La situazione del movimento operaio rivoluzionario (Da "Lutte de Classe n 11 - dicembre 1994 - Testi della conferenza nazionale di Lutte Ouvrière)

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La situazione del movimento operaio rivoluzionario
dicembre 1994

A cinquant'anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale, si pone la questione della profondità dell'arretramento del movimento rivoluzionario proletario. In mezzo secolo, non solo la rivoluzione non si è prodotta, ma il problema della costruzione del partito operaio rivoluzionario non ha ancora trovato risposta.

Questi ultimi cinquant'anni sono stati tuttavia ricchi di avvenimenti, inclusi avvenimenti rivoluzionari. Tra l'altro, le correnti staliniane che, all'epoca, dominavano nelle frazioni più politicizzate del movimento operaio sono in via di disfacimento, ma questo non ha condotto una parte dei militanti a riallacciarsi alle tradizioni comuniste che la direzione staliniana aveva fatto loro dimenticare.

Quelli che continuano a militare lo fanno sul terreno del riformismo e, con la caduta dell'Unione Sovietica, non si distinguono praticamente più dai militanti delle altre correnti riformiste. Ma ben più numerosi sono quelli che smettono di militare e una parte considerevole del capitale umano del movimento operaio semplicemente sparisce.

Nessun militante può fare a meno di chiedersi se gli obiettivi rivoluzionari sono ancora validi e come possano realizzarsi, in altri termini, quali possano essere le condizioni per la rinascita del movimento comunista.

IL RIFLUSSO DOPO LA RIVOLUZIONE RUSSA

Il manifesto conclusivo del primo congresso dell'Internazionale comunista, del marzo 1919, facendo il bilancio dei sessantadue anni trascorsi dopo Il Manifesto comunista di Marx ed Engels, constatava che " nel corso degli ultimi tre quarti di secolo, lo sviluppo del comunismo ha percorso delle vie complesse, conoscendo alternativamente le tempeste dell'entusiasmo e i periodi di scoraggiamento, i successi e le cocenti sconfitte... L'ora della lotta finale è arrivata più tardi di quanto non l'attendessero e lo sperassero gli apostoli della rivoluzione sociale. Ma è arrivato". Allora non era una anticipazione ottimistica. Nella sola Europa, decine di milioni di proletari usciti dal primo macello mondiale si gettarono nell'attività politica e, in molti paesi, al più alto livello politico: per la conquista del potere, armi alla mano.

Per la prima e, fino ad allora, unica volta, un movimento rivoluzionario proletario minacciava di far crollare l'ordine imperialista mondiale.

Ma due anni più tardi, il terzo congresso dell'Internazionale comunista, del giugno 1921, constatava che " è assolutamente incontestabile che la lotta rivoluzionaria del proletariato per il potere manifesta nel momento attuale, a livello mondiale, una certa flessione, un certo rallentamento". Cercando di darne una spiegazione, l'Internazionale comunista constatava che "la rivoluzione mondiale non è un processo lineare, è la lenta dissoluzione del capitalismo, è la quotidiana opera di scavo rivoluzionario che a tratti si intensifica e si concentra in crisi acute. Il corso della rivoluzione mondiale è reso ancora più lento dal fatto che delle potenti organizzazioni e partiti operai, vale a dire i partiti e i sindacati socialdemocratici, fondati dal proletariato per guidare la sua lotta contro la borghesia, si sono trasformati durante la guerra in strumenti d'influenza controrivoluzionaria di immobilizzazione del proletariato e sono rimasti tali dopo la fine della guerra. E' questo che ha permesso alla borghesia mondiale di superare facilmente la crisi della smobilitazione militare; è questo che le ha permesso durante il periodo di prosperità apparente del 1919-1920 di risvegliare nella classe operaia la speranza di poter migliorare la propria situazione rimanendo nell'ambito del capitalismo, causa essenziale della disfatta del sollevamento del 1919 e del rallentamento dei movimenti rivoluzionari nel 1919 - 1920".

Quello che era apparso dopo quasi tre quarti di secolo come un indebolimento si rivelò invece essere un grave riflusso. La sconfitta delle insurrezioni di Berlino, la repressione del potere operaio in Baviera e in Ungheria, la fine del biennio rosso in Italia, le difficoltà della Russia rivoluzionaria costretta a subire contemporaneamente l'assalto delle truppe straniere e di quelle della controrivoluzione hanno riconsegnato l'iniziativa nelle mani della borghesia. Le vecchie potenze imperialiste vittoriose hanno fatto pagare con il trattato di Versailles all'imperialismo tedesco la sua pretesa ad una parte dei domini coloniali. Versailles e i molteplici trattati accessori, hanno ridisegnato la carta del mondo; nuove frontiere, nuove dogane sono state disegnate in Europa in un clima di nazionalismi crescenti. "L'ordine" così imposto non era tuttavia che il primo passo verso la guerra mondiale successiva. Per una decina d'anni ancora dopo la rivoluzione russa i sussulti rivoluzionari del proletariato fecero ancora tremare l'edificio imperialista. Ma nessuno di questi sussulti è risultato vittorioso.

Tuttavia fu la degenerazione, dovuta all'isolamento, del primo Stato operaio a rivelarsi l'espressione più grave di questo arretramento - perché finì per minare dall'interno la capacità di lotta e soprattutto la coscienza di classe del proletariato.

Con il consolidarsi dell' influenza della burocrazia nello Stato operaio intorno al 1924, il suo capo, Stalin, annunciò con "il socialismo in un paese solo" la sua rinuncia alla rivoluzione mondiale. Sotto la direzione della burocrazia, l'Unione sovietica si trasformò da fattore rivoluzionario a fattore di stabilizzazione dell'ordine imperialista, direttamente o per interposti partiti staliniani. Nessuno può dire se la rivoluzione cinese del 1925-27, l'ultima dell'ondata rivoluzionaria del dopo 1917, si sarebbe trasformata in rivoluzione proletaria, ma per la prima volta, lo slancio rivoluzionario del proletariato fu sconfitto a causa della politica di collaborazione di classe impostagli dalla burocrazia sovietica.

