Di fronte agli attacchi del padronato e del governo - Il mondo del lavoro rialza la testa

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Francia - Il mondo del lavoro rialza la testa (da "Lutte de Classe" n°74)
estate 2003

Fra il 3 aprile e il 19 giugno, la Francia ha conosciuto la più ampia mobilitazione sociale dal grande movimento che, alla fine del 1995, si era esteso a partire dei ferrovieri all'insieme del settore pubblico.

Contrariamente al 1995, la categoria più mobilitata è stata quella dell'Educazione Nazionale. Ma, in occasione delle grandi giornate di mobilitazione nazionale dichiarate dalle confederazioni sindacali che hanno scandito il periodo, altri settori dei servizi pubblici si sono uniti al personale dell'Educazione Nazionale.

Alcune tra queste categorie, come i lavoratori dei trasporti urbani delle grandi città del paese, quelli delle infrastrutture o ancora i ferrovieri ed i postini, in alcuni posti sono rimasti mobilitati durante i giorni compresi tra due giornate nazionali di lotta.

Alcune di queste manifestazioni hanno coinvolto lavoratori delle imprese private, senza per questo che il movimento tocchi, in modo significativo, i grossi battaglioni del mondo operaio.

L'insieme di questi scioperi e di queste manifestazioni ha toccato a diversi livelli parecchi milioni di persone, vale a dire una frazione importante del mondo del lavoro. Inoltre, grazie ai suoi obiettivi non corporativi, grazie alla volontà di una parte degli scioperanti di trascinare lavoratori di altre corporazioni, il movimento é apparso come l'espressione attiva degli interessi dell' insieme del mondo del lavoro. Malgrado un'intensa propaganda governativa che cercava di dividere i lavoratori del settore pubblico da quelli delle imprese private, presentando i primi come dei privilegiati, il movimento è stato marcato dall'aspirazione all'unità tra le diverse categorie di lavoratori. Abbiamo potuto vedere che, se le occasioni di una tale unità sono rare, questa volta intellettuali come gli insegnanti hanno avuto la chiara coscienza che tutti i lavoratori, intellettuali o manuali, hanno gli stessi interessi.

La mobilitazione non è riuscita ad imporre al governo l'obiettivo più unificante del movimento, vale a dire il ritiro del progetto di legge Raffarin-Fillon contro le pensioni. Ma, con tutti i suoi limiti, quest'ampia mobilitazione ha mostrato che i salariati possono rialzare la testa dopo diversi anni di attacchi padronali e governativi contro le loro condizioni di esistenza.

Inoltre, malgrado le grida di vittoria del governo e soprattutto della maggioranza parlamentare ai suoi ordini, niente prova che il movimento sia terminato. È possibile, e in ogni caso è quanto possono sperano tutti quegli che sono nel campo dei lavoratori, che questa mobilitazione sia stata la prima fase di una mobilitazione più larga, finalmente vittoriosa.

Lo si può tanto più sperare e agire in questo senso che una volta votata la legge contro le pensioni, il governo continuerà i suoi attacchi. Lo ha annunciato Chirac stesso : fin da settembre, ci si può aspettare ad un attacco in piena regola contro tutti i lavoratori col pretesto del deficit della cassa mutua malattie. Si può già prevederne il contenuto: si tratterà sia di far contribuire di più i lavoratori, sia di ridurre il montante delle prestazioni sociali e dei rimborsi delle medicine o, più probabilmente ancora, delle due cose insieme.

Attacchi a raffica contro le classi popolari

Non appena Chirac fu installato alla presidenza della Repubblica e Raffarin alla testa del governo, quest'ultimo sviluppo' un intenso attivismo anti operaio.

Alcune delle misure prese riflettono l'obbedienza diretta a delle esigenze o dei desiderata del grande padronato o delle classi privilegiate. Altre, come la demagogia a proposito della sicurezza pubblica, le leggi repressive contro i poveri o i lavoratori immigrati, sono indifferenti al grande padronato e sono destinate soprattutto a compiacere l'elettorato di destra e di estrema destra (è vero che i due aspetti spesso si sovrappongono ).

