Comizio di Lutte ouvrière - Parigi, 8 ottobre 2022
L'Intervento di Jean-Pierre Mercier
Compagni,
L'aggravarsi della crisi, l'offensiva del governo e dei padroni spingeranno la classe operaia a impegnarsi nella lotta, semplicemente per sopravvivere. E confidiamo che sarà in grado di raccogliere la sfida perché non avrà scelta. Questa situazione forse aprirà un periodo che ci permetterà di farci progredire nella costruzione di un partito comunista rivoluzionario e, in particolare, di avanzare nel suo radicamento nella classe operaia.
È di questo che vorrei parlare oggi. Il movimento comunista rivoluzionario di cui affermiamo di far parte si differenzia da tutte le altre correnti politiche per il fatto di essere marxista: ciò significa, innanzitutto, che siamo convinti che tutte le oppressioni e le catastrofi attuali non possano essere eliminate senza rovesciare il capitalismo. E in secondo luogo, che l'unica classe sociale che ha la capacità di farlo è la classe operaia. La fine del capitalismo può venire solo da una rivoluzione in cui i lavoratori siano la forza trainante e la direzione politica.
Come scrisse Marx quasi due secoli fa, quando il capitalismo era ancora agli albori, i capitalisti, espandendo le fabbriche e gettando milioni di lavoratori nella schiavitù salariale, hanno creato "i propri becchini", una classe di proletari che, nel rovesciare il capitalismo, non ha "nulla da perdere se non le proprie catene". Da Marx in poi, il capitalismo ha esteso i suoi tentacoli su tutto il pianeta e la classe operaia è 100 o 1000 volte più numerosa di quando fu scritto il Manifesto Comunista. Ci sono sempre lotte, se non in un Paese, in un altro. Ma è da molto tempo che la classe operaia non combatte sul terreno politico, in quanto classe portatrice di un'organizzazione sociale superiore al capitalismo.
In Francia, sono passati molti anni, per non dire decenni, da quando abbiamo assistito a grandi movimenti sociali, e quelli che si sono verificati nel 1936 e nel 1968 sono stati distolti da direzioni riformiste o staliniste da qualsiasi possibilità di sviluppo rivoluzionario. Ma conserviamo una fiducia incrollabile nella capacità della classe operaia di ribellarsi, di riacquistare fiducia nelle proprie forze e coscienza della propria capacità politica di rovesciare la società.
Non sappiamo quindi quando la classe operaia si mobiliterà di nuovo in massa. Ma sappiamo che quando arriverà quel momento, sarà essenziale che ci siano militanti rivoluzionari ovunque. Per questo vogliamo costruire un partito rivoluzionario - e Nathalie tornerà su questo punto più avanti.
Un vero partito rivoluzionario dovrà avere, domani, militanti e reppresentanti in tutte le aziende del Paese, direi anche in tutte le categorie sociali che compongono il mondo del lavoro. Ma sarà fondamentale essere presenti all'interno delle grandi aziende, perché sono loro ad avere un peso sulla vita politica, economica e sociale ben più importante rispetto alle altre.
Sappiamo che lo sciopero può iniziare nelle piccole aziende. Ma è solo quando si estende a giganti come Renault, PSA-Stellantis, Total, Sanofi, Arcelor-Mittal, Safran, che lo sciopero diventa un evento sociale e politico incontenibile. Perché sono queste aziende che, in primo luogo, hanno il maggior numero di lavoratori concentrati nello stesso posto e, in secondo luogo, hanno un'influenza decisiva sulle altre aziende che dipendono da loro.
Se la produzione si ferma in un gruppo come PSA-Stellantis, dove lavoro io, migliaia di aziende vengono colpite, a cascata - subappaltatori, fornitori, in tutti i settori, dalle fonderie ai componenti elettronici, dal tessile all'industria della plastica e in diversi paesi del mondo...
Migliaia di lavoratori in sciopero in una grande fabbrica significano migliaia di militanti per lo sciopero, migliaia di donne e uomini che probabilmente andranno a parlare con i lavoratori di altre aziende del settore, per diffondere lo sciopero con la loro militanza tra amici, familiari e vicini. Si tratta di una forza d'urto considerevole, che non potrebbe mai esistere sulla scala di un'azienda che ha solo poche decine di dipendenti, per quanto combattivi possano essere.
Guardate cosa è successo nelle ultime settimane a causa dell'aumento dell'inflazione. Scioperi per i salari scoppiano qua e là. Quando si tratta di una piccola azienda, a prescindere dallo spirito di lotta e dal coraggio degli scioperanti, è estremamente difficile pubblicizzare lo sciopero, dargli un impatto locale e, ancor più, nazionale.
D'altra parte, gli scioperi in corso nelle raffinerie non hanno bisogno di essere diffusi dai media perché ogni automobilista ne sia a conoscenza, vedendo le lunghe code davanti alle stazioni di servizio e notando il numero crescente di quelle chiuse per mancanza di rifornimenti.
Il semplice fatto che i lavoratori di solo alcune delle raffinerie del Paese siano in sciopero per i salari contribuisce nel migliore dei modi a propagandare al resto dei lavoratori la necessità di lottare per imporre aumenti salariali.
Allo stesso modo, quando diverse centinaia di lavoratori scioperano anche solo per tre giorni nello stabilimento PSA di Hordain, nel nord della Francia, e paralizzano la produzione, lo si sa! Quando, la settimana scorsa, più di 5.000 lavoratori hanno scioperato per i salari al livello di gruppo, questo ha fatto parlare in altre aziende, le immagini sono stata viste, e queste sono immagini che possono dare idee, che incoraggiano, che danno un piccolo assaggio di quella che potrebbe essere la forza della classe operaia se entrasse in lotta.
Immaginate quindi che se un massiccio sciopero salariale si estendesse a tutte le raffinerie del paese e al gruppo Stellantis, avrebbe inevitabilmente un impatto diretto nel paese. E dobbiamo essere molto attenti a queste lotte sparse. Senza pregiudicare il loro futuro, se dovessero durare e diffondersi, ciò avrebbe un effetto molto positivo sullo stato d'animo dei lavoratori.
Quindi sì, per noi è vitale, indispensabile, che i militanti rivoluzionari siano presenti nelle grandi aziende - e questo è stato l'orientamento fondamentale di Lutte ouvrière da quando esiste la nostra organizzazione. Perché in queste cittadelle del capitalismo abbiamo bisogno di militanti capaci di dare prospettive ai loro compagni, capaci di spiegare loro "la scienza della loro disgrazia", come diceva il sindacalista rivoluzionario Fernand Pelloutier alla fine del XIX secolo, capaci di illuminarli sul funzionamento del capitalismo, del suo Stato, del suo sistema politico, di dare loro risposte politiche alla crisi della sua economia.
Sì, se vogliamo cambiare la società, dobbiamo impiantare le idee del comunismo rivoluzionario nelle aziende, e in particolare in quelle più grandi, perché è così che irrigheranno tutti i lavoratori e raggiungeranno i più isolati nelle aziende più piccole. Si tratta quindi di un compito difficile e complicato, è vero. Perché non siamo gli unici a sapere quanto sarà decisiva la presenza di militanti rivoluzionari nelle aziende. I padroni, e dietro di loro l'intero apparato dello Stato borghese, lo sanno bene quanto noi, ed è per questo che impiegano tutte le loro energie per impedirlo.
