La Cina : nuova superpotenza economica, o sviluppo del sottosviluppo ?

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La Cina : nuova superpotenza economica, o sviluppo del sottosviluppo ? (Circolo Lev Trotski del 27 gennaio 2006)
27 gennaio 2006

E' stato appena dichiarato che la Cina è diventata la quarta economia del mondo, dietro gli Stati-Uniti, il Giappone e la Germania, davanti alla Francia e alla Gran Bretagna. Secondo i mass media ed alcuni uomini politici, la Cina sarebbe la nuova officina del mondo, "il gigante del XXI secolo". Sarebbe, ci dicono, una nuova superpotenza, che sorpasserà gli Stati-Uniti e diventerà, tra alcuni decenni, la prima potenza politica, economica e militare del mondo. Alcuni non trovano parole abbastanza entusiaste per parlarne ; "il gigante si è alzato", il drago cinese, dicono, si sta svegliando dal suo "sonno socialista", ecc.. È vero che il paese più popolato del mondo, con i suoi 1,3 miliardi di abitanti, pesa già nell'economia internazionale. Primo consumatore mondiale di carbone, d'acciaio, di zinco, di cemento, di cotone, ecc., primo produttore mondiale di giocattoli, di tessili, di orologi, di computer, di telefoni, ecc., la Cina è certamente destinata a pesare ancora di più.

Se ne vede lo zampino dappertutto. Se un'impresa tessile francese o, come è avvenuto recentemente, la SEB (gruppo francese che produce piccoli elettrodomestici), mette dipendenti alla porta, lo si deve alle importazioni cinesi. Se una multinazionale licenzia, è per delocalizzare in Cina. Quasi quasi, in Francia, la crisi dell'economia e la disoccupazione avrebbero sul viso gli occhi a mandorla dell'operaio cinese. E quando la Airbus vende i suoi aerei alla Cina e promette, in cambio, l'installazione di una fabbrica d'assemblaggio, ciò viene etichettato come un "trasferimento di tecnologia", la morte programmata dell'aeronautica europea ! Senza parlare dei rischi addossati all'influenza aviaria cinese, all'inquinamento cinese, alla falsificazione cinese, ecc.

Alla fine, non c'è un giornale, non c'è una trasmissione d'attualità che non evochi, per rallegrarsene o spaventarsene, l'aumento della potenza cinese, i suoi tassi di crescita del 10% annui, l'invasione delle sue esportazioni, ecc. Quale realtà si cela dietro quest'entrata strepitosa della Cina sulla scena del capitalismo mondiale, quali ne sono i motori, ma anche i freni ?

E poi c'è un'altra questione. Questo paese che ci dicono essere la nuova potenza capitalista e di cui si loda il dinamismo economico, questa "Repubblica Popolare Cinese" continua a dirsi comunista e a non rinnegare le sue origini "rosse", che risalgono alla conquista del potere da parte dell'esercito di Mao Zedong nel 1949 e, ancor prima, ad un passato di guerriglia rivoluzionaria.

Siamo una delle rare correnti a non aver mai considerato la Cina un paese socialista o comunista. E l'attuale passaggio progressivo all'economia di mercato non ha nulla a che vedere con una conversione alle supposte virtù del capitalismo : l'attuale potere non ha mai avuto come programma quello di porre fine al capitalismo, ma soltanto di garantirsi uno sviluppo nazionale. Non si può comprendere ciò che avviene oggi in Cina se non si sa quali furono gli scopi della rivoluzione maoista, quali furono le relazioni del Partito comunista con la borghesia, qual era la natura del regime messo in piedi nel 1949 e che perdura da allora.

Dalla dominazione coloniale alla terza rivoluzione cinese : la tutela straniera, la rivoluzione del 1911, ed il nazionalismo cinese

All'inizio dello XX secolo, la Cina, paese 18 volte più grande della Francia, che contava 450 milioni di abitanti (cioè un quarto della popolazione mondiale), era ancora, sotto molti aspetti, una società medievale. I suoi 350 milioni di contadini vivevano in una condizione di miseria ed un arretramento estremi, ed erano sottoposti al dominio di signori feudali che esercitavano su di loro ogni potere. La Cina era una preda ambita dalle potenze capitaliste ed era passata sotto la loro sovranità : la Francia, gli Stati-Uniti, la Germania, il Belgio, e soprattutto la Gran Bretagna, avevano in un certo qual modo colonizzato le città dei grandi fiumi e della costa orientale, come Hongkong, Canton e Shangai. Vi commerciavano, vi avevano sviluppato alcune industrie, e sapevano imporsi, se necessario, attraverso una forte presenza militare. La Cina era sotto la loro tutela. In queste città dell'Est, una ricca borghesia commerciale era legata al capitale straniero : era una borghesia "compradora" che non esercitava alcun ruolo nello sviluppo industriale del paese. Da un lato, la sua prosperità dipendeva dai suoi legami con l'imperialismo. Ma dall'altro soffriva della sua posizione subalterna, dell'umiliazione dettata dalla tutela coloniale.

Sul piano politico, la Cina era ancora un Impero, e la dinastia regnante era incapace di promuovere le riforme indispensabili allo sviluppo del paese ed era sottomessa alle potenze imperialiste.

Molti intellettuali, studenti, guardavano verso occidente. Per loro bisognava porre all'ordine del giorno la trasformazione della Cina in un paese moderno e sbarazzarsi della sovranità straniera. Tale fu, in particolare, l'obiettivo messo in primo piano dai dirigenti di una prima rivoluzione, nel 1911 : l'Impero fu rovesciato e fu proclamata la repubblica. Tuttavia, questa rivoluzione approdò solo alla spartizione del paese da parte dei cosiddetti "signori della guerra", dei capi provinciali che regnavano su una regione allo stesso modo in cui, nell'Europa del Medioevo, i signori regnavano su un feudo e si combattevano. Controllavano le terre, gli spezzoni ferroviari, i macchinari, arruolavano i contadini, li spogliavano di tutto. Nelle campagne, la società rimaneva feudale, e le città della costa erano ancora sotto il dominio delle potenze straniere. In realtà, la rivoluzione borghese iniziata nel 1911, mostrava la sua impotenza ancor prima di avere iniziato a realizzare il suo programma. Da un lato, la borghesia cinese, vincolata da mille legami ai proprietari terrieri, era incapace di far propria la prospettiva di una rivoluzione agraria, per quanto indispensabile ; era incapace di dare ai contadini poveri, che erano la maggioranza del paese, l'impulso perché si sbarazzassero di questa classe di oppressori e prendessero possesso delle terre. D'altra parte, dipendente dal capitale straniero, la borghesia era impotente a sottrarre il paese al dominio imperialista.

Ma la società cinese, mantenuta all'interno di strutture arcaiche erose dalla penetrazione capitalista, portava in seno una rivoluzione. Il 1911 aprì un lungo periodo di guerre civili e di rivoluzioni che durò fino al 1927. Negli anni che seguirono la rivoluzione del 1911, il nazionalismo si rafforzò, in particolare nelle fila della piccola borghesia, degli studenti, degli ambienti colti. Un partito nazionalista borghese, il Kuomintang, venne fondato nel 1911 da Sun Yat-Sen, sulla base di tali aspirazioni. Durante la prima guerra mondiale, l'economia cinese fu sostenuta dalla domanda occidentale ; circa 200.000 operai cinesi andarono a lavorare in Europa ; furono seguiti da altri, e ne ritornarono spesso con idee nuove. Nel maggio 1919, quando il trattato di Versailles fu firmato, gli studenti di Pechino manifestarono violentemente contro i regali fatti dai vincitori all'imperialismo giapponese (). Questa nuova contestazione aprì un periodo di rimessa in discussione delle tradizioni arcaiche. Il Kuomintang attirava ormai quanti lottavano contro la sovranità imperialista e contro le estorsioni dei signori della guerra.

Il giovane partito nazionalista Kuomintang poteva sperare solo nell'aiuto e nel sostegno della vicina Unione sovietica. Infatti, la rivoluzione russa del 1917 proclamò il diritto all'autodeterminazione. Non si trattava solo di una vuota dichiarazione - come fu per il presidente americano Wilson - ma di una pratica, di un aspetto concreto della sua lotta politica. L'URSS aiutò materialmente, ed anche militarmente, una forza nazionalista come il Kuomintang. In questa lotta contro l'imperialismo, gli interessi dell'URSS si avvicinarono, fino ad un certo punto ed in modo specifico, a quelli dei nazionalisti cinesi. Ma ciò non faceva di questi ultimi dei comunisti, tutt'altro.

Il Partito comunista e la rivoluzione del 1925-1927

Il Partito Comunista Cinese (PCC), nato nel 1921, era figlio della Rivoluzione russa e dell'immensa speranza che aveva suscitato. In origine, era solo un piccolo gruppo di intellettuali. Ma poteva appoggiarsi su un movimento operaio nascente. Nelle città in cui era presente il capitale straniero, la classe operaia si sviluppava. Nel 1922 c'erano circa due milioni di operai, estremamente sfruttati e combattivi. Il giovane PCC aveva come priorità il suo radicamento nelle fabbriche ; in questo contesto di ascesa, conquistò rapidamente molte migliaia di operai.

Ai suoi inizi, il PCC ambiva ad essere il partito del proletariato cinese. Era la sezione cinese dell'Internazionale comunista (l'IC). Nei primi anni, l'Internazionale era realmente una direzione rivoluzionaria, che aveva concepito un programma d'indipendenza politica per i partiti comunisti nei paesi coloniali come la Cina. Ma verso la metà degli anni venti, Lenin morì, Trotsky fu allontanato dalla direzione sovietica, e l'IC iniziò a subire la stalinizzazione che già stavano vivendo il Partito comunista e lo Stato sovietico. Uno degli aspetti di questa involuzione fu quello di spingere le sezioni dell'Internazionale a rimorchio di forze che non erano comuniste.

Certamente, vista la situazione della Cina, i comunisti dovevano partecipare alla lotta contro il dominio imperialista. Ma dovevano farlo con la propria politica, con la propria organizzazione, stando attenti a preservare l'indipendenza del proletariato. Infatti era inevitabile che il Kuomintang, che rappresentava le aspirazioni della borghesia cinese, si rivoltasse, prima o poi, contro il movimento operaio. Invece, poco dopo la sua creazione, il PCC aderì al Kuomintang, e soprattutto gli subordinò completamente la propria politica, fino al punto di sciogliersi. In ciò, fu incoraggiato, forzato anche, dai dirigenti dell'Internazionale. Il PCC aveva rinunciato, così, a tutto ciò che avrebbe potuto contrastare i dirigenti nazionalisti. Aveva legato la sua politica, le sue truppe, il suo peso crescente nel proletariato cinese, agli obiettivi ed alle manovre dei dirigenti del Kuomintang borghese - in altre parole, per riprendere i termini di un delegato dell'Internazionale, "i comunisti (dovevano) effettuare un lavoro di coolies (cioè di facchini) per il Kuomintang". Il PCC era diventato l'ala di estrema sinistra della borghesia, aveva rinunciato a difendere gli interessi propri del proletariato.

