Stati uniti: I tentativi di Biden per ridare una spinta al capitalismo impigliato nella sua crisi

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4 maggio 2021

Da "Lutte de classe" n°216 - Maggio-Giugno 2021

A cento giorni dal suo arrivo alla Casa Bianca, il democratico Joe Biden ha voluto dare una spinta all'economia americana con ambiziosi piani di ripresa... almeno sulla carta. Le somme che vuole iniettare, ammontano a migliaia di miliardi di dollari di spesa statale, che, secondo Biden, andrebbero in parte finanziate da aumenti delle tasse pagate dalle imprese e dai ricchi. Nonostante gran parte di questa agenda sia ancora in fase dichiarativa, questo basta a molti commentatori per parlare di un presidente che starebbe portando gli Stati Uniti decisamente a sinistra.

I piani di stimolo di Trump...

Gli Stati Uniti, come il resto del mondo, sono stati colpiti dall'improvviso aggravarsi della crisi economica nel 2020. Nel complesso, l'anno scorso, l'economia statunitense ha subito una recessione del 3,5% nonostante un primo pacchetto di incentivi lanciato sotto il governo di Trump nel marzo 2020, del valore di 2.000 miliardi di dollari. Questo è 2,5 volte maggiore dell'importo che il governo statunitense ha iniettato nell'economia per cercare di tirarla fuori dal pantano della crisi dei subprime nel 2007-2009.

Questo piano è stato adottato quasi all'unanimità dal Congresso, anche nel momento in cui repubblicani e democratici si azzuffavano in vista delle elezioni del novembre 2020. La maggior parte del denaro mobilitato ha beneficiato direttamente o indirettamente ai capitalisti. Ma il programma includeva anche un assegno di 1.200 dollari (circa 1.000 euro) a persona - il doppio a coppia - per chi guadagna meno di 75.000 dollari all'anno, più 500 dollari per ogni figlio; vi si aggiungeva un'estensione della durata dell'indennizzo per i disoccupati. Al sussidio di disoccupazione, il cui importo è fissato da ogni stato, si aggiungeva un bonus federale di 600 dollari a settimana. Lo stesso tipo di misura è stato usato nei piani successivi, ma con sussidi aggiuntivi sempre più bassi.

Un secondo piano da 900 miliardi di dollari è stato varato alla fine del 2020, subito dopo la vittoria elettorale di Biden, durante l'agitato periodo di transizione con l'amministrazione di Trump a fine mandato e con la maggioranza repubblicana al Senato uscente. Conteneva un assegno di 600 dollari a persona e, questa volta, 300 dollari a settimana di sussidio di disoccupazione federale.

Bisogna chiedersi se questi piani hanno fatto uscire l'economia degli Stati Uniti dal pantano. Nel primo trimestre del 2021, la crescita sembrava tornare a un tasso annuo del 6,4%, senza che le perdite del 2020 fossero state recuperate. Si può soltanto dire che l'intervento statale, finora, ha impedito il crollo totale dell'economia, ciò che la classe capitalista, da sola, sarebbe del tutto incapace di fare.

Ma se, dal punto di vista della borghesia, l'economia sembra ripartire con il suo carico di bolle speculative - che peraltro comportano la minaccia di un nuovo crash - lo stesso non vale per le classi lavoratrici. Il Pew Research Center (una rinomata istituzione) stima che il tasso di disoccupazione nel febbraio 2021 sia tre volte superiore a quello di un anno fa.

... E i piani di Biden

Questa è la situazione che Biden ha trovato quando è entrato in carica all'inizio di quest'anno. A sua volta, ha avviato nel febbraio 2021 il terzo pacchetto di stimolo, pari a 1.900 miliardi di dollari. Come i suoi predecessori, questo "piano di salvezza americano" includeva un assegno di 1.400 dollari per coloro che guadagnano meno di 75.000 dollari l'anno e un'ulteriore estensione dei sussidi di disoccupazione. Biden non ha inventato nulla, né è stato il primo ad ungere la borghesia dando, per esempio, 15 miliardi di dollari alle grandi compagnie aeree.