Completo parassita dei rapporti economici e sociali creati dalla rivoluzione di Ottobre, la burocrazia liquidò fisicamente l'avanguardia comunista in Unione sovietica, la sola numericamente estesa e la più formata, procurando un' interruzione catastrofica di continuità, fisica e politica, nel movimento comunista.

VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Il riflusso, dopo il decennio di sussulti rivoluzionari, lasciò mano libera ai borghesi imperialisti. Il sistema capitalista non si era però altrettanto consolidato: di riprese sostenute in depressioni più o meno lunghe, l'economia capitalista si stava incamminando verso la grande crisi del 1929. L'imperialismo venne indebolito dalla crisi della sua stessa economia, senza che il proletariato riuscisse a dare alla crisi uno sbocco rivoluzionario.

L'arrivo al potere dei nazisti in Germania rappresentò una disfatta ancor maggiore per il proletariato perchè il nazismo spezzò il proletariato più potente d'Europa e liquidò non soltanto tutte le forme di organizzazione del movimento operaio, anche quelle più sottomesse alla democrazia borghese, ma anche la democrazia borghese stessa.

La cosa più grave è che le due principali correnti del movimento operaio, la socialdemocrazia e lo stalinismo, hanno avuto un'enorme responsabilità nella disfatta imbelle del proletariato tedesco. Ambedue, con i loro errori, privarono il movimento operaio di prospettive e minarono la fiducia del proletariato in sé stesso.

Il proletariato ebbe tuttavia l'energia di sferrare delle nuove battaglie nel 1936 in Spagna e in Francia, ma i partiti riformisti e staliniani giocarono ancora il ruolo di sabotatori dell'offensiva rivoluzionaria delle masse, sostituendo la politica dei fronti popolari, la subordinazione organizzata del proletariato alla borghesia, alla politica rivoluzionaria.

In Germania contro il fascismo, in Spagna nella risposta al golpe militare, in Francia, durante l'ascesa degli scioperi, il rapporto di forze è stato gravemente alterato a sfavore del proletariato in ragione della politica della sua stessa direzione. "La situazione mondiale nel suo insieme è caratterizzata innanzitutto dalla la crisi storica della direzione del proletariato" - riassume il Programma di Transizione nel 1938.

Analizzando questa situazione disastrosa sull'ultimo testo sul quale stava lavorando al momento del suo assassinio, Trotskji constatò che "il proletariato è stato paralizzato dai partiti opportunisti. La sola cosa che si possa dire, è che si sono presentati più ostacoli, più difficoltà, più soste sulla via dello sviluppo rivoluzionario del proletariato di quanto i fondatori del socialismo scientifico non avessero previsto".

In questi decisivi anni trenta, la politica della burocrazia sovietica, direttamente o tramite il movimento staliniano, è stata uno dei principali se non il principale ostacolo "sulla via dello sviluppo rivoluzionario del proletariato". Messo nell'impossibilità di dare uno sbocco rivoluzionario alla crisi, il proletariato non ha potuto ridestare la rivoluzione in Unione sovietica. Da allora in poi, non ci furono più ostacoli di fronte all'evoluzione reazionaria della burocrazia che giocò un ruolo sempre più controrivoluzionario sulla scena internazionale e che, all'interno della stessa Unione sovietica, rafforzò i propri privilegi snaturando sempre più la società, l'economia statalizzata e pianificata; evoluzione reazionaria che, dopo gli anni trenta, proseguì senza discontinuità.

Se le direzioni del movimento operaio, sia socialdemocratiche che staliniane, erano definitivamente corrotte, il movimento operaio stesso, benché sconfitto e demoralizzato, esisteva, come esistevano ancora centinaia di migliaia di militanti che si richiamavano, in seno alla classe operaia, alla necessità della trasformazione sociale. E, per Trotskij, "il fascismo e il succedersi di guerre imperialiste costituiscono una vera scuola attraverso la quale il proletariato deve liberarsi dalle tradizioni piccolo-borghesi e dalle superstizioni, deve sbarazzarsi dei partiti opportunisti, democratici e avventuristi, deve forgiare ed educare l'avanguardia rivoluzionaria e preparsi a portare a termine quel compito senza il quale non c'è salvezza per il futuro dell'umanità".

LA CRISI DEL DOPOGUERRA

La guerra costituisce sempre uno sconvolgimento sociale profondo, dove la borghesia domanda alle masse sfruttate i più grandi sacrifici, pur dando loro le armi che esse possono usare per tutt'altro scopo che quello per il quale le sono state affidate. Questo timore era rinforzato dal ricordo dell'ondata rivoluzionaria seguita alla Prima Guerra mondiale.

Malgrado tutte le prove offerte dalla burocrazia alla fine degli anni trenta, la borghesia non aveva alcuna certezza, né riguardo alle intenzioni reali di Stalin, né riguardo alla politica che i partiti staliniani avrebbero potuto portare avanti (con o senza il consenso di Stalin) senza essere scavalcati dalle masse.

Ma furono proprio la burocrazia sovietica e il movimento staliniano a fornire la principale ancora di salvezza alla borghesia.

Ancor prima che il crollo della Germania nazista creasse un pericoloso vuoto di potere in Europa, la politica staliniana aveva posto la classe operaia a rimorchio della borghesia. Il fondamento di questa operazione che mirava a privare il proletariato di prospettive proprie è stato quello di presentare la Seconda Guerra mondiale, non come uno scontro tra imperialismi rivali, ma come la lotta tra il nazismo e il campo cosiddetto democratico.

Sostenendo che i due campi imperialisti non erano equivalenti e traendone come conclusione che il proletariato dovesse agevolare la vittoria del preteso campo democratico e dimenticare i propri interessi specifici di classe, il movimento staliniano ha diretto verso un funesto vicolo cieco una generazione di militanti del movimento operaio e il proletariato stesso.

