Il comizio di una lista di Lutte Ouvrière l'11 marzo a Parigi : (da “Lutte de Classe n° 127 – aprile 2010)

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Il comizio di una lista di Lutte Ouvrière l'11 marzo a Parigi :
11 marzo 2010

- l'intervento di Jean-Pierre Mercier, capolista nella regione Île-de-France

La regione Ile-de-France, cioè la regione parigina, è probabilmente quella del paese dove si concentrano le più enormi disparità sociali. Da un lato troviamo l'ottavo arrondissement della capitale e i suoi negozi di lusso che vendono orologi da 800.000 euro l'uno; e dall'altro le zone di fabbriche dismesse, i quartieri operai dove il tasso di disoccupazione si avvicina al 30%, senza parlare delle aiuole lungo il raccordo annullare o delle vicinanze della metropolitana aerea dalle parti della stazione Nord, che si stanno trasformando progressivamente in baraccopoli per lavoratori clandestini.

Tra questi due mondi la distanza geografica è solo di pochi chilometri. Ma la distanza sociale è di anni luce. Non c'è niente di comune tra di loro. L'unico legame esistente tra questi due mondi sta nel fatto che uno, il mondo della borghesia, vive e esiste solo grazie all'altro, il mondo del lavoro.

È inutile precisare che non siamo andati a fare la nostra campagna dalle parti di Neuilly, Saint-Cloud o del 16° arrondissement di Parigi. I borghesi grandi o piccoli che vivono lì non hanno paura di perdere il lavoro; infatti gran parte di loro non lavorano. Non hanno paura di essere espulsi dalla loro casa perché il più delle volte la loro casa è di loro proprietà o della loro famiglia da molto tempo.

Non temono di non potere più curarsi perché il giorno in cui sarà chiuso l'ultimo ospedale pubblico, potranno ancora pagarsi le migliori cliniche private ; e tra l'altro lo fanno già. Non hanno paura di vedere i loro figli vittime di un'educazione al ribasso, poiché li mandano in costose scuole private e gli pagano professori particolari. E poi comunque, anche se i loro figli non riuscissero negli studi, non avrebbe importanza. Avrebbero ugualmente in eredità le azioni o le imprese di babbo e non c'è bisogno del diploma per incassare i dividendi delle azioni.

No, siamo andati a fare la nostra campagna dai nostri, siamo andati a rivolgerci ai lavoratori. Siamo andati a trovarli sui loro posti di lavoro, all'uscita delle fabbriche, degli uffici, alle entrate delle mense aziendali, in tutti i posti dove si trovano. E non è tanto difficile poiché dei lavoratori, ce ne sono dappertutto.

E nonostante tutti quelli che credono -forse perché non escono mai dai quartieri per bene di Parigi- che la regione si sia trasformata in una zona verdeggiante di case abitate solo da piccolo-borghesi, l'Ile-de-France rimane la regione che comprende ancora la maggiore concentrazione di lavoratori di tutto il paese. Da tutte le parti della regione ci sono decine di migliaia di imprese, cioè milioni di salariati. Ci sono alcune delle maggiori fabbriche del paese -Renault, Psa, Snecma- ma anche le loro centinaia di ditte d'appalto, le piattaforme logistiche e le loro migliaia di manovali, i grattacieli pieni di uffici. E per costruire tali grattacieli pieni di uffici ci vogliono migliaia di operai edili, per farli funzionare ogni giorno ci vogliono certamente migliaia di impiegati, ma anche migliaia di addetti alla manutenzione del riscaldamento, di operai idraulici e elettricisti, di informatici, senza dimenticare i lavoratori delle pulizie -spesso queste donne africane che si incontrano nella metropolitana alle cinque e mezzo del mattino, che attraversano tutta la regione per fare poche ore di pulizie prima dell'apertura degli uffici, poi vanno a casa per tornare al lavoro la sera dopo le 19.

Non c'è un'altra regione in questo paese dove si trova concentrata su un territorio così piccolo una tale popolazione di lavoratori.

Ed è infatti questo numero, questa concentrazione, a fare la forza del mondo del lavoro.

Un'altra particolarità della regione Ile-de-France è che lì si trova anche il cuore e il cervello del capitalismo. A parte la Michelin, la cui sede è sempre a Clermont-Ferrand, in questa regione c'è la totalità dei gruppi del Cac 40 (le maggiori società della Borsa di Parigi), raggruppati in quartieri d'affari dove, su pochi ettari, si concentrano le sedi commerciali della Total, della Société Générale, della Axa, BNP-Paribas, Dexia, Areva, e di molti altri ancora.

I lavoratori hanno sotto mano, accanto a loro, gli obiettivi verso cui bisognerà volgersi quando scoppieranno le grandi lotte sociali.

Dietro i vetri affumicati dei grattacieli, come quella della Société Générale dove lavorano 10.000 salariati circa, ovviamente non ci sono solo alti dirigenti e traders. Ci sono anche migliaia di impiegati che saranno al posto giusto, quando questo sarà all'ordine del giorno, per esercitare loro stessi, direttamente, il controllo dei conti delle imprese e del padronato.

Allora sì, forse ci sono meno operai di fabbrica nella regione parigina che non ce ne furono ad una certa epoca, almeno proporzionalmente alla popolazione; ma certamente non vuol dire che il mondo del lavoro non ci abbia più un posto essenziale.

È stata per noi una preoccupazione primordiale, durante questa campagna, convincere i lavoratori di questa idea fondamentale che dobbiamo prendere coscienza della nostra forza collettiva.

Senza di noi, senza il mondo del lavoro, non potrebbe circolare neanche un treno, né ci sarebbe un ospedale per curare la gente, nessuna strada, nessuna costruzione, nessuna auto, non ci sarebbero banche, assicurazioni, scuole, ministeri, non ci sarebbero computer né illuminazione delle strade, niente rete di comunicazione, e neanche televisione e radio per propagare tutte le menzogne dei politici e dei padroni. Non ci sarebbe niente da mangiare, neanche nei piatti di Sarkozy, Fillon e Parisot.

Noi, il mondo del lavoro, facciamo funzionare tutto. Senza di noi la società si ferma.

Il giorno in cui i lavoratori prenderanno coscienza di questa forza collettiva che rappresentano, e decideranno di servirsene, il padronato avrà i giorni contati.

La lista che Lutte Ouvrière presenta nell'Ile-de-France è il riflesso di questa nostra preoccupazione di rappresentare il mondo del lavoro. I suoi 225 candidati sono tutti lavoratori, in attività o in pensione.

Operaie e operai dell'automobile, della chimica, dell'aeronautica, tecnici, postini, maestri o insegnanti delle scuole, infermieri, ferrovieri, impiegati, fattorini, tutti rappresentano il mondo del lavoro nella sua diversità. Ed è proprio quello che ci permette di rivolgerci ai lavoratori in modo ben diverso di ciò che possono fare tutti gli altri candidati.

Infatti sappiamo e condividiamo ciò che vivono i lavoratori; perché siamo lavoratori. Sappiamo cosa sono i ritmi che aumentano. Sappiamo cosa sono i salari che ristagnano o diminuiscono. E sappiamo cosa può significare la paura, ogni giorno, della visita del postino perché ci potrebbe portare la raccomandata che annuncia il licenziamento.

Sappiamo cosa significa essere disoccupati. Essere ridotti, dopo di avere lavorato per anni con un contratto a tempo indeterminato, a dovere all'età di 40 o 50 anni andare in cerca di qualche contratto a tempo determinato o andare a chiedere un lavoro da questi schiavisti veri e propri che sono le ditte interinali; che cosa è dover accettare tutto, qualunque lavoro, in qualsiasi orario, in qualsiasi condizioni perché bisogna comunque fare rientrare un po' di soldi alla fine del mese. Sì, sappiamo cos'è la rabbia di sapere che abbiamo due braccia e un cervello capaci di funzionare, ma di essere buttato sul lastrico come uno straccio e ridotto a vivere di pensioni misere.