Non entreremo qui nei particolari della seconda rivoluzione cinese, quella del 1925-1927. Fu una vera esplosione sociale e politica. La Cina era immensa, ed è un aspetto importante, poiché durante tutti questi anni di disordini e di rivoluzioni, molti poteri coesisterono all'interno di questo grande paese che era unificato soltanto sulle carte geografiche. Solo una piccola parte del sud era, all'inizio, sotto l'autorità del "governo di Canton" che si richiamava alla rivoluzione del 1911 e all'eredità di Sun Yat-Sen. L'espansione di questo potere fu realizzata attraverso un susseguirsi di eventi rivoluzionari ma anche, e sempre più, di conquiste militari. Nelle città del Sud e della costa, i lavoratori insorsero, si organizzarono, condussero scioperi lunghi e duri, e non si scoraggiarono di fronte ai massacri delle forze di repressione, spesso straniere del resto. Le truppe del generale Ciang Kai-shek si rivolsero brutalmente contro i lavoratori ai quali il PC non aveva dato i mezzi, né politici, né organizzativi, per difendersi contro gli alleati di ieri. L'esercito del Kuomintang conquistò gradualmente tutto il sud della Cina, da Canton a Shangai ed al fiume Yangtse. Fu una conquista militare. Sollevamenti di contadini la precedettero. Ma la speranza che quest'esercito venisse per aiutarli a liberarsi svanì rapidamente. Lungi dall'essere il braccio della rivoluzione, l'esercito del Kuomintang schiacciò i sollevamenti contadini.

Ma fu nelle città che si svolsero i combattimenti decisivi. Spaventata dall'insurrezione operaia, la borghesia abbandonò le sue velleità antimperialiste e di lotta contro i signori della guerra. Il Kuomintang, riconciliato con le potenze imperialiste, arrivò al potere sui cadaveri degli operai. Migliaia di comunisti, i migliori elementi del giovane proletariato cinese, furono massacrati, bruciati vivi nelle caldaie delle locomotive. Il Kuomintang aveva utilizzato il PCC, le sue forze ed il suo credito e così quest'ultimo aveva portato i proletari cinesi al mattatoio.

Una volta al potere, il Kuomintang non modificò assolutamente i rapporti sociali più arretrati. Non si parlò di liberazione dei contadini, e neanche della liberazione del paese dalla tutela straniera. La seconda rivoluzione cinese confermò che la borghesia era incapace di portare a termine quelle trasformazioni che erano già all'ordine del giorno nel 1911. Sebbene fosse interesse della borghesia liberarsi dal giogo pesante delle potenze imperialiste, era al contempo completamente dipendente dal capitale straniero. Era suo interesse liberarsi dall'influenza feudale, ma nello stesso tempo vi era legata. Per di più temeva il proletariato più di quanto non fosse determinata a cambiare il vecchio ordine sociale. Era incapace di partorire un partito capace di condurre fino in fondo una rivoluzione borghese, ed il Kuomintang era la prova vivente di questa incapacità.

Il regime di Ciang Kai-shek e l'evoluzione del PCC dopo il 1927

Dopo il 1927, il Kuomintang ed il suo capo Ciang Kai-shek, che era succeduto a Sun Yat-Sen, si trovarono alla testa di un regime militare, reazionario, retto da un partito unico, che seminava il terrore fra i suoi oppositori. Le casse dello Stato servivano all'arricchimento permanente, senza limiti, della famiglia e dei parenti di Ciang Kai-shek.

Quanto ai comunisti, erano stati in gran parte decimati nelle principali città. Ma rimanevano dei nuclei. Una parte di loro si rifugiò nelle campagne, nel Kiangsi (Jiangxi), a sud-ovest di Shangai. Vi condussero una guerriglia e sfidarono Ciang Kai-shek per anni. Nel 1931, proclamarono anche una "repubblica sovietica del Kiangsi", la cui sede era un minuscolo villaggio di montagna. Tagliandosi così fuori dalle città, il PCC poteva dare l'impressione di proteggersi dalla repressione. Ma nello stesso tempo, approfondiva la sua separazione dal proletariato urbano. Anziché cercare di ricostruire un radicamento nella classe operaia, costruì un esercito contadino, diretto da intellettuali della piccola borghesia. La rivolta delle campagne, la guerriglia, non erano novità. Da secoli, la Cina vedeva tali movimenti, che potevano assumere un carattere di massa senza che i rapporti sociali ne fossero modificati. Il fatto nuovo era che questa guerriglia contadina fosse diretta da comunisti.

In un testo del 1932, pur salutando i successi di questa guerriglia contro le truppe del regime, Trotsky ne criticava precisamente la natura e gli obiettivi. Sfoggiando la bandiera comunista, definendosi "Armata rossa", scriveva, "gli elementi dirigenti dei contadini rivoluzionari della Cina si attribuiscono in anticipo un valore politico e morale che, in realtà, appartiene agli operai cinesi". Aggiungeva che i contadini - in ragione anche della loro posizione sociale, distanti dai centri di potere - potevano seguire soltanto la borghesia o il proletariato e, tagliati fuori dal proletariato urbano, gli intellettuali comunisti difendevano in realtà interessi socialmente diversi. La guerriglia, diceva Trotsky, preparava le basi di uno scontro tra questo esercito, contadino quanto alla sua composizione e piccolo-borghese per la sua direzione da un lato, e dall'altro gli operai. In realtà, ciò che Trotsky aveva percepito nel 1932 doveva confermarsi nel corso dei venti anni successivi.

Quando, nel 1934, il regime del Kuomintang finì per organizzare una grande offensiva contro i comunisti, una parte di essi riuscirono a scappare, in una "lunga marcia" di un anno e circa 8000 km, in direzione Nord, ancora più lontano dei centri industriali e commerciali del paese. Qui trovarono un rifugio, nella provincia del Shaanxi.

Così, a metà degli anni trenta, il PCC non era più un partito proletario, né per la sua composizione, né soprattutto per i suoi obiettivi politici. La sua base sociale era composta ormai da contadini, sotto la direzione di piccolo-borghesi. L'Internazionale, ormai diretta da Stalin, gli diede allora, come programma, alcuni obiettivi che restavano tutti sul terreno della borghesia : una riforma agraria, la fine della corruzione, una più grande indipendenza del paese e la ricerca di alleanze con le forze politiche borghesi. In effetti nel 1934, spaventato dall'arrivo di Hitler al potere in Germania e dalla minaccia di guerra che rappresentava contro l'Unione sovietica, Stalin impose a tutti i partiti comunisti del mondo una politica di "Fronte Popolare", cioè una politica che li subordinava ai partiti borghesi di sinistra e, con ciò, subordinava gli interessi del proletariato a quelli della borghesia. La classe operaia avrebbe pagato caro questa politica, in Francia e soprattutto in Spagna. Per riprendere il termine di Trotsky, l'internazionale staliniana agì da "mediatore" tra i partiti comunisti e la loro borghesia. A modo suo, il PCC divenne il partito che la borghesia cinese non era mai riuscita a darsi : un partito di combattenti pronti a rischiare la vita per portare a termine un programma borghese radicale. Svolse il ruolo di un partito che difendeva in modo coerente e radicale gli interessi storici della borghesia, il ruolo che il Kuomintang non aveva svolto. E questo ruolo, questa politica, la guerra contro il Giappone li fece emergere nettamente.

Dalla guerra contro il Giappone alla rivoluzione nelle campagne

Fin dal 1931, il Giappone, che da tempo teneva d'occhio la Cina, si era lanciato con successo all'attacco del Nord-est del paese, la Manciuria, una regione ricca di materie prime. Poi, nel 1937, il Giappone cominciò l'occupazione di tutto il paese. Le truppe giapponesi moltiplicarono le vessazioni : stupri, saccheggi, distruzioni. La seconda guerra mondiale era cominciata. Durante i sei anni d'occupazione della Manciuria, Ciang Kai-shek rifiutò di organizzare la resistenza all'occupazione nipponica. Anche a partire dal 1937, quando vide che le basi del suo regime erano minacciate, utilizzò le sue forze soprattutto contro i comunisti. Per Ciang Kai-shek, "i giapponesi (erano soltanto) une malattia della pelle mentre i comunisti (erano) una malattia de cuore".

Il PCC, dal canto suo, non cessò di proporre al Kuomintang di unire le loro forze in una lotta comune contro i giapponesi ed organizzò la resistenza nel Nord. Quando, nel 1945, il Giappone crollò nella guerra del Pacifico, il PCC ed il regime del Kuomintang, aiutato in modo consistente dagli Stati-Uniti, si trovarono l'uno contro l'altro, nonostante le ripetute proposte di Mao di un accordo con Ciang Kai-shek, che quest'ultimo rifiutò sdegnosamente. Il PC di Mao era uscito rafforzato dal ruolo che aveva svolto nella resistenza contro il Giappone. Nel 1945, controllava una zona abitata da 100 milioni di cinesi, e vi aveva costruito istituzioni politiche, una struttura amministrativa, un vero esercito di un milione di uomini, in pratica un vero apparato di Stato (). Tuttavia, non fu questo apparato che lo portò al potere, ma l'immensa sommossa che, quando le truppe giapponesi si ritirarono, scoppiò nelle campagne contro quelli che avevano collaborato, cioè in primo luogo contro tutti i signori che opprimevano i contadini da sempre. Il PC di Mao era esitante. Le sue truppe avevano tenuto un comportamento diverso dalle bande che, da sempre, attraversavano i villaggi saccheggiando e violentando : i membri dell'esercito di Mao, com'era loro abitudine, avevano pagato quello che prendevano, avevano rispettato i contadini, si erano interessati ai loro problemi e non avevano esitato ad aiutarli nei lavori dei campi - e quindi erano stati accettati nelle campagne. Ma se il PC fosse andato nel senso della rivolta, se avesse risposto alle domande dei contadini, avrebbe rischiato di perdere la simpatia di molti signori anti-giapponesi che erano diventati capi di governi locali ed anche regionali durante la guerra. Ciò avrebbe voluto dire scontrarsi non soltanto con gli Stati-Uniti che sostenevano Ciang Kai-shek, ma anche con Stalin, fautore di un prolungamento della Santa alleanza della guerra e del dopoguerra per evitare la rivoluzione. Ma, nello stesso tempo, resistere all'attacco delle truppe del Kuomintang, senza l'appoggio dei contadini, era impossibile. Dopo mesi d'esitazione, il PC scelse, nell'agosto 1946, di sostenere la rivolta contadina. Fu una vera scelta politica, una scelta reale, fatta anche contro quello che veniva dettato da Mosca.

Così facendo, il PC si mantenne sul terreno della borghesia, ma in modo radicale, giacobino, cioè rappresentando i suoi interessi storici generali, anche contro la maggioranza dei borghesi. Mao fu in un certo qual modo un Robespierre cinese, cioè andò fino in fondo nella difesa degli interessi storici della borghesia, ben al di là di ciò che i borghesi stessi avrebbero desiderato. Il Kuomintang era legato ai borghesi, alla loro avidità, al loro egoismo, alla loro corsa al profitto a breve termine, anche a scapito degli interessi a più lungo termine della loro classe. Il PCC, invece, era il rappresentante di questi interessi a lungo termine della borghesia cinese. Ed oggi lo sta dimostrando.

Ma all'epoca, nelle regioni che controllava, il PC prese la testa della rivolta contadina, le terre vennero divise, ed i signori non poterono resistere. E questa rivolta generale avrebbe portato il PCC al potere.

Il PCC al potere

Per riavvicinarsi alla borghesia cinese che, lo si è visto, era legata ai signori delle campagne ed era preoccupata di fronte all'imponenza della sommossa contadina, la direzione maoista fece una nuova svolta e, alla fine del 1947, decise di porre limite al sollevamento. Ciononostante non riuscì ad avvicinarsi alla borghesia : anche se la politica del PCC non era comunista, ne conservava l'etichetta, il colore, l'Internazionale, la falce e il martello !

I sostegni di cui Ciang Kai-shek disponeva ancora nelle città lo abbandonarono ; il suo regime era corrotto, marcio, si era isolato. La borghesia, come gli altri strati della società, si era lasciava ricattare a livelli insopportabili. Migliaia di studenti, centinaia di professori vennero massacrati solo per avere gridato slogan pacifisti. Di colpo, scapparono a decine di migliaia e passarono nel campo comunista. Infine, l'esercito, che era l'ultimo sostegno del regime, crollò da solo.