Oggi possiamo misurare le conseguenze di questa scelta politica. Per quanto infame sia stato il nazismo, come fase mostruosa di autoconservazione del capitalismo, fu comunque limitato nel tempo. L'umanità ha pagato con milioni di morti per quel che il regime nazista, espressione di una tra le varie forme politiche assunte dall'imperialismo, aveva di specifico. Ma non ha ancora finito di pagare, con più morti ancora, il consolidarsi dell'imperialismo, per quanto si realizzi nel campo che si pretende democratico. Il nazismo è stato certo sconfitto come regime politico, ma l'imperialismo non ha subito la sorte, neanche l'imperialismo tedesco o giapponese, che non hanno tardato a riprendere il loro posto tra i briganti imperialisti.

Usciti dalla Seconda Guerra mondiale, la maggior parte dei paesi dell'Europa, ex alleati della Germania o sotto sua occupazione fino a poco tempo prima, non disponevano più di un apparato di Stato per contenere e, in caso di necessità, schiacciare le masse, così l'imperialismo, grazie alla burocrazia e al movimento staliniano, non ha trovato particolari difficoltà nell'assicurare in Europa la transizione dalla guerra alla pace imperialista.

La burocrazia si prese anche direttamente l'incarico di mantenere l'ordine nei paesi che controllava. Gli accordi di Tèhèran, Yalta e di Potsdam la consacrarono come uno dei principali guardiani dell'ordine imperialista uscito dalla guerra.

Tale ordine venne tuttavia rimesso in discussione dall'ondata di rivoluzioni coloniali che si sviluppò, sotto forme e con profondità differenti, in Indocina, in Indonesia nel 1945, in India nel 1946 e, soprattutto, in Cina dal 1946 al 1949, trascinando nella loro scia molti altri movimenti di emancipazione nazionale. Questa ondata rivoluzionaria fece crollare gli antichi imperi coloniali, rimettendo in discussione i domini delle vecchie potenze imperialiste, la Gran Bretagna e la Francia in primo luogo.

Questa ondata rivoluzionaria aveva tuttavia dei limiti di classe. Limiti che non derivavano dalle masse che si erano messe in movimento, ma dalle loro direzioni politicamente giacobine, legate alla piccola borghesia contadina o intellettuale, ma fondamentalmente borghese, che in quella occasione decisero di appoggiare le masse, ma di canalizzare le loro lotte nel limite di una prospettiva di indipendenza nazionale con, al massimo, come in Cina, lo sradicamento di certe relazioni sociali feudali. Sotto nessun aspetto queste direzioni sono paragonabili a delle organizzazioni che si pongono su una prospettiva comunista. Al contrario, l'etichetta comunista è servita a Mao per dissimulare l'elaborazione e la messa in opera di un quadro organizzativo destinato a impedire al proletariato di organizzarsi indipendentemente e di rappresentare un pericolo per la piccola borghesia nazionalista. Quadro che è servito da modello, in seguito, a molte altre direzioni nazionaliste, uscite o meno dal movimento staliniano.

La "rivoluzione coloniale" è stata l'ultima grande ondata rivoluzionaria internazionale che avrebbe scosso l'imperialismo se si fosse estesa ai movimenti proletari delle roccaforti imperialiste.

Come negli anni trenta, la possibilità di una trasformazione sociale radicale, se c'è stata, è stata impedita dalla "crisi storica della direzione del proletariato".

UNA STABILIZZAZIONE MOLTO RELATIVA

La borghesia ha consolidato così, ancora una volta, il suo potere sul mondo per tutto un periodo storico dal quale non siamo ancora usciti.

Ma la riconversione del capitalismo dall'economia di guerra all'economia in tempo di pace è stata lenta e penosa. Ha avuto come condizione sine qua non l'intensificarsi dello sfruttamento, l'abbassamento delle condizioni di esistenza di milioni di esseri umani al di sotto dei minimi sopportabili, che la borghesia ha potuto imporre solo grazie alla collaborazione attiva di organizzazioni operaie riformiste o staliniane.

La ricostruzione dell'economia capitalista in una Europa distrutta non si sarebbe potuta ottenere senza una forte dose di statalismo. Cosa che si rivelò in qualche modo come la continuazione dell'economia di guerra con altri metodi. Le borghesie imperialiste sono sostenute dai loro Stati, il più potente tra gli Stati, quello dell'imperialismo americano, unico vero vincitore della guerra, le sostiene tutte e impone il dollaro come moneta universale: ecco il nuovo ordine imperialista sul piano economico.

Compiuta la ricostruzione economica, il commercio internazionale si rimise in moto solo molti anni dopo la fine della guerra. Cominciarono allora i "Trenta gloriosi" anni (che in realtà furono solo una quindicina), durante i quali l'economia dei paesi imperialisti conobbe un relativo slancio, con qualche ricaduta per gli strati superiori della classe operaia dei paesi imperialisti.

Ma questo relativo slancio, inframmezzato tra l'altro da periodi di depressione, in particolare degli Stati Uniti, è stato possibile solo grazie allo sfruttamento e al saccheggio dei paesi poveri. Trotskji una volta aveva affermato che la "democrazia" imperialista d' Inghilterra poteva reggersi solo sul fatto che lavoravano una decina di schiavi delle colonie per ogni singolo cittadino inglese, proletari compresi.

La fine dell'era coloniale ha offerto alle borghesie autoctone un certo ruolo e una posizione sociale un po' migliore all'interno del sistema imperialista, ma non ha liberato gli schiavi delle colonie. Essi hanno soltanto cessato di essere sempre legati agli stessi padroni, ma ci hanno guadagnato solo ulteriori intermediari da ingrassare.

Se la perdita improvvisa o progressiva dei loro imperi coloniali ha accentuato il declino degli imperialismi francese e inglese, o anche belga e olandese, la decolonizzazione non ha per niente pregiudicato il peso dell'imperialismo più potente della nostra epoca, gli Stati Uniti. La fine degli imperi coloniali ha significato la fine di ogni sorta di barriere, destinate a proteggere gli interessi esclusivi delle vecchie metropoli coloniali.