Per questo motivo, e per nessun altro, la politica è vietata nelle aziende. Questo Paese sarà anche una democrazia, ma questa democrazia si ferma alla porta delle aziende. Si può scrivere "libertà, uguaglianza, fraternità" sul frontone dei municipi e delle scuole - e sappiamo tutti quanto questa formula sia priva di significato nella società capitalista - ma non è scritto sul frontone delle fabbriche: il cinismo della società capitalista non arriva a tanto.
L'unico momento in cui la libertà può regnare in un'azienda è durante uno sciopero. Durante lo sciopero di quattro mesi contro la chiusura dello stabilimento PSA di Aulnay nel 2013, posso dire che tutti gli scioperanti hanno provato una sensazione incredibile, quella di essere finalmente liberi. Durante lo sciopero, la fabbrica era aperta a tutti, compresa la stampa (cosa che non avviene nel resto del tempo), erano i padroni ad abbassare gli occhi e i dirigenti a nascondersi, eravamo noi a decidere gli orari, i luoghi e i tempi di incontro, eravamo noi a organizzare i turni di sorveglianza contro i crumiri, i padroni e gli ufficiali giudiziari! Durante lo sciopero le discussioni erano libere, le idee politiche entravano in fabbrica, ognuno aveva il diritto di esprimere le proprie idee, qualunque esse fossero, senza dover temere di essere denunciato da un informatore o da un capo...
E si è trattato solo di uno sciopero, un piccolo sciopero che ha raccolto solo poche centinaia di lavoratori. Immaginate cosa succede durante le rivoluzioni! In tutta la storia, il momento in cui gli operai sono stati più liberi nelle imprese è stato durante la rivoluzione russa, anche prima dell'Ottobre, quando gli operai organizzavano l'addestramento delle milizie operaie armate nei cortili delle fabbriche, sotto il naso dei padroni; quando le riunioni dei consigli operai, i soviet, a volte si svolgevano nelle officine stesse, e quando i militanti politici di tutte le tendenze si esprimevano liberamente e lottavano duramente per convincere gli operai delle loro posizioni.
Ricreando i soviet, armandosi di fucili e adottando una politica di conquista dei soldati nelle caserme, gli operai russi si sono dati i mezzi per prendere il potere e infine per conquistarlo consapevolmente. Questo è ciò che portò Lenin, dopo la rivoluzione del febbraio 1917, a scrivere che la Russia, una feroce dittatura fino a pochi giorni prima, era diventata improvvisamente il Paese più libero del mondo.
Quindi oggi, ovviamente, non siamo a quel punto. La borghesia è ancora al comando ed è ancora abbastanza forte da impedire con ogni mezzo che i lavoratori discutano tra loro nei luoghi di lavoro, cioè dove e quando sono tutti insieme. In questo modo, i capi e la loro serie di capi, capisquadra e dirigenti fanno il loro lavoro. Allora sta a noi militanti fare il nostro!
Sta a noi essere più intelligenti, più inventivi, più determinati, per renderci possibile di esprimerci politicamente nelle aziende, per permettere ai lavoratori di fare politica nonostante il divieto e la repressione dei padroni!
Per questo motivo, ad esempio, cerchiamo di pubblicare una stampa aziendale - quello che chiamiamo i nostri "bollettini" - ovunque ci troviamo. Certo, si tratta di una stampa modesta: il più delle volte, un semplice foglio a due facciate ogni due settimane, con, da un lato, un editoriale politico e, dall'altro, una serie di piccoli articoli che denunciano ciò che accade nella società dal punto di vista del comunismo rivoluzionario. Ma anche se è modesto, è pur sempre un giornale politico che entra e circola nelle aziende con tutti i mezzi possibili, aggirando tutti i divieti posti dai padroni per cercare di impedirli. È una piccola breccia che apriamo nella dittatura dei padroni, ma soprattutto è una possibilità per i militanti di circondarsi di operai, di organizzarli, di costituire una rete in azienda intorno alla diffusione delle idee comuniste rivoluzionarie, sotto il naso del padrone.
Ed è successo un buon numero di volte che gruppi enormi come Renault o Safran siano andati in tribunale per cercare di fermare la pubblicazione di questo piccolo volantino a doppia faccia. Sembra quindi che anche loro siano pienamente consapevoli che, come diceva Marx, le idee possono diventare un'arma quando si impossessano delle masse!
Il movimento operaio ha sempre trovato il modo di aggirare la repressione dei padroni, anche in tempi in cui era molto più difficile di oggi, in Francia. Con la clandestinità, l'astuzia, l'invenzione di mille modi, gli operai rivoluzionari sono sempre riusciti a trovare risposte che permettessero loro di lottare nonostante i divieti, nonostante le minacce di sanzioni, di licenziamento o talvolta di prigione, o addirittura di assassinio.
Basti pensare al movimento rivoluzionario tedesco della seconda metà del XIX secolo, all'epoca delle cosiddette "leggi antisocialiste" di Bismarck, in vigore dal 1878 al 1890.
La legge vietava la stampa e le riunioni socialiste. Ebbene, ovunque i militanti trovarono soluzioni per pubblicare i loro giornali e volantini, per riunire i lavoratori, sotto la copertura di club sportivi, associazioni varie e persino cori. E quando queste leggi furono abrogate, il partito rivoluzionario tedesco era diventato più forte e influente che mai!
Spetta quindi ai militanti rivoluzionari essere abbastanza determinati da continuare a difendere instancabilmente le idee comuniste rivoluzionarie tra i lavoratori. Questa è l'azione più utile che possiamo intraprendere per il futuro.
Infatti, oltre a trovarsi di fronte i capi che cercano di impedirgli di fare politica, i militanti rivoluzionari devono affrontare un'altra difficoltà. Il ruolo dannoso dei burocrati sindacali. Non mi riferisco solo a ciò che sta accadendo in questo momento all'interno della CGT con le manovre della federazione della Metallurgia per sbarazzarsi del sindacato CGT di PSA Poissy e per cercare di disorganizzare i sindacati CGT del gruppo Stellantis. Questa vicenda è solo l'ennesimo episodio di qualcosa di molto più profondo e antico: gli apparati sindacali sono diventati, e lo sono stati per molto tempo, avversari del movimento operaio.
Che i padroni cerchino, con ogni mezzo, di impedire ai lavoratori di accedere alle idee rivoluzionarie sembra logico per qualsiasi lavoratore consapevole. Ma può sembrare molto meno ovvio che la semplice diffusione delle idee della lotta di classe si scontri con apparati sindacali pronti a calpestare l'espressione democratica della propria base e pronti a demoralizzare i propri militanti.
Far aderire i lavoratori a un sindacato è una lotta quotidiana, che va combattuta. Ma perché i sindacati siano un'arma di lotta nelle mani dei lavoratori, gli iscritti al sindacato devono poter scegliere liberamente i propri leader e controllarli. Abbiamo bisogno di organizzazioni sindacali non solo combattive, ma anche democratiche.
Per decenni - almeno dalla vigilia della Prima guerra mondiale - le grandi centrali sindacali sono state gradualmente integrate nel sistema capitalistico e oggi hanno più interesse a vederlo continuare che a lottare per rovesciarlo. I dirigenti sindacali sono diventati i luogotenenti della borghesia all'interno della classe operaia - la formula è quella di Trotsky, il che dimostra che non si tratta di una novità.
È la borghesia che, nel tempo, ha imparato a usare l'apparato sindacale e a farne il suo strumento. Se in origine i sindacati erano organizzazioni di lotta e di lotta di classe, la borghesia è riuscita ad addomesticare i loro dirigenti, a farli diventare non più avversari ma interlocutori esperti di dialogo sociale piuttosto che di lotta di classe. Ha offerto loro di essere i suoi unici interlocutori. Li ha comprati materialmente ma soprattutto politicamente e moralmente. In questo modo, ha tagliato gli artigli delle centrali sindacali e ha imparato a tenerle al guinzaglio. Li ha trasformati, infine, in pompieri delle esplosioni sociali, che di fatto temono le lotte generali della classe operaia quanto gli stessi padroni.
