Nel 1848, Marx ed Engels scrivevano nel Manifesto del partito comunista: "il carattere distintivo della nostra epoca, dell'epoca della borghesia, è di aver semplificato gli antagonismi di classe. La società si divide sempre più in due vasti campi nemici, in due grandi classi diametralmente opposte : la borghesia ed il proletariato".
E' su questa affermazione capitale, verificata da più di un secolo e mezzo di sviluppo storico, che si fondano il programma e la pratica dei rivoluzionari proletari.
Dall'alba del XVI secolo, lo sviluppo della borghesia, della produzione manifatturiera, con il commercio verso le Americhe, l'Africa e le Indie, hanno comportato l'estensione del commercio mondiale, spesso sotto forma di rapina e, in cambio, la creazione di un mercato interno e mondiale.
L'industrializzazione provocò un esodo dalle campagne verso le città, un'urbanizzazione crescente e la comparsa del proletariato industriale che si ammassava vicino ai luoghi di produzione in tuguri malsani con condizioni di lavoro abominevoli.
Con la rivoluzione industriale agli inizi nel XIX secolo il mercato mondiale si sviluppò considerabilmente e l'industrializzazione dell'Europa occidentale, poi della costa est degli Stati-Uniti, creò una vera divisione internazionale del lavoro e diede nascita al proletariato moderno.
Lo sviluppo delle capacità di produzione tanto industriale che agricola, legato allo sviluppo della borghesia, ha creato le fondamenta economiche suscettibili di soddisfare tutti i bisogni tanto fisici che materiali e intellettuali di tutta la popolazione mondiale.
Già da ora è possibile costruire un mondo sbarazzato dalla fame, dalla miseria, dallo sfruttamento e dall'alienazione. E' a questa società comunista che vogliamo lavorare.
La forte natalità nella maggior parte dei paesi sottosviluppati non sarà un problema, contrariamente a quanto dicono certi economisti che la rendono responsabile del sottosviluppo. Infatti come si è visto nei paesi occidentali, sotto l'effetto del livello di vita e della cultura, la natalità si stabilizza e addirittura diminuisce, e la popolazione non aumenta che grazie all'apporto dell'immigrazione in provenienza dei paesi poveri.
La lotta del proletariato non può dunque concepirsi limitata al quadro delle frontiere nazionali. Si tratta, al contrario, di una lotta internazionale, che si pone come scopo la distruzione della potenza economica e politica della borghesia e l'organizzazione della classe operaia in quanto classe economicamente e politicamente dominante su scala mondiale. L'internazionalismo esprime questa comunità fondamentale di interessi e di obiettivi, e non una semplice solidarietà. L'internazionalismo implica sul piano politico che, per riprendere l'espressione del Manifesto comunista, "nelle diverse lotte nazionali dei proletari, (i comunisti) portano avanti e fanno valere gli interessi indipendenti dalla nazionalità e comuni a tutto il proletariato". E' perché la rivoluzione russa è rimasta isolata che ha conosciuto la spaventosa degenerazione burocratica incarnata da Stalin.
Conquistare alle idee comuniste rivoluzionarie una frazione della classe operaia e delle altre classi proletarie direttamente o indirettamente sfruttate per costruire un partito comunista rivoluzionario qui, in Francia, non può concepirsi che nell'ambito della costruzione, o almeno nella prospettiva di un partito mondiale della rivoluzione socialista.
Ecco perché, malgrado l'assenza di una tale internazionale, dobbiamo sempre sforzarci di porre i problemi politici del proletariato e della società francese in funzione degli interessi politici e sociali del proletariato mondiale.
Il nostro programma si fonda sulle acquisizioni politiche del movimento comunista rivoluzionario e, di conseguenza, sulle basi programmatiche espresse dal Manifesto comunista, dai quattro primi congressi dell'Internazionale Comunista e dal Programma di Transizione, programma di fondazione della Quarta internazionale.
Il Manifesto comunista del 1848, affermando che "il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare poco a poco tutto il capitale alla borghesia, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato organizzato in classe dominante...", esprime il ruolo insostituibile del proletariato nella trasformazione sociale.
