Il governo di Lionel Jospin ha da poco iniziato il suo quarto mese di vita. Per il momento, a seconda di Giscard, ha condotto una politica "senza errori". L'apprezzamento ha valore nella misura in cui viene da uno dei principali dirigenti della destra. Ed è vero che Jospin continua a mantenersi ad un livello onorevole nei sondaggi, mentre il suo predecessore Juppé, dopo uno stesso periodo passato a Matignon, aveva già cominciato la sua irresistibile caduta presso l'opinione pubblica. Secondo gli stessi sondaggi, Jospin ha conquistato un ulteriore credito presso l'elettorato dell'UDF-RPR senza calare nei confronti dell'elettorato di sinistra.
Il governo socialista può quindi ritenere, per il momento, di essersela cavata con abilità, dopo l'elezione a sorpresa di una maggioranza di sinistra. Ma le prospettive sono cariche di minacce per la situazione della classe operaia come per l'evoluzione della situazione politica, e le due cose sono legate.
Una politica economica sulla linea dei governi precedenti
Le abiure del nuovo governo finalmente sono poco numerose -per la buona ragione che Jospin, durante la sua candidatura, si è fatto scrupolo di non fare promesse che avrebbero potuto vincolarlo alle esigenze dei salariati, i quali costituiscono la maggioranza dell'elettorato di sinistra-, ma sono significative : l'abbandono dei lavoratori della Renault-Vilvorde alla loro sorte fin dal debutto del governo socialista, la marcia indietro sulle 35 ore (contro le 39 attuali e a parità di salario) sotto la pressione del padronato, la ripresa del cammino verso la pri vatizzazione dell'Air France e della France Telecom, testimoniano della volontà del nuovo governo di allinearsi sulla politica padronale. Il rifiuto di fare il gesto, che però sarebbe stato solo simbolico, di sopprimere le leggi Pasqua-Debré, testimonia circa la sua sensibilità verso la destra e il suo desiderio -non soltanto schifoso ma anche stupido- di piacere all'elettorato reazionario.
Nel progetto di bilancio ci sono alcune misure che scalfiscono molto lievemente il padronato e i più ricchi. Per equilibrare il bilancio bisognava ben trovare da qualche parte le fonti per finanziare le poche e derisorie misure -principalmente quelle del piano Martine Aubry- presentate come l'espressione della volontà del governo di lottare per l'occupazione. E' stato compiuto anche il gesto di bloccare i costi degli affitti familiari. Si vedrà cosa resterà anche di queste poche cose, dopo il dibattito all'Assemblea nazionale. La sola notizia di queste misure ha scatenato una cagnara tanto negli ambienti padronali come pure da parte della destra. Per i dirigenti dell'RPR o dell'UDF che si apprestano a dar battaglia in nome della famiglia, del risparmio e del calo delle imposte -che faccia tosta !- si tratta di una guerra leale per tentare di riemergere dopo il cocente insuccesso delle legislative.
Ma i veri problemi non hanno alcuna comune misura con il guerreggiare parlamentare. Si tratta dell'avvenire politico del paese e delle sue conseguenze per il mondo del lavoro.
Nel calcare, come fa, i passi dei suoi predecessori, Jospin si condanna alla loro stessa impotenza di fronte alla disoccupazione, e per le stesse ragioni. La lotta contro la disoccupazione esige delle misure radicali. Esige che non si esiti ad attingere dai profitti padronali -che, ricordiamolo, quest'anno continuano ad incrementarsi mentre la loro crescita era già eccezionale l'anno scorso- tanto largamente quanto è necessario, sia per creare nuovi impieghi, sia per ripartire il lavoro fra tutti senza diminuzione dei salari. Questo comporta una politica che cerchi di salvaguardare prima di tutto gli interessi delle classi lavoratrici come più generalmente quelli della stragrande maggioranza della società (poiché non sono solo i disoccupati e le loro famiglie ad avere interesse per il riassorbimento della disoccupazione, anche se questo gioverebbe già a molte persone, ma anche la stragrande maggioranza della società). Jospin persegue la politica contraria, quella che mira prima di tutto a salvaguardare gli interessi del padronato. Una politica che, nel corso degli anni, ha condotto ad un trasferimento considerevole del reddito nazionale dalle classi lavoratrici verso la borghesia, ma che allo stesso tempo non ha frenato la crescita incessante della disoccupazione. Una politica che, proseguendo, aggraverà la miseria materiale di una frazione considerevole della popolazione.
A giudicare dal suo progetto di legge finanziaria, il governo conta su una ripresa economica. E' possibile che questa arrivi, ma è soprattutto una pia promessa, nel senso che si tratta di qualcosa che il governo non ha assolutamente il potere di controllare. Nel passato recente è la ripresa americana che ha alimentato le profezie ottimiste. Ma una ripresa non si diffonde necessariamente come una epidemia di influenza : tanto meno che quella, per altro del tutto relativa, che ha luogo negli Stati Uniti, è stata in parte ottenuta proprio a detrimento delle potenze imperialiste rivali con le quali la potenza americana è coinvolta in una lotta commerciale sempre più dura. E ciò che è stato della crescita "miracolosa" dell'Asia del Sud-Est, dopo la crisi monetaria devastatrice che ha scosso la regione, mostra che molto spesso la ripresa è solo una fase molto provvisoria tra due recessioni.