Questo perché si è inutili? No, ma perché dei padroni hanno deciso che bisognava fare passare la loro ditta dal 10 al 20% di tasso di redditività.

Sì, sappiamo cosa significa essere pensionati del mondo del lavoro. Non beneficiari di "pensioni d'oro" a non so quanti milioni, come i grandi amministratori delegati delle ditte del Cac 40, ma delle pensioni misere che la società ci concede dopo di avere lavorato 35 o 40 anni a sudare profitti per i nostri padroni. E sappiamo cos'è la rabbia di tutti questi pensionati che capiscono che in effetti sono ben poco ringraziati per avere vissuto una vita di fatiche - senza dimenticare quelli che non approfitteranno mai della cosiddetta gioia della vita da "senior", come si dice oggi, perché saranno morti un anno o due dopo la pensione, uccisi prematuramente da una vita di lavoro o da una malattia professionale.

Sì, tutto questo lo sappiamo perché è il nostro mondo, quello in cui viviamo e militiamo ogni giorno. E ne siamo fieri.

Siamo lontani, ben lontani da questi politici professionali che lottano per la direzione della regione, per chi la politica in fin dei conti è un mestiere ben pagato, ma che sanno anche, quando le evoluzioni politiche gli fanno perdere il posto, rientrare nel grembo della borghesia.

Il capolista del Partito Socialista a attuale presidente dell'Ile-de-France, Jean-Paul Huchon, ne è un bell'esempio. Ecco un uomo che tutta la vita ha oscillato tra la politica e gli affari.

Ex collaboratore di Rocard sotto parecchi governi, è anche stato, nei periodi in cui la destra era al potere, il direttore del Crédit Agricole ; e poi, tra il 1993 e il 1998, il principale consigliere del miliardario François Pinault, pur dirigendo una prestigiosa agenzia di cacciatori di teste.

Come si vede, siamo di fronte ad un uomo particolarmente vicino al popolo !

Quanto alla candidata dell'Ump Valérie Pécresse, anche se non si è mai dedicata direttamente alla gestione degli affari dei capitalisti, basta che ella torni a casa per ritrovarsi nel cuore di questo mondo. In effetti, non solo è la figlia del padrone della Bolloré Telecom, Dominique Roux, è anche la sposa di Jérôme Pécresse, direttore generale della società Imerys. Certamente non conoscete questa ditta, ma sappiate lo stesso che si tratta del leader mondiale della trasformazione e della valorizzazione dei minerari rari, una ditta che fa 3 miliardi di euro di fatturato annuale. Quindi è inutile precisare che a casa dei Pécresse, non si è proprio nel bisogno. Quanto al percorso politico, la Pécresse è bene conosciuta dagli studenti e insegnanti delle facoltà, poiché è stata lei a varare la legge sull'autonomia delle università che ha reso possibile l'apertura di queste ultime agli appetiti delle imprese private.

C'è almeno un punto comune tra tutti questi candidati: parlano pochissimo dell'occupazione, che è però la preoccupazione essenziale dei lavoratori della regione e del paese. E se ne parlano così poco, è perché sanno che non hanno né l'intenzione, né i mezzi di risolvere davvero il problema della disoccupazione. Quando ci fanno un accenno, bisognerebbe prendere una lente dal forte ingrandimento per trovare la differenza tra i loro programmi. Da Huchon e dalla Pécresse si trova sempre la stessa litania : "Bisogna aiutare i salariati a riconvertirsi nella piccola impresa !"

Come se lì ci fosse una vera prospettiva per i disoccupati e i lavoratori minacciati dal licenziamento! Alla Psa Peugeot-Citroën (Psa è : Peugeot - Società Anonima - Ndt) dove lavoro io, la conosciamo bene questa trappola che si tende agli operai, facendogli credere che se lasciano la fabbrica della loro propria volontà, con una somma irrisoria (che tra l'altro occorrerà rimborsare in seguito), potranno creare la loro impresa e diventare autentici capitalisti. In realtà i lavoratori che cedono a questa illusione si ritrovano spesso a tenere un baraccone per vendere patatine fritte nel mezzo di un caseggiato... e poi dopo pochi mesi fanno fallimento e si ritrovano alle catene di produzione, ma questa volta come lavoratori interinali, cioè dopo di avere perso i pochi vantaggi e l'anzianità che avevano prima col contratto a tempo indeterminato.

L'altra ossessione dei due principali candidati, che si ritrova in modo identico nei loro due programmi, è lo "sportello unico regionale" per i datori di lavoro. Lo sportello unico che cos'è? Ebbene, mettetevi al posto dei padroni: hanno diritto a tanti aiuti, tanti sgravi diversi, tante sovvenzioni, che necessariamente ci si perdono. Allora sono costretti di perdere tempo, e quindi denaro, per cercare di capirci qualcosa. La soluzione quindi è semplice: con lo sportello unico, avranno un interlocutore unico che si darà da fare per individuare al loro posto gli aiuti a cui hanno diritto. Così non solo i padroni risparmiano tempo ma di più non corrono il rischio di lasciare passare un solo aiuto che potrebbe cadere nelle loro tasche.

E quando si sa che il bilancio della regione in materia di regali alle imprese è di circa cento milioni di euro, ci si dice che infatti i padroni potrebbero rammaricarsi di avere lasciato passare questa manna.

Ma il grande affare di questa campagna nell'Ile-de-France è la questione dei trasporti. E lo si capisce. L'Ile-de-France è una regione particolare perché ogni mattina e ogni sera sono centinaia di migliaia i lavoratori che prendono i trasporti collettivi, attraversando qualche volta tutta la regione per andare al lavoro. E la rete dei trasporti non è affatto adatta a questa situazione: treni stracolmi, in uno stato di forte degrado, con sistemi di segnalazione e di scambi in uno stato così malandato che veder arrivare un treno in orario, per esempio sulla linea RER-C, è quasi un miracolo .

Certamente, a Parigi c'è una metropolitana che funziona bene, bei tram, e anche delle bici da noleggiare per chi ha la fortuna di lavorare a poche centinaia di metri dal posto dove abita. Ma appena si esce da Parigi, bisogna aspettare mezz'ora tra due autobus, i trasporti da una città della periferia ad un'altra sono inesistenti, e bisogna davvero essere ingenuo come un ecologista per pensare che alle cinque del mattino un operaio che vive nel sud della regione e lavora nel nord prenderà una bici per recarsi al lavoro.

I principali candidati dei grandi partiti pretendono tutti di volere trattare questo problema. Probabilmente hanno pagato lo stesso ufficio di comunicazione per trovare gli slogan poiché il progetto di Valérie Pécresse si chiama "fare la rivoluzione dei trasporti" e quello di Huchon "è cominciata la rivoluzione dei trasporti"! Ma di rivoluzione ovviamente non si tratta: tutti sono d'accordo per continuare a far pagare i trasporti dalla popolazione che lavora.

Noi non abbiamo fatto di questa questione dei trasporti l'asse della nostra campagna perché pensiamo che in questo periodo ci sono problemi più urgenti: in un grattacielo, se gli ascensori sono sempre guasti, bisogna pensare a sostituirli. Ma quando il grattacielo prende fuoco la questione della sostituzione degli ascensori diventa secondaria perché quello che conta è di salvare gli abitanti e di organizzare l'evacuazione. Il problema si pone nello stesso modo nella società.