Questo passaggio esprime anche il vero significato dell'espressione "dittatura del proletariato" formulata nel 1852 da Marx come il potere democratico del "proletariato organizzato in classe dominante" (che non ha niente a che vedere con la deformazione di questa nozione imposta dagli stalinisti per giustificare la dittatura della burocrazia in Urss). Non si tratta di una dittatura che nella misura in cui la sua funzione essenziale sarà di procedere alla "violazione dispotica del diritto di proprietà e del regime borghese di produzione... come mezzo per sconvolgere il modo di produzione tutto intero". Il potere operaio sarà l'antitesi dello Stato della borghesia che, anche sotto l'apparenza dei regimi più democratici formalmente, ha un carattere dittatoriale nella sua funzione fondamentale di difendere la proprietà borghese ed il modo di produzione capitalistico.
La "dittatura democratica del proletariato" dovrà essere fin dall'inizio più democratica dei più democratici poteri borghesi in cui, dietro alle istituzioni elettive, il grande capitale impone la sua propria dittatura. Un potere politico destinato a spegnersi per lasciar posto ad "un'associazione dove il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti".
Questa concezione marxista dello Stato, del suo ruolo e della sua natura, borghesi oggi, proletari dopo la rivoluzione, e la sua scomparsa ineluttabile, progressiva, mano a mano che la società si trasforma, è stata esposta e soprattutto difesa da Lenin, nell'agosto 1917, tra le due rivoluzioni, quella di febbraio 1917 che aveva rovesciato lo zarismo e quella di ottobre-novembre dello stesso anno che rovesciò la borghesia.
Lenin, nel suo opuscolo Stato e Rivoluzione, scritto nell'agosto 1917, ristabilisce il pensiero di Marx su tale questione, deformato da tutti gli opportunisti che dicevano di averlo rappresentato, chiarendo le idee di Marx e di Engels alla luce dell'esperienza delle rivoluzioni russe del 1905 e del febbraio 1917 e della situazione di crisi rivoluzionaria del periodo in cui l'opuscolo veniva scritto.
Dai primi quattro congressi dell'Internazionale Comunista, traiamo la convinzione che un Partito è indispensabile affinché il proletariato possa compiere la rivoluzione socialista.
"Solo nel caso in cui il proletariato è guidato da un partito organizzato e sperimentato, che persegue obiettivi chiaramente definiti e che possiede un programma ... suscettibili di essere applicato, tanto nella politica interna che nella politica estera, solo in questo caso la conquista del potere politico può essere considerata non come un episodio, ma come il punto di partenza di un lavoro duraturo di edificazione comunista della società da parte del proletariato". (Testo adottato nel luglio 1920 dal secondo congresso dell'Internazionale Comunista).
Questo ci distingue non solo dagli anarchici, ma anche da una moltitudine di correnti attuali che ripudiano ogni idea di organizzazione politica delle classi sfruttate e oppresse per non parlare che di "movimenti sociali" e che nascondono sempre obiettivi politici riformisti o addirittura reazionari, dietro l'apoliticismo.
Ma ciò ci distingue anche dai fautori di un "partito operaio di massa". Un partito che operi per la trasformazione rivoluzionaria della società non potrebbe essere un partito di massa che in un contesto di ascesa rivoluzionaria quando la grande maggioranza della classe operaia stessa sarà convinta della necessità di impadronirsi del potere politico. La nozione di "partito operaio di massa" fa generalmente da rifugio a quelli che difendono una politica riformista. L'insieme dei lavoratori non è rivoluzionario in una situazione normale. Le masse sono al contrario riformiste e solo nei periodi di crisi la necessità di un cambiamento radicale di politica si impossessa delle masse. Al di fuori di questi periodi, non si può conquistare alle idee rivoluzionarie che una minoranza del mondo del lavoro.
Il Programma di Transizione (settembre 1938) prolungando i testi programmatici precedenti, oltre alla sua analisi della degenerazione burocratica del primo Stato operaio ed alla difesa del programma comunista contro le deformazioni staliniste, definisce cosa sono le "rivendicazioni transitorie" che porta avanti : "partendo dalle condizioni attuali e dalla coscienza attuale di larghi strati della classe operaia e conducendo invariabilmente ad una sola e stessa conclusione : la conquista del potere da parte del proletariato", in opposizione alla separazione tra "il programma minimo che si limiterebbe a delle riforme nel quadro della società borghese ed il programma massimo che prometteva per un futuro indeterminato la sostituzione del capitalismo col socialismo".
E' guidati da questo programma che in funzione della situazione economica, sociale e politica attuale, noi portiamo avanti la rivendicazione del divieto dei licenziamenti collettivi sotto pena di requisizione soprattutto nelle imprese che ostentano cinicamente profitti. Si tratta di una rivendicazione transitoria perché la sua applicazione necessita un livello di lotte sociali capace di mettere in discussione la proprietà privata capitalistica.