La conquista del potere fu realizzata allora senza ostacoli. Nel 1949, il PCC si impadronì delle grandi città. Ma spesso questo avvenne tra la passività degli abitanti, e dopo la partenza del Kuomintang. La classe operaia non si era risollevata dalla terribile repressione del 1927-1928. Il PC che nel 1927 contava nelle sue file due terzi di operai, ne contava venti volte meno nel 1949. In tutti i grandi centri industriali, aveva evitato di mobilitare la classe operaia, non l'aveva armata. Mao invitò i lavoratori "a restare calmi" ed "a continuare a lavorare normalmente". Ed alcune centinaia di trotskisti cinesi, la cui influenza si limitava a qualche città tra cui Shangai, dove cercavano di organizzare gli operai affinché difendessero i propri interessi, furono repressi dal nuovo potere. Fin dall'inizio del 1950, molti di loro furono arrestati ed uccisi; in seguito, nel dicembre 1952, la polizia segreta del PCC lanciò una retata nazionale, fece arrestare tutti i militanti trotskisti, i loro simpatizzanti, ed anche molti dei loro familiari. In cambio, coloro che avevano represso la rivoluzione del 1925-1927, generali del Kuomintang, vennero integrati alla direzione dell'esercito di Mao. La polizia politica di Ciang Kai-shek, che aveva perseguitato da più di vent'anni i militanti comunisti con una ferocia inaudita e, in tutto, quasi 10 milioni di funzionari del vecchio regime, divennero i funzionari del nuovo potere. Lungi dall'essere spezzato, il vecchio apparato di Stato venne fuso al PCC.

Tuttavia il sollevamento delle campagne, in alcune regioni, sconvolse le relazioni sociali. La rivoluzione cinese fu anzitutto l'opera dell'energia, della rivolta di decine di milioni di contadini che volevano liberarsi dallo sfruttamento selvaggio che pesava su di loro da millenni. Laddove scoppiò, l'insurrezione contadina liquidò le vestigia feudali della vecchia società cinese. Inoltre il regime maoista unificò il paese. In questo fu una rivoluzione. Ma la sommossa contadina non venne diretta dalla classe operaia, che non svolse alcun ruolo, e la rivoluzione cinese del 1949 non fu una rivoluzione proletaria.

Il regime maoista : l'imperialismo impone l'embargo alla Cina

Il regime maoista non venne riconosciuto dall'imperialismo. La politica degli Stati-Uniti era dominata dalla volontà di impedire ogni estensione della sfera d'influenza dell'URSS. La guerra di Corea che scoppiò nel 1950, l'intervento dell'esercito americano sotto l'egida dell'ONU, fu una prima concretizzazione di questa politica. Gli Stati-Uniti instaurarono un embargo economico contro la Cina. All'ONU, il seggio della Cina fu occupato da Taiwan, che contava 8 milioni di abitanti, e non dalla Repubblica popolare, che ne contava 500 milioni ; e ciò durò oltre venti anni.

Così, l'isolamento internazionale della Cina non derivò da una scelta del regime ; gli fu imposto dall' imperialismo. Questo isolamento implicò che, potendo vendere e comprare molto poco sul mercato mondiale, la Cina dovette sostanzialmente trovare le proprie risorse all'interno dei suoi confini nazionali. Certamente, per utilizzarle al massimo, occorreva a questo paese, economicamente arretrato, un controllo rigoroso del commercio estero. Ma l'imperialismo gli impose molto di più : una quasi-autarchia.

I primi anni e la natura sociale del regime maoista

All'inizio, il regime cercò di avvalersi dell'appoggio del settore privato, della cosiddetta borghesia "nazionale". Tuttavia, appena si profilò la sconfitta del Kuomintang, molti capitalisti, spaventati dalla prospettiva della vittoria di truppe che si dicevano comuniste, trasferirono le loro ricchezze, tra cui macchine ed altre attrezzature industriali, verso Hongkong, la zona franca del sud sotto sovranità britannica, o verso l'isola di Taiwan. Questi borghesi lasciarono spesso sul posto un membro della famiglia a rappresentare i loro interessi.

Era una delle grandi differenze con la rivoluzione russa. In Russia, c'era stata una mobilitazione rivoluzionaria della classe operaia che aveva espropriato la borghesia ; in Cina, si era solo chiesto al proletariato di applaudire, da spettatore passivo, l'entrata nelle città dell'esercito maoista. Il PCC decise di appoggiarsi alla borghesia. Valorizzò i capitalisti "patrioti nazionali" e condannò "gli istinti distruttivi di un proletariato di teppisti". Gli azionisti delle imprese, che erano allora quasi tutte private, percepivano dividendi ; il regime cercò di convincere gli imprenditori che erano partiti a ritornare - a volte con successo. Il problema principale veniva però dai capitalisti stessi : frodavano il fisco su grande scala, sabotavano le ordinazioni di Stato consegnando al regime cianfrusaglie, oppure rivendevano i macchinari che lo Stato aveva fornito loro per ordinazioni pubbliche. E versavano bustarelle a tutti coloro la cui complicità era necessaria. In breve, la borghesia si comportava come sotto Ciang Kai-shek. Ciò minacciava le basi del nuovo potere e rendeva comunque impossibile ogni sviluppo nazionale degno di questo nome.

Così il regime, che voleva fare uscire il paese dal sottosviluppo, fu portato a nazionalizzare, in realtà a riacquistare, nel 1955, cioè sei anni dopo la conquista del potere, le imprese industriali e commerciali. Non incontrò affatto resistenza : una legge prevedeva il pagamento di indennizzi e di dividendi (5% del capitale investito) ai vecchi proprietari. La direzione delle imprese nazionalizzate venne spesso affidata a loro; ed essi furono elevati al rango di "capitalisti nazional-patrioti che prendono coraggiosamente la via del socialismo". I capitalisti conservarono un benessere materiale straordinario in questo paese povero. Nelle sue memorie, la figlia di un grande proprietario terriero racconta che all'inizio degli anni sessanta, continuava a vivere a Shangai nella residenza familiare, piena d'argenteria e di antiche porcellane, di libri e di giornali inglesi, e dove era sempre servita dai suoi ex servi. Dopo gli studi, sua figlia era divenuta un'attrice di cinema e si rilassava suonando le Notturne di Chopin, pur divertendosi col suo gatto (mentre gli animali da compagnia erano vietati). E questo non aveva niente di eccezionale.

Per oltre venti anni, fu lo Stato a dirigere sostanzialmente l'attività economica. Ma questo non ne fece tuttavia uno Stato socialista, o uno Stato operaio, contrariamente a ciò che affermavano allora molti militanti maoisti, e anche trotskisti. In un paese capitalista come la Francia, settori interi dell'economia erano, dopo la fine della seconda guerra mondiale, sotto controllo statale, dall'elettricità al gas e alle miniere di carbone, dai trasporti ferroviari all'aeronautica, dalla Renault all'industria militare, senza contare le grandi banche di deposito. La Francia di De Gaulle era pertanto socialista ? Certamente no. Ma le nazionalizzazioni permisero allo Stato di realizzare investimenti, un ammodernamento che i capitalisti non potevano o non volevano condurre individualmente, ma che servivano l'insieme della borghesia. La grande differenza tra il regime maoista e quello di Ciang Kai-shek era che quello del Kuomintang era fisicamente legato alla borghesia, di cui serviva gli egoismi miopi ; mentre quello di Mao aveva i mezzi per agire in funzione di interessi più generali. La statalizzazione realizzata sotto Mao quindi non è legata alla pretesa natura socialista del regime ; si impose come una necessità insostituibile per lo sviluppo del paese.

Un certo sviluppo economico e sociale

La collettivizzazione delle terre, anche negli anni cinquanta, seguì la stessa logica. La riforma agraria aveva comportato un frazionamento estremo della proprietà ; l'obiettivo della collettivizzazione fu quello di risolvere le difficoltà che ne derivarono, come la scarsa meccanizzazione delle campagne, oppure il fatto che i contadini consumavano tutto il loro raccolto, cosa che limitava le quantità di grano commercializzate. La collettivizzazione fu realizzata all'inizio gradualmente, quindi in modo più brutale, a metà degli anni cinquanta, dato che lo Stato non riusciva a conquistare i contadini ricchi. Così per sviluppare l'industria, lo Stato aumentò i prelievi sui contadini.

Lo sviluppo economico fu reale, nonostante il ricorso a piani insensati, come il cosiddetto "grande salto in avanti". Decretato nel 1957, quest'ultimo consisteva nel militarizzare la produzione e creare veri eserciti di lavoro forzato, incaricati di scavare canali, di costruire dighe, ecc.. Il regime decretò che le campagne dovevano giungere all'autosufficienza industriale, ed ogni villaggio doveva avere il suo piccolo altoforno. I contadini erano mobilitati per procurare il combustibile necessario a questi 900.000 altoforni. Il metallo ottenuto - a volte fondendo le pentole e tutti gli oggetti metallici utili del villaggio ()- era di così cattiva qualità che era spesso inutilizzabile. Per di più, i contadini così mobilitati non potevano effettuare il raccolto. E la carestia che ne risultò fece dai 15 ai 30 milioni di morti.

Dai "Cento fiori" alla "Rivoluzione culturale"

Per proseguire l'obiettivo di sviluppare il paese, il regime maoista era pronto ad utilizzare la forza e la violenza su grande scala. Era una dittatura. Quando, nella popolazione, le aspirazioni ad una maggiore libertà, ad un tenore di vita un po' migliore si manifestavano, la repressione selvaggia non si faceva attendere. Ad esempio, nel 1957, il potere permise una certa libertà d'espressione, nel corso di una campagna intitolata : "che cento fiori sboccino". Intellettuali e studenti colsero l'occasione per esprimere rivendicazioni democratiche, ma anche dei lavoratori protestarono, contro i privilegi dei quadri ed il deterioramento delle loro condizioni di lavoro : l'estensione del salario a cottimo, il prolungamento della durata dell'apprendistato e dei bassi salari che lo accompagnavano, lo sviluppo del lavoro precario (alla giornata, o per poche settimane). Questa contestazione operaia non si espresse tramite i sindacati, completamente agli ordini del regime e di cui si diceva che erano "le lingue dell'amministrazione e le code della burocrazia". Di fronte a questa ondata di critiche, il regime fece marcia indietro ed inviò centinaia di migliaia di persone nella campagna o in campi di riabilitazione, quando non dinanzi al plotone d'esecuzione.

La repressione più brutale che fu organizzata dal potere fu certamente la "rivoluzione culturale" del 1966-68. Ufficialmente, si trattava di lottare contro "coloro che hanno intrapreso la via capitalista" e di eliminare le "quattro vecchie cose" (vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi, vecchie abitudini). Di fatto, la mobilitazione violenta, organizzata dal regime, e spesso condotta dai figli dei dirigenti, da decine di milioni di studenti - le famose "Guardie rosse" - non si esercitò soltanto, né soprattutto, contro i "capitalisti nazionali" che il regime poco prima aveva glorificato ; non riguardò soltanto coloro che avevano "scarpe a punta" o "la brillantina sui capelli". In realtà, tale mobilitazione mirò all'inquadramento, al controllo di tutta la popolazione. Dopo quindici anni di dittatura, di privazioni, di mobilitazione per gli obiettivi di sviluppo del regime, di difficoltà a causa dell'embargo e di pressione dell'imperialismo, iniziavano a manifestarsi malcontenti. Numerosi operai avevano colto l'occasione per scendere in sciopero per le proprie condizioni di lavoro, contro il loro direttore, contro questo o quel privilegio. Ebbene, la mobilitazione delle Guardie rosse, generata e controllata dal potere, mirò precisamente a schiacciare nella culla ogni contestazione, ed in particolare ogni contestazione sociale. Venne esercitata una pressione su tutta la popolazione, ed in particolare sulla classe operaia. Si trattò in realtà di pura e semplice repressione.