La missione dei burocrati sindacali è quella di cercare di convincere i lavoratori che l'unico luogo in cui si gioca l'equilibrio di potere tra padroni e lavoratori sia nelle riunioni di negoziazione con i datori di lavoro e lo Stato, nei consigli di fabbrica, negli organismi paritetici e negli altri meccanismi istituiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale per comprare la pace sociale.
La loro missione è soprattutto quella di ribadire che sono loro, i leader sindacali, a dover difendere gli interessi del mondo del lavoro, e non certo i lavoratori stessi. nel migliore dei casi sono diventati gli avvocati dei lavoratori, incaricati di difenderli ma non certo di insegnare loro a difendersi da soli.
Ma questo funziona efficacemente solo in tempi di calma sociale. Quando la combattività dei lavoratori non c'è, quando non succede nulla, quando i lavoratori restano fermi, quando non ci sono scioperi, allora sì, i leader sindacali possono tranquillamente fingere di svolgere un ruolo negoziando ciò che i padroni hanno già accettato di cedere comunque. Ed è per questo che hanno così tanta paura delle mobilitazioni dei lavoratori, perché temono uno sciopero generale, che non sarebbero più in grado di controllare!
La storia lo ha dimostrato più volte, in particolare nel 1936 e nel 1968: quando la lotta di classe prende il sopravvento, quando gli scioperi si sviluppano e si diffondono, gli apparati sindacali si trovano sempre dall'altra parte della barricata e mettono tutto il loro peso per porre fine agli scioperi e riprendere il controllo. Non c'è da stupirsi: prima di tutto, perché questo è il loro ruolo, questo è ciò a cui servono agli occhi della borghesia e dello Stato, e questo è l'unico motivo per cui si spendono tanti soldi per mantenerli.
I dirigenti sindacali svolgono il ruolo di custodi della pace sociale. Se falliscono, se si trovano in una situazione in cui i lavoratori prendono in mano il proprio destino, senza di loro e contro di loro, non sono più utili ai capitalisti, il che per loro equivale alla morte sociale.
Per questo motivo, il caso della PSA di Poissy e della CGT del gruppo Stellantis non è né isolato - manovre del genere si sono verificate centinaia di volte in passato - né sorprendente per chi è consapevole del ruolo reale svolto dalle confederazioni sindacali nella nostra epoca imperialista. Sbarazzarsi di militanti combattivi, o addirittura di interi sindacati quando mostrano un po' troppa indipendenza, è in definitiva una questione di sopravvivenza per questi apparati sindacali che sono integrati fino all'osso nella gestione dell'apparato statale borghese.
Pertanto, lottare per mantenere viva la democrazia operaia nei sindacati deve essere una lotta essenziale per i rivoluzionari. Non una democrazia di facciata, non una democrazia fantoccio, ma una vera democrazia operaia, che consiste nel garantire che siano sempre i lavoratori a decidere. Questo è il principio stesso della nostra attività militante nelle aziende. E questo per un semplice motivo: stiamo lottando affinché domani siano i lavoratori a gestire la società. Quindi è naturale per noi fare in modo che i lavoratori gestiscano già le proprie organizzazioni e domani gestiscano i propri scioperi, dal basso, attraverso comitati di sciopero eletti e revocabili e, dopodomani, in consigli operai da cui i burocrati sindacali saranno cacciati se non riconoscono le decisioni dei lavoratori!
Sì, stiamo lottando per dare ai lavoratori la possibilità di discutere tra di loro, di pensare con la propria testa, di decidere da soli e di imparare dalle proprie esperienze. Anche in questo caso, ciò va contro tutto ciò che il movimento operaio degenerato ha fatto per decenni, in particolare lo stalinismo, che per anni ha insegnato ai lavoratori e agli attivisti ad ubbidire e a stare sull'attenti di fronte alle decisioni imposte dall'alto.
Questo modo di concepire il lavoro politico e sindacale è criminale. "L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi", recitava il motto della Prima Internazionale. Ebbene, si comincia dai sindacati, che devono essere una scuola di democrazia operaia, dove i lavoratori imparano a regolare da soli i propri affari.
Ogni giorno, ogni ora, i padroni danno ordini ai lavoratori come se fossero bambini. I capi dicono loro che non devono ficcare il naso negli affari dell'azienda o nell'organizzazione del lavoro. I politici borghesi dicono loro che non devono essere direttamente coinvolti nella politica e che è giusto che ogni tanto mettano un pezzo di carta in un'urna elettorale. E i burocrati sindacali dicono fondamentalmente la stessa cosa: "Lasciate fare a noi, lasciate che ci occupiamo dei vostri affari per voi, lasciate che li gestiamo e soprattutto non interferite!"
Per tutte queste persone, i lavoratori servono solo a una cosa: lavorare, sudare per il profitto e stare zitti. Ebbene, per noi non è il caso; ci battiamo affinché i lavoratori, che fanno funzionare tutto nella società, siano coinvolti nella gestione delle aziende, mettano il naso nei libri contabili e controllino direttamente il lavoro e la produzione. Ci battiamo affinché i lavoratori si impegnino in prima persona nella politica, con le loro armi di classe, e non si limitino a credere che il voto - o l'astensione - possa cambiare qualcosa.
Stiamo lottando affinché i lavoratori, nelle loro organizzazioni di base che sono i sindacati, possano guidare, decidere, scegliere i loro rappresentanti e le politiche che vogliono perseguire. Tutto questo è un'unica lotta. La rivoluzione, scriveva Trotsky, è "l'irruzione violenta delle masse nel dominio in cui si decide il loro destino". Ebbene, questo inizia prima della rivoluzione. Il lavoro dei militanti rivoluzionari, d'ora in poi, è quello di difendere la prospettiva dei lavoratori, ogni volta che è possibile, di "irrompere nel dominio in cui si stabilisce il proprio destino" e sappiamo che questo può essere fatto solo senza i burocrati sindacali e contro i burocrati sindacali.
Agli inizi, il movimento sindacale ha lottato fino alla morte per ottenere i diritti sindacali. Quando li ha conquistati, il grande capitale li ha usati per inquadrare e incanalare le rivolte dei lavoratori. Esattamente come il movimento operaio si è battuto per il suffragio universale prima che la borghesia imparasse a usarlo per perpetuare il suo ordine marcio, come fa così bene oggi.
Le cose stanno così. Come ha scritto Engels, la storia del movimento operaio è fatta di "rarissime vittorie e innumerevoli sconfitte", e non potrà essere altrimenti finché i capitalisti governeranno la società. Per questo siamo rivoluzionari.
Anche per questo è necessario che esista un partito rivoluzionario che si appropri di tutto questo capitale politico, di tutte le lezioni del movimento operaio, per trasmetterle alle nuove generazioni.
Il periodo che stiamo vivendo sarà forse segnato, molto rapidamente, da un'impennata di lotte. Se non sono i rivoluzionari a dare una direzione politica a queste lotte, saranno i nemici dei lavoratori a farlo, come è successo tante volte in passato. Per questo la presenza di militanti operai che abbiano come obiettivo il radicamento di idee comuniste rivoluzionarie nelle aziende è una necessità vitale per aiutare la classe operaia a lottare, anche e soprattutto fino alla presa del potere.