La maggior parte dei paesi divenuti indipendenti riguadagnarono il mercato mondiale. L'imperialismo americano che dominava il mercato mondiale, aveva ormai accesso, per le sue merci come per i suoi capitali, a paesi che prima gli erano più o meno preclusi.

Oltre agli Stati Uniti, questa situazione ha favorito ugualmente potenze come la Germania o il Giappone, che già in passato erano privi di imperi coloniali.

La ormai libera concorrenza tra le potenze imperialiste più dinamiche sugli ex imperi coloniali ha significato un saccheggio più intenso e uno sfruttamento a un più alto livello di questi stessi paesi.

Così, le rivoluzioni coloniali, nella misura in cui le loro direzioni hanno impedito ad esse di trasformarsi in rivoluzioni proletarie e di minacciare il sistema imperialista, alla fine hanno contribuito a rinforzarlo. La fine delle colonie non ha significato un indebolimento dell'imperialismo ma, al contrario, gli ha offerto una base economica più estesa.

Per un certo periodo di tempo, solo la volontà di certi Stati ex-coloniali di circondarsi di barriere doganali e di favorire attraverso nazionalizzazioni una certa possibilità di sviluppo economico indipendente, la pretesa in qualche caso di realizzare il "socialismo in un solo piccolo paese", ha opposto un ostacolo alla penetrazione dei capitali e delle merci delle più forti potenze imperialiste.

Ostacoli del tutto relativi tra l'altro, infatti, se lo statalismo economico di questi paesi non li ha portati a svilupparsi, ha permesso loro di concentrare un certo surplus sociale cui hanno dovuto spesso rinunciare, in misura più o meno grande, a vantaggio dei capitali imperialisti sul mercato internazionale, in particolare quello delle materie prime, dominato da questi ultimi.

IL RIFLUSSO DEL MOVIMENTO OPERAIO

La ragione fondamentale di tutta questa relativa stabilizzazione dell'imperialismo durante questa trentina d'anni è stata, sul piano economico, lo sfruttamento più "libero" e dunque più esteso dei paesi poveri. Parallelamente, sul piano politico, il suo dominio non è più stato contestato dal proletariato. L'ascesa economica pur limitata di questi anni ha, in effetti, accreditato agli occhi della massa del proletariato dei paesi sviluppati, l'idea che un certo miglioramento delle loro condizioni in ambito capitalistico fosse possibile, o almeno verosimile. Tale fu la base sociale della politica dei riformisti (di cui gli staliniani furono semplicemente una varietà).

Ad ogni modo fu una stabilizzazione dentro il disordine, segnato da una moltitudine di guerre coloniali, di guerre locali, di guerre civili, di interventi militari etc. - sarebbero stati calcolati 150 differenti conflitti armati dopo il 1945, di cui alcuni sono durati degli anni, altri decine di anni! Fino a poco tempo fa, sembravano svolgersi tutti dentro il quadro dello scontro tra i due blocchi, infatti anche quando la loro origine non si trovava all'interno di questo quadro, se ne creava rapidamente una ad hoc. Ma, dopo il crollo dell'Unione sovietica, si vide che non vi era affatto nessun rapporto, infatti alcune continuano mentre ne compaiono di nuove. "La guerra fredda" tra i due blocchi è durata trent'anni, persino quaranta. Ha conosciuto dei momenti di tensione acuta: la prima crisi di Berlino nel 1948-49, l'edificazione del muro di Berlino nel 1961, la crisi dei missili a Cuba (1962). La politica Americana del "contenimento" si è tradotta nelle due maggiori guerre ai confini dei due blocchi: in Corea nel 1950-53 e in Vietnam nel 1963-75. L'antagonismo tra i due blocchi ha dato ai dirigenti di alcuni Stati dei paesi poveri, desiderosi di ottenere un margine di indipendenza nei confronti delle potenze imperialiste, la possibilità di un certo sostegno da parte dell'URSS (economico e anche militare). Tale scelta gli ha portati talvolta a definirsi "socialisti" come a Cuba e in un certo numero di paesi d'Africa o d'Asia.

La pretesa di definirsi socialisti, o anche comunisti, da parte di un certo numero di regimi, di cui Cuba non era certo il peggiore, ha contribuito non poco ad annacquare gli ideali socialisti o comunisti separandoli da ogni legame col movimento proletario.

Mentre, nei paesi poveri, il terzomondismo offriva una parodia del socialismo, nei paesi sviluppati, il movimento operaio declinava man mano che le sue direzioni si screditavano politicamente: la socialdemocrazia in ragione della sua partecipazione a tutti i banchetti dell'imperialismo (Algeria, Suez, etc.) e lo stalinismo in ragione sì, dei privilegi di cui la burocrazia sovietica godeva dentro la sua sfera di influenza, ma anche dell'integrazione dei partiti staliniani nel sistema politico delle proprie borghesie. Senza neanche parlare delle direzioni sindacali che non dissimulavano neanche, come negli Stati Uniti, la propria sottomissione alla borghesia imperialista del loro paese.

I militanti, disgustati dalla politica del loro partito, abbandonavano il terreno militante. L'elettorato dei partiti cosiddetti di sinistra si allontanava e, quando questo non avveniva, era al prezzo dell'abbandono dei riferimenti, da molto tempo traditi, alla classe operaia, al socialismo o al comunismo.

La crisi di potere della burocrazia che ha condotto al crollo dell'Unione sovietica testimonia, a suo modo, che la burocrazia stessa ha finito per temere il proletariato meno che nel passato quando questo timore era stato una delle principali ragioni che le aveva fatto accettare per alcuni decenni un regime che era dittatoriale anche per lei.