Certamente bisognerebbe sviluppare le infrastrutture di trasporto. Certamente bisognerebbe rendere i trasporti gratuiti e innanzitutto farli finanziare completamente dai padroni, perché quando i lavoratori si recano al lavoro non è per il loro piacere. Allora il minimo sarebbe non solo che i padroni paghino il 100% del prezzo del trasporto, direi anche che il tempo di trasporto sia pagato e compreso nel tempo di lavoro.

Sì, tutto questo sarebbe il minimo.

Ma ciò che è urgente, vitale, è di arrestare l'aumento drammatico della disoccupazione, di ridare lavoro ai disoccupati e di fermare il degrado delle nostre condizioni di vita. Per questo bisogna imporre il divieto dei licenziamenti, la ripartizione del lavoro tra tutti senza diminuzione di salario e il controllo dei conti da parte di tutta la popolazione.

Nathalie ritornerà fra poco su queste misure indispensabili. Ma voglio anche spendere qualche parola, partendo dalla mia esperienza come operaio dell'industria automobilistica. Ciò che dico, i miei compagni che lavorano alla Renault lo potrebbero dire nello stesso modo e in fondo si può generalizzare all'insieme dell'industria.

I licenziamenti, le soppressioni di posti di lavoro, sappiamo che cosa sono. In una trentina d'anni l'organico della fabbrica di Aulnay-sous-Bois dove lavoro è stato ridotto di un terzo. Il padrone si è servito di tutti i mezzi possibili e immaginabili per sbarazzarsi degli operai: licenziamenti, mancata sostituzione di quelli andati in pensione, piani di "partenza volontaria". Di recente ha anche ridotto la superficie fisica della fabbrica, "compattandola" come dicono, cioè sopprimendo una catena di montaggio sulle due che esistevano prima.

L'organico è stato ridotto ma il lavoro non lo è stato, mi potete credere. Tutta questa operazione mirava soltanto ad aumentare al massimo la produttività della fabbrica, cioè a produrre altrettante auto con meno operai.

Si può immaginare quanto profitto supplementare questo rappresenta per gli azionisti quando si vende lo stesso numero di auto ma si è risparmiato un terzo dei salari! I numeri in questa materia sono eloquenti: nel 1980 c'erano 7000 operai a Aulnay e la produzione era di 800 auto al giorno. Oggi ce ne sono 5000, interinali compresi. E la produzione è passata a 1200 auto al giorno, con una catena di montaggio in meno. Questa crescita della produttività è stata ottenuta praticamente solo alle spese degli operai. Da anni si fa la caccia ai "tempi morti", i tempi di riposo sono soppressi, gli operai sono messi sotto pressione appena si fermano pochi minuti. E innanzitutto la velocità della catena aumenta sempre. Bisogna lavorare sempre più rapidamente in condizioni sempre più pericolose. Gli operai si ritrovano usurati, qualche volta disabili, a 35 anni.

La politica del padrone è di sfruttare fino all'ultima goccia di sudore gli operai che rimangono nella fabbrica, pur lasciando fuori le decine di migliaia di lavoratori disoccupati della regione che chiedono solo di potere lavorare!

E quando dico "sfruttare fino all'ultima goccia di sudore" non è solo un'immagine. In questo momento, dall'inizio dell'anno tutti i sabati sono lavorati. Questo significa che ogni squadra, una settimana su due, lavora sei giorni e 42 ore alla settimana.

Ai ritmi che aumentano sempre, ai capi che fanno la caccia ai tempi morti, alla catena che bisogna provare a raggiungere perché è sempre più veloce, adesso si aggiunge l'esaurimento dovuto alle settimane di lavoro più lunghe. E a questo bisogna aggiungere per alcuni di noi più di due ore di trasporto ogni giorno per andare e tornare dalla fabbrica. Non c'è da meravigliarsi in queste condizioni se il numero degli incidenti del lavoro esplode, se per esempio un compagno è stato di recente gravemente ferito nel bel mezzo del reparto, falciato da un carrello perché tutti corrono in tutte le direzioni e non hanno più il tempo di guardare dove vanno.

Ecco la realtà demenziale di questa organizzazione capitalista: da un lato gli operai che crepano al lavoro, dall'altro migliaia di disoccupati che allungano le file d'attesa degli uffici di collocamento di tutta la regione. Da un lato anziani lavoratori di 55 anni e più sulle catene di produzione, esauriti fisicamente. E dall'altro i loro propri figli che rimangono sul lastrico perché si dice che per loro non ci sia lavoro. E tutto questo perché? Perché per gli azionisti un operaio in meno vuol dire un salario da pagare in meno e quindi alcune migliaia di euro di profitto in più. Perché per loro, pochi minuti di pausa rubati ad ogni operaio, questo rappresenta alla fine dell'anno parecchi milioni di euro di più sul loro conto bancario.

Allora tutto questo dimostra quanto irrisori sono i discorsi di Sarkozy e suoi simili sulla "deindustrializzazione". Infatti le fabbriche della Psa e della Renault producono più che mai. Non si tratta di deindustrializzazione ma di distruzione di posti di lavoro e di aumento della produzione pur aggravando le condizioni di lavoro di quelli che rimangono. Significa che c'è sempre più produzione fatta da sempre meno operai, più sfruttati.

E voi potete notare che Sarkozy, quando è intervenuto su questo argomento la settimana scorsa, non ha parlato di creare posti di lavoro: ha parlato di aumentare la produzione.

Allora se questo deve essere fatto con nuovi aumenti dei ritmi per noi, no grazie, abbiamo già dato! Per impedire questo bisognerà infatti vietare i licenziamenti e costringere i padroni ad assumere massicciamente.

Sì, bisogna vietare i licenziamenti, nel gruppo Psa come nelle altre ditte.

Certamente se voi ascoltate i portavoce della famiglia Peugeot, hanno le mani pulite, non licenziano, si accontentano come hanno fatto da due anni di spingere fuori migliaia di operai promettendo loro un piccolo risarcimento.

Ma la Psa non è solo una ditta che impiega direttamente decine di migliaia di operai. È anche il datore di ordini, qualche volta l'unico, per centinaia di imprese d'appalto.

E queste qua non esitano a licenziare, non di loro propria iniziativa ma su ordine degli azionisti della Psa. Col dare in appalto gran parte della sua produzione, Psa ha anche dato in appalto i licenziamenti!

Un esempio lampante è stato quello dell'impresa Lear l'anno scorso. Lear è la ditta che produce una parte dei sedili per le macchine del gruppo Peugeot-Citroën. Prima aveva due fabbriche in regione parigina: una a Lagny-le-Sec che lavorava per la fabbrica di Aulnay, e l'altra a Cergy che forniva la fabbrica Psa di Poissy. Quando la Psa ha voluto imporre che la Lear abbassasse i costi di produzione, i padroni Lear hanno trovato una soluzione semplice: chiudere la fabbrica di Lagny e licenziare quelli che non erano d'accordo per andare a lavorare a Cergy, a più di 80 km. Nonostante il lungo sciopero degli operai della Lear, questo piano ha funzionato. E oggi tutta la produzione è concentrata a Cergy.

Ma la cosa più rivoltante è che la Lear ha intascato nel frattempo il denaro offerto dal governo al titolo dell'aiuto alle ditte della componentistica automobile... per pagare i premi di licenziamento degli operai e modificare l'impianto di Cergy.

È uno scandalo vero e proprio.

I bisogni esistono: non c'è bisogno di meno sedili di auto che un anno fa, addirittura ce ne vorrebbero di più. Infatti con l'incentivo alla rottamazione che ha aiutato le vendite, le piccole auto prodotte a Aulnay si vendono come panini. Questa fabbrica della Lear quindi è stata chiusa solo per schifose ragioni di redditività. E esempi come questo, ce ne sono decine in tutto il paese.