Quindi, compagni, dobbiamo lottare, lottare con perseveranza, con determinazione e combattività affinché i lavoratori possano assimilare le idee rivoluzionarie per scuotere di nuovo il mondo e cambiarlo di nuovo!
Evviva la classe operaia e viva il comunismo!
L'Intervento di Nathalie Arthaud
Cari amici, cari compagni, lavoratrici, lavoratori,
Come ha detto Jean-Pierre, stiamo facendo una campagna nelle aziende e nei quartieri popolari per propagandare uno stato d'animo combattivo e una coscienza politica rivoluzionaria.
La rivoluzione non è solo una questione di spirito combattivo e di coraggio, ma è prima di tutto una lotta politica. La rivoluzione pone la questione di chi prenderà in mano il potere governativo. Da chi sarà gestita la società? Dalla borghesia per mantenere l'ordine sociale capitalista, o dalla classe operaia per costruire una società comunista? Se questa domanda non emerge nel corso di una crisi rivoluzionaria, l'ordine sociale non può essere rovesciato.
Per questo noi sappiamo che coloro che militano nella prospettiva rivoluzionaria del potere dei lavoratori sono una piccola minoranza e i risultati delle elezioni presidenziali ce lo ricordano. Eppure la protesta è permanente. Ci sono così tante ingiustizie, ineguaglianze, oppressioni e disastri che suscitano continuamente la contestazione di donne e uomini.
In Francia esistono migliaia di associazioni che protestano e combattono. Alcune di loro lottano contro la mancanza degli alloggi, altri contro la violenza sulle donne. Ci sono centinaia di movimenti diversi, penso a SOS Méditerranée che viene in soccorso delle imbarcazioni di migranti, RESF (Rete Éducation sans frontiéres) e, naturalmente, tutti coloro che operano nel campo dell'ecologia. Ma queste proteste non sono dirette contro l'ordine sociale stabilito, non hanno l'obiettivo politico di togliere il potere alla classe capitalista.
Anche l'ultima protesta di massa, il movimento dei Gilet Gialli, non ha portato a una messa in discussione del potere. Perché chiedere le dimissioni di Macron e la sua sostituzione con un altro politico non toglie nulla al potere della grande borghesia.
Mettere in discussione il potere vuol dire sfidare il potere economico e politico e la
classe capitalista. È lottare per il potere dei lavoratori. È combattere con l'idea che i lavoratori al potere saranno in grado di risolvere i problemi della società, non fomentando nuove guerre, nuove carestie e nuove crisi. Ma mettendo la ricchezza e i mezzi per produrla al servizio dell'umanità perché avranno abolito la proprietà privata capitalista, la legge del profitto e della concorrenza.
I lavoratori oggi sono lontani da questa coscienza politica. Anche solo difendersi, agire collettivamente, scioperare o manifestare sembra difficile, anche fuori portata per molti di loro. Ci auguriamo certamente che gli attuali scioperi e scioperanti, Carrefour, Total, ExxonMobil e molte altre aziende siano le rondini che annunciano la primavera. Ma per il momento la mobilitazione della classe operaia è ben lungi dall'essere all'altezza degli attacchi.
In termini di combattività, le grandi imprese e il governo hanno un buon vantaggio: sono
in anticipo sul gioco. Rifiutandosi di aumentare i salari nella stessa proporzione dell'aumento dei prezzi, le grandi imprese ci stanno svuotando le tasche, ci stanno impoverendo e questo va avanti da mesi.
Vediamo la campagna contro i disoccupati. Mattina, mezzogiorno e sera, ministri e padroni sfilano sui media compiacenti per ripetere come pappagalli che ci sono decine di migliaia di posti vacanti e che "non si trovano più persone che vogliono lavorare". Tutto questo per non aumentare i salari, e imporre lo sfruttamento più feroce, anche riducendo ulteriormente i sussidi di disoccupazione.
Per allungare l'età pensionabile, Macron e i suoi tirapiedi utilizzano sempre l'argomento del dell'invecchiamento della popolazione e del deficit dei fondi pensione. È un deficit che i datori di lavoro contribuiscono ad aumentare, proprio rifiutandosi di aumentare gli stipendi di base e i contributi che ne derivano. E visto che in questo momento i fondi pensione sono in attivo, cosa ci dice il governo? Che si dovrà lavorare fino a 65 anni perché bisogna pensare anche a pagare la scuola, l'ospedale e la transizione energetica!
È risaputo che gli azionisti stanno incassando profitti eccezionali e che tutte le grandi fortune stanno prosperando come mai prima d'ora. Il governo stesso, il Primo Ministro
Borne ha riconosciuto i profittatori della crisi e l'esistenza di "profitti indebiti" !
Persino Bruno Le Maire, il ministro dell'Economia, si è arrabbiato con le compagnie energetiche per aver gonfiato i loro prezzi. Ma non è lì che vogliono prendere i soldi per gestire le scuole o gli ospedali, bensì è dalle tasche dei lavoratori, derubandoli delle loro pensioni!
Per attaccare come stanno facendo oggi, le grandi imprese e il governo devono sentirsi forti. E si sentono forti perché per anni abbiamo incassato i colpi senza restituirli. Le condizioni di lavoro stanno peggiorando, i prezzi sono in aumento e non ci arrabbiamo. Se dobbiamo aspettare sei mesi per un'operazione in un ospedale pubblico, aspettiamo. Se i nostri figli hanno bisogno di ripetizioni, perché il sistema educativo nazionale sostituisce a fatica gli insegnanti assenti, paghiamo noi. Se dobbiamo andare al lavoro in autobus o metropolitane affollate. ci stringiamo. E oggi siamo costretti ad accettare, quest'inverno, di stare al freddo. Ma sarà per una buona causa, ci dicono loro!
Quindi, ovviamente, alcuni di noi sono arrabbiati, ma lo stato d'animo generale è di rassegnazione. Sappiamo che questo atteggiamento attendista pesa su chi vuole reagire e talvolta demoralizza i più combattivi. Beh, prima di tutto vorrei dire che questo non è il nostro caso!
Le nostre convinzioni rivoluzionarie non sono collegate al livello di combattività della classe operaia. Si basano sul dato oggettivo della lotta di classe che oppone, in modo permanente, sfruttati e sfruttatori. Finché regnerà la proprietà privata capitalista, lo sfruttamento, lo Stato li proteggerà, il sistema produrrà sofferenze senza nome, produrrà rivolte e rivolte. Quindi non solo l'attuale debolezza della combattività non mina le nostre convinzioni rivoluzionarie, ma queste ci aiutano a capire cosa sta succedendo. La combattività operaia è sempre stata di alti e bassi, i periodi di depressione sono stati di gran lunga i più numerosi e i più lunghi. Questo è precisamente il dominio di una classe sociale su un'altra. Sì, una società di sfruttamento sminuisce e schiaccia coloro che dovrebbero ribellarsi.
Per quanto riguarda i Paesi ricchi come la Francia, i lavoratori sono teoricamente "liberi".
Non sono più incatenati e frustati come gli schiavi di una volta. Ma, come ha detto Jean-Pierre, "la repressione padronale esiste sempre e non appena ci sono lotte, esse
si confrontano con la repressione dello Stato, della sua polizia e del suo esercito."
E oltre alla repressione, ci sono tutte le catene invisibili. Sono le catene dello sfruttamento che spezzano la volontà e l'energia dei più resistenti: le estenuanti giornate lavorative che si susseguono, i mille e uno problemi di alloggio, salute, trasporti, che raggiungono proporzioni folli non appena i soldi finiscono.