I passaggi di fronte, il carattere a volte incontrollabile delle Guardie rosse stesse, condussero il regime ad inviare in seguito quasi venti milioni di questi giovani nelle campagne, mettendo fine, nel 1968, alla "Rivoluzione culturale". Questa non aveva avuto nulla di culturale, ed ancora meno di rivoluzionario. E fece senza dubbio diverse centinaia di migliaia di vittime.

Il regime maoista in un vicolo cieco

La rivoluzione culturale aveva mostrato il vicolo cieco nel quale si trovava il regime. Escluso dal mercato mondiale per mano dell'imperialismo, aveva cercato nel suo ambito risorse proprie che permettessero uno sviluppo nazionale. Da un lato aveva raggiunto un livello ben superiore a quello che conoscevano altri paesi del terzo mondo che si erano liberati dalla tutela coloniale. La statalizzazione aveva permesso progressi importanti. Certamente, la popolazione viveva male. Ma l'agricoltura aveva conosciuto un certo ammodernamento che aveva permesso di aumentare la produzione ed i rendimenti. L'industria si era sviluppata, con una crescita media del 9% all'anno. Nei settori dell'occupazione, dell'abitazione, della sanità, dell'istruzione, progressi considerevoli erano stati realizzati sotto il controllo dello Stato, che manteneva un certo egualitarismo. Mentre nel 1949 soltanto il 20% dei cinesi sapevano leggere e scrivere, la proporzione passò a più del 75% nel 1978. Mentre la speranza di vita era di 38 anni nel 1945, passò a 64 anni nel 1978, una cifra allora più vicina a quella dei paesi sviluppati che a quella del terzo mondo.

In breve, contrariamente a ciò che ripetono i commentatori occidentali, lo statalismo non rallentò lo sviluppo della Cina, lo permise. Si può comparare la Cina all'India, anch' essa un grande paese asiatico, che ottenne l'indipendenza alla fine della seconda guerra mondiale. Anche se, a differenza della Cina, l'India poteva ricorrere ai prestiti internazionali e vendere all'estero, rimase un paese meno sviluppato, caratterizzato dall'arretramento, le caste, la miseria profonda. Il reddito pro capite era inferiore di un terzo a quello della Cina ; la popolazione meno alfabetizzata spesso non aveva neppure accesso ad un alloggio. In realtà, l'integrazione al mercato mondiale si era tradotta in una rapina delle sue risorse alla quale, per l'appunto, la Cina era sfuggita.

Ma d'altra parte, i risultati degli sforzi cinesi d'industrializzazione e di sviluppo rimasero ben al di sotto degli obiettivi. Il paese rimase povero. L'isolamento dal mercato mondiale gli aveva impedito di beneficiare della divisione internazionale del lavoro, ed alcune produzioni richiedevano dieci, venti volte più lavoro che se la Cina le avesse comperate sul mercato mondiale. Inoltre, il rischio permanente di guerra, mantenuto dagli Stati-Uniti tramite Taiwan, costrinse lo Stato cinese a procedere a spese militari considerevoli, gravando sullo sviluppo economico. Sfuggire alla rapina imperialista e nazionalizzare l'economia avevano permesso alla Cina progressi importanti. Ma restò condannata a conoscere solo uno sviluppo limitato ed una forma d'autarchia, al prezzo di sforzi che divenne sempre più difficile fare accettare alla popolazione.

Il ritorno progressivo all'economia di mercato : gli Stati-Uniti cambiano atteggiamento

Fu su questo punto che all'inizio degli anni settanta, il cappio costruito dall'imperialismo si allentò. Questa svolta avvenne quando Mao era ancora vivo. E fu iniziata dagli Stati-Uniti. La Cina non aveva ceduto dinanzi al blocco, il regime maoista non era crollato. Gli Stati-Uniti erano alle prese con un altro problema : da anni, stavano conducendo la guerra in Vietnam ed erano incapaci di vincerla. Questa guerra costava cara e, col tempo, sollevava sempre maggiori contestazioni anche negli Stati-Uniti, in un periodo in cui i dirigenti americani dovevano confrontarsi con un potente movimento nero. Tali dirigenti finirono per convincersi della necessità di liberarsi dalla palude vietnamita, ma non volevano che ciò incoraggiasse altri popoli ad opporsi agli Stati-Uniti in una regione sottoposta a forti tensioni sociali e politiche. Per evitare che la caduta del regime vietnamita filo americano ne trascinasse altri come in un domino, occorreva trovare un accordo con la Cina e farne un fattore di stabilizzazione. A partire dal 1969, gli Stati-Uniti distesero un po' le relazioni e, nel 1971, la Cina occupò all'ONU il seggio prima attribuito a Taiwan. E fu uno dei presidenti americani più reazionari, più anticomunisti, Richard Nixon, che bevve la pozione amara, rese visita a Mao nel 1972 e ristabilì le relazioni diplomatiche. Nel 1979, questo ristabilimento fu ufficializzato.

Non fu il regime cinese a fare questa svolta, per la semplice ragione che non era stato lui a scegliere la rottura con gli Stati-Uniti, ma il contrario. Tuttavia, questa apertura, che significò anche la fine dell'embargo economico, gli permise finalmente di utilizzare le possibilità offerte dal mercato mondiale. Alla fine degli anni settanta, i gruppi dirigenti presero la decisione di operare una svolta, un certo ritorno all'economia di mercato. Per giustificare quest'apertura al settore privato dell'economia, Deng Xiaoping, il nuovo dirigente, diceva : "Poco importa che il gatto sia nero o bianco, l'essenziale è che prenda i topi". Deng, il nuovo dirigente, era un veterano della Lunga marcia, era stato messo al bando durante la Rivoluzione culturale e si era imposto nel 1978 dopo la morte di Mao.

L'apertura economica

Questa apertura economica, che continua da un quarto di secolo, è stata molto graduale. Il primo settore trasformato fu l'agricoltura. Come abbiamo visto, essa era stata collettivizzata negli anni cinquanta. Tra il 1978 ed il 1984, fu decollettivizzata. All'inizio, la superficie dei piccoli appezzamenti privati venne aumentata. In seguito, le terre, fino ad allora coltivate collettivamente dalle unità di villaggio furono attribuite per contratto ai contadini. Era il ritorno allo sfruttamento familiare, con la possibilità per ogni famiglia di disporre del prodotto della sua vendita. In seguito, il diritto di subaffittare terre, assumere manodopera, possedere grandi macchinari agricoli, la possibilità di vendere contratti all'asta, consentì ad uno strato di contadini di arricchirsi e di concentrare terre. I contadini poterono dedicarsi ad attività commerciali o industriali, il che rese possibile un aumento importante di piccole imprese di ogni specie nelle campagne.

Nelle città, per attirare i capitali, il potere iniziò col creare nel 1979 delle "zone economiche speciali" (ZES) nel Sud del paese, delle zone franche dove lo Stato metteva a disposizione degli investitori stranieri terreni, infrastrutture, ecc. Queste zone furono un successo - una di esse, Shenzhen, è passata in 25 anni da 30.000 a 10 milioni di abitanti. Il governo ne creò altre nel 1984, prima di permettere alle imprese occidentali di installarsi un po' ovunque sulla costa orientale e sui delta del paese, in particolare in città come Shangai. I prezzi furono liberalizzati e le imprese, anche pubbliche, beneficiarono di una certa autonomia. A partire dal 1992, questo ritorno al mercato conobbe un nuovo slancio. Il regime si apriva verso l'esterno, un numero crescente di imprese cinesi fu autorizzato a vendere all'estero, e gli stranieri ad investire in Cina.

Chi poteva fungere da intermediario ? Naturalmente, la borghesia cinese stessa. Lo si è visto, una buona parte delle fortune cinesi accumulate prima del 1949 si erano rifugiate a Hongkong o a Taiwan. Queste famiglie furono, naturalmente, coloro che approfittarono delle nuove possibilità offerte dal regime.

Un esempio : nell'ottobre scorso, nelle rubriche necrologiche di alcuni giornali, appariva un tale Rong Yiren, presentato come ex "capitalista rosso n 1", ed il cui percorso è significativo. Alla sua morte, il regime l'ha salutato come un "grande combattente del patriottismo e del comunismo". In realtà, la sua famiglia, di borghesi del tessile e della farina, era scappata a Hongkong nel 1949, ma aveva lasciato sul posto il giovane Yiren per sfruttare al massimo ciò che restava dell'impresa familiare. All'inizio degli anni cinquanta, tutte le sue fabbriche impiegavano circa 80.000 dipendenti. Nel 1956, in occasione della nazionalizzazione, ricevette 12 milioni di dollari di indennità, una bella somma per l'epoca, e fu nominato vice sindaco di Shangai, prima di diventare vice-ministro all'industria tessile. Fu allontanato durante gli anni della rivoluzione culturale che furono per lui, diceva, "anni di svago e di riposo". Quindi, a partire dal 1979, ritornato nelle grazie del regime, diventò proprietario di un impero tentacolare, un'immensa impresa finanziaria, la CITIC, che ne fece l'uomo più ricco della Cina con quasi due miliardi di dollari. Inoltre, fu vicepresidente della Repubblica popolare dal 1993 al 1998, tutto questo senza mai appartenere al Partito comunista. In breve, Rong Yiren incarnava i legami del regime maoista con la borghesia cinese.

Sono questi legami che spiegano il posto occupato dai capitali cinesi stessi negli investimenti in Cina, che del resto sono capitali di ritorno. Una parte del denaro investito "dall'estero" proviene da fortune prima accumulate da borghesi cinesi, che sono prosperate durante 40 o 50 anni fuori delle frontiere del paese, e che erano a caccia di affari commerciali e di proficue opportunità nella stessa Cina. Ancora oggi, quasi i due terzi degli investimenti esteri in Cina vengono dal Sud-est asiatico, ed in particolare da Hongkong, il che significa chiaramente che si tratta della diaspora della borghesia cinese. Senza dimenticare che ci sono anche capitali che provengono dalla stessa Cina e che vi ritornano dopo aver fatto un giro nei paradisi fiscali per beneficiare dei vantaggi fiscali concessi ai capitali stranieri. Al punto che nel 2003 ad esempio, le Isole Vergini () hanno investito in Cina dieci volte più della Francia, più anche degli Stati-Uniti !

A partire dal 1996, le imprese di Stato, quindi organismi pubblici, sono state gradualmente autorizzate a licenziare. E' stato l'inizio di una privatizzazione graduale dell'insieme dell'apparato industriale. Così, dal 1998, più della metà delle grandi imprese di Stato sono state trasformate in società per azioni. Nel 2001, l'adesione della Cina all'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) ha consacrato la sua integrazione al mercato mondiale. E' tuttavia difficile sapere quanta parte dell'economia è stata effettivamente privatizzata : le cifre ufficiali dicono che il settore privato rappresentava il 63% nel 2004. Ma una buona parte delle imprese pubbliche, che sono state trasformate in società per azioni, restano per lo più controllate dallo Stato ; il 60% del capitale delle imprese quotate in borsa sarebbe detenuto dallo Stato o da investitori istituzionali e sulle 15 più grandi imprese cinesi, 14 sono controllate dallo Stato.

Una crescita miracolo ?