Il crollo dell'Unione sovietica e la degenerazione del movimento staliniano - ad esso collegato, ma solo in parte - hanno aperto una nuova fase nell'arretramento della classe operaia. Le organizzazioni staliniane, dove riunivano ancora una parte importante degli elementi politici della classe operaia, non sono state rimpiazzate da altre organizzazioni. Il proletariato è sempre meno organizzato. "La crisi storica della direzione del proletariato" non è soltanto una crisi di direzione. Con la frantumazione più o meno avanzata dei partiti staliniani - da molto tempo, nel campo della borghesia a causa della loro direzione e della loro politica - si frantumano quelle strutture organizzate ancora presenti nella classe operaia e, in una certa misura, sensibili alle pressioni di quest'ultima. La classe operaia di conseguenza pesa sempre meno nella vita politica.

E' questa una delle ragioni del rafforzamento dei nazionalismi, del risveglio dei micro-nazionalismi che sembravano sepolti dalla storia, di una certa ripresa degli integralismi religiosi a livello di massa, di particolarismi differenti e molteplici: di tutti i sottoprodotti dell'imputridimento del sistema imperialista.

Si tratta spesso di politiche, di sentimenti e di tendenze calate dall'alto - di certo è così nell'ex Yugoslavia, spezzettata in mini Stati che si combattono l'un l'altro, o nell'ex Unione sovietica, dove la decomposizione del potere della burocrazia assume, nel Caucaso o in Asia Centrale, l'aspetto di scontri nazionalisti. Ma finiscono, in un modo o in un altro, per lasciare una traccia più o meno profonda su delle masse private di ogni altra prospettiva.

Questa balcanizzazione di entità territoriali più vaste è in sé stessa una regressione, infatti non ha di pari passo come contropartita quella di dare a dei popoli nazionalmente oppressi la possibilità di svincolarsi da tale oppressione.

Ma, più grave ancora, questa avanzata di nazionalismi e di particolarismi cancella progressivamente tutte le idee di trasformazione globale della società a livello internazionale.

Solo la rinascita di un movimento proletario politico, se collocato sul terreno della lotta di classe e se difende l'internazionalismo che riposa sulla certezza di un avvenire comune dell'umanità, potrà giocare, di nuovo, un ruolo unificante tra i proletari.

Nessuno può dire oggi quando l'arretramento del movimento proletario, iniziato tre quarti di secolo fa, si arresterà. Non si tratta soltanto di riprendere lotte difensive, o offensive, del proletariato sul solo terreno economico. Si tratta soprattutto per il proletariato, attraverso queste lotte, di elevarsi all'altezza dei compiti politici assegnatigli dalla storia.

La storia di oltre un secolo di lotte del proletariato non ha avuto spesso l'occasione di mostrare il ruolo decisivo che un autentico partito comunista gioca nella presa del potere da parte del proletariato. Ma, di contro, ha avuto moltissime occasioni di mostrare come delle organizzazioni riformiste, staliniane, integrate nella società borghese, o altre semplicemente incapaci di combattere con efficacia, possano contenere l'offensiva rivoluzionaria delle masse, ovvero paralizzare le lotte prima che esse si trasformino in offensiva.

PROFONDITA' DELLA CRISI DEL CAPITALISMO

Benché la dominazione della borghesia non sia da molti decenni minacciata dal proletariato, non c'è stato veramente un nuovo sviluppo e consolidamento dell'Imperialismo.

L'economia imperialista non riesce ad uscire da questo stato di quasi stagnazione in cui si trova da quasi vent'anni. Inoltre, dopo il 1972, il mondo capitalista ha conosciuto tre recessioni internazionali, nel 1974-75, nel 1980-82 e nel 1990-92, ogni volta con una caduta della produzione industriale. Ognuna di queste recessioni ha rappresentato un immenso spreco per la società.

Ma, al di là dell'alternanza di recessioni e riprese, l'andamento della produzione è stato nettamente più favorevole, in generale, negli ultimi venti anni che durante i venti anni precedenti. I periodi cosiddetti di ripresa sono stati incontestabilmente tali solo per quanto riguarda i profitti, lo sono stati meno per la produzione di beni materiali, non lo sono praticamente stati per gli investimenti produttivi, e non lo sono stati per niente per quanto riguarda l'occupazione.

I molteplici interventi dello Stato hanno giocato un ruolo decisivo anche in questi periodi di ripresa del tutto relativa. La spesa degli Stati e, oltre a questo, il sistema dei crediti, hanno supplito in modo crescente alla stagnazione dei mercati per permettere alla classe capitalista di ottenere, malgrado tutto, un tasso di profitto accettabile.

Il deficit crescente delle finanze pubbliche ne è ovunque la contropartita. Questo ha condotto ad un aumento incessante del capitale finanziario a detrimento del capitale produttivo, ma anche all'accrescimento incessante del debito pubblico. La continua crescita degli interessi pagati dagli Stati riflette il parassitismo crescente del capitale. Il grande capitale si è preoccupato sempre meno di investire nella produzione o di far affidamento per il proprio profitto sulle sorti del mercato. Gli Stati vi hanno supplito. Agli Stati quindi e, primi tra tutti, agli Stati Uniti e alle istituzioni finanziare come il FMI o la Banca mondiale sotto il loro controllo, il compito di far pagare il parassitismo del capitale all'insieme della popolazione!

Il meccanismo dell'indebitamento non è soltanto un'ancora di salvezza per il capitalismo e una fonte di profitto per il capitale finanziario. E' anche il meccanismo che spinge incessantemente i capitali ad allontanarsi dalla produzione a vantaggio della finanza e della speculazione.

Ma i tassi da usura pagati dagli Stati, i più poveri come i più ricchi, alla classe capitalista in cambio di prestiti, buoni del Tesoro, ecc., ha ovunque come contropartita la drastica riduzione della spesa pubblica utile. Ogni Stato che riservi una parte crescente dei propri incassi al pagamento degli interessi del debito pubblico, lo fa riducendo le spese sociali e gli investimenti pubblici che non rendono, o non abbastanza, ai grandi trust, ma anche lasciando deteriorare le infrastrutture e continuando a chiedere prestiti.

