Non solo indignarsi del capitalismo, occorre rovesciarlo!

Print
13 giugno 2011

Intervento di Nathalie Arthaud alla festa di Lutte Ouvrière - 13 giugno 2011

Lavoratrici, lavoratori, compagni e amici,

Una ricchezza della nostra festa è la presenza con noi di organizzazioni che militano in altri paesi. Le vorrei salutare e le augurare coraggio per le loro attività, tanto più che spesso questi compagni vivono e militano in condizioni difficili. Qualche volta il motivo è la situazione politica, qualche volta semplicemente le difficoltà della vita quotidiana.

Con le nostre organizzazioni sorelle abbiamo in comune di condividere lo stesso ideale, lo stesso programma e innanzitutto la stessa fiducia nelle capacità della classe operaia di porre fine all'organizzazione capitalistica della società, alle sue ingiustizie e alla sua assurdità.

Basta parlare con loro nei loro stand o in occasione dei loro forum di discussione per constatare che la crisi finanziaria colpisce tutti i paesi senza eccezione e che dappertutto i danni sono già catastrofici per le classi sfruttate.

L'Europa, e innanzitutto la sua parte occidentale, è considerata alla pari del Nord America come la regione più ricca di tutto il mondo.

Eppure oggi in queste regioni la disoccupazione ha fatto un balzo. Dappertutto, colpisce i giovani. Colpisce sia chi non ha qualifica che chi è pieno di diplomi.

Dalla Grecia all'Irlanda e al Portogallo, le banche danno notizia del debito dei paesi che stanno strozzando, e esigono dai loro governi una politica di austerità per costringere le classi sfruttate a rimborsare, con gli interessi, questi debiti di cui non sono affatto responsabili.

Dappertutto si riduce l'organico dei lavoratori dei servizi pubblici. Dappertutto si aumenta l'età della pensione e si abbassa l'ammontare delle pensioni. Dappertutto si demolisce il sistema delle tutele sociali.

Il contagio non si limiterà ai paesi già coinvolti. Nessun paese può sperare di sfuggire agli strozzini del sistema finanziario. Anche gli Stati Uniti, la potenza più ricca del mondo, sono scossi.

Sì, è in crisi l'insieme del mondo capitalista. Guardiamo ciò che succede in Grecia o ciò che sta cominciando in Spagna o in Portogallo, e ci vediamo il nostro proprio futuro.

Questa crisi non trae origine da alcuna catastrofe naturale. Viene dall'interno stesso dell'organizzazione economica. Viene dalla concorrenza per il profitto, viene dallo sviluppo canceroso della finanza e dalle ceche regole del mercato.

La crisi minaccia di far ben più vittime dei cicloni più violenti o dei terremoti più mortali. Ne fa nei paesi ricchi. Ma ne farà ben più ancora nei paesi poveri dell'Africa, dell'Asia o dell'America latina. Lì centinaia di milioni di uomini sono già al limite della sopravvivenza e la variazione di qualche punto percentuale del prezzo del riso, del grano o del granoturco fa sprofondare centinaia di milioni di bambini, di donne, di uomini, dalla malnutrizione alla carestia.

Il cibo stesso è ormai oggetto di speculazione. In questi casinò quali sono le Borse del mondo capitalista, certamente si gioca la fortuna per alcuni ma si gioca soprattutto la vita o la morte per milioni di poveri.

Come tutti, i ciarlatani che dirigono la vita politica internazionale constatano i danni. Nei loro grandi incontri politici quali i G7, i G8 o G20, fanno discorsi, parlano di regolazione, promettono riforme. Ma non possono e non vogliono fare niente, poiché anche per fare riforme bisognerebbe prendersela con la ricerca del profitto, con la concorrenza, con la proprietà privata delle fabbriche, delle banche, cioè con la classe capitalista stessa.

Alcuni di questi ciarlatani -ce ne sono soprattutto a destra e all'estrema destra, ma anche a sinistra- raccomandano il ripiegamento protezionista, la chiusura delle frontiere. Non è solo stupido, tanto l'economia è internazionalizzata da molto tempo. È anche un veleno il cui risultato è di aizzare i popoli gli uni contro gli altri.

Altrettanto grave è l'opporre i lavoratori di uno stesso paese agli altri in funzione della loro origine e di prendersela con il lavoratori immigrati, con o senza documenti regolari.

