione particolarmente liberale per l'interruzione volontaria di gravidanza. Trent'anni dopo questa legge, tutti quelli che sono ostili al riconoscimento della libertà delle donne di decidere di avere hanno un figlio, ritornano periodicamente alla carica.

Il dottor Jean-François Mattei, che era solo il presidente del gruppo Democrazia liberale all'Assemblea prima di diventare, nel maggio 2002, ministro della Salute del governo Raffarin, si pronunciava nell'ottobre 2000 contro l'allungamento del termine da dieci a dodici settimane, osando dichiarare in sostanza che si trattava di una cattiva decisione perché non responsabilizzava le donne, che così avrebbero potuto abortire a loro convenienza secondo le informazioni ottenute sul futuro bambino. Alla fine del 2003, l'affare dell'emendamento Garraud illustrava in modo stupefacente come gli uomini di governo cercavano di ritornare indietro. In occasione della proposta di legge presentata dal ministro della giustizia Dominique Perben, per rafforzare la lotta contro la violenza stradale, il deputato UMP Jean-Paul Garraud proponeva la creazione di un "delitto di interruzione volontaria di gravidanza" nel caso in cui una donna incinta avesse abortito in seguito ad un incidente stradale. Nel marzo scorso, lo stesso deputato aveva già presentato una proposta di legge che andava nello stesso senso, rifiutata dal Senato. Nel novembre 2003, ritornava alla carica, ma questa volta con l'appoggio dello stesso ministro della Giustizia che sostenne la proposizione del suo collega durante la seduta e la fece votare insieme alla sua legge. La reazione delle donne e delle associazioni femministe, l'indignazione sollevata nell' opinione pubblica fecero ritirare l'emendamento Garraud. Rappresentanti del Movimento francese per la pianificazione familiare hanno denunciato presso la Delegazione parlamentare ai diritti delle donne la procedura e le sue conseguenze se l'emendamento fosse passato. Di fatto avrebbe trasformato l'aborto legato ad un incidente stradale in un vero crimine. Denunciavano a giusto titolo che "il fatto di attribuire uno statuto giuridico a tale feto e a quest'embrione apre, sul piano giuridico, una breccia che può essere sfruttata per chiedere una rimessa in discussione dell'IVG , poiché tale feto ha dei diritti e, dal momento che ha dei diritti, il primo è quello di vivere. E' la logica dei militanti anti-IVG". Ma Garraud non è solo a continuare a combattere la legislazione attuale, secondo lui troppo favorevole alle donne. E le difficoltà incontrate ancor oggi dalle donne per far procedere ad un'interruzione di gravidanza non desiderata lo testimoniano. "Incontriamo enormi difficoltà per far applicare la legge", nota la Pianificazione familiare e la presidente della Delegazione parlamentare ai diritti delle donne rilevava "che oggi alcuni medici sono reticenti, e lo sono sempre di più", poiché se in Francia l'aborto è iscritto nella legge, i medici non sono obbligati a rispettarla ed a farla rispettare. I tagli ai crediti nel settore della salute, dei finanziamenti ospedalieri, l'assenza di mezzi e di personale che ciò provoca, fanno sì che l'esercizio del diritto iscritto nel testo della legge resta ancora difficile.

Da un capo all'altro dell'Europa, le situazioni sono dunque molto differenti. Dipendono da numerosi fattori nazionali, tra i quali il peso delle tradizioni e delle Chiese sulla società e sulle donne in particolare, il contenuto più o meno democratico delle istituzioni come anche le lotte e le possibilità di mobilitazioni delle donne per imporre il riconoscimento dei loro diritti. Ma le autorità europee che pretendono agire su scala dell'insieme dei paesi d'Europa, si accomodano perfettamente di questa diversità, e lasciano sussistere leggi e strutture sociali arcaiche e oppressive. Nei paesi dove il Vaticano e la gerarchia cattolica hanno voce preponderante in capitolo, non trovano niente da ridire.

Le istituzioni europee e la Costituzione non prevedono nessuna misura che vada verso un'unificazione delle legislazioni sociali in un senso favorevole alle popolazioni, ai lavoratori in genere ed alle donne in particolare. E le donne che si battono contro una legislazione nazionale particolarmente retrograda non possono assolutamente contare sull'appoggio di istituzioni e di leggi europee per condurre la loro lotta. Anche su questo terreno preciso, l'Unione europea non rappresenta il progresso ma il conservatorismo sociale. A 25 come a 15 o a 9, l'Unione europea si sforza solo di costituire un insieme economico coerente, nel quale gli affari possano essere facilitati, le leggi della concorrenza rispettate e le regole del mercato unificate. Il resto non interessa a quest'Europa di capitalisti.