Allora, si può immaginare in questa situazione come sarebbe facile organizzare la ripartizione del lavoro tra tutti, fosse solo all'interno del settore automobile, fosse solo in seno al gruppo Psa e all'insieme delle sue ditte d'appalto. Gli operai della Lear che oggi si ritrovano disoccupati e quelli di tutte le ditte d'appalto ridimensionate dai licenziamenti, gli operai di Aulnay li accoglierebbero a braccia aperte se venissero lavorare con noi. Potrebbero venire ad alleggerire i ritmi e ridurre la settimana di lavoro!

Sì, ripartire il lavoro tra tutti senza diminuire il salario, questo sarebbe molto semplice da attuare all'interno di un settore come quello dove lavoro. L'unico ostacolo, l'unica ragione per cui questo non si fa è che costerebbe un po' di soldi agli azionisti, nel momento in cui al contrario cercano di risparmiare anche il minimo centesimo di euro per aumentare i profitti.

Cercano di farci credere che le casse siano vuote. Che non ci sia denaro, fosse solo per comprare guanti di lavoro nuovi agli operai o sostituire le scarpe di sicurezza -allora potete indovinare che se si parla di assumere, alzano le braccia al cielo dandoci dell'irresponsabile. Perché, pensateci "le casse sono vuote, c'è la crisi!". Tra l'altro la Psa ha annunciato ufficialmente più di un miliardo di euro di perdite quest'anno.

Le casse sono vuote? Ebbene, ce le facciano vedere. Per potere difenderci e impedire ai padroni di demolire le nostre vite e posti di lavoro, bisogna imporre il controllo dei conti delle imprese da parte dei lavoratori. Dovremo darci i mezzi di ficcare il naso nei conti della borghesia per sapere, una volta per tutte, quanti soldi ci sono, che cosa ne fanno, e dove passano i profitti e gli aiuti dello Stato.

Non abbiamo alcuna ragione di accontentarci di credere i bilanci contabili realizzati da agenzie di esperti pagati dai capitalisti. I loro esperti sono della stessa sorte che gli "esperti" dell'Organizzazione Mondiale della Salute, quelli che hanno convinto i governi di comprare decine di milioni di vaccini contro l'influenza A, di cui si è saputo in seguito che erano tutti pagati da laboratori farmaceutici come la Sanofi.

Allora, gli esperti che pubblicano i conti della Psa sono pagati dalla famiglia Peugeot per fare comparire e scomparire nei bilanci ciò che ad essa conviene. Allora i loro bilanci, i loro conti, i loro rapporti sono carta straccia, di cui non abbiamo nessun motivo di fidarci.

La Peugeot ha annunciato delle perdite. La Renault ha annunciato delle perdite. E pensano che questo sarà sufficiente per noi operai, per farci continuare ad accettare tutti i sacrifici? Non se ne parla nemmeno!

Ciò che dobbiamo rispondere ai nostri padroni è "dove sono passati le decine di miliardi di euro di profitti che avete fatti in questi anni? Dove sono andati i 7 miliardi che lo Stato vi ha offerti gratuitamente l'anno scorso? Come potete osare annunciare perdite mentre vendete tante auto da costringere gli operai a lavorare il sabato? Quanto sono effettivamente pagati i vostri azionisti?"

E non ci fermeremo ai conti professionali dei capitalisti, dovremo anche andare a ficcare il naso nei conti personali degli azionisti, perché se c'è bisogno di soldi per salvare il mondo operaio dalla catastrofe, allora bisognerà costringere i ricchi a vendere anche le loro proprietà, i loro aerei privati e le loro navi di lusso.

Hanno la faccia tosta di dire che le casse sono vuote? Comunque non sono vuote quelle di Robert Peugeot, di cui si è saputo tramite la stampa che di recente si è fatto rubare non meno di 500000 euro in lingotti d'oro che lui custodiva in una cassaforte nel muro della sua stanza da bagno.

E Robert Peugeot è forse quello più conosciuto, ma è in qualche modo solo la parte emersa dell'iceberg. Ci sono gli altri, le decine di eredi della famiglia. L'estate scorsa un alto dirigente del gruppo Psa spiegava ingenuamente al settimanale Challenges : fortunatamente abbiamo soldi al riparo da potere distribuire dividendi anche negli anni difficili, se no "ci sarebbero alcune prozie della famiglia Peugeot che avrebbero difficoltà a pagare i loro giardinieri". Ebbene, noi siamo per continuare a pagare i giardinieri, che sono lavoratori utilissimi, ma siamo per espropriare la famiglia Peugeot, le sue zie e anche le sue prozie!

Dopo tutto, lo sapete, per controllare i conti bisognerà solo ispirarsi a ciò che fanno i capitalisti stessi. In tutte le grandi imprese esiste ciò che i padroni chiamano un "consiglio di sorveglianza". I padroni sono ricchi, ma non sono matti: quando affidano i loro affari ad un amministratore delegato, nominano altri amministratori per sorvegliare ciò che fa il primo e accertarsi che agisce nell'interesse degli azionisti. È questo, un consiglio di sorveglianza.

Allora, quando i lavoratori riprenderanno l'offensiva, quando il tempo dalla rassegnazione e della paura sarà dietro di noi e riprenderemo la strada delle lotte, impareremo anche noi a creare "consigli di sorveglianza", ma consigli di sorveglianza operai, che aboliranno effettivamente il segreto degli affari e verificheranno ad ogni momento ciò che è in conformità con l'interesse dei lavoratori e ciò che non lo è. E mi potete credere, allora si scopriranno molte cose interessanti. Si scoprirà che del denaro, tutti i gruppi capitalisti ne hanno, al punto di non sapere che cosa farne.

Oppure sì, sanno che cosa farne : ma non sono investimenti produttivi, sono operazioni finanziarie. Oppure si comprano l'un l'altro, nell'ambito di grandi operazioni di fusioni e acquisizioni. La Renault ha comprato la Nissan. La Psa aveva voglia di acquistare la Mitsubishi ma il pezzo era un po' troppo costoso, o comunque troppo caro per gli azionisti della Peugeot.

Sì, controllare i conti di questi consorzi permetterebbe di verificare, non solo che potrebbero finanziare il mantenimento dei posti di lavoro, ma che potrebbero anche aumentare i salari. E ce ne sarebbe bisogno, quando si sa che un consorzio ricchissimo come la Psa osa assumere lavoratori a 1140 euro netto al mese e proporre non più di 15 euro di aumento ogni anno.

Quando parliamo di controllare i conti, padroni e politici gridano che sarebbe un attacco intollerabile alla vita privata degli imprenditori. Ma i padroni hanno tutte le possibilità di ficcare il naso nella vita privata dei loro salariati, sanno fino all'ultimo centesimo cosa guadagnano, hanno tutti i mezzi di accedere al loro conto bancario e soprattutto, quando tolgono il posto di lavoro ad un lavoratore o quando lo trasformano in disabile a forza di sfruttamento, non hanno scrupoli ad influire sulla sua "vita privata". Loro hanno questo diritto e noi non lo dovremmo avere? Ebbene, è proprio quello che bisognerebbe cambiare!

Ecco compagni quale programma abbiamo portato avanti in questa campagna nell'Ile-de-France, così come Lutte Ouvrière ha fatto in tutto il paese. È un programma di lotta, un programma che sarà, lo speriamo, ciò che i lavoratori scriveranno sugli striscioni quando avranno ritrovato l'energia di battersi e di riprendere l'offensiva.