Tale ritorno al mercato è stato accompagnato dalla crescita dell'economia che da queste parti si indica come la base stessa del "miracolo" cinese. Dal 1979, questa crescita si aggirerebbe intorno ad una media del 9% all'anno. 25 anni fa, la Cina rappresentava l'1,5% degli scambi mondiali, ne rappresenta oggi il 6%. Produce l'85% dei trattori fabbricati nel mondo, il 75% degli orologi, il 70% dei giocattoli, biciclette e lettori di DVD, il 60% degli apparecchi fotografici digitali, il 50% dei computer portatili, il 30% dei televisori e delle lavatrici, ecc. Compera più di un terzo del carbone, del cotone, dell'acciaio e del cemento consumati ogni anno nel mondo. E, ci dicono, nel 2020 raggiungerà il Giappone, e nel 2040 o 2050, supererà la potenza economica americana. Che questo paese immenso giochi un ruolo nell'economia mondiale non ha niente di sorprendente. Ma benché al rialzo, il peso globale della Cina resta debole in termini relativi. Con più del 20% della popolazione del pianeta, rappresenta meno del 5% della produzione mondiale ; per gli Stati-Uniti, è l'inverso : 5% della popolazione e 20% della produzione mondiale. Lo si è detto, la Cina si colloca, per il suo PIL totale, appena davanti al Regno Unito o alla Francia, che contano un numero 20 volte inferiore di abitanti.

I commentatori ripetono che le statistiche cinesi sono false. E' verosimile. Così, ultimamente la Cina ha rivalutato il suo PIL del 17%. Ma ci si può fidare di questa cifra ? In passato, le statistiche cinesi, come quelle dell'URSS, non contavano l'attività dei servizi come una produzione reale. Ormai la prendono in considerazione per accontentare il mondo occidentale, il che spiega questa importante correzione. Di colpo, l'aumento del prezzo delle assicurazioni, l'ascesa dei prezzi legati alla speculazione immobiliare che infuria nelle grandi città, tutti gli aumenti di prezzi legati al moltiplicarsi degli intermediari ed alle tasse di ogni genere, sono ormai contabilizzate come un aumento delle ricchezze del paese ! Vale a dire che la crescita di questo famoso PIL è una nozione particolarmente fuorviante, in Cina come nei paesi occidentali.

C'è stata invece una crescita veramente "miracolosa" : quella della borghesia e della sua ricchezza. Da 25 anni a questa parte, la borghesia cinese si sviluppa rapidamente e la sua sete di profitti può esprimersi più liberamente. Questo rappresenta per essa una delle grandi conquiste del ritorno del mercato. Ma l'altra faccia di questo ritorno, è il deterioramento delle condizioni d'esistenza dei ceti popolari e l'aggravarsi brutale delle ineguaglianze.

L'aumento delle ineguaglianze

Le ineguaglianze non erano scomparse sotto il regime maoista . I privilegiati - che provenivano dalla vecchia borghesia, ma anche dai gruppi del nuovo potere - vivevano già in zone riservate, con le loro scuole, i loro negozi speciali, le loro automobili. Ma sebbene povera, tutta la popolazione poteva contare su una certa protezione dello Stato, nei settori sanitari, dell'istruzione, della pensione, o dell'occupazione. Oggi, tutte le protezioni sono state spazzate via le une dopo le altre, e quella che si chiamava "la ciotola di riso di ferro" - cioè un'occupazione stabile ed una protezione sociale - è oggi sostituita da dalla "ciotola di riso di terracotta", o dalla "ciotola di riso spezzato". E le ineguaglianze di ogni tipo aumentano rapidamente. Ufficialmente, il 10% più povero usufruisce solo del 1,4% della ricchezza del paese, mentre il 10% ricco ne concentra il 45%.

L'arricchimento della borghesia

Infatti, da un lato, una piccola parte della popolazione, i borghesi, gli affaristi, si sono rapidamente arricchiti e moltiplicati. "Arricchirsi è glorioso", diceva Deng Xiaoping. Oggi, 60 milioni di cinesi avrebbero un reddito superiore a 1400 euro al mese, cosa che permette loro di avere un'automobile, di fare le loro spese da Carrefour e, per alcuni privilegiati, giocare al golf, vestirsi all'occidentale o viaggiare all'estero. Una decina di milioni di cinesi hanno redditi comparabili alla media borghesia d'occidente - di cui imitano il gusto per le automobili di lusso, gli orologi ed i profumi di marca, l'alta moda. 300.000 di loro sono anche milionari in dollari.

Lo si è visto: molto spesso questi privilegiati sono ex capitalisti della Cina di prima di Mao o loro discendenti riciclati. E poi, fra i nuovi cinesi ricchi, ci sono anche i dignitari del regime, che costruiscono la loro fortuna con le privatizzazioni, mediante lo sviluppo di imprese capitaliste, ma anche mediante furti della proprietà pubblica. La corruzione è generale. La stampa cinese stessa si fa regolarmente portavoce di tutte le circostanze in cui i direttori di fabbrica, gli alti funzionari, i responsabili locali si arricchiscono sulle spalle della popolazione : fabbriche liquidate a causa delle malversazioni pubbliche, terre coltivate vendute contro bustarelle, corsi d'acqua vitali inquinati, senza parlare della corruzione quotidiana dei funzionari che vendono ogni sorta di documenti amministrativi, fino ai certificati di sterilizzazione.

Un affare che ha fatto particolarmente scandalo illustra la cupidigia di alcuni responsabili provinciali e lo scarso conto in cui tengono la vita della gente. In occasione di un traffico di sangue nella provincia del Henan, nella metà degli anni novanta, nell'ambito di una campagna il cui slogan era "dare il sangue è glorioso", i contadini vendevano il loro sangue in condizioni d'igiene deplorevoli. Poi, i responsabili, benché coscienti dei rischi incorsi, separavano il plasma dai globuli bianchi e dalle piastrine in una centrifuga in cui tutti i doni erano mescolati. Il sangue alleggerito del plasma era in seguito iniettato nuovamente nelle vene dei donatori, per impedirgli di indebolirsi. Infine, il plasma era venduto con profitto a gruppi stranieri che commerciano prodotti derivati dal sangue. Così, centinaia di migliaia di abitanti sono stati contaminati dal virus dell'AIDS. Questo scandalo illustra anche la miseria nella quale si dibatte la popolazione delle campagne : per 4 euro il dono, i donatori vendevano il loro sangue fino a venti, trenta volte al mese.

La povertà nelle campagne

Ma gli strati sociali che si sono arricchiti in questi ultimi venti anni costituiscono solo una piccola minoranza. L'altra faccia di questo arricchimento è la povertà della grande maggioranza. La Banca Mondiale si congratula del fatto che 170 milioni di cinesi siano usciti dalla povertà in dieci anni - ciò significa soltanto che hanno più di un dollaro al giorno per vivere - cioè 0,80 euro. Ma ci sarebbero ancora più di 160 milioni di persone al di sotto di questa soglia. E circa la metà della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, la maggior parte nelle campagne.

Certamente, sotto Mao, i contadini cinesi non nuotavano nell'oro. Ma finché avevano la terra, potevano sperare di viverne. Oggi, la terra è diventata oggetto d'arricchimento, di speculazione - alcuni ne accumulano, mentre altri ne sono privati. La maggior parte della popolazione rurale, cioè circa la metà della popolazione cinese, vive dell'agricoltura. O piuttosto ne sopravvive : oggi, ogni famiglia contadina possiede in media 0,65 ettari di terra coltivabile, ossia la dimensione di un grande giardino, e si tratta di una media ! Ci sarebbero da 60 ad 80 milioni di contadini senza terra, e più di un quarto della popolazione rurale sarebbe scarsamente impiegata. Ne consegue l'emigrazione incessante verso le città. E questo flusso continuerà, poiché il fossato tra città e campagne si approfondisce : nel 1984, il reddito rurale pro capite rappresentava il 60% del reddito urbano, oggi solo il 30%, ossia 260 euro in media all'anno, rispetto a 850 euro nelle città. E queste medie dissimulano ineguaglianze crescenti, considerevoli : a Shangai, la vetrina della Cina contemporanea e sviluppata, il reddito annuale medio è appena superiore a 5000 dollari ; ma in una provincia rurale come l'Anhui, i 63 milioni di abitanti vivono con un reddito pro capite sette volte inferiore. E in alcune province rurali povere, è ancora inferiore della metà.

Il degrado dei servizi pubblici

Le ineguaglianze crescono ancora a causa del deterioramento dei servizi pubblici. Molti di essi sono, in effetti, parzialmente privatizzati, come l'istruzione e le infrastrutture mediche.

L'istruzione.

Fino a che sono state mantenute le riforme fatte 25 anni fa, i bambini beneficiavano di una protezione di fatto : lavoro vietato, scuola e cure gratuite. Oggi, nelle regioni più povere, un bambino su cinque lascia la scuola prima della fine delle elementari, a 12 anni. Il sistema educativo, che fu relativamente egualitario, è stato riformato nel 1986 e dipende ormai dai distretti. Sebbene questo sia teoricamente vietato, le spese scolastiche sono aumentate in media di 15 volte : le scuole fanno pagare ai genitori l'iscrizione, le tute, i libri, i pasti, il tè, il trasporto, gli esami - ciò rappresenterebbe ormai il 45% delle spese totali dell'educazione, mentre prima quasi tutto era finanziato dallo Stato. In città, gli strati agiati possono pagare un insegnamento di buona qualità ai loro figli. Nelle campagne, l'educazione, anche solo elementare, diventa un lusso, senza parlare della scuola media. E nelle regioni più povere, le spese scolastiche sono esorbitanti. Su scala nazionale, il numero di scuole elementari è diminuito, in 25 anni, quasi della metà, mentre il numero di allievi è diminuito soltanto dell'11%. La scarsità delle scuole costringe un numero crescente di allievi a trascorrere la settimana in pensione, il che aumenta il costo della frequenza scolastica. La Cina è ormai uno dei paesi al mondo che, in proporzione al PIL, spende meno per l'educazione. Ciò nonostante, all'altro estremo della società, gli istituti privati, i cui prezzi di iscrizione spesso sono molto elevati - per esempio, da 8000 a 20.000 euro l'anno per i licei più prestigiosi di Pechino - si moltiplicano, dalla scuola materna all'università. Oggi ce ne sarebbero un centinaio di migliaia, ossia un istituto su dieci. E' stato eretto un sistema privato di educazione di qualità per i ricchi.

La salute e la previdenza sociale

Il sistema sanitario rurale è diventato a pagamento e trascura tutti quegli aspetti della sua funzione sociale che non siano redditizi, privando i più poveri dell'accesso alle cure. Le spese correnti, farmaceutiche e di consultazione, dipendono da un conto personale, e sono a carico dei pazienti - sono rimborsate dalla previdenza sociale solo per il 10 - 30%. Secondo un rapporto ufficiale, la metà della popolazione cinese non va dal medico quando è malata, per mancanza di soldi. Nello stesso tempo, sono apparsi ospedali privati, e gli ospedali pubblici, finanziariamente autonomi, hanno obiettivi di redditività ai quali medici e personale sono interessati. Il fatto di non assistere persone in pericolo di vita è diventato una pratica corrente, e i giornali parlano di casi in cui ospedali rifiutano donne in procinto di partorire, feriti gravi, malati, che muoiono successivamente per strada. I vecchi sistemi della previdenza sociale e delle pensioni sono stati smantellati. Solo un terzo dei pensionati riceve regolarmente la pensione ; quanto ai sussidi di disoccupazione, quando sono pagati sono ridicoli. Decine di milioni di cinesi disoccupati sopravvivono soprattutto grazie alle relazioni familiari.