Queste sono le catene ideologiche che la società borghese mette nelle nostre menti. Marx diceva che "le idee dominanti di un'epoca sono sempre state solo le idee della classe dominante".
È la borghesia che si pone come modello per l'intera società. Attraverso i media e l'istruzione diffonde i suoi valori e la sua cultura: il successo individuale, il carrierismo, la corsa al denaro, il rispetto delle gerarchie, il sessismo, il nazionalismo, quando non si tratta di razzismo.
Guardate il circo intorno alla morte della regina Elisabetta II! Tutti i leader del mondo hanno partecipato ai funerali per esprimere il loro rispetto e la loro ammirazione per una Regina che incarna parassitismo e conservatorismo allo stato puro. È attraverso queste straordinarie messe in scena che il popolo viene addestrato a prostituirsi di fronte al potente. È necessario che "coloro che non sono niente", come ha detto Macron, si abituino a inchinarsi davanti a "coloro che sono tutto"!
Quindi sì, molti oppressi sposano le idee dominanti della borghesia. E il più delle volte accettano il loro destino e soffrono. E non sarà agitandoci, invocando continuamente lo sciopero e peggio ancora moralizzando le persone intorno a noi che potremo controbilanciare questa coltre di piombo. Questa coperta di piombo salterà quando salterà! E non saranno i rivoluzionari a farlo saltare. Sarà la voracità dei capitalisti, la violenza della crisi, le oppressioni e tutte le ingiustizie che generano. E allora i borghesi cadranno dal loro piedistallo e capita persino che ai Re venga tagliata la testa!
Ne abbiamo un esempio in Iran. Per oltre 40 anni i mullah hanno governato col bastone sugli iraniani. Per 40 anni le donne sono state prigioniere dei loro veli, sottomesse alla legge dei padri, dei mariti e dei fratelli. Questa supervisione della vita delle donne crea un'atmosfera di sottomissione per tutti, uomini compresi, e naturalmente per i lavoratori, che non possono nemmeno organizzarsi in sindacati e la cui minima protesta viene violentemente repressa.
Questo era vero anche quando le proteste erano rare e isolate. Siamo tra coloro che
hanno sempre pensato che alla fine questa situazione sarebbe esplosa. Non potevamo dire quando e come sarebbe scoppiata la rivolta. Nessuno poteva dirlo, visto che è stata la polizia a dare il via a tutto questo, arrestando e uccidendo Mahsa Amini per per una ciocca di capelli che spuntava dal suo velo. E oggi la rivolta scuote tutti i giovani del Paese. Le donne sono in prima linea, si tolgono e si bruciano i veli, si tagliano i capelli, dimostrano, manifestano e vanno allo scontro, sapendo di rischiare la vita. Non si può che ammirare tale coraggio.
Bene, è in momenti come questo, quando centinaia di migliaia di giovani e meno giovani non immaginano più di tirarsi indietro, che tutto diventa possibile. È in questi momenti che le persone possono rompere ciò che hanno rispettato e liberarsi dalle loro catene.
È in questi momenti che le rivoluzioni diventano possibili. Ed è in questi momenti che l'esistenza di un Partito comunista rivoluzionario può ribaltare le sorti della storia guidando la rivoluzione verso la presa del potere da parte dei lavoratori.
Per noi, quindi, la questione non è iniziare la rivoluzione. Non è nemmeno sapere quando la rivolta sostituirà l'attuale passività e sconforto. La questione è prepararci per poter offrire una direzione rivoluzionaria alla prossime lotte.
Se ci fosse, domani, una esplosione di scioperi in tutte le imprese, le rotatorie occupate da nuovi gilet gialli, quali sono le idee che verrebbero espresse spontaneamente? Quelle che i lavoratori hanno in mente oggi, quelle che i sindacati e i riformisti e i partiti politici riformisti diffondono quotidianamente nella società.
Ci sarebbe senza dubbio la necessità di bonus per far fronte all'aumento dei prezzi. Sarebbe anche la necessità di aumenti salariali, magari indicizzati. Sarebbe la necessità di
di tassare i superprofitti, vietare i jet privati e gli yacht giganti. Forse tornerebbe l'idea di un referendum di iniziativa popolare. Ma ci sarebbe anche l'idea del protezionismo, della de-globalizzazione, persino l'idea del nazionalismo.
Presentata come una proposta radicale, alcuni chiederebbero le dimissioni di Macron,
e nuove elezioni o un cambiamento della costituzione, come è stato fatto in Cile. Come punto di partenza ci sarebbero le idee politiche di cui la società è impregnata. Ma questo sarebbe solo il punto di partenza, perché è proprio in questi periodi che le idee e le parole dei più combattivi e audaci possono essere ascoltate, discusse e condivise. In questi momenti, le coscienze cambiano rapidamente. Scoprendo la loro forza collettiva i lavoratori sono alla ricerca di prospettive politiche. Ed è lì, alla prova del fuoco, che i rivoluzionari possono conquistare la fiducia di ampi strati di lavoratori e offrire una direzione alla lotta.
Per i comunisti rivoluzionari questo è l'inizio della vera lotta politica. Perché in tale periodo, infatti, tutti i partiti al potere saranno impegnati a riprendere in mano la situazione e a incanalarla verso obiettivi politici, innocui per la proprietà privata capitalista. I partiti istituzionali, compresi quelli di sinistra che abbiamo visto inginocchiarsi di fronte al grande padronato quando erano al potere, vorranno apparire come i rossi più estremi Ma questo gli servirà a riportare la lotta sul loro proprio terreno: il terreno elettorale e parlamentare.
Nel maggio del 1968, prendo questo esempio, perché è stato l'ultimo periodo di scioperi che ha interessato in Francia l'intera classe operaia. Ebbene, nel 1968, il PCF che con la CGT ha incanalato e finito per dirigere la mobilitazione dei lavoratori, è stato coinvolto nella manovra elettorale di De Gaulle, che aveva sciolto l'Assemblea Nazionale e ha provocato nuove elezioni. Non si trattava più di scioperi e dimostrazioni, si doveva andare a votare! E hanno spacciato gli accordi di Grenelle come la vittoria del secolo.
Invece di spingere per migliorare i rapporti di forza che gli operai avevano costruito, invece di aiutare i lavoratori a prendere coscienza della loro propria forza e della loro propria organizzazione con l'esperienza della democrazia operaia, il PCF e i sindacati influenti nella classe operaia, la CGT in particolare, hanno chiesto loro di tornare al lavoro. A cosa sarebbe successo ci avrebbero pensato i sindacati!
Sappiamo cosa è successo dopo: non appena la pressione degli operai si è allentata, la borghesia ha ripreso in mano la situazione e si è ripresa gran parte di ciò che aveva concesso. In particolare ha aumentato i prezzi per salvare i profitti e annullare gli effetti degli aumenti salariali.
C'era l'energia, la combattività perché gli eventi del '68 andassero oltre? Nessuno può dirlo. In ogni caso, di fronte al PCF e alla CGT, i gruppi rivoluzionari non avevano peso, perché sulle barricate non si improvvisa un partito, anche un partito rivoluzionario. Questo partito doveva essere costruito, almeno come spina dorsale, prima che gli eventi scoppiassero. È un compito che spetta a noi oggi. Anche se nulla ci permette di prevedere un'esplosione sociale a breve termine, dobbiamo costruire un partito e farlo con urgenza!