Durante questi ultimi venti anni di stagnazione del capitalismo, la borghesia è ovunque giunta, con la collaborazione dei partiti cosiddetti di sinistra e la complicità delle organizzazioni operaie riformiste, a far arretrare il livello di vita della classe operaia, ad abbassare la protezione sociale. Tuttavia, neanche la ricostruzione in tutti i paesi imperialisti di un forte esercito di riserva costituito da disoccupati, neanche l'abbassamento dei salari, anche in valore assoluto, hanno aperto davanti al capitalismo una nuova era di crescita.

Mentre giornalisti e politici si rallegrano ogni volta che una ripresa sembra alternarsi alla recessione, l'evoluzione reale dell'economia dietro le varie fluttuazioni è catastrofica per l'umanità.

Vi è una "mondializzazione" dell'economia senza precedenti? Sì, ma la consistente crescita della circolazione delle merci e dei capitali si limita essenzialmente al triangolo formato dagli Stati Uniti, i paesi imperialisti d'Europa, il Giappone e qualche fondo asiatico dell'imperialismo mondiale. Gli scambi commerciali tra questi tre poli imperialisti, che rappresentavano il 58% degli scambi mondiali del 1980, ne rappresentavano il 75% nel 1990. Ciò significa che il resto del pianeta è lasciato allo sbando e che la frattura tra paesi sviluppati e paesi poveri si accresce.

I legami economici tra nazioni sono più stretti che mai, riscontrabili nell'accrescimento senza precedenti delle transazioni finanziarie? Sì, ma il 97% di queste transazioni non sono, ovviamente, che finanziarie e non corrispondono ad alcuna circolazione di beni materiali. Inoltre, nella circolazione dei beni materiali stessi, la parte degli spostamenti tra differenti filiali nazionali di uno stesso trust occupa un posto sempre crescente. Di fatto, anche l'accentuarsi della divisione del lavoro e della cooperazione inevitabile tra nazioni si realizza in modo artificiale, unicamente in funzione di criteri di rendimento dei grandi trust e per niente in funzione di una ripartizione più razionale di compiti produttivi tra differenti regioni del mondo.

Vi è un tentativo di costituzione di entità economiche più vaste: l'Europa unita in una parte del continente, l'ALENA in America del Nord, l'EAEC in Estremo Oriente? Sì, ma queste entità non hanno come prospettiva quella di sopprimere le frontiere, le monete e soprattutto gli Stati nazionali che costituiscono degli ostacoli frapposti ad uno sviluppo economico razionale, ma sono al contrario tentativi per salvarli. Tutte queste zone di libero scambio servono soprattutto a salvaguardare le imprese dell'imperialismo che domina nella propria sfera di influenza - Stati Uniti per l'ALENA o il Giappone per l'EAEC - o ad organizzare la rivalità tra gli imperialismi inglese, francese e soprattutto tedesco per la dominazione sull'Europa.

C'è una cooperazione senza precedenti tra Stati capitalisti per prevenire o attenuare le crisi monetarie, i crack borsistici, un crollo del sistema finanziario? Sì, ma questo interventismo degli organismi sovranazionali dell'imperialismo, Banca mondiale, FMI, ecc., non fa altro che organizzare il saccheggio del pianeta per il profitto del sistema bancario e, soprattutto, per il profitto dell'imperialismo americano.

Appaiono nuovi mercati, costituiti da nuovi prodotti - informatici, telematici, ecc. - capaci di offrire una nuova spinta al capitale?

Sì, ma l'imperialismo senile è sempre meno desideroso di aprire nuovi mercati. C'è una profonda tendenza del capitale ad abbandonare settori produttivi per dirigersi verso la finanza. Le imprese stesse sono considerate, in misura crescente, semplici supporti di prodotti finanziari. Continenti interi, come l'Africa, sono sempre più abbandonati da quel poco di capitale produttivo che attirava precedentemente. Mentre la tendenza è al disinvestimento in materia di produzione, il grande capitale si rivolge verso l'usura per prelevare una decima sempre maggiore da questo continente.

Indice ancora più evidente di senilità del capitalismo imperialista: la sua incapacità ad approfittare della caduta dell'Unione sovietica, della dissoluzione del monopolio del commercio estero, per aprire nuovi mercati per i suoi prodotti e un nuovo campo di investimento per i suoi capitali. Una delle ragioni fondamentali del fatto che la società sovietica non si sia trasformata che assai poco nel corso degli ultimi anni, malgrado la pretesa dei capi politici della burocrazia di presiedere a una controrivoluzione sociale, risiede nel fatto che il capitalismo non ha più il dinamismo necessario per guadagnare terreno. Trotskji affermava già nel 1940 che "il Termidoro russo avrebbe certamente aperto una nuova era al regno della borghesia, se questo regno non fosse divenuto moribondo in tutto il mondo."

ROVESCIARE L'ORDINE CAPITALISTA E' PIU' URGENTE CHE MAI

Mai è stata così evidente la contraddizione tra le possibilità tecniche straordinarie dell'umanità da una parte e la miseria generalizzata dall'altra; tra i ripiegamenti micro-nazionalisti e l'internazionalizzazione dell'economia, a un livello inimmaginabile non solo ai tempi di Marx, ma anche a quelli di Trotskji.

La necessità oggettiva di porre fine all'organizzazione capitalista della società resta intatta.

Si può lamentare il ritardo tra la necessità oggettiva di mettere fina al capitalismo e la capacità del proletariato di produrre dei partiti capaci di condurlo alla vittoria.

Ogni generazione di rivoluzionari è stata costretta a constatare che il ritardo annunciato dalle generazioni precedenti è stato maggiore del previsto. Ma la trasformazione dei rapporti economici e sociali fondamentali della società è sempre stata, nel passato, una trasformazione lunga e dolorosa. La borghesia ha impiegato secoli per imporre i rapporti sociali di cui era portatrice e soprattutto per imporre la sua dominazione politica. In molti paesi, tra l'altro, non vi è giunta completamente.

Dunque nessuno può predire il tempo che sarà necessario al proletariato.