I lavoratori immigrati sono una parte di noi stessi. Consentire che siano attaccati sarebbe un suicidio. Non dobbiamo lasciar fare.

Altrove, nella parte povera dell'Europa, l'estrema destra non si accontenta di un discorso di odio. Attacca fisicamente i Rom e le minoranze nazionali.

Questa strada lì porta alla barbarie. Il movimento operaio rivoluzionario deve rappresentare il contrario: la fratellanza tra gli sfruttati dei vari paesi, l'internazionalismo.

La forza delle correnti d'estrema destra che dappertutto in Europa fanno di queste schifezze il loro capitale politico risulta dalle delusioni create dai partiti della sinistra riformista. Queste delusioni risultano, come qui in Francia, da un passato che si sta allontanando, gli anni Mitterrand e poi gli anni del governo Jospin. Ma in Grecia, in Spagna o in Portogallo questo è il presente. Oggi i partiti socialisti al governo in questi paesi sono gli esecutori degli sporchi lavori del gran capitale.

In Grecia un governo socialista sta svendendo il paese ai banchieri, privatizzando a tutto andare, dai porti alle imprese industriali statalizzate, fino al servizio postale e alle scommesse sportive.

La forza dell'estrema destra dappertutto in Europa risulta dal fatto che le masse sfruttate, disorientate, disarmate dalla sinistra riformista, si sentono perdute, senza prospettiva, e tacciono dal punto di vista politico.

Ma questo non durerà. Le crisi cambiano brutalmente la situazione e la vita stessa di milioni di donne e uomini, rilanciano inevitabilmente la lotta di classe. La borghesia conduce da anni la sua propria. Spingerà inevitabilmente gli sfruttati a reagire.

All'inizio di quest'anno sono stati i popoli arabi e in particolare quelli d'Egitto e di Tunisia a mostrare l'esempio. Hanno mostrato come si possono rovesciare i peggiori dittatori che credevano di essere eterni come un macigno. Ma l'esempio dell'Egitto e della Tunisia dimostra anche che le masse sfruttate devono andare più avanti. I popoli di questi due paesi si sono rivoltati contro la dittatura in nome della libertà. Ma gli sfruttati trascinati nella rivolta si sono battuti anche per una vita migliore, per il diritto elementare di mangiare ogni giorno a sufficienza e di percepire uno stipendio che lo consenta. Da quel punto di vista non hanno ottenuto nulla. E il motivo è chiaro.

Se Mubarak e Ben Ali erano dei boia, la causa della disoccupazione e della miseria di questi paesi era ben oltre la loro piccola persona. Dietro la dittatura di un uomo, c'è la dittatura del sistema capitalista stesso, la dittatura di un'organizzazione sociale fatta per schiacciare i più poveri a vantaggio dei più ricchi, per schiacciare il lavoro a profitto del capitale.

Per porre fine a questo sistema, non basta rovesciare il potere di un uomo. Bisogna porre fine al potere assoluto sull'economia di quelli che possiedono le fabbriche, le banche, le grandi catene di distribuzione.

L'esempio della Tunisia e dell'Egitto ha ispirato direttamente o indirettamente quelli che in Spagna si chiamano gli "indignati". Sì, indignati c'è motivo di esserlo. Ma anche lì la borghesia capitalista se ne frega dell'indignazione che suscita. Sin dai suoi inizi, il capitalismo si è costruito nel sangue e le sofferenze.

È nato dalla schiavitù, dalla pirateria, dai saccheggi, dalle guerre. È cresciuto mettendo al lavoro i bambini nelle fabbriche più schifose, nelle miniere. È nato trasformando le città in fogne nauseabonde e i loro abitanti in poveracci. Due secoli dopo, il capitalismo produce la stessa miseria e le stesse sofferenze nei paesi poveri. E anche nei paesi ricchi ci fa tornare anni indietro.

Quindi l'indignazione è una condizione necessaria perché la collera delle vittime di questo sistema si possa trasformare in rivolta. Ma non è sufficiente perché la rivolta sia efficace.