Nell'ultimo semestre non sono mancate le grandi rivolte: c'è stata una rivolta in Sudan nel 2018-2019, l'Hirak in Algeria. Quest'estate lo Sri Lanka è stato sul punto di insorgere... nell'ultimo semestre, Haiti è stata nuovamente scossa da un'ondata di mobilitazione popolare e c'è, ovviamente, la rivolta dei giovani in Iran. In ognuna di queste rivolte si pongono le stesse domande: come allargare il movimento; come comunicare e coordinarsi quando il regime controlla tutto, come neutralizzare la polizia per impedirgli di sparare... E come costruire la direzione per trasformare le decine o centinaia di migliaia di ribelli in una forza politica? La rivolta e il coraggio di lottare non sono sufficienti per fare politica.
Combattere sì, ma per quali esigenze, per quale obiettivo? Un cambio di governo ? Il rovesciamento dell'intero apparato statale, a partire dall'esercito che ne è il pilastro? Un rovesciamento del regime, ma per sostituirlo con cosa? Tutte queste domande sorgono oggi in Iran. Durante le proteste si grida "Morte al dittatore", "Abbasso la Repubblica islamica"... ma quale regime dovrebbe sostituire quello dei Mullah?
In generale non mancano candidati o organizzazioni per recuperare le rivolte e dare loro una direzione. C'è spesso una serie di partiti o oppositori che passano direttamente dal carcere al governo. Al di là delle reti di notabili e politici di professione, ci sono tutte le organizzazioni che già esistono e fanno da cornice alla società: l'esercito e talvolta anche le organizzazioni religiose.
Nel 1979, quando la popolazione iraniana si sollevò contro il regime dello Scià e l'imperialismo americano che lo sosteneva, sono stati i religiosi a guidare la rivolta. In nome dell'unità nella lotta antimperialista, tutti gli oppositori dello scià, compresi quelli laici o addirittura atei, si sono riuniti in un'unica assemblea, si sono schierati dietro il leader supremo Khomeini. tra cui il Partito Comunista Iraniano, che è stato una delle punte di diamante della protesta. Perché lì in Iran c'erano molti attivisti che si dichiaravano comunisti e favorevoli al potere della classe operaia, ma hanno rinunciato a difendere una politica indipendente per i lavoratori.
Il culmine della rivoluzione iraniana fu un'insurrezione in cui la popolazione prese le armi e fece cadere l'esercito, lo scià e il suo regime. Subito dopo, la popolazione ha ceduto le armi ai comitati religiosi e alle milizie islamiste che hanno dato vita alle Guardie Rivoluzionarie, le stesse che oggi sparano sui manifestanti.
La rivoluzione ha così dato vita a un regime poliziesco islamico. I Mullah si fecero carico di cambiare la facciata dello Stato, che avrebbe d'ora in poi affermato di essere nazionalista e religioso. Ma l'ordine sociale è rimasto intatto. L'Ayatollah Khomeini chiamava i suoi "cari lavoratori", come diceva, a "tornare al lavoro". La popolazione attiva ha continuato a essere sfruttata. Non ha beneficiato per niente dei redditi del petrolio e, nonostante il suo desiderio di indipendenza, l'Iran è rimasto dipendente dall'ordine mondiale imperialista. E i lavoratori ne pagano le conseguenze da oltre 40 anni.
Come la rivoluzione iraniana del 1979, sono innumerevoli le rivoluzioni che si sono concluse con un nulla di fatto o sono state bloccate o massacrate. E la colpa non è degli sfruttati, della loro determinazione e del loro "coraggio". Gli oppressi non hanno scelta, e non hanno mai smesso di sollevarsi, in un Paese e in un altro. E non si fermeranno perché non hanno altra scelta.
Il fallimento è da imputare ai dirigenti rivoluzionari che non sono stati all'altezza del compito. E oggi, in molti paesi, hanno disertato la lotta e abbandonato le uniche idee che possono cambiare il mondo. Qui in Francia non siamo in molti a difendere queste prospettive. Saremo in grado di essere all'altezza degli eventi rivoluzionari? Non lo sappiamo. Ma in ogni caso, è questo che vogliamo, è questo il nostro obiettivo! La nostra ragion d'essere è quella di costruire un partito capace di orientarsi nel bel mezzo di una tempesta sociale e politica.
Una vera crisi rivoluzionaria mette in azione milioni di donne e uomini con esigenze, livelli di combattività e consapevolezza differenti. Tutti sono presi in un vortice di azioni, speranze, paure, scoraggiamenti. Gli eventi, lo stato d'animo delle masse, l'atteggiamento dello Stato e le forze repressive, tutto può cambiare di ora in ora. È necessario saper analizzare l'equilibrio di potere, misurare il livello di combattività e di coscienza per proporre slogan e una politica che permettano alla lotta di andare avanti, di approfondirla fino a quando la questione della presa del potere da parte dei lavoratori apparirà come una necessità agli occhi degli operai.
Non si può improvvisare. Abbiamo bisogno di un partito che si sia preparato moralmente e politicamente, un partito che sia stato costruito e formato per questo scopo rivoluzionario.
Quando si vuole diventare chirurghi, si impara la medicina, la biologia, l'anatomia... Gli studi di medicina non sono sufficienti per avere il gesto giusto e diventare un buon chirurgo. L'esperienza conta molto, perché la realtà è sempre più complessa di quanto si apprende dai libri. Bisogna diffidare da chi trascura gli studi e chi deride l'esperienza della medicina passata, bisogna diffidarsene. Ebbene, i rivoluzionari devono prepararsi con lo stesso spirito di chi aspira a diventare un chirurgo!
Marx ed Engels conoscevano a memoria la Rivoluzione francese, ne avevano studiato i meccanismi e le modalità. Avevano cercato di capire come, perché la coscienza delle masse era cambiata, come si era verificato il riflusso, come Bonaparte si era finalmente imposto. Lenin sapeva tutto sugli eventi della Comune di Parigi. Noi dobbiamo conoscere la Rivoluzione russa, l'ultimo terremoto che ha scosso il mondo capitalista. È l'unica rivoluzione proletaria che è stata portata avanti fino alla fine ed è proprio grazie alla presenza di un partito rivoluzionario, il Partito bolscevico.
È importante capire come è stato costruito questo partito, come si è formato. In Germania, nel 1918, quando il paese era gremito di consigli di lavoratori non c'era nessun partito di questo tipo.
Dobbiamo anche capire perché la rivoluzione operaia del 1917 degenerò e diede alla luce quel mostro che fu la burocrazia stalinista. E non è solo storia! Senza questo è impossibile capire cosa sta succedendo oggi con Putin, la burocrazia e gli oligarchi russi.
E non partiamo da zero. Trotsky visse questo periodo negli anni '20 e '30. Fu il primo combattente contro la burocrazia e la dittatura staliniana in nome degli interessi dei lavoratori. Poi ha militato e difeso una politica durante la Rivoluzione Cinese, durante l'ascesa del fascismo, durante l'ascesa del fascismo in Germania, durante la rivoluzione e la controrivoluzione in Spagna nel 1936. La sua lotta è una lotta che dobbiamo intraprendere anche noi.
A differenza degli scienziati che hanno a disposizione laboratori per condurre i loro esperimenti, i rivoluzionari non possono simulare eventi rivoluzionari e mettere alla prova le loro parole e le loro politiche. Ma possono studiare le rivoluzioni del passato e attingere al capitale politico lasciato in eredità dai rivoluzionari che li hanno preceduti.