Allora, prima di passare la parola alla compagna Nathalie, vi invito a fare di tutto durante i tre ultimi giorni di questa campagna per convincere intorno a voi il massimo di lavoratori di votare per la nostra lista.

Per esprimere la loro collera, il loro schifo verso questo sistema, per affermare che noi lavoratori, di sacrifici ne abbiamo fatti abbastanza.

Per affermare la nostra convinzione che l'esplosione di collera futura sarà certamente l'unica cosa che i ricchi avranno meritato!

- l'intervento di Nathalie Arthaud, portavoce nazionale di Lutte Ouvrière

Lavoratrici, lavoratori, compagni e amici,

La maggioranza dei lavoratori non si sentono interessati dalle elezioni regionali, e questo è dir poco. Ma perché lo dovrebbero essere?

Queste elezioni che in fin dei conti si riducono a un duello tra i due grandi partiti istituzionali, l'Ump e il Partito Socialista, per decidere chi governerà le regioni per i prossimi sei anni, sono ben lontane dalla situazione catastrofica vissuta dal mondo del lavoro.

Le imprese chiudono l'una dopo l'altra, o riducono gli organici. Tre milioni di donne e uomini, più del 10% della popolazione attiva, si ritrovano senza lavoro e senza stipendio. In realtà, sono due volte di più perché le statistiche ufficiali sono concepite per nascondere la realtà, non tenendo conto dei precari e di chi ha solo un impiego temporaneo.

E i numeri delle statistiche non misurano la disperazione di tutte quelle e tutti coloro che, dopo il licenziamento, non hanno più possibilità di ritrovare un lavoro e si sentono spinti verso la povertà. E non misurano neanche la loro sensazione di ingiustizia, e sempre più spesso la collera, di di chi dopo avere lavorato per un'impresa per dieci anni, venti anni o tutta la vita, viene poi buttato brutalmente sul lastrico.

Oltre a chi già si ritrova disoccupato, quale lavoratore oggi può essere sicuro di conservare il suo posto di lavoro? Neppure chi ha ancora lo statuto di dipendente statale, poiché il governo annuncia che ormai potranno essere licenziati anche questi.

Qual'è il pensionato del mondo del lavoro, o il futuro pensionato che non si preoccupa per la sua pensione?

Il governo aspetta solo la fine della campagna delle elezioni regionali per imporre una cosiddetta "riforma" in più, il cui obiettivo sarà come per le precedenti, fatte dalla destra o dalla sinistra, di allungare il tempo di lavoro per poi percepire una pensione ancora più bassa.

Durante questi due anni di crisi economica la situazione dei lavoratori è brutalmente peggiorata. Ma non è finita, e probabilmente non abbiamo ancora visto il peggio. Infatti adesso l'accelerazione della speculazione intorno al debito dello Stato greco comporta la minaccia di una nuova crisi finanziaria.

E allo stesso momento la campagna elettorale prosegue come se niente fosse. Consiglieri regionali uscenti o chi si candida per diventarlo polemizzano sui loro rispettivi bilanci, sbandierano delle promesse per uno, due o tre decenni, mentre milioni di famiglie vivono nell'angoscia del domani. La casa brucia, ma sembra che questi notabili non se ne rendano conto.

Tutti i partiti, dalla destra alla sinistra e fino ad un pezzo dell'estrema sinistra, provano a convincere gli elettori che la composizione dei consigli regionali sia una cosa importante. Comunque l'unico potere di decisione appartiene all'esecutivo, cioè al suo presidente, scelto non solo in funzione della maggioranza del primo turno ma molto di più secondo i negoziati avviati tra il primo e il secondo turno, o in funzione delle combinazioni dopo il secondo turno.

La composizione degli esecutivi regionali non ha alcuna importanza per risolvere i problemi più importanti delle classi popolari. Né i consigli regionali, né il governo, né Sarkozy hanno impedito una sola chiusura d'impresa o un solo licenziamento!

Il ruolo di tutta questa gente è di giustificare la politica che viene dettata dal gran padronato, dai banchieri. Il suo ruolo è di fare inghiottire la pillola e di presentare gli aiuti e sovvenzioni che danno alle imprese, cioè ai loro proprietari, come una cosa utile o addirittura necessaria alla collettività. Ma che importanza ha per i lavoratori sapere quale sarà l'etichetta politica di quella o di quello che firmerà gli assegni destinati ai padroni?

L'unica utilità di queste elezioni è che offrono l'occasione di dimostrare che una frazione dell'elettorato popolare è cosciente che le elezioni sono un inganno e che gli uomini di governo sono solo burattini utilizzati dalle potenze del denaro. Questa presa di coscienza è indispensabile per prendersela non solo con i burattini, ma con quelli che li utilizzano, cioè il gran padronato, i banchieri, la grande borghesia!

Poiché le elezioni offrono un'occasione di esprimere un'opinione, allora bisogna coglierla!

Non c'è nessuna ragione di lasciare il monopolio della parola ai partiti che accettano un ordine sociale ingiusto e un'organizzazione economica stupida. Occorre che la collera che aumenta nel mondo del lavoro e nelle classi popolari si esprima anche in queste elezioni.

Certamente sarà con l'astensione che molti elettori delle classi popolari esprimeranno il loro disgusto rispetto a questo gioco politico in cui si autorizzano gli elettori a cambiare la maggioranza in modo da cambiare niente. Ma l'astensione non è una presa di posizione chiara e ancora meno una presa di posizione cosciente. L'astensione, se sarà massiccia, alimenterà solo i discorsi sul disinteresse della popolazione nei confronti della politica. Ma ciò che bisogna indicare non è il disinteresse nei confronti della politica in generale, è il rigetto della loro politica.

I vari partiti che si affrontano rappresentano tutti una politica che rimane sul terreno della borghesia e dell'organizzazione capitalista della società. Bisogna opporvi un'altra politica, quella che rappresenta gli interessi di classe dei lavoratori.

La crisi evidenzia più che mai l'opposizione irriducibile tra gli interessi della grande borghesia e quelli dei lavoratori. O i loro profitti o i nostri impieghi, o i loro profitti o i nostri salari, o loro o noi!

Le liste di Lutte Ouvrière non pretendono di rappresentare una politica "per tutti i francesi" o per "tutti i cittadini". Tutti quelli che fanno credere una cosa del genere vogliono nascondere la guerra di classe che viene fatta contro i lavoratori.

Invece nessuno potrà sbagliarsi rispetto al significato dei voti per Lutte Ouvrière. Saranno interpretati come un grido di collera, un grido di collera dei salariati, disoccupati, pensionati che sono vittime della crisi e sono coscienti che non tocca a loro pagarla!

Sì, è importante che si faccia sentire la voce di quelli del mondo del lavoro che non si rassegnano, che non credono alle promesse dei politici e si fidano di nessuno, e di nient'altro che della forza collettiva del mondo del lavoro, per arrestare i colpi che sono diretti contro le classi popolari!

Infatti i colpi continueranno di piovere perché la crisi si prolunga e si aggrava.

Le speculazioni dei grandi gruppi capitalisti orchestrate dai banchieri sono state già responsabili della crisi finanziaria che ha scosso l'economia capitalista nel 2008 e nel 2009. E cosa hanno fatto gli Stati per metterci fine?

Non hanno fatto nulla! Al contrario hanno fatto di tutto perché questo possa ricominciare! Gli Stati hanno messo migliaia di miliardi a disposizione di quelli stessi che erano i responsabili del disastro.

E adesso questi soldi, bisogna trovarli da qualche parte. E come sempre sarà col fare risparmi su tutto ciò che è utile alla maggioranza della popolazione, chiudendo ospedali o diminuendo i rimborsi della previdenza sociale.