Gli indignati di Spagna e forse di Grecia, del Portogallo e di altre parti hanno fatto un passo importante: non credono più all'alternanza dei grandi partiti al potere, che sono tutti al servizio dei più ricchi. Hanno capito che bisogna pesare direttamente sulla vita politica e non per il tramite dei partiti istituzionalizzati il cui compito è di incanalare, di inquadrare e di sviare la collera delle masse per farla finire in misere chiacchiere parlamentari che non portano da nessuna parte.

Ma questo primo passo sarà tale solo se sarà seguito da altri. Non basta indignarsi del capitalismo. Bisogna rovesciarlo.

Essere comunista rivoluzionario significa innanzitutto essere portatore di questa convinzione.

È la convinzione che la società potrà progredire solo se uscirà dal capitalismo, dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. È la convinzione che la classe operaia, che il proletariato, cioè l'insieme di quelli che hanno solo il proprio lavoro per vivere, ha la forza e la possibilità di farlo.

Da quando esiste il movimento operaio c'è sempre stato al suo interno una corrente la cui ragione d'essere era la lotta per il rovesciamento del capitalismo. Ci furono periodi in cui questa corrente era potente e minacciava direttamente il dominio del gran capitale sulla società. Ci furono periodi in cui era indebolito a causa dei colpi portati dalla borghesia e dai suoi rappresentanti politici, o a causa dei tradimenti venuti dai dirigenti del movimento operaio stesso.

Siamo oggi nella situazione in cui i cosiddetti partiti socialisti, non solo hanno abbandonato da molto tempo le convinzioni socialiste di una volta, ma eseguono le volontà della borghesia con la stessa servilità dei partiti di destra.

Quanto ai grandi partiti che si affermavano comunisti, a forza di volere assomigliare ai partiti socialisti sono finiti come loro, oppure stanno sparendo.

Quindi la corrente comunista è più che debole rispetto alle necessità politiche di questo periodo di crisi del capitalismo, ma finché esisterà rappresenterà la speranza.

La corrente comunista non ha affatto la capacità di scatenare movimenti di rivolta larghi e potenti. Saranno la classe capitalista stessa e i suoi servitori politici al governo che alla fine faranno scattare l'esplosione sociale. La responsabilità dei comunisti rivoluzionari è di fare sì che questi movimenti di rivolta non siano condotti verso false strade, e in particolare di fare sì che non siano sviati sulla strada sterile e pericolosa del ripiegamento nazionale, dell'ostilità nei confronti degli altri popoli. Al contagio della crisi capitalista che non si è fermata ai confini, deve rispondere il contagio rivoluzionario tra le classi sfruttate di tutti i paesi. Nella battaglia contro il capitalismo, l'unica vera frontiera è quella che separa gli sfruttatori capitalisti dalle classi sfruttate.

Si, la crisi dell'economia capitalista è divenuta il fatto dominante della situazione internazionale. Pesa con l'aggravamento dappertutto delle condizioni d'esistenza delle classi sfruttate. Pesa anche direttamente su tutta la società, perché favorisce tutte le forme di barbarie sociale che vengono a galla, le idee reazionarie, nazionaliste, xenofobe, razziste nei paesi ricchi, l'etnismo o il fanatismo religioso nei paesi poveri.

La precedente grande crisi, quella degli anni '30, aveva portato alla guerra. Certo, la storia non si ripete necessariamente. Per ora la borghesia di nessuno dei grandi paesi capitalisti si trova nella stessa situazione della Germania o del Giappone prima della seconda guerra mondiale, cioè spinta a conquistare mercati e zone d'influenza in un'economia allo sbando. Ma il militarismo non ha mai smesso di gravare sulla società, le spese d'armamento non smettono di aumentare. Rappresentano uno spreco enorme.

Il nostro imperialismo è tanto più vendicativo in questa materia che è un imperialismo di secondo ordine. La Francia è impegnata in tre guerre, in Afghanistan, in Libia ma anche in una vera e propria guerra nella Costa d'Avorio.

Ovviamente i politici della borghesia sanno giustificare ognuna di queste guerre con grandi motivi morali o addirittura umanitari. Contro il fanatismo religioso in Afghanistan, contro la dittatura in Libia, o per far rispettare la volontà della maggioranza elettorale nella Costa d'Avorio.

Certamente Gheddafi in Libia è un infame dittatore e Gbagbo nella Costa d'Avorio ha mostrato quante sofferenze poteva imporre al proprio popolo. Ma le aggressioni imperialiste non hanno mai portato né la libertà, né la felicità ai popoli che pretendevano proteggere.