La povertà urbana

Nelle città interne del paese la disoccupazione è cresciuta. In questi ultimi anni ci sono stati decine di milioni di licenziamenti. Tra il 1996 ed il 2003, le imprese statali, che impiegavano 113 milioni di lavoratori, hanno soppresso 45 milioni di posti di lavoro. Ma tali imprese non avevano solo un ruolo economico di produzione di beni ma anche un ruolo sociale importante, che assicurava la pensione, la copertura sanitaria, l'alloggio dei loro salariati. Era la "ciotola di riso in ferro". La chiusura della fabbrica non vuol dire solo la perdita del salario per i lavoratori licenziati ma anche la perdita della loro copertura sociale oppure dell'alloggio. Regioni con industrie tradizionali, come la Manciuria, sono completamente sinistrate, alcune città sono devastate. Ad esempio, nel grande complesso petrolifero di Daqing, tra la fine del 2000 e la metà del 2002, 80.000 dei 300.000 operai sono stati licenziati. Un aneddoto, fra tanti altri, illustra l'emergenza che prevale in queste città : in una di esse, nel Nord-est, una società petrolifera aveva licenziato 30.000 dipendenti nel 2000. Nell'agosto 2005 ha annunciato che avrebbe riassunto alcuni operai ad orario ridotto : i divorziati, in particolare le madri celibi, spesso povere, avrebbero avuto priorità nell'assunzione. Ebbene, nei giorni che seguirono, centinaia di coppie andarono a divorziare, a volte sottobraccio, per disporre del certificato di divorzio, al fine di ottenere un posto di lavoro mal pagato.

Nelle città, la povertà colpisce in particolare i "lavoratori migranti" cacciati dalle campagne a causa della miseria; 120 -130 milioni di mingong, chiamati la "popolazione fluttuante". Molti migranti sono donne e bambini. Una volta in città, formano i grandi battaglioni dei senzatetto che errano da una stazione all'altra. Le amministrazioni di alcuni distretti rilasciano permessi per mendicare (10 euro all'anno). La maggior parte dei mingong passano da un'occupazione temporanea ad un'occupazione precaria, sui cantieri o nelle officine, si danno in affitto giorno per giorno, in strada, sulle piazze delle grandi città. Non possono beneficiare del hukou, il permesso di residenza. L'hukou lega gli individui al loro luogo di nascita, ed è molto difficile ottenere un trasferimento, poiché le autorità cercano di limitare l'esodo rurale. Solo i detentori di tale certificato possono accedere alle occupazioni dichiarate, ai servizi pubblici, all'istruzione dei bambini, ai prestiti per comperare un alloggio, ad un'indennità in caso di licenziamento. La grande maggioranza di questi lavoratori migranti o precari, cioè una parte crescente della classe operaia cinese, ne è esclusa. Ad esempio, a Shenzhen, città passata da 30.000 circa a 10 milioni di abitanti, solo 1,6 milioni di loro hanno lo hukou mentre gli altri sono dei mingong.

Contraddizioni contenute dalla dittatura

Il regime cinese dell'epoca di Mao era una dittatura feroce ; lo è restato. I cambiamenti economici non sono stati accompagnati da alcuna democratizzazione. La sanguinosa repressione dei manifestanti sulla piazza Tienanmen, nel giugno 1989, che fece più di mille morti, seguita da una repressione brutale in tutto il paese, è stato l'aspetto più visibile della brutalità del potere. Oggi, il malcontento che si esprime viene represso violentemente.

Il paese detiene il record mondiale delle esecuzioni capitali : almeno diecimila persone all'anno. Ufficialmente, riguardano i crimini di sangue, il traffico di droga, ma anche la frode fiscale, la corruzione, il contrabbando, la pirateria informatica e persino l'uccisione di un panda. L'attuale campagna contro la criminalità è stata battezzata "colpire con forza". È cominciata nel 1984 ed è stata violentemente rilanciata nel 1996, ufficialmente a causa della recrudescenza della criminalità ; in un mese, trecentomila persone furono arrestate e quattromila condannati giustiziati, secondo Amnesty International. In realtà, come succede spesso, la repressione dei crimini comuni dissimula e facilita quella delle libertà politiche. La tortura e i maltrattamenti sono correnti. Il laogai è una gigantesca rete di almeno un migliaio di "campi di riabilitazione del lavoro", in realtà di lavori forzati : parecchi milioni di prigionieri devono lavorare dieci ore al giorno in condizioni durissime e subiscono soprusi, botte, torture, quando resistono. Come nell'URSS della burocrazia, gli ospedali psichiatrici sono utilizzati per incarcerare oppositori politici con pretesti medici. Tutti quelli che militano, in un modo o nell'altro, contro il potere locale o nazionale, sono ugualmente vittime della repressione : militanti operai, sindacalisti, democratici, militanti contro gli espropri, contro gli sfratti, associazioni di vittime dell'Aids, nazionalisti o religiosi del Tibet, i nazionalisti, meno conosciuti, uigur del Xinjiang (una minoranza etnica del Nord-Ovest del paese) ed anche i membri della setta religiosa Fa Lun Gong, di cui parecchie migliaia sono morti sotto tortura. La repressione colpisce anche le forme di protesta più elementari.

Ciononostante, malgrado tutto, alcuni contadini lottano. Queste lotte scoppiano per motivi diversi, ma che si rifanno spesso ad espulsioni forzate, a requisizioni di terre a volte senza alcun indennizzo per i contadini. Nella maggior parte dei casi, questi espropri si verificano per permettere la realizzazione di questo o quel progetto industriale o immobiliare redditizio, in particolare nelle zone che si urbanizzano. Quasi trentaquattro milioni di agricoltori avrebbero così perduto tutto o parte delle loro terre tra il 1987 e il 2001. L'episodio della diga delle Tre-Gole, sul fiume Yangtze, è il più noto : avrebbe necessitato lo spostamento di più di un milione di abitanti e la scomparsa di centinaia di città e di villaggi. I preparativi per i giochi olimpici di Pechino, nel 2008, sono l'occasione per requisizioni brutali, gli abitanti dei quartieri popolari sono stati espulsi e le loro case rase al suolo. Secondo le cifre ufficiali, nel 2004 ci sono stati più di ottantamila espropri illegali di terre. Ed ogni settimana scontri si verificano tra contadini ed autorità locali - in tutto ci sarebbero state 74.000 manifestazioni, movimenti e proteste nel 2004, raggruppando 3,5 milioni di persone. Per esempio, all'inizio del mese di giugno 2005, in un villaggio, sei persone sono state uccise ed una cinquantina ferite da una banda di duecento sicari perché rifiutavano di obbedire ad un ordine di sgombero ; l'utilizzo di tali milizie è una pratica frequente da parte dei poteri locali. Il 6 dicembre scorso, a Dongzhou, vicino a Canton, centinaia di abitanti dei villaggi hanno manifestato quando una centrale elettrica è stata costruita sulle loro terre per le quali non erano stati sufficientemente indennizzati ; la polizia ha sparato sulla folla facendo ufficialmente tre morti, 30 secondo gli abitanti. Altrove ancora, è per ottenere la chiusura di fabbriche inquinanti che migliaia di manifestanti hanno resistito per diversi giorni ai gendarmi locali. Come dappertutto nel paese, l'economia di mercato trionfante si apre la strada nel sangue, nella spoliazione e nella repressione.

Di fronte a tali rischi di esplosione sociale, i dirigenti cinesi sono prudenti. Fino ad ora, hanno proceduto allo smembramento dell'economia statale solo a piccoli passi. Certo, la borghesia vorrebbe che il processo fosse più rapido, vorrebbe potersi spartire senza vergogna tutti i settori redditizi dell'economia o che possono diventarlo, foss'anche a costo di catastrofi sociali. Sarebbe pronta a far saltare tutte le tutele, tutte le protezioni sociali, se da questo ne ricava profitto. Ma la direzione dello Stato cinese allenta le briglie solo gradualmente. Perché sa che altrimenti tutto dell'edificio rischierebbe di crollare. Sa troppo bene cosa successe sotto Ciang Kai-shek, quando il saccheggio generalizzato tagliò il ramo sul quale erano seduti i privilegiati, e quando gli investimenti a lungo termine, indispensabili, vennero sacrificati al profitto immediato. Così, nell'interesse stesso della borghesia, gli uomini al potere a Pechino mettono qualche freno alla voracità degli uni e degli altri.

Quanto ai dirigenti del mondo imperialista, non serbano rancore ai dirigenti cinesi per questa marcia a piccoli passi. In un certo senso, sono contenti che le cose vadano meglio che in Russia. Ed è anche per questo che chiudono un occhio sulla dittatura ; sanno fino a che punto questa permette di contenere le considerevoli tensioni create dai cambiamenti economici in corso. Che lo Stato cinese gestisca i suoi poveri, in modo che i trust occidentali possano sfruttarli senza vergogna !

Una nuova superpotenza?

Ecco dunque su cosa si fonda l'entusiasmo dei capitalisti occidentali in merito ai cambiamenti che avvengono in Cina. Quando lodano il suo "risveglio", quello che li rallegra è in realtà la possibilità di sfruttare masse sempre più grandi di cinesi. E poi c'è l'entusiasmo dei commentatori borghesi per il capitalismo : a starli a sentire, basterebbe che un paese del terzo mondo si converta al mercato per diventare ricco, ricchissimo, per raggiungere i paesi più avanzati.

Sia detto per inciso, non è la prima volta che qualcuno preannuncia sapientemente che la Cina diventerà una grande potenza economica, inondando il mercato mondiale. Già qualche tempo fa, un distinto economista scriveva che "i cinesi presto diventeranno dei produttori di primo ordine" e che "l'equilibrio internazionale sul quale poggia il regime sociale delle grandi nazioni industriali dell'Europa" sarà minacciato di rottura violenta dalla "brusca concorrenza, anormale ed illimitata, di un immenso nuovo paese." Eravamo nel 1901, ed allora veniva chiamato il Pericolo giallo, di cui si discuteva seriamente, negli Stati-Uniti, ma anche all'Assemblea nazionale francese ! A parte la formulazione grossolanamente razzista, si trovano idee simili in molti testi attuali che presentano la Cina come la nuova superpotenza economica.

Ma questo quadro idilliaco - o da incubo, secondo il punto di vista - che fa della Cina una futura grande superpotenza capitalista, ignora l'enorme dipendenza del suo sviluppo nei confronti dell'imperialismo.

La Cina, officina dei paesi ricchi

La Cina è, dal 2003, il primo destinatario mondiale di investimenti all'estero, davanti agli Stati-Uniti. Nel 1986, le multinazionali installate sul suo territorio realizzavano il 2% delle esportazioni cinesi ; oggi, ne realizzano la metà. Se gli investimenti stranieri aumentano, in rapporto alla popolazione appaiono molto più modesti. Ma il vero problema non è la quantità di tali investimenti, quanto il loro utilizzo. Una buona parte di questi serve solo a sviluppare una produzione interamente consacrata al mercato internazionale. Ecco che le grandi imprese straniere aprono fabbriche in Cina, importano gli elementi necessari alla produzione, per poi successivamente esportare la quasi-totalità di questa produzione verso il paese d'origine dei capitali o verso altri mercati. Farvi arrivare i pezzi aumenta le importazioni cinesi, e i prodotti che ripartono aumentano le esportazioni, gonfiando così le statistiche che fanno della Cina una grande potenza commerciale, ma senza che ciò contribuisca allo sviluppo del paese.

Per illustrare tale rapporto di dipendenza della Cina nei confronti dell'imperialismo, si può prendere l'esempio di un prodotto, un mouse di computer chiamato Wanda, che si vendeva ultimamente, sembrerebbe, molto bene, a decine di milioni di esemplari all'anno. Sulla carta, Wanda, fabbricato a Suzhou, vicino a Shangai, da 4.000 operai, era cinese. Ma i chip ed i sistemi ottici che lo costituivano erano americani. E l'impresa Logitech, con sede in California, che l'aveva concepito, lo produceva e lo commercializzava è americano-svizzera. Questo mouse era venduto a 40 dollari ; di questi, solo 3 dollari andavano in Cina, e non solo per i salari ma anche per tutti i costi connessi (elettricità, stoccaggio, trasporto, ecc.). Nell'officina di fabbricazione, la grande maggioranza degli operai erano giovani operaie, pagate 75 dollari al mese, che dormivano sul posto. Questo mouse - e centinaia, migliaia di prodotti che obbediscono allo stesso schema () - illustra la posizione attuale dell'economia cinese nella divisione internazionale del lavoro : quella di assemblatore, di officina di montaggio, la cui manodopera è nello stesso tempo immensa e dal costo infimo, ma non quella di una potenza capitalistica capace di concorrere con le altre. Infatti, la Cina si iscrive nel processo classico del sottosviluppo : è una tappa nella produzione la cui gestione ed i profitti si trovano nei paesi ricchi. Ed i principali beneficiari dello sfruttamento degli operai cinesi sono in primo luogo le multinazionali straniere ().