Le misure che aggravano le condizioni di esistenza dell'insieme dei lavoratori o di alcune categorie più vulnerabili e meno in grado di difendersi, si sono moltiplicate. Alcune sono state largamente commentate dai Mass media. Altre hanno preso la forma di decisioni amministrative discrete. Spesso possono sembrare senza relazione le une con le altre. Ciò nonostante, tutte queste misure hanno un orientamento comune e un identico obiettivo. Si tratta di ridurre sistematicamente la parte del mondo del lavoro nel reddito nazionale a beneficio della classe capitalistica.

Il governo attuale non è certamente il primo ad agire in questo modo. Da più di 20 anni, tutti i governi, siano essi di sinistra o di destra, hanno seguito quest'orientamento. Si vede oggi il risultato : durante questi anni, anche secondo le statistiche ufficiali, la parte dei salariati nell'insieme dei redditi del paese, rispetto alla parte di quelli che vivono dei redditi del capitale, vale a dire, direttamente o indirettamente, dello sfruttamento dei lavoratori, è diminuita in modo costante.

Ma, ben al di là delle austere statistiche, tutte le famiglie operaie sanno che anche se non è mai stata rosea per l'insieme dei lavoratori, la vita si è degradata in modo drammatico per molti di loro nel corso dell'ultimo quarto del secolo scorso. Un quarto di secolo durante il quale la disoccupazione si è generalizzata fino al punto di toccare, tra alti e bassi, direttamente o indirettamente, la maggioranza delle famiglie operaie.

Le diverse forme di contratti precari, che una volta costituivano piuttosto l'eccezione, si sono generalizzate e tendono a diventare la regola. I periodi di disoccupazione e la precarietà portano ad un abbassamento importante dei salari, ancora più del loro blocco per quelli che hanno conservato un lavoro stabile. Molte delle protezioni sociali create al tempo in cui la disoccupazione era debole sono state soppresse.

Di fronte ad un padronato che, grazie alla disoccupazione, si sente in posizione di forza, i lavoratori nel senso largo, vale a dire ovviamente compresi i pensionati ed i disoccupati, non sono mai stati difesi dal governo in carica, qualunque sia il suo colore politico. Al contrario ! Tutti i governi si sono esclusivamente preoccupati di aiutare il padronato col pretesto di aiutare le imprese, e mai di proteggere i lavoratori contro l'avidità padronale.

Il governo Chirac - Raffarin è sulla stessa linea. Ma conduce la sua politica antioperaia con un odio aggressivo che non cerca neanche di nascondere.

Il partito socialista e il partito comunista, adesso che sono all'opposizione, cercano di trarrre benefico dall'arroganza governativa per ridare lustro al proprio blasone. Le loro critiche, soprattutto quelle dei dirigenti socialisti, si concentrano d'altronde per così dire unicamente sulla brutalità del metodo, e per niente sul fondo della politica del governo Raffarin. Per la buona ragione che questa politica sta nella continuità di quella che hanno condotto essi stessi quand'erano al governo e che condurrebbero se, per caso, ci tornassero. Molte delle misure antioperaie del governo attuale sono state preparate nei ministeri del governo Jospin.

L'attacco contro le pensioni è un esempio significativo: un buon numero di dirigenti del partito socialista, come Rocard, Delors o Charasse, hanno dichiarato che avrebbero votato a favore del progetto di legge anti-operaio di Raffarin - Fillon.

Il governo della destra ostenta in modo tanto più cinico la sua arroganza antioperaia in quanto dispone in parlamento di una maggioranza schiacciante e che il presidente della Repubblica, Chirac, è stato eletto con una percentuale degna di una dittatura africana. Ma chi può dimenticare le responsabilità del partito socialista e, accessoriamente, del partito comunista e dei Verdi, nell'elezione trionfale di Chirac?