Basta cercare un po' per trovare, dietro le giustificazioni umanitarie, sordidi interessi economici: là il petrolio o le materie prime; qua permettere a Bouygues, Bolloré o alle banche di saccheggiare tranquillamente una ex colonia. Altrove si tratta di consentire alla borghesia francese di essere presente in una posizione strategica.

Dappertutto queste guerre limitate sono per i militari un allenamento alle guerre future. Sono anche una mostra pubblicitaria con cui i venditori d'armi dimostrano l'eccellenza di queste macchine ad uccidere quali sono gli aerei, gli elicotteri di combattimento e questi missili che seminano morte e distruzione a Tripoli.

Anche se queste guerre hanno il beneplacito non solo della destra ma anche del partito socialista, sono guerre di brigantaggio.

La corrente comunista rivoluzionaria non è abbastanza forte da potere opporsi a queste guerre. Ma almeno può affermare la sua posizione. Almeno può affermare che le truppe francesi non hanno niente da fare in Afghanistan, non più che in Africa.

Tra i misfatti del regno della borghesia capitalista non si può ignorare l'avvertimento quale è stato per tutto il mondo l'incidente nucleare di Fukushima. La vera minaccia non risulta dalla reazione nucleare stessa, bensì da chi gestisce questa economia, la cui responsabilità nella corsa al profitto è capace di trasformare ogni progresso in un pericolo per l'uomo e l'ambiente.

Siamo tra quelli che hanno una fiducia profonda nell'umanità e nel progresso. Anche solo questo basta a differenziare fondamentalmente i comunisti rivoluzionari da tutte le tendenze ecologiste o decrescenti. Ma perché l'umanità possa accrescere coscientemente il suo controllo della natura nel rispetto di quest'ultima, bisogna che essa possa controllare la sua propria vita sociale.

E controllare la propria vita sociale significa riorganizzare l'economia in tal modo che il suo motore non sia più la ricerca del profitto individuale, bensì la valutazione cosciente delle capacità di produzione collettiva e dell'utilizzo cosciente di queste capacità per soddisfare i bisogni materiali e culturali di ciascuno. Per arrivare ad una tale società bisogna espropriare la classe capitalista e riorganizzare l'economia sulla base collettivista e pianificata.

Nel caso della centrale nucleare di Fukushima, solo dopo l'incidente la popolazione ha saputo tutto ciò che la società Tepco, che la gestiva, ha nascosto per anni e l'ha resa incapace di far fronte all'incidente. Allora, bisogna che i lavoratori di tutto il settore nucleare abbiano il diritto di controllare tutto, di rendere pubblico immediatamente tutto ciò che gli sembra anomalo, che possano denunciare tutti i programmi di risparmio fatti a detrimento della sicurezza.

E bisogna che le imprese non possano invocare il segreto industriale o il segreto commerciale contro questa trasparenza. Questi segreti servono solo a preservare il diritto dei capitalisti di fare quello che gli pare, dal momento che così possono fare soldi.

Il segreto industriale è servito nel caso della centrale nucleare di Fukushima solo a nascondere alla popolazione un pericoloso rischio industriale. Alla Citroën è solo a nascondere un piano di licenziamenti ai lavoratori che erano i primi interessati. Alla ditta Servier, è servito solo a minimizzare il rischio di una medicina, il Mediator, che si è rivelato essere un veleno. Quindi, abbasso il segreto degli affari.

La produzione si svolge con la partecipazione di tutti i lavoratori. Riguarda tutti, e bisogna che possa essere controllata da tutti.

Compagni e amici,

Il prossimo periodo sarà un periodo duro per gli sfruttati. Sarà duro perché il sistema capitalista può sopravvivere, cioè continuare ad arricchire una minoranza di privilegiati nonostante la crisi, solo con lo schiacciare sempre più le classi sfruttate. Ma la resistenza che questo provocherà farà anche sorgere in seno al mondo del lavoro donne e uomini che capiranno che in questo sistema non esiste una via d'uscita individuale. Donne e uomini che si dedicheranno all'emancipazione della loro classe sociale sapendo che il motore di questa battaglia è il rovesciamento del capitalismo.