Nello stesso modo è una rivendicazione transitoria la rivendicazione dell'abolizione del segreto commerciale e bancario, nella misura in cui solo il proletariato può incaricarsi della sua applicazione. Beninteso, se la pubblicità della contabilità, la trasparenza degli affari rimanessero articoli di legge o se solo gli organismi di collaborazione di classe, come i comitati d'azienda, avessero il diritto di verificare i conti delle imprese, da rivoluzionari questi obiettivi diventerebbero schiettamente riformisti. Se, ciononostante, il proletariato mobilitato se ne fa carico, ciò lo spinge a controllare i conti delle imprese e delle banche, a intervenire nella loro gestione e, finalmente, a rimettere in discussione la disposizione totale del capitale industriale, commerciale e bancario da parte della grande borghesia.
Il Programma di Transizione è anche la chiave di lettura della degenerazione burocratica del primo Stato operaio e di tutte le deformazioni introdotte dallo stalinismo nel programma e nei valori fondamentali del movimento operaio. Abbiamo sempre difeso l'analisi trotskista contro le correnti, numerose, che, già prima della morte di Trotsky e ancor più dopo, abbandonando la nozione di Stato operaio degenerato per l'Urss hanno di fatto abbandonato la nozione di Stato operaio tout court.
Non rimettendo fondamentalmente in discussione, neanche oggi, questa valutazione, mentre l'Unione Sovietica è spezzettata e la quasi totalità dei suoi dirigenti operano per il ritorno del capitalismo, noi ci collochiamo nella continuità di questa lotta politica. Anche oggi, certi tratti della società ex sovietica non si spiegano senza un ragionamento basato sull'analisi trotskista, e soprattutto l'evoluzione verso il dominio sociale ed economico totale nella borghesia è ancora lontana dall'essere compiuta.
La Quarta Internazionale, fondata da Lev Trotsky nel 1938, è stata in effetti fino alla morte di quest'ultimo nel 1940 la sola continuatrice politica del movimento incarnato successivamente dall'associazione Internazionale dei lavoratori di Marx ed Engels, dalla Seconda Internazionale fino alla prima guerra mondiale e dall' Internazionale Comunista degli anni 1919-1923. Se, in quanto direzione internazionale, la Quarta Internazionale non ha resistito alla seconda guerra mondiale, il Programma di Transizione, il suo programma costitutivo, malgrado il segno delle circostanze in cui fu scritto, è ancora la migliore guida esistente per i rivoluzionari proletari. E' per questo che il loro compito fondamentale è la ricostruzione di una Internazionale Comunista rivoluzionaria.
Il nostro programma politico
La ricostruzione di una Internazionale implica la costruzione, in tutti i paesi del mondo, di partiti proletari, che difendano il ruolo storico del proletariato, il che non impedisce, al contrario, di difendere i suoi interessi immediati ma senza perdere di vista e restando nel quadro della difesa dei suoi interessi generali, vale a dire di quelli di tutta la società.
Ne risulta, al nostro livello, che i nostri compagni nelle aziende partecipano alle lotte piccole e grandi che i lavoratori e gli sfruttati in generale portano avanti per difendere le loro condizioni di esistenza. Così come ne risulta che debbono svolgere un'attività sindacale. Ma, nelle piccole e grandi lotte contro la borghesia e il suo Stato, come nell'attività sindacale, i lavoratori comunisti, per riprendere l'espressione del Manifesto comunista, "rappresentano sempre gli interessi del movimento nella sua totalità".
La costruzione di partiti autenticamente proletari e la lotta per la rivoluzione socialista necessitano una delimitazione rigorosa, tanto politica che organizzativa, del terreno di classe sul quale i rivoluzionari devono collocarsi. Nei confronti dei "fronti" di ogni sorta che mirano a mettere la classe operaia a rimorchio di organizzazioni e di interessi borghesi, i rivoluzionari devono in particolare difendere la necessità di un'organizzazione e di una politica proletarie indipendenti, che si pongano come scopo l'instaurazione del potere democratico del proletariato rappresentato da un pluralismo dei partiti rivoluzionari.
La società borghese mantiene e riproduce tante forme di oppressione, di esclusione -contro le donne, le minoranze nazionali, oppure etniche ed altre ancora, poiché ne suscita continuamente delle nuove- i sans-papiers, i senzatetto- provocando reazioni di protesta, momentanee o permanenti. Come ne provocano frequentemente le molteplici conseguenze del funzionamento dell'economia capitalistica.