Associati in seno al governo Jospin, questi partiti hanno condotto per cinque anni una politica anti - operaia che ha calpestato tutte le speranze del mondo del lavoro. E' il tradimento di queste speranze da parte del governo della sinistra plurale e, in particolare, la sua incapacità a porre termine alla disoccupazione ed alle sue conseguenze, che ha spianato il terreno al ritorno della destra e dell'estrema destra. I dirigenti del partito socialista, del partito comunista e dei Verdi hanno completato la loro opera di demoralizzazione invitando a votare per Chirac. Il pretesto scelto, non lasciare Le Pen arrivare al potere, era una grossolana menzogna, poiché tutti sapevano che Le Pen non aveva alcuna possibilità di essere eletto: Chirac sarebbe stato eletto, in ogni modo, con i soli voti dell'elettorato della destra classica.

Come dimenticare, oggi, mentre Chirac e il suo governo moltiplicano i colpi contro i lavoratori, che Chirac è stato eletto anche dai dirigenti del partito socialista e del partito comunista ? D'altronde Chirac non si fa scrupolo di ricordarlo e di rivendicare per la sua maggioranza presidenziale tutti i voti che si sono espressi sul suo nome.

Col pretesto di ammorbidire la legge Aubry sulle 35 ore, una nuova legge ha ripreso tutti gli aspetti favorevoli ai padroni e nefasti per i lavoratori come l'"annualizzazione" del tempo di lavoro, la flessibilità degli orari a disposizione dei bisogni dei padroni. Ma, per di più, ha eliminato la riduzione del tempo di lavoro per i salariati delle piccole e medie imprese. Più di 3 milioni di lavoratori restano dunque a 39 ore, subendo comunque gli inconvenienti della legge Aubry modificata da Fillon, che autorizza i padroni ad imporre un maggior numero di ore di straordinario senza riposi compensatori. Con l'annualizzazione, questi straordinari non sono calcolati alla settimana. Ciò permette al padrone di imporre settimane di 40 o 42, addirittura 50 ore, quando gli fa comodo, senza neanche dover pagare lo straordinario se, a fine anno, il totale legale delle ore di lavoro non è oltrepassato. E, nelle imprese di meno di venti salariati, gli straordinari sono maggiorati solo del 10% invece del 25%.

Ma, in cambio, il governo continua a prelevare sul bilancio dello stato le decine di miliardi di euro accordati ai padroni dalla legge Aubry in compenso delle 35 ore... che i padroni non devono neanche più veramente applicare!

Fin dal suo insediamento, il governo ha attaccato lo SMIC (salario minimo legale). Anche in questo caso ha utilizzato la breccia aperta dal governo Jospin. Questi, per non urtare i padroni, aveva rifiutato di aumentare lo SMIC nel suo insieme e aveva preferito creare sei SMIC mensili diversi, che dipendevano dal momento in cui i lavoratori erano passati alle 35 ore. Col pretesto di armonizzare questi differenti SMIC, il governo frena la progressione dello SMIC dal montante più elevato fino a che i piccoli aumenti degli SMIC più bassi finiscano per raggiungerlo.

Per di più, ciò gli ha permesso di vantarsi dell'aumento del 5% dello SMIC, mentre in realtà questa percentuale riguarda solo lo SMIC più basso e, per quanto riguarda gli altri SMIC, è un modo di bloccare i salari di lavoratori già mal pagati. Ciò é tanto più inammissibile in quanto, contrariamente a quanto indicano le sue iniziali, vale a dire salario minimo, lo SMIC da molto tempo non è più un salario minimo. 3 milioni di lavoratori ridotti alla precarietà o al part-time imposto guadagnano molto meno dello SMIC (1190 euro lordi, e 840 euro netti), che di fatto è diventato un salario medio per 2 700 000 lavoratori.

