Iran : il regime di fronte alla contestazione (da Lutte Ouvrière settimanale, febbraio – giugno 2009)

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Iran : il regime di fronte alla contestazione
30 giugno 2009

Il 23 giugno 2009 il consiglio dei guardiani della costituzione, organo dirigente della dittatura islamista iraniana, ha confermato che considera valida la rielezione del presidente uscente Mahmud Ahmadinejad, mentre i suoi concorrenti continuavano di contestare e denunciare la truffa elettorale. Ma per il potere non si parla più neanche di fare finta di provvedere ad un nuovo conteggio dei voti. La "guida suprema" Ali Khamenei, che è il vero dirigente del regime iraniano, ha avvertito gli oppositori che ormai aveva deciso e che le manifestazioni sarebbero represse senza pietà.

La polizia e le varie forze di repressione comunque erano già intervenute violentemente contro i manifestanti a furia di manganellate e anche di sparatorie, facendo almeno dieci morti e numerosi feriti. Ci sono stati anche numerosi arresti. Dopo l'ultima manifestazione di massa il sabato 20 giugno sembra che le manifestazioni siano state molto sporadiche e comunque molto meno numerose, almeno per quanto lo si possa sapere poiché le notizie arrivano sempre più difficilmente all'esterno.

Si può dire per tanto che la dittatura che impera a Teheran l'ha fatto finita con la contestazione? Non è affatto sicuro. Queste elezioni sono state l'occasione per i vari clan del regime di confrontarsi. Per Mir Hossein Mussavi, già primo ministro dell'ayatollah Khomeiny che alla sua epoca si è mostrato capace anche lui di condurre una feroce repressione contro gli oppositori, sono state l'occasione col candidarsi contro Ahmadinejad, di darsi l'immagine di un oppositore democratico, fautore di un regime meno rigido. Ed è evidente che ha trovato un ascolto presso una parte della popolazione.

Ma quest'ultima, queste centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato nelle strade e le milioni che le hanno approvate, possono ancora accettare per anni questo regime di mollah reazionari che impongono a tutti, e in particolare alle donne, il loro ordine morale? Lo si vedrà in futuro ovviamente, e questo dimostrerà fino a che punto l'opposizione al regime rimane limitata ai ceti cittadini relativamente agiati, e fino a che punto essa coinvolge i ceti popolari particolarmente colpiti dal degrado della situazione economica. Infatti, a prescindere dalla questione elettorale, gli scioperi operai si sono moltiplicati nell'ultimo periodo.

Comunque è probabile che le lotte di clan nei circoli dirigenti andranno avanti, così come i calcoli degli uni e degli altri per provare ad utilizzare al loro vantaggio il malcontento suscitato dal regime. In fondo è così che hanno fatto trenta anni fa i religiosi sciiti schieratisi con Khomeiny, mettendosi alla testa della lotta contro l'odiato regime dello scià. Questa lotta era stata punteggiata da una successione di manifestazioni di massa, represse in modo sanguinoso dal regime prima di portare alla sua caduta. Questa vittoria popolare purtroppo era stata seguita rapidamente dall'instaurazione di una nuova dittatura, quella della Repubblica islamica.

Le lezioni di questa esperienza sono state certamente comprese da molti esponenti di questa repubblica stessa. Bisogna augurarsi che in seno alla popolazione e ai lavoratori molti altri ne abbiano tratto le lezioni, ma in un altro modo, e siano consapevoli della necessità per la classe operaia di avere la sua propria politica autonoma nei confronti delle varie cricche del regime.

J.F.

Febbraio 1979, la rivoluzione iraniana e la fine della monarchia

All'inizio del 1979 un'immensa ondata popolare stava per rovesciare l'odiato regime dell'ultimo monarca dell'Iran, lo Scià Reza Pahlavi. Questo movimento capeggiato dai religiosi sciiti avrebbe portato al potere l'ayatollah Khomeiny, tornato dall'esilio il 1° febbraio. I giorni 9,10 e 11 febbraio 1979 un'insurrezione sollevò la popolazione di Teheran coronando una lunga serie di manifestazioni di massa che da più di un anno avevano fatto tremare il trono.