Anche se le situazioni rivoluzionarie non si ripetono fedelmente, tutte pongono nuovi problemi e non esiste un libro di testo rivoluzionario in cui si possano trovare soluzioni pronte per l'uso. In questi periodi, il partito deve inventare tutto. Ha quindi bisogno di una direzione il più possibile competente ed esperta, e questo va di pari passo con decine di migliaia di militanti immersi nelle masse di persone effervescenti. Militanti sufficientemente legati al mondo del lavoro da poterne percepire lo stato d'animo, militanti capaci di agire insieme, quando è necessario, con lo stesso slancio.
Per questo è necessario un partito di militanti abituati a lavorare insieme, che si comprendano a vicenda, in un accenno, perché condividono in profondità le stesse convinzioni e perché si sono formati in una politica comune. Più eventi sociali e politici ci sono, più le lotte e i processi militanti sono numerosi e condivisi, più è facile costruire questa coesione e fiducia reciproca. La base di questo cemento politico è la più ricca attività militante possibile.
Conoscete il detto: è ai piedi del muro che riconosciamo il muratore. Sarà lo stesso per i rivoluzionari: saranno riconosciuti al momento della rivoluzione. Ma possiamo e dobbiamo essere preparati ad affrontarla. Cogliamo quindi tutte le opportunità offerte dalla situazione per militare, per confrontare le nostre convinzioni e le nostre analisi, per approfondirle e rafforzarle. Sforziamoci di costruire un partito unito con la guida politica giusta!
Questo cemento politico è altrettanto necessario per resistere in periodi di declino come quello che stiamo vivendo. Le fasi di reazione e di aggravamento delle crisi preparano il loro opposto: periodi di lotte crescenti e di speranza rivoluzionaria. Ma tra l'uno e l'altro possono passare mesi o addirittura anni di battute d'arresto più o meno profonde. Quindi dobbiamo prepararci anche noi ad essere capaci di lottare anche se sempre più controcorrente.
L'attuale arretramento riguarda innanzitutto il declino della combattività operaia, lo scoraggiamento dei militanti e l'indebolimento della corrente che rivendica la prospettiva rivoluzionaria. Esso si riflette anche nella progressione dell'estrema destra quasi ovunque in Europa. La sua ultima vittoria è stata in Italia il successo elettorale della Meloni e del suo partito, costruito sulla nostalgia del fascismo. E esso si misura, ovviamente, con la guerra.
La guerra in Ucraina non è una guerra come le altre. Oppone direttamente due grandi potenze, la Russia alla principale potenza imperialista del mondo, gli Stati Uniti. Certo, non si sono formalmente dichiarati guerra l'un l'altro, gli Stati Uniti di Biden sostengono di non essere in guerra. Ma chi fornisce le armi alla parte ucraina? Chi mette a disposizione all'esercito ucraino satelliti, droni e istruttori? C'è una divisione di ruoli tra gli Stati Uniti e Zelenski: gli Stati Uniti forniscono le armi e il denaro, gli ucraini forniscono la carne da cannone.
L'ultimo discorso di guerra di Putin, la sua minaccia poco velata di ricorrere alle armi nucleari, la mobilitazione delle forze armate, la mobilitazione dei riservisti e i referendum sull'annessione hanno aumentato le tensioni. Ma se da parte di Putin l'escalation è verbale, da parte degli Stati Uniti è materiale. Si misura in termini militari con il numero di lanciamissili, droni e truppe che l'Ucraina sta attualmente schierando per la sua controffensiva.
La guerra in Ucraina non è e non sarà mai una guerra nazionale in cui un piccolo Paese resiste all'invasione del suo potente vicino. L'Ucraina è stata per anni il campo di battaglia tra due briganti, la Russia e gli Stati Uniti, per vedere chi dei due farà di questa parte del mondo la propria riserva privata. Ed entrambi sono pronti a farne un sanguinoso teatro. Quindi sì, questa guerra potrebbe intensificarsi, diventare più vicina e generalizzarsi.
Per ora la Cina si tiene a distanza dal duello Biden/Putin. Ma dove ci condurrà il braccio di ferro permanente tra essa e gli USA?
Già oggi, il governo e i media sono impegnati in una campagna permanente contro Putin. E la Francia non è ufficialmente in guerra! Dobbiamo immaginare che la pressione della guerra potrà intensificarsi, con tutto ciò che ne consegue in termini di paura e di militarizzazione della società.
E dobbiamo continuare a resistere alla loro propaganda!
Potremmo essere sempre meno numerosi, ma dobbiamo continuare ad affermare: Sì, Putin è un dittatore, ma l'imperialismo è un intero sistema che persiste al di là della personalità di ognuno di noi e che fa sprofondare il mondo nella barbarie! Biden, Macron e soci fingono di interessarsi alle sofferenze degli ucraini. Ma loro continuano a saccheggiare le risorse di molti popoli e a calpestare i loro diritti, dall'Iraq alla Palestina, dai paesi del Sahel ai paesi dell'Africa occidentale, senza dimenticare il continente americano e l'America Latina. Muovono almeno un dito per salvare milioni di donne, bambini e ragazzi dalla fame? No, questa non è una lotta a cui sono interessati.
Se l'imperialismo americano ha scelto di farsi coinvolgere nella guerra in Ucraina, non è
per il bene dei lavoratori e dei poveri ucraini. Questa guerra, che viene condotta in nome della liberazione nazionale, non può che portare sotto la tutela americana.
Certamente lo zio Sam americano avrà abbastanza soldi per pagare molto bene i suoi scagnozzi politici ucraini come già sta facendo ai quattro angoli del mondo. Gli Zelenski, i militari e gli oligarchi ucraini probabilmente non se ne pentiranno. Ma i lavoratori, i poveri ucraini, pagheranno il conto della guerra, dei saccheggi e dello sfruttamento che continueranno domani, con in più la tassa dello sponsor americano.
Come disse Rosa Luxemburg, "la leggenda della difesa della patria appartiene all'arte della guerra tanto quanto la polvere da sparo e il piombo". Quindi no, questa guerra non è della classe operaia ucraina, non è la guerra degli lavoratori russi. Questa guerra non è la nostra guerra! Se la pressione bellica aumenta, con ciò che significa come arruolamento delle menti e pressioni sociali, non dovremo contare sul PCF, sul parito France Insoumise o su chiunque altro per opporsi. Oggi non riescono nemmeno a denunciare la strumentalizzazione che gli americani fanno degli ucraini, e sostengono la politica di Macron !
Per quanto riguarda l'NPA, ha unito la sua piccola voce al concerto dei guerrafondai, con
argomentazione sul diritto dei popoli all'autodeterminazione, argomentazione che oggi viene difesa dal campo imperialista!
Oggi le voci che si oppongono alla guerra provengono principalmente dalle masse oppresse dei paesi poveri, dai lavoratori dell'Africa, dai lavoratori dell'Africa e del Medio Oriente. Non si fanno ingannare perché hanno imparato nella loro carne che le potenze imperialiste non intervengono mai nell'interesse dei più poveri. Ma la corrente politica dominante è a favore della guerra, e politicamente saremo sempre più da soli. E dovremo resistere.
Dovremo mantenere le nostre convinzioni antimperialiste rivoluzionarie. Aggiungo la parola rivoluzionario, perché per noi l'unico modo per sbarazzarci dell'imperialismo è distruggere il capitalismo, cioè strappare il potere alla classe capitalista su scala mondiale. Dovremo mantenere l'internazionalismo proletario.
Ci sono sicuramente in Russia e Ucraina donne e uomini che odiano i loro dirigenti e si rifiutano di tenere il passo. Donne e uomini che non sopportano la propaganda sciovinista e il baratro di odio che crea. Che tengono in orrore il nazionalismo e il militarismo. E ancora di più adesso, dopo sei mesi di guerra mostruosa. Ma il fatto di essere isolati e non organizzati, il fatto di non avere un partito politico, anche piccolo, anche clandestino, che potesse rappresentare i loro sentimenti, le loro aspirazioni e i loro interessi, li condanna a subire in silenzio una politica decisa dai loro nemici.