I rivoluzionari comunisti sostengono la contestazione, anche se limitata e parziale, dell'organizzazione capitalistica della società, senza per questo attribuire automaticamente a tali movimenti un carattere rivoluzionario che, nella maggior parte dei casi, non hanno.
Lo stalinismo ha deformato o svuotato di senso la maggior parte degli obiettivi del movimento operaio. Ciò vale per le nozioni di "anti-imperialismo", di "anti-capitalismo", oppure di "internazionalismo". Questo comporta che oggigiorno molte correnti politiche che non hanno nessun legame, né passato, né presente, col movimento operaio possono impadronirsi di queste parole e usarle per fare tanto più chiasso che le hanno svuotate di senso.
La corrente altromondista non è che l'ultimo prodotto di questo tipo di correnti che utilizzano alcune nozioni ereditate dal movimento operaio, ma svuotate di contenuto, canalizzando l'indignazione e la rivolta che solleva questa o quella ingiustizia particolarmente stridente oppure questa o quella conseguenza catastrofica dell'economia capitalistica.
Noi dobbiamo smarcarci chiaramente e fermamente da queste correnti, smascherare le ambiguità del loro discorso e denunciare la loro politica che, dietro alcuni aspetti contestatari, è quanto mai rispettosa dell'ordine sociale.
In modo analogo, lo stalinismo ha deformato la tradizione bolscevica del partito comunista rivoluzionario, ripresa dalla Terza Internazionale. Alla nozione di partito, nello stesso tempo disciplinato e democratico e, soprattutto, completamente dedicato agli interessi politici del proletariato, ha sostituito quella di partito stalinista in cui la disciplina è sostituita da un autoritarismo destinato ad impedire ogni critica suscettibile di svelare il fatto che il partito ha abbandonato gli interessi del proletariato per mettersi innanzitutto al servizio della burocrazia ex-sovietica e poi, tramite questa, della borghesia di ogni paese.
L'evoluzione dei partiti stalinisti, la loro socialdemocratizzazione sul piano politico e organizzativo, hanno compiuto un'evoluzione. Col pretesto di rimettere in discussione il loro passato staliniano, i PC -e in particolare il PCF- hanno soprattutto abbandonato i loro riferimenti alle tradizioni comuniste. Questa evoluzione ha contribuito al rigetto dell'idea stessa che il proletariato ha bisogno di un partito politico democratico, ma centralizzato e disciplinato, per giungere alla sua emancipazione. I PC si sono trascinati dietro molte organizzazioni pseudo-rivoluzionarie che affermano oggi che il partito non sia più la cosa principale nella rivoluzione sociale.
La necessità di un partito comunista rivoluzionario che rifiuti di fondersi in fronti più larghi non è vera solo per i paesi capitalistici avanzati, dove i compiti della rivoluzione democratica borghese sono stati compiuti e dove il proletariato costituisce una classe molto numerosa.
Ciò è vero ugualmente per i paesi "sottosviluppati" dove i compiti della rivoluzione democratica borghese non sono stati compiuti, che sono sottoposti al saccheggio imperialista e dove il proletariato, numericamente debole, è sottoposto ad uno sfruttamento forsennato. Benché la quasi totalità dei paesi poveri del pianeta non siano più sottoposti all'oppressione coloniale diretta, questi subiscono sempre, ed in modo aggravato, il dominio economico e politico dell'imperialismo. Il principale cambiamento portato dalla decolonizzazione consiste nel fatto che uno strato dirigente autoctono ha assunto i compiti di oppressione delle vecchie metropoli coloniali. Gli Stati dei paesi poveri sono nella maggior parte dei casi delle dittature corrotte che, dopo i prelievi dell'imperialismo, spremono ancora la loro popolazione per estrarne quanto potrebbe restare da prendere. La miseria delle masse povere non ha limiti.
Di conseguenza le contraddizioni di classe nei paesi poveri restano esplosive. Le aspirazioni di grandi masse ai diritti democratici e soprattutto ad una vita migliore sono state canalizzate durante tutto un periodo storico, durante e dopo i movimenti di decolonizzazione, dall'influenza di organizzazioni piccolo-borghesi nazionaliste più o meno progressiste che, a volte, si pretendevano finanche marxiste-leniniste.