Quand'anche ci sarà una ripresa in Francia, come profetizzano alcune istituzioni economiche, nulla dice che essa si tradurrà in una diminuzione della disoccupazione. Fin tanto che ne ha la possibilità, il padronato compirà la scelta di aumentare la produzione senza aumentare i suoi investimenti in macchine e in attrezzature e, in ogni caso, senza assumere. Le sue recriminazioni, appena si considera soltanto la possibilità di una legge-quadro sulla riduzione degli orari di lavoro, sono significative. Il padronato tiene a salvaguardare e ad accrescere le sue conquiste degli ultimi anni : poter mettere i suoi lavoratori in cassa integrazione in alcuni momenti, far fare degli orari folli ad altri, in funzione delle oscillazioni della domanda. E prima di essere costretto ad assumere, in conseguenza di un eventuale crescita della domanda, piuttosto che far fare delle ore supplementari, il padronato ha un margine. Senza neanche parlare del fatto che, ancora su questo punto, dati i vantaggi acquisiti dal padronato nel corso degli ultimi anni, data la generalizzazione di tutte le forme di precarietà, le assunzioni saranno in ogni modo delle assunzioni a titolo precario. La diminuzione della disoccupazione che ne risulterà sarà una diminuzione precaria.
Se la situazione subirà un miglioramento, sarà possibile un rafforzamento della posizione del governo socialista nei confronti delle categorie sociali suscettibili di profittare di questo miglioramento. Senza dubbio questo permetterebbe di equilibrare più facilmente il bilancio dello Stato. Ma nessun automatismo assicura che questo si tradurrà in una diminuzione notevole della disoccupazione e quindi della miseria.
Delle conseguenze politiche minacciose per la classe operaia come per la società
La situazione forse non è peggiore con il governo di sinistra piuttosto che con i due governi di destra che lo hanno preceduto ? Sicuramente. Ma la differenza, precisamente, è che questo è un governo di sinistra. Le conseguenze dei due precedenti passaggi della sinistra al governo, il primo dal 1981 al 1986 con il Partito Socialista e il Partito Comunista insieme poi con il Partito Socialista da solo, il secondo dal 1988 al 1993, sono stati già gravi per la classe operaia. La politica che la sinistra ha perseguito, le soppressioni massicce di posti di lavoro, il blocco dei salari e la diminuzione multiforme della protezione sociale, hanno fatto sopportare l'essenziale della crisi ai lavoratori. Ciò ha condotto ad una degenerazione del livello di vita della classe operaia, ma anche alla sua demoralizzazione, al suo disorientamento politico. Per tutto un periodo questa demoralizzazione è stato un fattore essenziale della diminuzione della capacità dei lavoratori di difendersi di fronte agli attacchi del padronato. Anche oggi, la classe operaia non ha finito di pagare gli effetti demoralizzanti del passaggio della sinistra al potere, delle sue promesse tradite, del suo servilismo nei confronti del padronato e a detrimento dei lavoratori. E questa demoralizzazione ha avuto come conseguenza, sul piano politico, il calo del l'influenza del Partito comunista ma anche l'ascesa dell'influenza e del peso elettorale del Fronte Nazionale.
Ma le conseguenze oggi possono essere più gravi, non foss'altro che per la durata. La politica di Jospin e del suo governo non è né migliore né peggiore di quella di Fabius, di Rocard o di altri. Ma l'influenza del Fronte Nazionale non è più la stessa. Un clamoroso insuccesso del governo socialista, coniugato al discredito dell'RPR e dell'UDF, aprirebbe una strada maestra al Fronte nazionale.
Le ultime elezioni cantonali parziali, riguardanti cinque cantoni ed il cui primo turno ha avuto luogo il 21 settembre, sono state segnate dall'ascesa, molto importante in due di questi casi, del Fronte Nazionale. Nel cantone di Mulhouse-Nord il candidato del Fronte Nazionale è arrivato primo, e di parecchio, col 44,6% dei voti. Nel cantone di Le Blanc-Mesnil ed in quello di Epinay-sur-Seine, tutti e due nella regione parigina, i candidati del Fronte Nazionale hanno ricevuto rispettivamente il 25,8% e il 23,6% dei voti.
Queste non sono che elezioni cantonali parziali. Ma ci forniscono delle indicazioni più reali dei sondaggi e mostrano il senso cui volge Io scenario politico.