Allora, innalzare la bandiera rivoluzionaria qui in Francia significa anche rivolgersi a loro. Non sarà sufficiente a impedire che la guerra continui e persino che si estenda, ma può essere importante per tutti coloro che in Russia e in Ucraina si sentono intrappolati dalle politiche imposte dai loro leader e non riescono a vedere vie d'uscita. E questo è l'unico modo per preparare un risultato positivo per i lavoratori!
Quindi, sta a noi continuare ad alzare la bandiera rivoluzionaria e dire forte e chiaro: né Putin, né Biden o Macron. L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi! Dobbiamo seguire la rotta tracciata da Marx più di un secolo e mezzo fa.
E anche qui possiamo prendere l'esempio dei rivoluzionari che ci hanno preceduto. Guardate come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Lenin e Trotsky, qui Alfred Rosmer o Pierre Monatte hanno vissuto la prima guerra mondiale. Solo una manciata di loro ha resistito al rullo compressore dell'unità sacra e del patriottismo, mentre tutti gli altri dirigenti dei partiti operai e dei sindacati si sono messi al servizio dello sforzo bellico degli stati borghesi.
Questi pochi leader, che sono rimasti rivoluzionari e internazionalisti, non hanno potuto impedire a operai e contadini francesi, tedeschi, russi e italiani di uccidersi a vicenda.
Non sono riusciti a fermare la macchina da guerra politica e militare. Ma loro hanno mantenuto le loro idee. Le hanno mantenute in esilio, nella solitudine e nel freddo delle prigioni, nel fango e nell'orrore delle trincee, o nelle retrovie sottoposte al feroce sfruttamento delle fabbriche di armamenti. Ma queste idee sono servite alle masse quando finalmente si sono opposte a questa macelleria, in Russia, poi in Germania e in Ungheria.
La speranza non è e non sarà mai dalla parte dei governanti capitalisti, ma dalla parte della classe operaia, dalla parte di coloro che soffrono. Sono loro che hanno interesse a rimettere in piedi la società e saranno loro che ci riusciranno !
In questo periodo reazionario, andremo necessariamente controcorrente. Intanto la realtà che viviamo ci dà ragione perché questa società capitalista mostra il suo fallimento. Le molteplici crisi si susseguono: la crisi sanitaria e lo stato disastroso degli ospedali, la
crisi economica, con la carenza di componenti e le numerosi colli di bottiglia; la crisi energetica e climatica; la siccità; la mancanza di manodopera qualificata.
La grande borghesia e i suoi leader politici sono così sconvolti da questi ostacoli combinati che finiscono per riconoscere una serie di errori: "Abbiamo globalizzato troppo !", spiegano. "Non abbiamo investito abbastanza nel campo energetico !" "Non disponiamo più di saldatori sufficientemente specializzati per effettuare le necessarie riparazioni alle nostre centrali nucleari!" "Abbiamo cementificato troppo"... "Non abbiamo fatto abbastanza manutenzione alle nostre reti idriche e il 20% dell'acqua si perde".
Sì, questi signori sono in preda al panico per i risultati della loro politica, perché ora si sta rivolgendo contro i loro stessi affari! Ciò è particolarmente visibile nel campo dell'energia. Per anni, se non decenni, hanno esaltato le virtù della liberalizzazione e del cosiddetto libero mercato. Ebbene, oggi i prezzi sono moltiplicati per 10, 15, tanto da rischiare di far crollare buona parte dell'economia. Le industrie del vetro, della chimica e dell'acciaio stanno già rallentando o chiudendo le loro fabbriche, e le piccole imprese stanno chiudendo a causa della crisi. Le piccole imprese chiudono perché non riescono più a pagare le bollette energetiche. Allora si parla di invertire la rotta e di regolamentare di nuovo.
Ma contrariamente a quanto dicono, non si tratta di "errori" o "scelte sbagliate" che hanno fatto. I capitalisti e i politici al loro servizio hanno fatto ciò che i profitti e la corsa all'arricchimento richiedevano e lo faranno di nuovo domani. Inoltre, oggi che affermano di essersi globalizzati troppo, sembra che i grandi gruppi stabiliti in Europa stiano cercando di delocalizzare le loro attività più energivore in paesi dove l'elettricità costa meno.
Tutto ciò che sta accadendo oggi mostra che la società è matura per la pianificazione, matura per la collettivizzazione e l'organizzazione razionale dei mezzi di produzione.
Anche la grande borghesia lo richiede. Esige che lo Stato intervenga per regolamentare l'economia. Vuole prezzi amministrati per l'energia. Accetta che lo Stato organizzi e pianifichi la distribuzione dell'energia perché preferisce ancora quella al blackout. Questo è ammettere che le leggi del mercato e della concorrenza non sono più compatibili con la concentrazione capitalistica. È riconoscere che la legge del profitto è assurda e che la concorrenza è troppo anarchica!
E guardate come sono impotenti gli Stati nazionali di fronte a tutte queste crisi, perché i settori economici sono intrecciati e interdipendenti su scala globale. Già negli anni '20, gli Stati cercarono di arginare la Grande Depressione adottando misure protezionistiche che li proteggessero dalla crisi. Questo li ha condotti tutti alla Seconda Guerra Mondiale.
Quindi per andare avanti, sì, abbiamo bisogno di più regolamentazione, più socializzazione, più collettività, più organizzazione, ma su scala globale. E questo non accadrà sotto il dominio della borghesia, sotto il dominio della proprietà capitalista e della concorrenza. Potrà essere raggiunto solo da coloro che antepongono le esigenze dei lavoratori ai profitti. Potrà essere raggiunto solo da coloro che mettono la vita umana al di sopra della proprietà capitalistica. Potrà essere realizzato solo dai lavoratori al potere!
La società capitalista è alla fine della sua corsa, è in corso di putrefazione e ci sta conducendo verso la barbarie. Ma non scomparirà da sola. Per far nascere un'altra società, ci vorrà una rivoluzione guidata dai lavoratori. Ci vorrà una rivoluzione guidata dai lavoratori, in cui essi scopriranno la loro capacità politica di guidare la società.
Anche se la questione della rivoluzione va ben oltre le possibilità della situazione attuale, bisogna chiedersi, riflettere e dimostrare che sì, esistono donne e uomini che difendono questa prospettiva, che la considerano possibile. Non è perché non ci sono proteste che non ci ci sono evoluzioni nelle coscienze.
Ci sono giovani e meno giovani che non sognano più di fare carriera in una società così marcia e disumana. Questa società non li fa più sognare. Convinciamoli che ci sono prospettive eccitanti che di partire per allevare capre in qualche montagna. Convinciamoli che c'è altro da fare che di andare a rompere le vetrine di Chanel o Vuitton. Convinciamoli di impegnarsi subito nella costruzione del partito comunista rivoluzionario, altrimenti saranno impegnati loro malgrado dietro il governo.
In Russia, quanti giovani vengono assunti contro la loro volontà per servire come carne da cannone in una guerra che non vogliono? E questo vale anche per l'Ucraina. Qui il governo ha iniziato a coinvolgere moralmente la popolazione. Se non vogliamo questo futuro di guerre, disuguaglianze e oppressione, dobbiamo darci i mezzi per cambiarlo. Dobbiamo impegnarci per preparare la rivoluzione !