Il regime dello Scià

Installato al potere nel 1941 col sostegno delle autorità britanniche e americane, poi allontanato per un certo periodo dal suo primo ministro nazionalista Mossadegh, lo Scià era tornato nel 1953 grazie ad un colpo di Stato sostenuto dalla CIA. Da quel momento esercitava sui 34 milioni di abitanti -nel 1978- una feroce dittatura appoggiata sull'esercito e la Savak, la polizia politica dalle tristemente famose camere di tortura. Il regime dello Scià, di fronte alla miseria popolare, ostentava la sua opulenza e l'arroganza di un piccolo ceto di privilegiati e di parvenus. L'affettazione di modernismo all'occidentale dello Scià e della sua corte urtavano le masse misere, contadini poveri costretti all'esodo verso le borgate urbane o lavoratori senza qualifica e spesso senza lavoro. La ricchezza petrolifera acquisita dai trusts internazionali e dai vari ceti di parassiti alimentava un'intensa speculazione mentre i lavoratori del petrolio e degli altri settori industriali dovevano affrontare la disoccupazione, i bassi salari e l'aumento dei prezzi.

I religiosi musulmani sciiti, invece, confinati in secondo piano dal regime, erano nella posizione di oppositori, cosa che gli dava la possibilità di imporre alle masse la direzione politica dei mollah che, nelle mosche o in esilio, aspettavano la loro ora.

Le manifestazioni contro lo Scià, la sua politica e l'imperialismo americano che ovviamente ne teneva le fila, si scatenarono a partire dall'inizio dell'anno 1978. Furono sempre violentemente represse dall'esercito, qualche volta con carri armati ed elicotteri. La Savak finiva il lavoro con gli arresti, le carcerazioni e le torture. Scioperi e manifestazioni aumentarono nonostante il numero dei morti e dei feriti e nell'agosto 1978 lo Scià promise di organizzare "elezioni libere" per il giugno del 1979. Nel settembre del 1978 cambiò anche il primo ministro. Ma le rivendicazioni popolari, essenzialmente politiche come la libertà d'espressione, la liberazione delle decine di migliaia di prigionieri politici, lo scioglimento della Savak e innanzitutto le dimissioni dello Scià, urtavano sempre contro lo stesso rifiuto.

Khomeiny alla testa dell'opposizione

La popolazione continuava le manifestazioni nonostante i divieti. Prima vittoria politica, 17 partiti uscirono allora dalla clandestinità. Il 7 settembre uno sciopero generale portò avanti le stesse rivendicazioni a cui ormai si aggiungeva il ritorno dell'ayatollah Khomeiny, arrestato poi esiliato quindici anni prima e che, nonostante o grazie alla sua qualità di esponente religioso, appariva come il primo oppositore allo Scià.

In una dichiarazione Khomeiny non si dimenticò di "porgere la mano alle forze armate iraniane". Lo Scià ordinò però che queste entrassero in azione dappertutto : fecero migliaia di morti. Alcune concessioni furono fatte agli operai in sciopero, ma la legge marziale fu proclamata.

Nell'ottobre 1978 ci fu una nuova ondata di scioperi. Nel novembre la popolazione lavoratrice, senza armi, affrontava più di mezzo milione di militari nel corso di manifestazioni di centomila o duecentomila persone, in un'atmosfera da guerra civile. Alla raffineria di Abadan lo sciopero portò ad un accordo salariale, ma proseguì. Tutto il popolo ormai si alzava contro la dittatura e sembrava che niente lo potesse più fermare, né le poche concessioni, né la repressione. Gli altiforni di Ispahan erano fuori uso, la produzione petrolifera ad Abadan era quasi ferma, la vita economica paralizzata.

All'inizio del gennaio 1979 la borghesia iraniana e i suoi tutori imperialisti cercarono di dare l'illusione di un cambio politico con l'instaurazione del governo di Sciapur Bakhtiar. Quest'ultimo dichiarò che "la tortura non era necessaria" e cominciò a smantellare in parte la Savak. Ma lo Scià rimaneva al suo posto e i manifestanti continuavano ad affrontare l'esercito per esigere le sue dimissioni.

La sinistra senza politica

Mentre dal suo esilio Khomeiny moltiplicava gli appelli a manifestare per una "Repubblica islamica", alla fine di gennaio grandi manifestazioni della sinistra furono organizzate dal partito comunista Tudeh e dalle organizzazioni guerrigliere dei Fedain (laici) e dei Mujaheddin (musulmani). Queste prime apparizioni pubbliche della sinistra si svolsero però dietro i ritratti dell'ayatollah. I manifestanti nondimeno furono violentemente attaccati e dispersi da gruppi di militanti religiosi armati al grido di "l'unico partito è il partito di Dio".