È per dedicare sempre più soldi alla classe capitalista che si fruga nelle tasche della gente, rimborsando sempre meno le medicine. I più poveri, quelli la cui vita è già la più difficile, non potranno pagare della loro tasca la spesa supplementare che gli si impone, non utilizzeranno più queste medicine e si cureranno peggio.

È anche per salvare i banchieri che si diminuisce il numero dei maestri, dei professori, dei sorveglianti, degli infermieri, degli assistenti sociali in tutti gli istituti scolastici.

È per aiutare i banchieri e gli azionisti delle grandi imprese che lo Stato ha prelevato da tutte queste casse, svuotando le tasche anche dei più poveri. Perché prelevare soldi dai servizi pubblici, togliere loro i finanziamenti, è uno dei numerosi modi per derubare i più poveri, chi non ha abbastanza soldi per andare nelle cliniche private o per inviare i loro figli nelle scuole private.

È anche per aiutare i banchieri e i gruppi capitalisti che gli Stati si sono indebitati fino al collo.

E tutto questo perché? Per permettere ai banchieri e i gruppi capitalisti di ricominciare a speculare con questi soldi! Quelli che ci governano osano parlare di "piano di rilancio" ma hanno rilanciato solo la speculazione!

L'attuale crisi finanziaria ha anche aumentato il gusto dei gruppi capitalisti per le operazioni finanziarie a detrimento dell'attività industriale.

Quelli che dispongono di capitali giustificano i loro redditi allucinanti con il ruolo che hanno nella produzione e i rischi che ne derivano per il loro denaro. Ma il loro denaro va sempre meno verso la produzione e sempre di più verso la speculazione! Quanto ai rischi, ne prendono sempre meno. Se vincono, incassano i soldi, e se perdono lo Stato sta lì per tirarli fuori dai guai, pagando i loro debiti.

La classe dei capitalisti è una classe sempre più parassitaria, nociva per la società, che non ha più alcuna giustificazione, alcuna legittimità.

Ma è questa classe che domina l'economia e la società. Sono le sue decisioni che contano e non l'irrisoria agitazione di Sarkozy che pochi giorni fa ha presentato un piano per "re industrializzare la Francia" in modo "che resti una grande nazione industriale". Presentando questo piano ha constatato una deindustrializzazione "massiccia dall'anno 2000" che da quel momento avrebbe portato alla soppressione di 500000 posti di lavoro

Lasciamogli la responsabilità della scelta dell'anno 2000 che si collega non tanto alla realtà, cominciata ben prima, quanto ai conti che vuole regolare col suo predecessore Chirac.

Ma che cosa propone per rimediare a questa "deindustrializzazione"? In testa c'è l'obiettivo di rafforzare il ruolo dei rappresentanti dello Stato nelle imprese di cui è azionista. Ma anche là dove lo Stato ha la maggioranza delle azioni, e quindi tutti i mezzi per intervenire, non lo fa.

Le ferrovie creano nuove linee? No, ne sopprimono sulle cosiddette reti secondarie e al tempo stesso sopprimono posti di lavoro di ferrovieri e lasciano le ferrovie di periferia in stato d'abbandono!

Le poste investono nella creazione di nuovi uffici per servire meglio i quartieri popolari o i paesini? No, li stanno chiudendo !

E tutto il resto, le 23 misure del piano Sarkozy, consiste semplicemente in nuovi aiuti o sovvenzioni. Duecento milioni di euro per "aiutare le rilocalizzazioni", cinquecento milioni per gli investimenti ecologici, alcuni altri milioni in sostegno alle "start-up"...

Ma se le sovvenzioni bastassero per incentivare i capitalisti ad investire nella produzione, lo si saprebbe da molto tempo! Da decenni lo Stato tira fuori sempre più soldi per "incentivare" questi signori i capitalisti. Ma questi intascano i soldi, li integrano ai loro profitti, e non investono. E perché lo dovrebbero fare, mentre la finanza frutta di più? Anche il denaro che lo Stato gli dona generosamente finisce col raggiungere i circuiti speculativi!

I capitalisti che hanno percepito la manna degli aiuti dello Stato non hanno costruito nuove fabbriche, non hanno aperto nuovi cantieri, non hanno investito nella produzione, non hanno creato posti di lavoro!

No, tutto il denaro che lo Stato gli ha regalato è servito ad operazioni finanziarie. E tra queste operazioni finanziarie, una di quelle più redditizie e meno a rischio è di prestare soldi agli Stati. Per salvare i finanzieri, gli Stati si sono indebitati presso questi stessi finanzieri. Così le banche vincono su tutti i fronti!

I gruppi capitalisti stanno prestando allo Stato il denaro che quest'ultimo ha dato loro. E il colmo è che su questo lo Stato paga interessi, interessi colossali che rappresentano un peso sempre maggiore nel suo bilancio. Toccherà alla popolazione pagare, e non solo la nostra generazione ma i nostri nipoti e pronipoti!

E questo debito aumenta ogni giorno. Lo Stato infatti s'indebita di decine di milioni di euro supplementari ogni giorno! Ogni giorno le banche strozzano un po' di più le casse pubbliche.

Il peggio forse, anche se in un sistema così demenziale ci si può aspettare di tutto, è che gli Stati hanno fornito ai capitalisti e ai banchieri il principale strumento di speculazione alla moda: i debiti degli Stati. Infatti adesso i finanzieri speculano sugli Stati stessi!

Giocano a scommettere sulle capacità rispettive degli Stati a rimborsare i loro debiti, come un giocatore del totocalcio scommette sulle varie squadre. Da parecchie settimane, scommettono sul fatto che lo Stato greco non sarà capace di rimborsare il suo debito. Allora gli prestano soldi solo a tassi proibitivi e così spingono ogni giorno un po' di più lo Stato greco verso il fallimento. Allo stesso tempo speculano contro la moneta europea, la cui solidità e sopravvivenza stessa sono minacciate.

Ci si parla di questi "mercati finanziari" come se si trattasse di una forza misteriosa e potente. Ma quelli che speculano così oggi contro lo Stato greco e cominciano a speculare anche contro il Portogallo o la Spagna sono gruppi finanziari del tutto identificabili. I dirigenti politici del pianeta li conoscono, conoscono i nomi delle banche, ma non possono fare niente contro di loro! Perché nella nostra società la ricerca del profitto non è un crimine. Al contrario è anche una qualità suprema anche se tale ricerca porta a spingere nella miseria milioni di donne e uomini.

Sono degli irresponsabili, irresponsabili criminali. Nessuno, dico nessuno, può fare peggio di ciò che hanno fatto e stanno facendo. L'unico modo di impedire ai banchieri di spingere sempre più l'economia verso la catastrofe, è di espropriarli tutti. L'economia ha forse bisogno di banche, ma non ha bisogno di banchieri.

Guardiamo la Grecia, perché sta rappresentando il nostro futuro. Da un lato alcune grandi banche che, speculando contro lo Stato greco, stanno incassando benefici enormi. Dall'altro una popolazione di undici milioni di abitanti a cui si impone un piano di austerità drastico: un mese di riduzione di salario dei lavoratori dei servizi pubblici, l'età del pensionamento respinto di due anni e il blocco delle pensioni, l'aumento di parecchie tasse di cui l'Iva di due punti, l'aumento del prezzo dell'energia, la diminuzione delle spese per la pubblica istruzione, la diminuzione delle spese d'investimento pubblico.

Mancano al bilancio dello Stato greco circa 5 miliardi di euro per onorare le scadenze dettate dagli speculatori. Ebbene, si fa pagare la popolazione.