Ma non è il presidente degli Stati Uniti che può decidere sul bilancio federale. Le regole del sistema parlamentare americano riservano al Congresso il potere decisionale sulle questioni di bilancio. Attualmente, il partito di Biden, i democratici, ha la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti ma è in pareggio con i repubblicani al Senato, dove solo il voto aggiuntivo della vicepresidente Kamala Harris gli assicura la superiorità numerica. Il piano di spesa, che richiedeva solo una maggioranza semplice al Senato, è passato senza che nessun repubblicano abbia votato a favore, e lo si poteva confondere con i precedenti piani di Trump. Ma per fare in modo che nessun senatore democratico fosse escluso, Biden ha dovuto fare i conti con le diverse correnti politiche che attraversano il partito democratico che in altri paesi sarebbe etichettato come un partito di centrodestra con un po' di sinistra.

Il ricatto del senatore democratico Manchin della West Virginia durante il voto sul terzo pacchetto di incentivi ha dato a Biden la possibilità di non mantenere una delle sue principali promesse della campagna: l'aumento del salario minimo federale a 15 dollari l'ora. Infatti, questa proposta avrebbe beneficiato 27 milioni di lavoratori ma fatto infuriare i padroni. Per questo ha avuto critiche da parte dell'ala sinistra dei democratici.

A marzo, Biden ha annunciato un altro "piano per i posti di lavoro americani" volto a ripristinare le infrastrutture materiali necessarie come strade, ponti, sistema scolastico pubblico, assistenza sanitaria e tanti altri servizi indispensabili. Queste sono in grave degrado e hanno disperatamente bisogno delle migliaia di miliardi di dollari che gli sono mancati per decenni e si stanno accumulando nei conti di Jeff Bezos, Elon Musk e altri miliardari. Una velata confessione questa, delle carenze del capitalismo americano.

È possibile che il governo federale degli Stati Uniti finisca per investire tutto o parte di questi 2300 miliardi di dollari in quindici anni per cercare di colmare l'arretrato, un processo che potrebbe creare posti di lavoro. Ma non sarebbe socialismo se lo Stato, come sotto Roosevelt negli anni '30, ma anche dopo la seconda guerra mondiale in vari paesi d'Europa, dovesse prendere il posto dei capitalisti per investire nelle infrastrutture. Questo tipo di statalismo serve ad evitare che i capitalisti debbano fare investimenti pesanti e permette loro di dedicare il capitale a quelli più redditizi a breve termine. Tra l'altro, sono le loro aziende a guadagnare grazie a questi ordini statali.

Biden ha giustificato questi investimenti a lungo termine con la necessità per gli Stati Uniti di rimanere, in tutti i settori, al primo posto nella competizione globale con altre potenze, alleate come quelle europee, rivali come la Russia o potenziali nemici come la Cina. Il New York Times ha titolato: "Biden collega i piani di stimolo alla competizione con la Cina".

Così, quando il quotidiano francese Libération ha recentemente titolato: "Biden, un nuovo Roosevelt", che voleva essere un complimento, pare non si sia ricordato che sotto Roosevelt il capitalismo ha risolto la crisi solo riarmando gli Stati Uniti. Preparò così attivamente una guerra devastante nel Pacifico, che scatenò all'epoca tutta l'aggressività dell'imperialismo americano contro il Giappone e si concluse con l'uso della bomba atomica radendo al suolo due città...

Per ora, la forte retorica anti-cinese di Biden, sulla scia dei tweet di Trump sul "virus Cinese", ha purtroppo avuto un effetto concreto: la legittimazione del razzismo anti-asiatico. Questo ha certamente motivato, in parte, l'assassino che ha ucciso sei donne asiatiche ad Atlanta alla fine di marzo.

Nell'aprile 2021, Biden ha annunciato un nuovo piano di spesa pubblica, il "Piano delle famiglie americane", per 1800 miliardi di dollari in dieci anni. Comporta varie misure: per esempio, l' agevolazionre per l'iscrizione all'asilo nido, o l'offerta di due anni di lezioni gratuite nelle università locali, le uniche più o meno accessibili ai figli dei lavoratori, ma i cui diplomi hanno poco valore sul mercato del lavoro. Le misure sociali di questo piano sono simili a quelle che esistono da tempo in molti paesi dell'Europa occidentale.

Finora, gli ultimi due piani non sono andati oltre le dichiarazioni d'intenzioni.

Il finanziamento della spesa pubblica

È vero che Biden ha fatto affermazioni fragorose: "È tempo che i molto ricchi e le grandi corporazioni comincino a pagare la loro giusta quota"; e, rivolgendosi ai sostenitori democratici in Georgia: "Wall Street non ha costruito questo paese. L'avete costruito voi". La sinistra francese in particolare ne è estasiata. Sarà forse nostalgia delle parole di François Hollande, che nel 2012, nella sua campagna, dichiarò che la finanza era il suo avversario, prima di vincere l'Eliseo e fare di Macron il suo consigliere, poi un suo ministro che alla fine fu il suo successore?