La prospettiva che vogliamo incarnare e popolarizzare è quella del raggruppamento di tutti questi militanti in un partito comunista rivoluzionario. In questa prospettiva militano anche i compagni della nostra corrente politica nei loro rispettivi paesi, nelle Antille, in Haiti, negli Stati Uniti, in Africa e in Europa. E abbiamo la convinzione che la rinascita di un vero partito comunista rivoluzionario qui in Francia andrà di pari passo con la rinascita di un'Internazionale comunista.

Certamente non basta innalzare la bandiera del comunismo rivoluzionario per provocare un raggruppamento intorno. Ma se non innalziamo la bandiera, nessun altro lo farà al nostro posto.

Le elezioni presidenziale e politiche dell'anno prossimo ci danno alcune possibilità supplementari di popolarizzare gli obiettivi che difendiamo tutto l'anno. Certamente non diremo "votate per noi e faremo il resto". Questo già è ridicolo da parte dei grandi partiti, poiché se le elezioni permettono loro di occupare posti, non danno loro il vero potere che rimane tra le mani di chi ha i capitali e il potere economico.

Non faremo una propaganda astratta per il comunismo. La trasformazione sociale per cui stiamo militando non sarà l'opera di un partito politico, che sia grande o piccolo, ma quella di milioni di sfruttati spinti alla lotta dalle loro condizioni di esistenza, il che li porterà a capire la necessità di espropriare la borghesia.

Non ci accontenteremmo neanche di denunciare la situazione fatta agli sfruttati. Vogliamo innanzitutto dire loro che hanno, non solo la forza di difendersi ma anche quella di trasformare la società.

Vogliamo fare conoscere gli obiettivi che in caso di esplosione sociale dovranno essere portati avanti per cambiare il rapporto di forze tra la borghesia e la classe operaia.

Affermeremo che l'unico modo di fare sparire la disoccupazione è di imporre il divieto di licenziamenti e la spartizione del lavoro tra tutti senza diminuzione di salario.

Affermeremo che non bisogna lasciare la borghesia demolire il tenore di vita di quelli che producono e fanno vivere la società. Bisogna imporre un aumento importante dei salari e delle pensioni, il cui potere d'acquisto va tutelato da un'indicizzazione automatica sui prezzi.

Certamente i padroni capitalisti e i loro servitori ci diranno che questo è impossibile, che finanziare tutto questo li rovinerebbe. Sono bugie grossolane quando si pensa all'ammontare dei profitti e dei dividendi distribuiti agli azionisti.

Per questo bisogna imporre il controllo dei loro conti. Bisogna che i lavoratori delle loro imprese, che la popolazione, sappiano quanto i padroni pagano in salario e quanto pagano di dividendi ai loro azionisti.

Bisogna imporre che i loro progetti di investimenti e i loro calcoli speculativi siano resi pubblici. Bisogna che si possano conoscere i loro fornitori e i loro clienti, i margini di utile che impongono agli uni e agli altri, e anche le tangenti.

Tutta la società ha interesse a questi controlli perché le grandi imprese non si accontentano di sfruttare i loro operai, derubano anche i consumatori e anche, quando sono meno potenti di loro, i fornitori e i clienti

Capita qualche volta che i piccoli contadini, strozzati dai prezzi troppo bassi proposti dalla grande distribuzione, facciano azioni per mostrare ai consumatori la differenza che c'è tra il prezzo che le grandi catene pagano loro, e il prezzo d'acquisto per i consumatori. Ebbene, queste sono buone iniziative.

I lavoratori, i salariati, hanno molte più possibilità dei piccoli contadini per procedere a questo tipo di controllo. Sono in posizione di svelare le piccole e grandi combinazioni e di mostrare quanto il furto su grande scala caratterizza l'attività economica dei grandi gruppi capitalisti.

Il controllo operaio certamente non è ancora la società comunista, ma è già un grande passo in questa direzione. Questo passo, lo si può varcare solo con la mobilitazione, con l'attività cosciente di tutta la nostra classe sociale. Non sappiamo quando questo si produrrà, ma possiamo e dobbiamo propagare le idee che serviranno domani.

Allora, compagni, auguro a tutti una buona fine di festa e poi, finita la festa, coraggio per tutto ciò che dovremo fare nelle imprese, nei quartieri popolari e dappertutto.