Tutto ciò non trasforma l'immensa Cina in un mercato per i capitalisti, per la semplice ragione che per costituire un mercato bisogna che ci siano soldi, e ne hanno solo qualche decina di milione di cinesi della classe più o meno privilegiata. Quando i capitalisti occidentali investono là, è a questo mercato che si rivolgono o al mercato costituito dallo Stato stesso. Nella guerra commerciale che si fanno i trust occidentali, la sfida è per sapere chi fornirà l'aviazione civile cinese, Boeing o Airbus, chi fornirà le ferrovie cinesi, Alstom o Siemens, ecc.

Quanto alle imprese a capitale cinese, sono poche quelle presenti sui mercati mondiali in maniera significativa. Nella stampa padronale, si lodano la compagnia di elettrodomestici Haier, l'impresa di elettronica TCL, la società d'informatica Lenovo (che ha riacquistato, udite, udite, il settore PC di IBM), ecc. Ma in tutti questi casi si tratta di aziende inizialmente finanziate dallo Stato e che, spesso, lo sono ancora. E, sui mercati mondiali, rimangono in generale dei nani. Quanto alle imprese automobilistiche cinesi, di cui alcuni giornali occidentali narrano il successo, ce ne sono, è vero, quasi un centinaio, ma ciò dimostra in primo luogo lo spezzettamento dell'economia cinese : ognuno di queste aziende fabbrica in media quindicimila vetture all'anno, mentre i dieci maggiori trust internazionali ne producono più di un milione ciascuno. Il più grande fabbricante cinese, SAIC, ha un fatturato equivalente al 20% di quello della Renault, senza parlare delle ditte americane. E la grande maggioranza dei cinque milioni di macchine prodotte ogni anno in Cina provengono da ditte miste, da "joint ventures" i cui brevetti, le tecnologie, ecc, sono di multinazionali occidentali, che intascano anche una gran parte dei profitti.

La stampa sottolinea l'aumento delle esportazioni cinesi, il fatto che fungerebbero da locomotiva per tutta l'economia del paese, e i grandi eccedenti commerciali realizzati con i paesi occidentali, Stati-Uniti in primo luogo. Le esportazioni cinesi sono aumentate di otto volte tra il 1990 e il 2003 e rappresentano ormai quasi il 35% del prodotto interno lordo. Ma lungi dall'essere un segno di prosperità, questa cifra che, nei paesi ricchi, non va oltre il 15% testimonia soprattutto la posizione di debolezza dell'economia cinese in rapporto al mercato mondiale, da cui tanto dipende. Gli Stati-Uniti, l'Europa, il Giappone sono pronti ad accogliere sui loro mercati le magliette, le bacinelle di plastica, i giocattoli cinesi, vale a dire prodotti di industrie che poggiano su una manodopera di massa, se possono venderli, e anche in coproduzione, aerei, treni a grande velocità, centrali nucleari, vale a dire prodotti ad alta tecnologia. In breve, la Cina scambia molto lavoro contro meno lavoro umano ; piuttosto che una prova di sviluppo, si tratta di una delle caratteristiche del sottosviluppo.

Il finanziamento del debito americano

Inoltre, anche le esportazioni cinesi sono spesso a vantaggio degli Stati-Uniti. Certo, nei rapporti commerciali tra i due paesi, la Cina è la potenza che esprime eccedenti : le imprese cinesi vendono agli Stati-Uniti cinque volte più di quanto le imprese americane vendono in Cina. E la Cina ha riserve di valute considerevoli. Ma cosa fa di tali valute? Ebbene, la Cina è uno dei principali compratori dei famosi buoni del Tesoro americani, dal rendimento molto basso, e che permettono agli Stati-Uniti di vivere a credito sulle spalle del resto del mondo. Un universitario americano riassume così il modo in cui gli Stati-Uniti accumulano profitti alle spese della Cina : questa, dice, "produce miliardi di merci di basso valore aggiunto, ma questo è un miracolo creato dal numero, non dal valore : gli americani ottengono merci a buon mercato, poi prendono prestiti dalla Cina a tassi irrisori". Infatti, sostanzialmente l'eccedente commerciale cinese finanzia l'economia degli Stati-Uniti. E nella misura in cui i buoni del Tesoro permettono di sostenerne il consumo, si può dire ugualmente che una parte della ricchezza prodotta con lo sfruttamento degli operai cinesi permette in fin dei conti ai consumatori americani di comprare sempre più merci fabbricate... in Cina.

Un paese che rimane sottosviluppato.

In tutti i servizi della stampa, si esalta Shangai, il primo porto del mondo, i suoi grattacieli ed i suoi telefonini cellulari, una città che può sembrare ultramoderna, di fronte alla quale New York o Parigi sembrano quasi sobborghi di provincia. Ma si dimentica che la Cina è un immenso paese, dove a fianco di qualche città che si sviluppa, ci sono regioni ancora quasi ferme al medioevo. Sia detto per inciso, negli anni trenta era la stessa cosa : Shangai, il centro finanziario dell'Asia, si presentava come una città straordinaria, mentre a qualche decina di chilometri la società era feudale. Qualche oasi di modernità non trasforma un oceano di miseria e di arretramento in un ricco continente - al contrario, sono uno dei tratti caratteristici del sottosviluppo. Per esempio, in media c'è solo un'automobile ogni 65 persone in tutto il paese. Per fare un paragone, in Francia ce n'è una ogni due persone, che per i cinesi corrisponde al tasso di diffusione... di biciclette.

Infatti, la Cina è presa sempre nella stessa contraddizione, legata alla sua posizione di paese sottosviluppato. Ormai può integrarsi nella divisione internazionale del lavoro, ma solo come retrobottega del mondo sviluppato, dove, per un pezzo di pane, lavorano duro quelli che permettono ai proprietari della boutique di prosperare. Si ritrova nello stesso vicolo cieco da un secolo. Esporta molto più di prima? In questo modo si fa estorcere il proprio lavoro. Accoglie investimenti esteri? È per il profitto delle multinazionali, che non hanno assolutamente l'obiettivo di sviluppare il paese, ma unicamente di razziarlo. Entra nell'Organizzazione Mondiale del Commercio? Ma è costretta ad accettarne le regole, ad aprire il mercato interno alle importazioni e, invece di ricorrere all'imitazione dei prodotti di marca, a comprarne i brevetti occidentali a caro prezzo. Forma scienziati? Ma non ne tratterrà che pochi, i migliori in ogni modo andranno a lavorare negli Stati-Uniti o per le multinazionali occidentali. Aprendosi, accettando le leggi del commercio mondiale, la Cina autorizza a farsi dissanguare, autorizza il saccheggio delle sue risorse, accetta che si sfrutti la sua manodopera. Senza un largo mercato interno, non si può costruire un'industria solida. Dipendente dal mercato mondiale e dalle sue variazioni, la sua economia è fragile.

Che una minoranza di ricchi cinesi possano trarne vantaggio, è vero. Ma è evidente che questo avviene sulla base dell'accrescimento delle ineguaglianze, delle difficoltà per la grande massa della popolazione, del sovrasfruttamento del proletariato.

Il proletariato cinese

La classe operaia cinese è sottoposta ad uno sfruttamento forsennato, dove la cupidigia dei capitalisti occidentali fa a gara con quella dei borghesi locali. Le informazioni accessibili, spesso diffuse dai sindacalisti, dalle associazioni di immigrati, a Hong Kong oppure negli Stati-Uniti, sono poche e riflettono solo una piccola parte della condizione operaia in Cina. Ma sono comunque particolarmente rivoltanti.

Condizioni di lavoro da XIX secolo

La grande maggioranza dei lavoratori delle fabbriche più recenti, orientate verso l'esportazione, sono donne. Sono giovani, la maggior parte di queste fabbriche rifiutano di assumere operaie di età superiore ai 25 anni, e non esitano ad impiegarne di età inferiore ai 16 anni. Le cifre della crescita economica non si traducono in una progressione dei salari. Un padrone della provincia di Canton si vanta con gli industriali francesi venuti sul posto : "da dieci anni, i salari non sono variati. E d'altronde non credo che avrò bisogno di aumentarli nei dieci prossimi anni." E in effetti, secondo un rapporto della banca centrale, nella regione di Canton, la prima ad essere liberalizzata, in dieci anni, i salari reali - nella maggior parte dei casi da 60 a 80 euro al mese - sono aumentati meno dei prezzi. In altre regioni, come Shangai, i salari sono un po' più elevati, ma la vita è più cara. E nel centro o all'ovest del paese, i salari operai sono molto più bassi... quando vengono pagati. Infatti, solo per i lavoratori migranti, i salari non pagati raggiungono ufficialmente, in media, due mensilità.

La sicurezza dei lavoratori è, certo, l'ultima preoccupazione degli sfruttatori. E' inesistente ovunque, ma gli operai rischiano la loro vita quotidianamente in particolare nelle miniere di carbone, di cui la Cina è il primo produttore mondiale. Le miniere causano ufficialmente 6 mila morti all'anno ma le cifre reali sono più vicine ai ventimila, i lavoratori migranti impiegati nelle miniere private non sono contabilizzati se nessuno ne reclama i corpi. Questi incidenti non sono dovuti al caso, ma alla sete di profitti. In molte miniere cinesi, in grande maggioranza private, i minatori scendono senza ascensore, senza la minima protezione e senza attrezzature adeguate, addirittura lavorano giacendo bocconi, per terra. Un esempio : il 14 febbraio 2005 un'esplosione ha fatto 213 morti ; la densità di gas aveva oltrepassato da giorni quella autorizzata, ed alcuni minatori non volevano più scendere - sono stati costretti a farlo dal padrone che ha imposto loro una multa quotidiana di 10 euro, molto più del loro salario. Nella maggior parte dei casi, gli ispettori incaricati della sicurezza sono dei funzionari locali, associati ai proprietari, corrotti, e che chiudono gli occhi sui rischi di incidenti. Senza contare le decine di migliaia di morti all'anno di silicosi, il cui numero è indeterminato, ma che l'Organizzazione Mondiale della Sanità valutava già a 24 mila dieci anni fa.

Nelle imprese, la settimana di lavoro è in media di 50 ore, secondo le statistiche ufficiali. Ma in molti casi, le giornate sono di dodici ore e più, senza riposo settimanale. Le operaie spesso vivono in dormitori adiacenti alle officine : le imprese dette "tre-in-uno" si sono moltiplicate : in uno stesso edificio, si trovano le officine, i depositi, ed i dormitori. Le imprese occidentali non sono da meno nel sovrasfruttamento del proletariato cinese. Un cortometraggio girato clandestinamente nel mese di agosto scorso mostrava testimonianze di operai, mascherati, sulle loro condizioni di lavoro. Questi operai dell'impresa Hung Hing fabbricano libri per bambini per conto di Disney, in una fabbrica di Shenzhen. Nelle tre fabbriche di questa impresa, circa dodicimila operai, soprattutto donne, lavorano 70 ore a settimana. Sono pagate a cottimo. Gli operai che testimoniavano, avevano le mani fasciate, si erano feriti maneggiando le presse delle stampa tipografiche senza protezioni, raccontavano che gli incidenti sul lavoro erano quotidiani. Metà di loro era alloggiata gratuitamente nei dormitori della fabbrica ; ma l'altra metà era meno fortunata, poiché ci vogliono circa dieci euro, con salari di sessanta euro, per trovare un alloggio, spesso a mezz'ora di distanza, a piedi. In un'altra fabbrica che lavora per la Disney, la giornata di lavoro è di tredici ore, sette giorni alla settimana. Piuttosto che pagare il congedo per maternità legale, che è di tre mesi, l'impresa costringe le donne incinte alle dimissioni.