Biden spera di rilanciare l'economia iniettandovi massicce quantità di denaro pubblico, ma rimane la questione del finanziamento di questi piani. Quelli che lo vedono come il messia della rinascita della sinistra di governo, lo giudicano solo dai suoi discorsi, non da ciò che sarà in grado di fare. Questo si vedrà in seguito dato che la cooperazione dei senatori repubblicani gli è indispensabile in questo campo. Biden ha fatto alcuni forti richiami all'unità nazionale per aizzare il paese contro la Cina: "Non possiamo essere così presi dai nostri battibecchi da dimenticare che la vera competizione è con la Cina. Per vincere, dobbiamo investire".

Biden sta iniziando un processo di negoziazione con questi eletti, e pure con quelli democratici che vogliono, anche loro, restringere la portata dei suoi piani iniziali. Questi senatori possono bloccare le intenzioni presidenziali sostenendo che il denaro sarebbe speso meglio altrove, per esempio andando direttamente ad arricchire i ceti padronali che gli sono vicini, e possono anche bloccare i finanziamenti.

Da tempo Biden ha annunciato, in campagna elettorale, che vuole aumentare l'aliquota dell'imposta sulle società dal 21% al 28%, il che sarebbe l'opposto del ribasso deciso da Trump. È possibile che il Congresso adotti questo aumento, considerate le importanti esigenze di finanziamento del governo federale, per non parlare delle migliaia di miliardi di dollari aggiuntivi richiesti dai piani di stimolo che si stanno accumulando. Il miliardario Jeff Bezos si è detto favorevole ad una tale aliquota fiscale. In realtà, se questa misura fosse adottata, la tassa sui profitti non tornerebbe nemmeno al livello del 35% che era il suo sotto Obama... e sotto il vicepresidente Biden. Siamo ben lontani da una "rivoluzione fiscale".

Biden vuole anche che la fascia marginale dell'imposta federale sul reddito torni dal 37% al 39,6%, cioè al suo livello prima dei tagli fiscali per i più ricchi decisi sotto il governo Trump nel 2017.

È poco probabile che venga adottata dal Congresso anche la proposta di raddoppiare le tasse sui redditi da capitale dal 20% al 39,6% per coloro che guadagnano più di 1 milione di dollari all'anno.

In termini di intenzioni, Janet Yellen, segretario al Tesoro di Biden, qualche settimana fa, ha anche affermato di lavorare ad un accordo internazionale per tassare al 21% i profitti globali delle multinazionali . Ovviamente un tale accordo non è vicino nel tempo e ci vorranno anni prima che anche un solo miliardo sia tassato, se mai lo sarà.

La borghesia sfugge in gran parte alla tassazione

Alla fine, l'effettivo contributo della borghesia alle finanze pubbliche avrà poco a che fare con ciò che Biden deciderà in materia di aumento delle tasse sui capitalisti e le loro grandi società e con quello che risulterà dai negoziati con il Congresso.

Infatti, nell'ultimo anno fiscale, 55 delle più grandi aziende che hanno dichiarato i loro utili alle autorità fiscali statunitensi non hanno pagato tasse su questi profitti. Negli ultimi 3 anni è stato anche questo il caso per 26 di loro, i cui profitti cumulativi ammontavano a 77 miliardi di dollari. Molte hanno anche ricevuto dal fisco un assegno per un totale di 3,5 miliardi di dollari. Questo risulta dalle esenzioni fiscali decise dal Congresso nel corso degli anni.

Il Financial Times del Regno Unito, certamente non sospettato di volere fare la caccia ai ricchi, ha recentemente descritto in questi termini l'evasione fiscale legale negli Stati Uniti: "la maggior parte di questa evasione è dovuta al primo uno per cento dei contribuenti statunitensi, il gruppo che lamenta maggiormente il peso delle aliquote fiscali ufficiali. In pratica, i ricchi pagano molto meno di quello che viene pubblicato.

I tassi ufficiali non sono i tassi reali. L'aliquota fiscale effettiva sui profitti delle imprese americane è dell'11,2% ed è inferiore a quella dell'Irlanda [che è considerata un paradiso fiscale in Europa]. In totale, gli Stati Uniti tassano circa l'1% della ricchezza nazionale prodotta, rispetto a una media del 3,1% per i paesi [ricchi] dell'OCSE. Questa evasione fiscale è perfettamente legale".