Per il momento il Fronte Nazionale resta un partito di estrema destra, elettoralista al pari del raggruppamento di de Villiers, dell'RPR e dell'UDF. La sua strategia visibile è orientata verso la conquista di posizioni elettorali, nelle municipalità, nei consigli generali o regionali e, almeno nei suoi desideri, all'Assemblea e al Senato. Questa strategia non esclude affatto la possibilità di alleanze con l'UDF e con l'RPR -sono questi ultimi che, da molti anni, rifiutano ogni tipo di alleanza o accordo di desistenza. La loro scelta è stata quella di presentarsi divisi, anche al secondo turno, affinché gli elettori si trovassero obbligati a scegliere fra loro ed il Fronte Nazionale.
Ma, tra i notabili dell'RPR e dell'UDE sono sempre più numerosi coloro che reclamano, apertamente o ipocritamente, la scelta dell'alleanza. Sono rimasti scottati dalle legislative (nelle quali l'insuccesso della destra ha avuto le proporzioni che tutti sanno) principalmente perché, in un grande numero di casi, i candidati dell'RPR e dell'UDF si sono trovati di fronte, al secondo turno, non soltanto un candidato di sinistra, ma anche un candidato del Fronte Nazionale.
Il rifiuto di stipulare accordi di desistenza con il FN favoriva l'RPR e l'UDF fino a quando il loro peso elettorale era superiore a quello del Fronte Nazionale. Ma, non avendo quest'ultimo cessato di accrescere la sua influenza, mentre la coalizione RPR-UDF perdeva parte della propria, è divenuta forte, per i notabili della destra -che raramente sono motivati da ragioni ideologiche o da principi- la tentazione di scegliere l'alleanza piuttosto che la rivalità. Tanto più che, in conseguenza della sconfitta alle legislative, la destra ha bisogno di consolarsi con le imminenti elezioni regionali. Dopo le leggi sulla decentralizzazione, i consigli regionali, con i loro cospicui bilanci, rappresentano un boccone appetitoso, oltre a garantire dei legami col padronato locale. La tentazione di una forma di alleanza col Fronte Nazionale, in vista delle numerose elezioni nei futuri consigli regionali, scaturisce da interessi materiali ben tangibili.
Ma bisogna dire che, più aumentano gli indici di ascolto elettorali del Fronte Nazionale, più questo esercita una pressione sulla destra, ed indirettamente su tutta la casta dei politici.
Anche se l'influenza del Fronte Nazionale non si esprime che per via elettorale, questo esercita una pressione crescente sulla società in senso reazionario. Questa semplice pressione rappresenta un danno per la classe operaia, poiché viene esercitata in senso diame tralmente opposto ai suoi interessi.
Ma resta sempre aperto l'altro possibile scenario, incluso nel carattere ambiguo del Fronte Nazionale. Se la crisi si aggrava, se la situazione sociale porta la borghesia alla convinzione che un partito fascista è necessario e se essa fornisce allo stesso tempo delle truppe, attingendo sia nei ranghi di una eventuale frazione immiserita della piccola borghesia che in quelli dei più poveri, i quali, non avendo più niente da perdere, non esiterebbero a vendersi, allora, Le Pen e il suo partito saranno i candidati.
Se avrà corso una tale evoluzione, il governo socialista, per di più con dei ministri comunisti, costituirà un bersaglio ed allo stesso tempo un pretesto per mobilitare le truppe fasciste, al di là del governo, contro la sinistra e contro la classe operaia.
Sarà illusorio contare sul governo per sviare questa minaccia, poiché c'è un legame diretto, tangibile, tra l'incapacità volontaria del governo di incolpare il padronato per la mancata concessione del denaro necessario a proteggere i lavoratori e la società dalla disoccupazione e dalle sue conseguenze, e l'aumento dell'influenza del Fronte Nazionale. Solo la reazione della classe operaia, una ripresa della sua combatti vità tanto sul terreno della sua situazione materiale che in campo politico, potranno costituire l'antidoto a queste minacce.
Nessuno può prevedere se la ripresa della combattività operaia è vicina o lontana. I diversi movimenti proposti dalle organizzazioni sindacali per le prossime settimane daranno forse un'indicazione. Un'indicazione soltanto, poiché ciò che è stato annunciato non può certo costituire un serio avvertimento per il padronato e la borghesia, né un incoraggiamento reale per l'insieme dei lavoratori. Se è evidente che bisogna fare di tutto affinché le giornate di sciopero e di manifestazione proposte alla France Telecom, alla SNCF e forse -ma nel momento in cui stiamo scrivendo non è ancora sicuro- alla "conferenza sull'impiego, il tempo di lavoro e i salari", siano il più massicciamente partecipate, non è meno evidente che ciò non sarà sufficiente a cambiare i rapporti di forza. Per far questo sarà necessario dare un seguito a queste iniziative, avere un piano di lotta, degli obiettivi che possano unire i lavoratori intorno ai loro interessi vitali. Degli obiettivi che , allo stesso tempo, contestino le manomissioni della borghesia sull'economia.
Noi non siamo ancora a questo punto. Ma arrivarci è certamente il compito più importante del prossimo periodo.