La catena di negozi Wal-Mart, la più grande impresa del mondo, importa ormai la maggior parte dei suoi prodotti dalla Cina. In una fabbrica di giocattoli che la rifornisce, durante l'alta stagione, a novembre e dicembre, la giornata di lavoro comincia alle 7:30 e finisce alle 22:30 o a mezzanotte, addirittura alle 3 del mattino, sette giorni alla settimana. Queste fabbriche praticano il sistema delle multe e delle sanzioni che erano comuni in Europa all'epoca della rivoluzione industriale, e che si generalizzano in Cina : per un ritardo di 10 minuti, mezz'ora di salario prelevata ; per un'assenza di un giorno, tre giorni ; e per tre giorni d'assenza il licenziamento senza pagamento degli arretrati.

Lotte operaie

Queste rivelazioni hanno fatto scandalo negli Stati-Uniti, ma non hanno impedito alle multinazionali in questione di continuare a rifornirsi presso le stesse imprese. Ma la classe operaia cinese non conta sui "codici di buona condotta" ipocritamente redatti dalle imprese occidentali. In molte situazioni, combatte.

Non si tratta di magnificare un movimento operaio evidentemente sul nascere, che sembra spezzettato e senza coordinamento, e di cui, inoltre, non sappiamo che quanto alcune agenzie di stampa ci riportano. Ma con i suoi quasi 100 o 120 milioni di membri nella sola industria, la classe operaia cinese è numericamente la più forte del mondo. E per noi, comunisti, il fatto che anche una sola frazione di questa classe operaia lotti, è una promessa per il futuro, la sola promessa vera di trasformazione su cui il paese può contare.

Qualche anno fa, nel 2002, grandi lotte furono condotte dagli operai licenziati dalle grandi fabbriche di Stato. A Daqing, nel nord della Cina, il più grande complesso petrolifero del paese è stato parzialmente privatizzato ed ha licenziato 80 mila persone. Per mesi, decine di migliaia di lavoratori hanno manifestato, al grido di "lavoro e cibo", per esigere le indennità di licenziamento che la compagnia aveva promesso ma mai dato e reclamare la liberazione di quelli che erano stati incarcerati. Il movimento aveva cominciato ad estendersi ad altri centri petroliferi. Nella primavera del 2002, manifestazioni simili si verificarono a Liaoyang, al nord di Pechino. Più recentemente, il 7 ottobre scorso, a Chongqing, nel centro del paese, duemila operai hanno manifestato contro la chiusura di un'acciaieria, in fallimento dopo che i dirigenti avevano vuotato le casse dell'impresa. Chiedevano che la fabbrica li indennizzasse con 200 euro ciascuno. La polizia li ha caricati ed ha ucciso due manifestanti.

Scioperi e manifestazioni coinvolgono anche lavoratori delle imprese private, spesso in fabbriche orientate verso l'esportazione. Le lotte scoppiano per diverse questioni, sempre legate al sovrasfruttamento : dai consistenti arretrati non pagati, ad orari disumani, all'insicurezza sul lavoro, agli insulti ed alle botte inferti dai capi reparto, ai salari bassi, ecc. Per esempio, nel luglio 2004, i lavoratori di una fabbrica di pile elettriche appartenenti all'impresa di Hong Kong chiamata a giusto titolo "Gold Peak" (la Montagna d'oro) sono scesi in lotta contro l'avvelenamento al cadmio di 370 di loro. Hanno ottenuto la costituzione di un fondo per la cura e l'indennizzo di questi operai. Altro esempio : due fabbriche appartenenti a Stella, un'impresa di Taiwan che fabbrica scarpe per Nike ed altre grandi marche, pagavano i loro operai meno di quanto convenuto. Di fronte ad una nuova diminuzione del salario, il 21 aprile 2004, circa mille operai hanno distrutto alcune macchine ed attaccato i capi reparto, seguiti da tremila operai nell'altra fabbrica. La polizia anti sommossa è intervenuta e dieci istigatori sono stati arrestati e condannati ad anni di carcere mentre diverse decine di operai sono stati licenziati. E si potrebbero citare ben altri esempi.

Certo, questi scioperi hanno spesso obiettivi limitati e sono circoscritti. Ma, sempre più, scoppiano lotte per la costituzione di organizzazioni operaie, di sindacati indipendenti - un proverbio cinese dice che "un bastoncino è facile da rompere, ma dieci bastoncini sono duri come ferro". Il solo sindacato legale è interamente agli ordini del regime e dei padroni, ed il diritto di sciopero, senza essere formalmente vietato, è stato ritirato dalla costituzione cinese nel 1982. Nell'aprile 2005, a Shenzhen, in una fabbrica di telefoni cordless che rifornisce Wal-Mart, diecimila operai hanno scioperato per aver il diritto di creare un sindacato indipendente. Stessa cosa si è verificata a Uniden, una fabbrica elettronica giapponese dove dieci dei dodicimila operai sono scesi in sciopero per i salari, nel dicembre 2004. Nei mesi successivi, ci sono stati cinque scioperi, per diverse rivendicazioni tra cui la costituzione di un sindacato. I lavoratori hanno costituito un sindacato indipendente, sotto la direzione di operai qualificati e di tecnici. Anche in questo caso, hanno subito arresti e incarcerazioni.

Lo ripetiamo, non si tratta di esagerare la portata di tali lotte. Sono sparse e spesso sconfitte. Ma questi scioperi, di cui alcuni recenti, a volte hanno permesso ai lavoratori che li conducevano di ottenere indennizzi migliori di quanto era loro offerto precedentemente. Per esempio questo si è verificato nell'autunno 2004, quando settemila operai, soprattutto donne, hanno scioperato per sette settimane in una fabbrica tessile di Xianyang, nello Shenxi, contro il licenziamento annunciato di tutti gli operai, seguito dalla riassunzione di una parte di loro a condizioni draconiane ; gli scioperanti sono riusciti a far indietreggiare il padronato locale sulla diminuzione dei salari ed il periodo di prova per i lavoratori riassunti. Sono riusciti, allo stesso tempo, a far liberare la ventina di animatori dello sciopero che la polizia aveva arrestato.

Dove va la Cina ?

In conclusione, dove va la Cina ? Quello che possiamo dire è che è lontana, molto lontana, dal sorpassare gli Stati-Uniti, qualunque cosa dicano quelli che, nella loro ammirazione beata per l'economia di mercato, le predicono tale avvenire a breve termine. Se la Cina capitalista si sviluppa, non per questo è diventata un paese ricco. Dopo tre decenni a margine del mercato mondiale, il posto che conquista oggi è quello di un paese sottosviluppato, che vende la sua immensa manodopera a basso prezzo. Un paese come tanti altri paesi del terzo mondo, con la differenza che la Cina conta un quinto della popolazione mondiale. È un gran paese per la sua estensione e per la sua popolazione, non per la ricchezza o lo sviluppo.

Il regime cinese si è imbarcato in un processo che controlla parzialmente. Non vuole che il paese torni ad essere com'era prima di Mao, vale a dire saccheggiato dall'imperialismo. Ma, pur nelle diverse condizioni di un'altra epoca, è precisamente quello che sta succedendo. La borghesia alla quale lo Stato ha spalancato le porte non è cambiata rispetto a quella degli anni trenta: è sempre così avida e nessuno scrupolo morale o politico può fermarla. Questo apparato di Stato costruito da Mao è ormai sottomesso alla pressione non solo dell'imperialismo, ma anche a quella della borghesia cinese, sempre più forte, che sta demolendo a grandi passi tutto quanto c'era di un po' progressista nel vecchio regime di Mao.

Oggi, si vede già riapparire tutto il vecchio marasma, la corruzione a tutti i livelli dello Stato, la spoliazione senza ritegno dei contadini poveri, senza parlare della criminalità, poiché tutto ciò procede di pari passo. E come non parlare della regressione della condizione delle donne, che aveva fatto grandi progressi al momento della rivolta dei contadini e delle contadine a partire dal 1946 e poi sotto il regime maoista? Oltre alla prostituzione, si vede riapparire la vendita e la compera delle donne : si tratta di decine, di centinaia di migliaia di donne originarie di regioni povere vendute per qualche centinaio di euro come mogli o prostitute nelle regioni più ricche da trafficanti che praticano sequestri per rifornire i loro clienti. E quando si parla di donne, si tratta spesso ancora di ragazzine. Le ineguaglianze tra uomini e donne, seriamente ridotte sotto il regime maoista, aumentano di nuovo da vent'anni. Il declino delle protezioni di cui beneficiava la popolazione, del sistema sanitario, dell'educazione, il degrado delle condizioni di vita dei più poveri pesa ancora di più sulle donne, in particolare nelle campagne. Sono vittime di aborti selettivi, di infanticidi, sono le più mal nutrite, meno curate, meno educate, vittime di molteplici violenze. La metà delle donne che si suicidano nel mondo sono Cinesi !

Come non vedere che i poteri locali, alleati con la borghesia locale, stanno creando un nuovo spezzettamento della Cina? Dagli anni '80, le autorità locali hanno creato le loro barriere doganali, al livello di province ed anche di distretti. Per esempio, i 620 chilometri dell'autostrada Pechino-Harbin, al Nord, sono stati interrotti da 45 fermi doganali permanenti e 120 temporanei. Ancor oggi, può costare di più spedire un prodotto da Canton all'interno del paese, che spedirlo da Canton a San Francisco, ecc. Gli sforzi dello Stato centrale per limitare questo fenomeno e puntare all'unificazione del mercato, indispensabile alla costituzione di grandi imprese nazionali, non sembrano avere successo. Un economista d'altronde si lamenta che "più si osserva da vicino la gerarchia amministrativa cinese e più diventa difficile distinguere quelli che favoriscono il protezionismo locale da quelli che sono incaricati di smantellarlo".

In che misura lo Stato sarà capace di opporsi a tutto ciò ? In che misura lo vorrà veramente ? L'apparato di Stato messo in piedi da Mao era uno strumento che permetteva da una parte di prendere un po' di distanza dall'imperialismo e dall'altro di tenere le briglie alla borghesia cinese. Ma può anche giocare un ruolo inverso e diventare di nuovo il vettore del parassitismo della borghesia. Per esempio, come disciplinare l'avidità di tale borghesia cinese, la sua corsa sfrenata verso il profitto, con mezzi statali, quando gli stessi personaggi dello Stato ne sono più o meno legati e partecipano alla corsa all'arricchimento facile, al saccheggio sistematico dei beni dello Stato, ai ricatti, ai furti ed alla corruzione ? Il futuro lo dirà.

Quello che è sicuro è che le classi popolari hanno poco da rallegrarsi di questa evoluzione, poiché se la classe privilegiata cinese beneficerà di un più agevole accesso all'affascinante mercato capitalista occidentale, ciò avverrà sulla pelle dei contadini e col sudore degli operai.

Il solo altro futuro è rappresentato dalla classe operaia cinese. Ma sappiamo bene che la classe operaia diventa una forza politica, ed a maggior ragione una forza politica capace di rappresentare un avvenire, solo a condizione di essere organizzata, cosciente e capace di darsi un partito che incarni gli interessi del proletariato cinese. La chiave del futuro sta lì.