Per quanto riguarda la parte illegale, un recente studio dell'Internal Revenue Service conclude che la quota di reddito non dichiarato è del 7% per la metà più povera delle famiglie statunitensi, ma sale al 20% per l'1% dei più ricchi.

Biden sa tutto questo. Vuole aumentare il bilancio dell'amministrazione fiscale (IRS), che ha perso quasi un quinto delle sue risorse dal 2011; in realtà è un terzo se lo si confronta con l'aumento del PIL in dieci anni. Bisogna ricordare che Obama ha occupato la Casa Bianca dal 2009 al 2016, affiancato dal suo vicepresidente Biden. Nel 2011 quasi ogni grande azienda statunitense è stata controllata dall'IRS ogni anno. Ora lo sono state meno della metà.

Il risultato più probabile è che il governo federale continuerà a fare debiti molto velocemente per coprire il suo deficit di bilancio, come ha fatto per molto tempo.

"Bidenmania" a sinistra

Certamente affascinate dalla vittoria elettorale di Joe Biden alle elezioni presidenziali, che sembra sempre meno alla portata delle sinistre europee, queste ultime sono in estasi davanti agli inizi alla Casa Bianca del leader dell'imperialismo americano.

La stampa è entrata in azione, in Francia con Libération che parla di "un profumo di rivoluzione che aleggia su Washington" (11 aprile). Il quotidiano Le Monde ha intitolato un editoriale: "Biden, il presidente dei lavoratori", arrivando a parlare del "programma operaio del presidente Biden" (29 aprile). Nel partito della "France insoumise" (LFI - Francia ribelle), Jean-Luc Mélenchon ha stimato che "il metodo di Biden è quello giusto"; e François Ruffin ha sognato: "Tassare i ricchi e le multinazionali. E se questo virus varcasse l'Atlantico? E se contaminasse le menti?". (30 aprile, su Twitter).

A nome del Partito comunista francese (PCF), Fabien Roussel non ha evitato il ridicolo: "Il seducente Joe Biden sta dando lezioni a Macron, che difende un vecchio modello economico per cui non si dovrebbe toccare il capitale dei più ricchi." Aggiungeva che il presidente americano "ha proposto un piano rivoluzionario che non ha equivalenti dai tempi di Roosevelt. Ho l'impressione che abbia preso la tessera del PCF". (30 aprile, alla televisione France 2).

Questi non spendono nemmeno una parola per dissociarsi dalla caccia ai migranti che continua al confine con il Messico, in maniera solo leggermente meno visibile sotto Biden che sotto Trump.

Per queste correnti politiche, tassare un po' di più i ricchi è il massimo dell'ambizione politica. Una cosa che non hanno fatto da tempo, e nemmeno quando erano al potere in posizioni ministeriali in Francia sotto Jospin o Hollande.

L'elezione di Biden nel novembre 2020 non ha generato alcun entusiasmo se non la soddisfazione di aver fermato Trump. Coloro che dipingono Biden come un amico dei lavoratori avranno una pesante responsabilità in futuro, quando le poche speranze di giustizia sociale saranno state deluse in modo evidente. È questo tipo di inganno che consente all'estrema destra di prosperare e diventare minacciosa.

Una cosa certa è che la borghesia sa molto bene cosa pensare delle politiche di Biden, perché non si ferma alla demagogia elettorale. Dalla sua elezione all'inizio di novembre, l'aumento quasi continuo del Dow Jones, l'indice di punta della Borsa di New York, lo testimonia: più 22,7% in sei mesi.

Su entrambe le sponde dell'Atlantico, i lavoratori possono ogni tanto essere oggetto di dichiarazioni, soprattutto per dolersi della loro situazione. Ma chiaramente, questi partiti di governo preparati a gestire gli affari della borghesia non possono minimamente immaginare di chiedere ai lavoratori di agire contro i capitalisti in qualche modo.

Eppure solo la classe operaia ha la forza di impedire che la grande maggioranza della popolazione sprofondi nella crisi, mentre la grande borghesia si arricchisce a dismisura. Solo essa può riorganizzare l'economia in modo che tutti abbiano un lavoro e un salario decente, a condizione di strapparne il controllo ai capitalisti.

4 maggio 2021