Non riprenderemo qui tutte le leggi votate e tutte le misure prese, tanto più che una gran parte di queste misure sono nascoste nell'anonimato delle misure amministrative. Ma hanno tutte in comune il fatto sia di ridurre un po' più i mezzi di esistenza delle classi popolari, sia di umiliare gli strati più poveri. Alcune di queste misure, come per esempio la diminuzione dei sussidi agli anziani, anche se non toccano tutti, rappresentano un vero dramma per le famiglie interessate.

... per favorire la borghesia

Queste misure contrastano con altre che rappresentano veri e propri regali per il grande padronato e per gli azionisti delle imprese o per i membri della classe possidente in quanto individui.

La riduzione dell'imposta sul reddito, di cui Chirac si vanta tanto, é in primo luogo un regalo fatto ai più ricchi. Innanzitutto perché di questa misura non giova alla metà della popolazione i cui salari sono così bassi da esimerla dall'imposta sul reddito. In secondo luogo perché una stessa percentuale di riduzione di imposte rappresenta solo un piccolo alleggerimento per un salariato appena imponibile, ma una somma considerabile per un miliardario.

Ben oltre l'imposta sul reddito, l'insieme del budget é chiaramente anti-popolare.

Meno soldi per i servizi pubblici indispensabili alla maggioranza della popolazione, più soldi per i padroni e le classi agiate. Si toglie ai più poveri ciò che si dà ai più ricchi.

Ed anche nelle spese pubbliche, le scelte vanno contro gli interessi delle classi popolari.

Mentre mancano alloggi corretti ad affitti accessibili, si costruisce una portaerei nucleare. Mentre gli ospedali sono lasciati in una situazione catastrofica, si consacreranno fondi supplementari per i sottomarini. Meno letti per i malati negli ospedali, ma più carri armati Leclerc. Maternità, asili nido, giardini d'infanzia in numero insufficiente, ma le casse dello stato sono aperte per costruire un prototipo di aereo senza pilota per l'esercito. Senza parlare degli interventi militari in Africa col loro costo in vite umane e milioni di euro.

Il governo sopprime diverse migliaia di posti di educatori e di sorveglianti nelle scuole, ma prevede, prima di ritrattarsi di fronte all'indignazione, di infliggere un'ammenda, fino a 2000 euro, alle famiglie degli allievi responsabili di assenze ripetute ed ingiustificate. Invece di darsi i mezzi per educare i bambini delle classi popolari, si puniranno i genitori.

Tramite il budget dello Stato, cioè le imposte, si pretende di permettere una certa redistribuzione delle ricchezze, una certa correzione delle ineguaglianze sociali tramite i servizi pubblici. Ma per stornare sempre più soldi dello Stato verso il padronato, si fanno delle economie proprio sui servizi pubblici.

Gli attacchi contro i servizi pubblici fanno parte degli attacchi contro le classi popolari, giacché, quando si riduce il numero di educatori o di sorveglianti, quando si limita il numero di insegnanti, si sa bene che sono le scuole dei quartieri popolari che ne subiranno le conseguenze. Mentre, in realtà, é proprio a queste scuole che bisognerebbe dare più mezzi, più personale, affinché l'educazione nazionale possa compensare almeno in parte gli handicap che questa società di sfruttamento fa pesare sui bambini degli strati sociali più sfavoriti.

Spingere i trasporti pubblici o, in un altro campo, i servizi postali verso una maggiore redditività vuol dire favorire ancora una volta quanto può fruttare, vale a dire ciò che serve alle classi agiate, lasciare all'abbandono ciò che è indispensabile agli strati più poveri. Sono i più demuniti che subiscono le conseguenze della soppressione delle linee dette secondarie della SNCF, dell'insufficienza di treni di provincia o della chiusura di stazioni. E' per essi, ed in particolare per i più anziani, che la vita è resa più difficile dalla chiusura un ufficio postale in un quartiere o dalla soppressione di cabine telefoniche nei villaggi o nei quartieri popolari.

Poi è arrivato l'attacco contro le pensioni, che annuncia quello contro la cassa mutua malattie.