Ponendosi, all'approssimarsi della guerra e in un periodo di profondo arretramento del proletariato, la questione di dove vi fossero quelle tre condizioni che agli occhi delle generazioni di rivoluzionari succeduti a Marx risultano necessarie perché una nuova società possa sostituirsi all'antica, Trotskji constatava che tanto dal punto di vista dello sviluppo delle forze produttive che dal punto di vista del peso del proletariato nella società, le condizioni erano mature, e da molto tempo. Ma, aggiungeva: "La terza condizione è il fattore soggettivo. Questa classe deve comprendere la posizione che occupa nella società e possedere proprie organizzazioni volte al rovesciamento dell'ordine capitalista. E' la condizione che manca attualmente dal punto di vista storico. Dal punto di vista sociale, non è soltanto una possibilità, ma una necessità assoluta nel senso che ci sarà socialismo o barbarie. Ecco l'alternativa storica."

Più di cinquant'anni dopo essere state scritte, queste frasi rimangono ancora la conclusione fondamentale da trarre dalla condizione attuale.

Constatando che, in questi cinquantaquattro anni che ci separano dalla morte di Trotskji, il proletariato non ha fatto la rivoluzione né a partire da un paese sviluppato, né da uno sottosviluppato e che, in nessun paese è sorto un partito operaio rivoluzionario, ci si può domandare se il proletariato è capace di ricoprire il ruolo storico che Marx e tutto il movimento comunista rivoluzionario vedevano in esso.

Per Marx ed Engels il proletariato non poteva arrivare al potere che attraverso l'organizzazione in un partito che incarnasse la coscienza, ad un livello elevato, degli interessi e del ruolo generali del proletariato stesso. Ma questo partito non poteva unire gli elementi più coscienti e determinati che sulla base di un'elevazione della coscienza, della cultura dei suoi più larghi strati, vale a dire della maggioranza. Ecco perché Marx e ancor di più Engels, che ha vissuto più a lungo e che ha seguito da vicino i lavori della Seconda Internazionale, attribuivano tanta importanza all'educazione del proletariato e alla conquista delle libertà democratiche all'interno della stessa società capitalista, che permettono questa diffusa educazione politica.

Ma la storia ha seguito un altro corso, e la sola rivoluzione proletaria che abbia avuto luogo è stata fatta in un paese autocratico. Questo paese era, per di più, arretrato e il proletariato non rappresentava che una minoranza in mezzo ai contadini che vivevano in condizioni da Medio Evo, con un livello culturale corrispondente. Ma questo proletariato russo era stato improvvisamente concentrato in grandi imprese moderne, con tutto ciò che ne deriva in sentimento di solidarietà, in educazione collettivista e nel ricoprire un ruolo decisivo nell'economia. Inoltre, la guerra non solo ha offerto le armi a questo proletariato, ma gli ha permesso di elevarsi politicamente sopra i contadini, trasformando la parte più giovane e dinamica di essi in soldati, uniti agli operai nella sofferenza comune del fronte, poi nell'agitazione rivoluzionaria nelle città... e nelle caserme.

La storia non ha dato la possibilità al proletariato di educarsi altrimenti che attraverso le proprie lotte. Non ha potuto profittare di condizioni democratiche per preparare la presa del potere; esso stesso, al contrario, ha imposto le libertà democratiche per sé stesso e per la società: in modo provvisorio nel 1905, e poi a partire dal febbraio 1917, ovvero quando era già alle soglie del potere.

L'UNICA FORZA RIVOLUZIONARIA E' IL PROLETARIATO

Quali sono stati, nel corso degli ultimi cinquant'anni, i cambiamenti interni al proletariato che hanno potuto pesare sulla sua attitudine rivoluzionaria?

Nei paesi sottosviluppati il proletariato è stato spesso sottoposto a delle dittature più feroci di quanto non fosse stata l'autocrazia zarista E, soprattutto, l'imputridimento dell'imperialismo fa sì che l'evoluzione economica sotto-proletarizzi delle masse contadine considerevoli, nel senso che le caccia dalle campagne senza poter loro offrire la condizione di proletari nelle imprese industriali. Il sottoproletariato delle baraccopoli si sviluppa molto più rapidamente del proletariato industriale. La maggioranza di questi sottoproletari non hanno alcuna possibilità di essere integrati nella produzione, con le relazioni, la solidarietà, l'educazione e la coscienza che questo implica. Il sottoproletariato inoltre è, il più delle volte, inquadrato in ogni sorta di organizzazione reazionaria, religiosa, etnica e, più spesso ancora, apertamente mafiosa.

Il proletariato industriale e quello organizzato all'interno o attorno ad un partito rivoluzionario potrebbe, ben inteso, attirare a sé questo sottoproletariato e farne un suo alleato nella lotta contro la borghesia. Ma il problema sta proprio nell'emergenza di un tale partito, tanto il proletariato industriale è minoritario e non concentrato tra il sottoproletariato.

Nei paesi sviluppati, la composizione del proletariato ha subito delle modificazioni derivate dal ruolo sempre più usuraio del proprio imperialismo, che rinforza le strutture cosiddette terziarie.

Durante il suo breve periodo d'ascesa, l'imperialismo ha avuto i mezzi, materiali e politici, per corrompere lo strato superiore della classe operaia - ma ha soprattutto corrotto i suoi apparati sindacali e politici. I più grossi contingenti del proletariato mondiale sono tuttavia sempre concentrati nei grandi paesi imperialisti - oltre che in Russia e nell' Europa dell'Est. Anche nei paesi ricchi la condizione proletaria non è davvero cambiata per le masse della classe operaia. Con il ristagno economico dell'ultimo periodo, con la disoccupazione, la distruzione delle protezioni sociali, anche le sorti degli strati superiori del proletariato divengono aleatorie.