Il saccheggio imperialista non si limita a dissanguare questi paesi. Li fa anche regredire sul piano della coscienza politica. L'era del nazionalismo "progressista", del pan-africanismo, del terzo-mondismo di differenti varietà, cede il posto all'era dell'ascesa delle forze reazionarie, dell'integralismo in certi paesi, dell'etnismo in altri. Il dominio imperialista spinge numerosi paesi poveri verso una barbarie medioevale, verso guerre permanenti e il regno dei signori della guerra.
In tutti i paesi poveri, i rivoluzionari proletari devono farsi carico delle aspirazioni anti-imperialiste delle masse, così come delle aspirazioni ai diritti ed alle libertà democratiche. Un partito proletario dovrebbe cercare di mettersi alla testa di queste lotte mostrando tramite la sua politica che è il solo a poter portare fino in fondo questa battaglia.
Ma lo deve fare su un terreno di classe, il che esige la sua rigorosa indipendenza di classe. Deve farlo chiarendo continuamente agli occhi dei lavoratori urbani e rurali i loro interessi di classe e quanto li separa o li oppone alle categorie sociali i cui rappresentanti sono suscettibili di utilizzare un discorso "anti-imperialista". Ciò lo opporrà in modo radicale alle correnti fondamentaliste religiose, etniste, ecc., ma lo opporrà ugualmente alle organizzazioni nazionaliste piccolo-borghesi che si pretendono progressiste.
Non abbiamo mai preteso essere un'Internazionale, neanche nel senso che aveva la Quarta Internazionale al momento della sua fondazione. Pur essendo estremamente debole dal punto di vista organizzativo, la Quarta Internazionale dell'epoca era diretta da Trotsky che da solo rappresentava il capitale politico proveniente dall'esperienza della rivoluzione russa e quello della Terza Internazionale, capitale che è quasi totalmente scomparso con lui. Le differenti correnti trotskiste che hanno giocato a fare l'Internazionale, in più del carattere derisorio di questi giochi, mascherano nello stesso tempo l'abbandono degli sforzi per radicarsi nella classe operaia dei loro paesi, cioè l'abbandono nei fatti della costruzione di partiti comunisti rivoluzionari.
Ciononostante, abbiamo sempre cercato di ragionare in funzione degli interessi del proletariato internazionale. E' da questo punto di vista che abbiamo analizzato i fenomeni politici nuovi dopo la morte di Trotsky, come le democrazie popolari o la rivoluzione cinese. Ciò ci ha portato spesso a differenziarci dalle correnti trotskiste esistenti. Con la scomparsa delle democrazie popolari, l'oggetto delle nostre divergenze è sparito, ma non la loro storia e non la differenza nei metodi di analisi sociale. Queste differenze, le ritroviamo nei nostri giudizi rispettivi sulle correnti nazionaliste più o meno radicali che esistono nei paesi poveri. Come si ritrovano nei nostri atteggiamenti rispettivi verso la socialdemocrazia ed i suoi vari discendenti.
Abbiamo considerato ugualmente come nostro dovere, quando se ne presentava l'opportunità, di aiutare i militanti di altri paesi a militare sulla base delle idee comuniste rivoluzionarie.
Malgrado un certo numero di successi elettorali relativi -relativi al nostro radicamento nella classe operaia-, il nostro compito fondamentale resta lo stesso di venti o trenta anni fa.
Oltre ad essere modesta, l'influenza elettorale non fa il partito. Così, anche se siamo portati a partecipare a molte manifestazioni di solidarietà verso questo o quel popolo o frazione della popolazione particolarmente oppressa, e se continuiamo, come è di dovere dei comunisti rivoluzionari, a presentarci alle elezioni, tutte queste attività vanno inquadrate nella prospettiva della costruzione di un partito comunista rivoluzionario proletario e ci sono subordinate.
L'emergenza di un tale partito evidentemente non dipende solo da noi, ma anche dalle circostanze, dalla ripresa di fiducia del proletariato in se stesso, qui in Francia, come altrove. Ciò che dipende da noi è il fatto di non abbandonare le idee, il programma ereditati da più di un secolo e mezzo di storia del movimento operaio rivoluzionario, di non dissolverle in alleanze o fronti in vista di successi effimeri, di cercare di organizzare i lavoratori intorno a queste idee.
Quanto alle circostanze favorevoli che permetteranno a ciò che è seminato oggi di crescere domani, noi ne tiriamo la speranza dal fatto che l'evoluzione storica darà ragione agli obiettivi di trasformazione sociale del movimento operaio rivoluzionario e perché siamo convinti che il capitalismo, lo sfruttamento, l'oppressione, le guerre non possono rappresentare il solo avvenire dell'umanità.
20 ottobre 2003