Questo susseguirsi di attacchi da parte del governo ha occultato il resto. E' essenzialmente contro il governo che si sono prodotti gli scioperi e le manifestazioni di questi ultimi mesi.

Ma, mentre i ministri occupavano l'avanscena, il padronato continuava la sua offensiva contro il mondo del lavoro su un terreno particolarmente doloroso, quello dei licenziamenti collettivi e le sue conseguenze, l'aumento del numero di disoccupati.

I licenziamenti collettivi

Fra tutti gli attacchi contro la classe operaia, i licenziamenti collettivi producono le conseguenze più catastrofiche. Per i licenziati stessi e per le loro famiglie in primo luogo, per i quali il licenziamento rappresenta spesso l'inizio della povertà e, per alcuni, la caduta nella miseria.

Quando l'impresa procede a dei licenziamenti collettivi e, a maggior ragione, quando chiude, la vita di centinaia di lavoratori é sconvolta e tutta una città o una regione si trasforma in deserto industriale.

Ora, i licenziamenti collettivi si moltiplicano, prodotti tanto da imprese che fanno parte di grandi gruppi finanziari, dai profitti e dalla tesoreria fiorenti, quanto da piccole e medie aziende a chi la concorrenza, conseguenza di un'economia di mercato imprevedibile e stupida, mette il coltello sotto la gola.

Da un paio di anni, la disoccupazione aumenta inesorabilmente, dopo qualche mese di leggera diminuizione. Le statistiche contano 2,4 milioni di disoccupati. In realtà, ce ne sono molti di più, dato che le statistiche sono state manipolate da tutti i governi per cercare di nascondere l'entità del sinistro.

E si tratta veramente di un disastro, tanto più che ai disoccupati "completi" si aggiungono tutti quelli, almeno 3 milioni, che non sono più considerati come disoccupati pur avendo solo lavori occasionali, precari e mal pagati.

Di fatto, si considera che circa 8 milioni di persone in questo paese vivono al di sotto della soglia di povertà.

Il solo fatto che in uno dei paesi più ricchi del mondo, uno di quelli dove si concentrano i capitali, una persona su dieci sia espulsa dalla produzione e che le sia negata la possibilità di guadagnare la vita; che una su sette, bambini compresi, sia obbligata a vivere nella povertà, costituisce una condanna del sistema capitalistico.

Le conseguenze della disoccupazione sono tanto più gravi che questa è duratura. In numerose regioni, un lavoratore su cinque, a volte di più, è disoccupato da anni e senza nessuna speranza di trovare un lavoro a più o meno breve termine. Le famiglie colpite hanno esaurito tutte le loro riserve, e anche quando riescono a non perdere il proprio alloggio si ritrovano definitivamente nella miseria, con tutte le conseguenze che ciò implica per i loro bambini. Numerosi quartieri popolari si sono trasformati in ghetto per poveri e costituiscono il terreno propizio per traffici di ogni genere, per la violenza e l'insicurezza per i loro abitanti. Non si può cominciare a risolvere nessuno dei molteplici problemi dei quartieri popolari senza porre fine alla disoccupazione e senza assicurare a tutti un lavoro correttamente retribuito.

E il peso della disoccupazione grava su tutti, compresi i lavoratori che non hanno disoccupati nella loro famiglia. Infatti la pressione della disoccupazione rafforza il padronato e gli facilita il compito di frenare i salari, di sostituire i lavoratori con contratto a durata illimitata con dei lavoratori precari o di aumentare il ritmo del lavoro.

Da quando la disoccupazione è aumentata, vale a dire da quasi un quarto di secolo, non c'è governo che non abbia preteso che combattere la disoccupazione faceva parte delle sue priorità. Ma, in realtà, combattere la disoccupazione non è mai stato per le maggioranze successive più di uno slogan elettorale e per i governi successivi più di un pretesto per far regali al grande padronato.

E' in nome della creazione di posti di lavoro che si diminuiscono gli oneri sociali delle imprese a scapito delle entrate della sicurezza sociale, che si accordano alleggerimenti fiscali alle imprese a scapito delle ricette del budget.