Siccome un fallimento dello Stato greco avrebbe conseguenze gravi per l'euro, i grandi Stati dell'Unione Europea affermano che verranno ad aiutarlo, senza però avere versato il minimo centesimo. La Germania come la Francia si accontentano di fare pressione sul governo greco per costringerlo a fare pagare il popolo. Al tempo stesso sottomettono il bilancio di questo Stato ad un controllo che nonostante la legittimità europea fa pensare alle relazioni passate tra potenze imperialiste e paesi semi coloniali.

Incapaci di ficcare il naso nei conti delle grandi banche e degli speculatori, gli Stati imperialisti d'Europa non hanno scrupoli a ficcarlo in quelli della Grecia!

Dall'Unione Europea al governo greco, passando dai banchieri, il mondo dei borghesi è unanime affinché paghi la popolazione greca.

Ma nonostante i discorsi tranquillizzanti dei dirigenti socialdemocratici che parlano di solidarietà e sacrifici, la popolazione non vuole pagare un debito che non è suo. E lo dimostra: le manifestazioni, gli scioperi si seguono da due settimane. La televisione trasmette immagini di scontri violenti tra la polizia e i lavoratori dello Stato e i pensionati strozzati dalla brutale diminuzione della loro pensione. Oggi la Grecia è in sciopero generale per la seconda volta da due settimane. Tutto il paese sembra paralizzato, compreso i giornalisti e i poliziotti che si sono associati le manifestazioni. Si può essere poliziotto ma quando si perde uno o due mesi di busta paga, non lo si accetta.

Ovviamente tutta la nostra solidarietà va ai lavoratori greci. E si può sperare è che la loro lotta si estenda e diventi abbastanza potente, e innanzitutto abbastanza cosciente, da fare sentire agli ambienti finanziari e ai loro servitori politici la minaccia che viene dalle classi sfruttate.

I prossimi bersagli degli speculatori potrebbero essere il Portogallo e la Spagna. Ma tutti sanno che anche le economie più potenti non sono al sicuro. Un solo gruppo di speculatori, quello di Soros, è riuscito un po' di anni fa a mettere in ginocchio la potente Banca d'Inghilterra!

Allora non ci facciamo illusioni: la Francia non è al sicuro. Per questo è importante prepararsi, al meno nella nostra mente.

Ecco perché bisogna essere coscienti che, se non vogliamo rassegnarci ad accettare i diktat del grande capitale, bisognerà resistere.

Per questo bisogna parlare, tra lavoratori, degli obbiettivi da portare avanti perché la lotta collettiva non si esaurisca inevitabilmente in rivendicazioni secondarie ma rafforzi la posizione della classe operaia di fronte alla borghesia.

Infatti il degrado accelerato delle nostre condizioni d'esistenza non è una fatalità. È il riflesso di un rapporto di forze in cui la borghesia per ora ha tutte le carte in mano per imporci la sua propria politica. Ha con sé la potenza del denaro. Ha con sé il controllo delle imprese, delle banche. Ha con sé la legge, in cui tutto è previsto per proteggere la proprietà privata degli strumenti di produzione di cui può usare e abusare, qualunque sia il prezzo per il resto della popolazione. Ha per sé i dirigenti politici che in realtà sono solo dei lacchè obbedienti.

Ma noi, il mondo del lavoro, non siamo pertanto disarmati. Perché noi abbiamo il numero. E siamo noi che facciamo funzionare tutta l'economia. Come ha detto il nostro compagno, è grazie a noi, i salariati, operai, impiegati, tecnici che le catene di produzione funzionano, che gli immobili e le strade sono costruite, che i treni circolano, che le banche funzionano, che l'economia gira.

So benissimo che la grande maggioranza dei lavoratori non sono coscienti dell'immensa forza che rappresentiamo collettivamente. Tutto spinge in questo senso : le informazioni della grande stampa, della radio, della televisione e anche il sistema scolastico presentano questa organizzazione sociale ingiusta, stupida, come il minor male o anche come l'unica organizzazione sociale possibile.

Ma sarà la vita stessa, l'infinita avidità della classe privilegiata che alla fine farà capire ad ognuno di noi che non siamo individui isolati, che devono subire e subire sempre. Sarà la vita stessa, lo sfruttamento a farci capire che se da soli non possiamo niente, insieme possiamo tutto!

Allora la cosa migliore da fare in queste elezioni e l'unica cosa utile, non è di favorire quel gran partito a detrimento di quell'altro perché una volta eletti faranno tutti la politica che gli chiederà il gran padronato. È di dimostrare che ne abbiamo abbastanza, che siamo arrabbiati! Forse siamo minoritari, ma questa rabbia è contagiosa.

Allora votare per le viste di Lotta Operaia non è solo votare per donne e uomini del popolo. Significa votare per esprimere la propria collera. Significa votare per una politica. È votare per obiettivi che sarà indispensabile imporre quando si produrrà l'esplosione sociale. Significa trasformare queste elezioni in un voto collettivo in cui l'elettorato popolare si pronuncerà a favore di un programma di lotta.

Allora, votare per le liste di Lotta Operaia significa:

Affermare la propria convinzione che non sarà con il padronato, con i dirigenti politici, che i lavoratori potranno proteggersi della crisi dell'economia capitalista, ma contro di loro.

Affermare che l'unico modo efficace di sconfiggere la disoccupazione è di vietare i licenziamenti, ripartire il lavoro tra tutti senza diminuzione di salario e finanziare questo con prelievi sui profitti delle imprese e sulla fortuna dei più ricchi.

Affermare che sono i dirigenti attuali dell'economia che l'hanno portata alla crisi e che tocca a loro, e solo a loro, pagarne il prezzo.

Affermare di fronte alla speculazione finanziaria che ha ricominciato peggio di prima, che l'unico modo di impedire ai banchieri di provocare una nuova crisi finanziaria sarà di espropriarli senta indennizzo né riacquisto. Lo affermo e lo ripeto, se l'economia ha bisogno delle banche, non ha bisogno dei banchieri.

Bisogna sottomettere l'attività bancaria al controllo della popolazione. E certamente bisogna recuperare le somme allucinanti che lo Stato ha messo a loro disposizione per dedicarle alla creazione di posti di lavoro da parte dello Stato negli ospedali, la pubblica istruzione, i trasporti pubblici e un servizio pubblico che si farà carico di costruire il milione di alloggi che mancano per dare una casa ai tre milioni di persone di questo paese che ne hanno bisogno.

Affermare che i proprietari e gli azionisti delle imprese e delle banche sono troppo irresponsabili perché si lasci loro la direzione esclusiva dell'economia. L'unico modo di impedire un disastro ancora più grave è di sottomettere le imprese al controllo della popolazione.

E per cominciare, bisogna imporre la fine del segreto degli affari, del segreto bancario, del segreto industriale, la cui unica ragione di essere è di permettere ai capitalisti di preparare colpi mancini a loro discrezione.

Infatti c'è un'ingiustizia enorme: la legge costringe chiunque viene a conoscenza di un progetto criminale di informare la polizia, pena commettere un reato. Ebbene, la legge da una possibilità particolare ai padroni. Anche se preparano un brutto colpo - e la chiusura di una fabbrica lo è - chi smaschera questa intenzione e avverte la popolazione commette un reato.

Allora sì, bisogna sopprimere tutte le leggi fatte per favorire i crimini padronali.

Bisogna che ognuno che viene a conoscenza dei brutti colpi preparati dalla direzione di un'impresa li possa rendere pubblici, denunciarli e mettere la popolazione nella migliore condizione per reagire. Col rendere pubblici, col controllare la totalità dei conti delle imprese capitaliste e la fortuna privata dei grandi borghesi, la popolazione si renderà conto che c'è di che finanziare le misure indispensabili alla sopravvivenza del mondo del lavoro.