Eppure i partiti di sinistra continuavano a schierarsi completamente dietro la politica di Khomeiny. Il dirigente del Tudeh approvando l'iniziativa di Khomeiny di creare una "Consiglio della rivoluzione islamica" spiegava addirittura ad un settimanale americano: "la religione sciita ha radici democratiche ed è sempre stata legata alle forze popolari nazionali anti-imperialiste. Credo che non ci sia differenza fondamentale tra il socialismo scientifico e il contenuto sociale dell'Islam. Al contrario ci sono molti punti comuni." Senza programma, senza alcuna volontà di permettere alla classe operaia di esprimere i propri interessi di classe, la sinistra si accontentava di affermare la sua esistenza per rivendicare un piccolo posto se Khomeiny e l'esercito lo avessero consentito.

Nel frattempo lo Scià era costretto ad accettare il ritorno di Khomeiny, accolto trionfalmente a Teheran il 1° febbraio 1979 da milioni di manifestanti. Bakhtiar diede le dimissioni e il nuovo primo ministro Bazargan fu accolto da immense manifestazioni a cui partecipavano militari in divisa.

Il 9 febbraio reggimenti dell'esercito aereo decisero di dare il loro sostegno a Khomeiny. Furono attaccati dagli "Immortali", le unità della guardia imperiale. Gli avieri dovettero fare appello alla popolazione e furono raggiunti da gruppi di Fedain e di Mujaheddin. La guardia imperiale fu annientata, i prigionieri politici furono liberati, le principali basi militari di Teheran e delle altre regioni passarono sotto il controllo della popolazione, che finalmente si impossessò delle armi trovate nelle caserme e nelle armerie.

Ma Khomeiny, secondo le proprie dichiarazioni, non era tornato per prendere la testa di una rivoluzione e, con l'aiuto dei responsabili religiosi e dei militanti islamisti, stava per ripristinare l'ordine a suo modo.

Verso la repubblica islamica

Già il 12 febbraio, mentre il presidente americano Carter riconosceva il nuovo regime e proponeva una "cooperazione pacifica", l'ayatollah chiedeva alla popolazione di rispettare l'ordine pubblico, di restituire le armi e di riprendere il lavoro.

Pochi giorno dopo, creava il Partito della Rivoluzione Islamica che sarebbe rapidamente diventato il partito unico. Contemporaneamente decine di migliaia di manifestanti di sinistra si riunivano all'università di Teheran all'appello dei Fedain per la riforma agraria, contro la censura islamica e per un "governo dei lavoratori". Poi ci furono manifestazioni di donne contro il porto del velo obbligatorio nelle amministrazioni, e sollevamenti delle regioni curde, immediatamente repressi dall'esercito.

Alla fine del marzo 1979 la Repubblica Islamica veniva proclamata in seguito ad un referendum, in cui il Tudeh aveva chiamato a votare sì, il che non gli avrebbe impedito di essere vietato cinque mesi dopo. Infatti non era nell'intento di Khomeiny, né dei possidenti iraniani di cui in fondo difendeva gli interessi, di portare il sollevamento popolare fino alla soddisfazione delle rivendicazioni dei lavoratori e delle masse povere. Cercò però di conservare il loro sostegno grazie ad un discorso nazionalista e anti-americano e ad iniziative quale la spettacolare presa di ostaggi nell'ambasciata degli Stati Uniti nel novembre 1979.

Tenendo testa alla maggiore potenza mondiale, il regime di Khomeiny, incontestabilmente popolare, trovò per anni un riscontro presso le popolazioni oppresse anche dall'imperialismo. Riuscì a mantenersi in vita nonostante la guerra sanguinosa di otto anni che lo avrebbe opposto all'Iraq di Saddam Hussein. Ma nel frattempo, con l'aiuto dei Pasdaran, i "Guardiani della Rivoluzione", riuscì a farla finita con ogni specie di opposizione politica, con ogni libertà nel modo di vita in particolare per le donne. Così il grande movimento popolare e gli enormi sacrifici del popolo iraniano nel corso di questa rivoluzione confiscata dagli esponenti religiosi sarebbe sfociata per anni nel regime repressivo della repubblica islamica.

V.L.