E' sempre nel nome della necessità di creare posti di lavoro che lo Stato centrale come i livelli intermedi ( regione, provincia, a volte comune) accordano sussidi alle imprese.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti : se il numero di disoccupati è un po' diminuito in certi periodi, è solo quando un migliore andamento degli affari incita i padroni ad assumere. Anche se, bisogna ricordarlo, i periodi di diminuzione del numero di disoccupati sono stati anche i periodi di aumento del numero di precari.

Ma, in realtà, la disoccupazione non è diminuita, e ci sia avvia di nuovo verso 3 milioni di disoccupati ufficialmente recensiti.

Il problema è che i padroni assumono nuovi dipendenti solo se non possono fare altrimenti, vale a dire se rischiano di perdere mercati fruttuosi senza il numero necessario di operai per produrre. E sempre a condizione che siano ottimisti per il futuro ! Se no, si accontentano di assumere per così dire alla giornata, cosa che l'evoluzione della legislazione permessa dai vari governi rende sempre più facile.

Più generalmente, la disoccupazione è una delle conseguenze inerenti all'organizzazione capitalistica dell'economia. Sparirà "naturalmente" solo in una società dove il profitto privato non sarà più il motore dell'economia. In una società dove i gruppi finanziari non monopolizzeranno più la proprietà delle imprese, col diritto di decidere nel segreto dei consigli di amministrazione di chiudere una fabbrica qui, sopprimere migliaia di posti di lavoro altrove, perché ciò risulta " redditizio ", vale a dire vantaggioso per i proprietari e per i grossi azionisti delle imprese. In una società dove le grandi imprese dell'industria e della distribuzione apparterranno alla collettività, sarà naturale che tutti lavorino e partecipino al benessere della collettività e che i beni prodotti in questo modo siano ripartiti tra tutti in modo razionale e giusto.

Vincere definitivamente la disoccupazione è possibile solo a condizione di mettere fine alla società basata sullo sfruttamento.

Ciò nonostante, è necessario e possibile combattere la disoccupazione, poiché da ciò dipende l'andamento dell'occupazione come dei salari : nel quadro dell'organizzazione attuale dell'economia e della società, la loro importanza è legata al rapporto delle forze. Quando la classe capitalistica ha a che fare con una classe operaia che non è in condizione di difendersi e di contrattaccare, tende a fare economie sulle sue spalle, pesando nello stesso tempo sui salari e sull'occupazione, vale a dire cercando di far fare il massimo del lavoro dal minimo di lavoratori possibile.

Ma, in cambio, anche in questo periodo in cui si lamentano della stagnazione degli affari, i capitalisti dispongono di possibilità finanziarie enormi. I profitti reali dei grandi gruppi industriali e finanziari rimangono ad un livello elevato. Da anni, questi profitti sono utilizzati dai gruppi industriali finanziari per le loro scalate reciproche, per comprare fabbriche o ancora -e cio è connesso- per nutrire i circuiti speculativi.

Ebbene, almeno una parte di questi profitti potrebbe essere utilizzata per mantenere i posti di lavoro esistenti, vale a dire per evitare i licenziamenti collettivi, ed anche per creare nuovi posti di lavoro.

Questa scelta, nessun capitalista individualmente e ancora meno la classe capitalistica nel suo insieme, la faranno spontaneamente, senza cioè che vi siano costretti da un rapporto di forze tale che temino di perdere tutto resistendo alle rivendicazioni operaie.

Problemi tanto diversi tra loro come la debolezza dei salari e delle pensioni o la disoccupazione hanno una soluzione comune: creare un rapporto di forze suscettibile di far indietreggiare il padronato e il governo. E' su questo terreno che i lavoratori, rialzando la testa, anche se per il momento in modo ancora limitato, hanno aperto la sola prospettiva che gli permetta di rovesciare il corso sfavorevole delle cose.

28 giugno 2003