Non rassegnatevi, in queste elezioni di aiutare con il vostro voto un campo di politici a conquistare poltrone a detrimento di un altro senza cambiare niente! Affermate con noi la convinzione che per difendere le condizioni di esistenza delle classi popolari bisogna far pagare il gran capitale, i banchieri, i proprietari e gli azionisti delle grandi imprese. e per fare questo i lavoratori possono contare solo su se stessi!

E poi aldilà delle vicissitudini e di un'elezione particolare, è importante affermare in tutte le occasioni politiche questa corrente del movimento operaio che ha la convinzione che il sistema capitalista non è eterno.

Dei militanti comunisti, quelli che combattevano non solo per migliorare la sorte degli operai ma per cambiare la società, ce ne sono sempre stati da un secolo e mezzo. In certi momenti furono organizzati in grandi partiti capaci di scuotere l'ordine borghese; in altri momenti furono solo alcuni singoli. Ma la fiamma non si è mai spenta.

Per colpa dei tradimenti della socialdemocrazia e dello stalinismo, cioè del passaggio dei cosiddetti partiti socialisti e partiti comunisti nel campo dell'ordine borghese, le idee comuniste sono state sempre più deformate, prima di rifluire nell'opinione pubblica operaia, per la mancanza dei militanti in numero sufficiente per propagarle.

Ebbene, in quanto a noi, continueremo ad innalzare la bandiera del comunismo!

I giornalisti qualche volta mi fanno la domanda: ma come mai le vostre idee non si avvantaggiano con la crisi? Ci vuole sia una dose di stupidità, sia una dose di ipocrisia per fare una tale domanda. Perché se ci pensassero, i giornalisti potrebbero trovare facilmente la risposta. Tutte le grandi reti di televisione, tutta la stampa, appartengono ai Bouygues, Lagardère, Arnault, Pinault, Dassault e soci. Tutte, col pretesto dell'obiettività, in vari modi difendono le idee conformiste, individualiste e accettate dalla borghesia.

E di fronte a questo, di fronte a questo diluvio di false informazioni non ci sono, o non ci sono più in numero sufficienti, i militanti che prendono il contropiede nelle loro officine, nei loro quartieri, fosse sotto la forma più semplice, quella della parola o quella di un piccolo volantino.

Nonostante tutto questo, almeno da una trentina di anni, compare nell'elettorato popolare una corrente che non esita a votare per donne e uomini che si riferiscono chiaramente al comunismo.

Secondo le circostanze questa corrente può rappresentare più del 5% dell'elettorato, e in qualche momento può avvicinarsi solo all'1%.

Ma comunque questo rappresenta parecchie decine di migliaia di donne e uomini che ci tengono ad affermare che non accettano l'ordine esistente.

È l'aberrazione del loro sistema economico a fare periodicamente risorgere le idee comuniste. La borghesia e gli intellettuali al suo servizio hanno un bel seppellire periodicamente il comunismo, esso sopravvive, sopravvive a tutti i funerali.

Allora, è importante che questa corrente si esprima in tutte le occasioni politiche. È importante che la corrente comunista, pur minoritaria che sia oggi, affermi che i lavoratori hanno la capacità collettiva di rovesciare il potere della borghesia.

Sì, i lavoratori esproprieranno la borghesia, spezzeranno la dittatura dei gruppi industriali e finanzieri sull'economia mondiale e trasformeranno in proprietà collettiva le fabbriche, le banche, i grandi mezzi di trasporto, le catene di distribuzione, le ricchezze naturali. Creeranno allora un'organizzazione sociale in cui le ricchezze e i mezzi per produrle saranno una proprietà collettiva. Una società la cui vita economica non sarà più diretta dal mercato cieco, ma dalle scelte coscienti e democraticamente fatte dalla collettività.

Un'economia che non funzionerà per creare profitto per una minoranza di privilegiati ma per soddisfare i bisogni di tutti. Un'economia in cui le crisi stesse saranno solo il brutto ricordo di un passato barbaro.

Tale società sorgerà presto o tardi, inevitabilmente.

Ma per farlo i lavoratori hanno bisogno di un partito che rappresenti davvero i loro interessi politici. E oggi il lavoro nostro, di noi militanti comunisti, è di agire per costruire un partito che non cerchi di integrarsi all'ordine sociale attuale.

Un partito che non si accontenti di denunciare alcuni abusi del regno del denaro ma che si dia l'obbiettivo di organizzare l'unica classe sociale, il proletariato, capace di rovesciare il capitalismo.

Un partito che non vuole nascondere la realtà della lotta di classe, né annegarla sotto altre lotte, anche se legittime. Ma un partito che al contrario evidenzi in tutte le occasioni il carattere di classe della politica fatta dagli uni e dagli altri, in modo da chiarire la situazione per i lavoratori e da permettere loro di opporre la loro propria lotta alla lotta di classe della borghesia.

Non sarà un partito, anche se veramente comunista, a fare la rivoluzione sociale - questa potrà solo essere fatta dalle masse operaie. Ma il partito potrà conquistare i lavoratori alle idee comuniste, organizzarli, educarli politicamente e dare loro i mezzi, non solo per difendersi contro la classe capitalista, ma anche per offrire una prospettiva politica alle altre classi popolari.

Perché la crisi economica, l'avidità della borghesia di accaparrare il massimo a detrimento di tutte le altre classi popolari, inaspriranno inevitabilmente la lotta di classe.

Già si vede oggi come la borghesia distrugge le condizioni di esistenza non solo dei lavoratori salariati ma anche di altre categorie popolari. Quelle dei piccoli contadini schiacciati tra i mammut della distribuzione e le imprese capitaliste dell'agroalimentare. Quelle di molti piccoli commercianti e artigiani il cui reddito dipende del salario degli operai. Se chiude una grande fabbrica, è una catastrofe diretta per i suoi salariati e le loro famiglie. Ma sulla scia della chiusura della fabbrica, quanti negozi, mercatini, quanti bar, quanti piccoli commerci saranno costretti di chiudere?

E non solo i salariati soffrono della chiusura di un ospedale, della scomparsa di un ufficio postale o del degrado delle condizioni d'insegnamento in una scuola di un quartiere popolare!

Anche queste categorie sociali saranno spinte a difendersi. Alcune lo faranno in modo determinato. E lì si porrà inevitabilmente la domanda: combatteranno a fianco dei lavoratori o la borghesia riuscirà, tramite partiti specializzati in questo genere di lavoro, ad aizzarle contro i lavoratori?

Bisogna che i lavoratori abbiano la coscienza e la capacità, non solo di difendersi se stessi ma di offrire una prospettiva a tutta la società, una prospettiva che sia in grado di schierare tutte le categorie sociali popolari contro gli unici veri approfittatori dell'organizzazione capitalista dell'economia, gli unici responsabili della crisi: il gran padronato e la grande borghesia.

E anche per questo l'esistenza di un partito veramente comunista è indispensabile.

Allora compagni, per quanto ci riguarda, la campagna elettorale finirà fra due giorni. Due giorni per convincere i nostri amici, i nostri compagni di lavoro, i nostri vicini di votare per la lista di Lotta Operaia.

Ma una campagna elettorale è solo un momento nell'attività militante. E questa attività militante per organizzare ed educare i lavoratori nell'obbiettivo di trasformare la società, questa attività militante continuerà!

E finite le elezioni, ci ritroveremo tutti, lo spero, per difendere, propagare le idee comuniste in modo che rinasca in questo paese un autentico partito comunista rivoluzionario.