A livello mondiale non c'è una regressione numerica del proletariato - almeno proporzionalmente è tanto numeroso, in rapporto all'insieme della società, quanto lo era nel passato. E' in attuale aumento in un certo numero di paesi in cui non esisteva che in modo embrionale al momento della rivoluzione russa. E' sempre - e certamente più che ai tempi di Marx - la classe sfruttata più numerosa, quella che è concentrata nel cuore dell'economia moderna e la sola che, oggettivamente, non ha alcun interesse di classe al mantenimento della proprietà privata dei mezzi di produzione e della società capitalista. Nessuna delle ragioni per le quali Marx vedeva in esso la sola classe rivoluzionaria del nostro tempo è venuta meno (ruolo che ha giocato molte volte nel passato, nella realtà sociale e non soltanto negli scritti teorici del comunismo).

IL FALLIMENTO DEGLI INTELLETTUALI

In realtà, la categoria sociale che è venuta meno al proprio compito nel corso dei decenni passati è assai più quella degli intellettuali che il proletariato.

Infatti sia la Prima Internazionale che la Seconda, poi la Terza sono state costituite dall'incontro tra la frazione più avanzata dell'intellighenzia con il movimento operaio. Questo apporto di intellettuali è stato in ogni tempo un elemento costitutivo del movimento comunista rivoluzionario sin dalle sue origini, a partire da Marx ed Engels. Il bolscevismo stesso è il risultato della fusione tra una generazione di intellettuali interamente devoti alla causa della trasformazione comunista della società, con un coraggio e dei metodi forgiati nella lotta contro l'autocrazia e avendo acquisito una vasta cultura teorica e politica, e i migliori elementi di un proletariato giovane, combattivo e concentrato in grandi imprese moderne che l'imperialismo aveva costruito in Russia.

La classe operaia stessa, sottoposta al peso dello sfruttamento, non è giunta facilmente e spontaneamente alla coscienza politica, alla comprensione dell'evoluzione della società e dei metodi di trasformazione di essa.

Da parte loro, gli intellettuali più sinceramente ostili alla società capitalista e più determinati a operare per la sua trasformazione rivoluzionaria, non potevano niente senza l'appoggio del proletariato, la sola classe numerosa, concentrata nei luoghi di produzione, capace di compiere il profondo sconvolgimento sociale per la sostituzione della società capitalista con una nuova società.

La costituzione della Prima Internazionale è stata fatta così. La Seconda Internazionale, in ogni caso i suoi partiti più potenti, si rafforzarono allo stesso modo. E fu lo stesso per tutti i partiti della Terza internazionale, partito bolscevico compreso.

La costituzione di veri partiti comunisti rivoluzionari, capaci di giocare il loro ruolo in tutte le crisi sociali al fine di tentare di condurle verso un esito rivoluzionario, necessita, ogni volta, che una frazione di intellettuali si distacchi dall'influenza della borghesia per passare nel campo del proletariato, e necessita che parallelamente vi sia una spinta da parte del proletariato.

E' essenzialmente l'intellighenzia che non ha giocato, nei decenni passati, il ruolo che le era assegnato. Peggio, è stata assai spesso la causa principale della degenerazione delle organizzazioni operaie.

Abbiamo descritto i differenti momenti, tra le due guerre e all'indomani dell'ultima, in cui il proletariato si è fatto trovare pronto all'appuntamento con la Storia, ma non le organizzazioni che pretendevano di guidarlo, se non come ostacolo di fronte ai sui slanci rivoluzionari.

Ora, se la degenerazione burocratica dell'Unione sovietica ha avuto delle ragioni sociali profonde, legate allo scoraggiamento di una classe operaia russa che aveva dato molto e che si era ritrovata isolata, la trasformazione di tutti i partiti comunisti, senza eccezione, in partiti staliniani è stata, d'altra parte, largamente imputabile al fatto che non c'erano, tra gli intellettuali di questi partiti comunisti, persone capaci di scorgere l'allontanamento della burocrazia dalle idee comuniste e, peggio ancora, del coraggio necessario per opporvisi. Senza parlare di coloro che ne sono stati i principali complici.

Se l'integrazione dei grandi partiti della Seconda Internazionale nella società borghese è stata in parte condotta da una aristocrazia operaia, la degenerazione staliniana dei vari partiti comunisti, negli anni trenta, non si spiega tanto con l'integrazione di uno strato di operai nella società borghese - i militanti operai del Partito comunista potevano aspettarsi solo delle stangate in questo periodo, non una promozione sociale - ma si spiega assai di più col tradimento degli intellettuali, ovvero con la loro integrazione nella società.

E dopo la guerra, nei paesi poveri sconvolti da sussulti rivoluzionari, anche quando l'intellighenzia forniva dei capi rivoluzionari, forniva dei Mao o dei Casto, degli Ho Chi Minh o dei Che Guevara, ma non dei Marx, degli Engels, dei Lenin, dei Rosa Luxembourg o dei Trotskij. Ma ben più spesso essa forniva dei quadri arrivisti per i quali le masse sfruttate non erano che dei fantocci, utili soltanto per ottenere dall'oppressore imperialista uno Stato indipendente nel quale avrebbero potuto occupare posti e posizioni.

Così la frazione militante dell'intellighenzia ha scelto, nei paesi poveri, la lotta nazionalista, terzomondista, ecc., e, nei paesi sviluppati, pratiche socialdemocratiche, o anche staliniane, dispensatrici di posti, elettorali o meno, di posizioni, ma senza speranza di far avanzare la causa del comunismo!

Anche la frazione più devota degli intellettuali rivoluzionari dei paesi imperialisti, durante questi anni, si è messa a rimorchio di queste correnti nazionaliste alla moda, ha garantito il successo del maoismo e si è allontanata dal movimento trotskista o l'ha deformato.

Allora, l'umanità ha perso molti decenni duranti i quali l'imperialismo ha continuato ad esistere, come hanno continuato ad esistere e si sono aggravati i mali che esso ha veicolato.

Ma si è solo perso del tempo e, alla fine, niente è perduto, perché abbiamo la convinzione che un giorno o l'altro una generazione di intellettuali rivoluzionari raggiungerà il proletariato, che ha realmente la capacità di cambiare il mondo.

Quale che sia il tempo necessario, il capitalismo non può essere l'ultima forma di società che l'umanità conoscerà.

Dicembre 1994