Il movimento per il ritiro della legge lavoro: un secondo respiro

Εκτύπωση
27 maggio 2016

Da Lutte de classe n°176 - giugno 2016

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La giornata di sciopero e di manifestazioni del 26 maggio in Francia non ha certamente avuto l'ampiezza di quella del 31 marzo. La mobilitazione, tuttavia, è stata importante. Il 26 maggio, infatti, le manifestazioni, secondo la CGT, hanno visto la partecipazione di 300.000 persone (153.000 secondo la polizia). Il 19 maggio, i manifestanti erano stati 400.000 (128.000 secondo la polizia). A Parigi, si può ritenere che il 26 maggio i dimostranti fossero il 50% più numerosi che alla manifestazione del 19. Se la partecipazione dei lavoratori delle grandi imprese è rimasta limitata, la giornata del 26 ha permesso a settori del subappalto e delle forniture di partecipare al movimento. È significativo il fatto che il numero di partecipanti alle manifestazioni sia spesso aumentato nelle città di piccole e medie dimensioni. Ciò significa che sono state coinvolte nel movimento nuove categorie di lavoratori che fino ad allora non vi avevano partecipato. Vi hanno contribuito gli scioperi delle raffinerie e i loro effetti sensazionali sull'approvvigionamento di combustibili, ma anche le dichiarazioni provocatorie di Valls e la campagna dei media borghesi contro la CGT.

"Terrorismo sociale" titolava l'editoriale di Le Figaro martedì 24 maggio. Portavoce della destra e soprattutto di Serge Dassault, quello degli aerei Mirage e Rafale e dei bombardamenti sul Medio Oriente, Le Figaro ovviamente è esperto di terrorismo! Ed eccolo accusare la CGT di voler "distruggere tutto ciò che è possibile nell'economia francese".

Le Figaro non è l'unico organo della grande stampa ad utilizzare questo tono contro i lavoratori in sciopero e a far suo il pestare i piedi di Valls contro gli scioperanti delle raffinerie e dei trasporti stradali che bloccano depositi di combustibili, accusandoli "di prendere i francesi in ostaggio".

È giocoforza per la destra approfittare delle difficoltà del governo per accusarlo di lassismo nei confronti della CGT. Ma tutti, dai ministri socialisti ai dirigenti della destra e del Fronte nazionale, esprimono la stessa ostilità verso il movimento, utilizzando persino le stesse espressioni di "presa in ostaggio", di "minoranza che vuole imporre la sua volontà alla maggioranza", ivi compreso il segretario del PS Cambadélis che accusa la CGT di "organizzare il caos"...

Quando il governo tenta di imporre un progetto di legge respinto dalla quasi totalità dei lavoratori che ne saranno le vittime, e dai tre quarti della popolazione nel suo complesso, quando esso va anche oltre la propria maggioranza parlamentare utilizzando l'articolo 49-3 della costituzione, che consente all'esecutivo di fare a meno del parere dell'Assemblea nazionale, ecco, questa invece è democrazia! Quando i lavoratori contestano un'ignominia come la legge El Khomri ed il modo di imporla alla maggioranza che non la vuole, allora questo è terrorismo e caos!

Una volta si parlava della "abominevole venalità della stampa" della borghesia. Appena i lavoratori si fanno sentire, la stampa borghese difende a spada tratta il suo committente, la borghesia.

La legge lavoro, un attacco in regola contro i lavoratori, uno di più

Non torneremo qui sulla legge lavoro, se non per ricordare che, nonostante tutte le sue riscritture, ne rimane l'aspetto più importante: svuotare la legislazione del lavoro del suo contenuto essenziale, vale a dire applicarla all'insieme dei lavoratori. Si mira ad eliminare anche l'idea stessa di diritti collettivi dei lavoratori per sostituirla con il primato degli accordi aziendali, cioè l'aperta arbitrarietà padronale.

In realtà, il padronato ha già svuotato la legislazione sociale del suo contenuto, molto modesto, parallelamente all'aggravarsi della crisi economica e della disoccupazione. Non restava che rompere il guscio. Il governo socialista, per coronare il succedersi di misure antioperaie già prese, ha voluto rendere alla borghesia quest'ultimo servizio, prima di essere soppiantato nel 2017.

Ma è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il progetto di legge El Khomri, svelato dalla stampa il 17 febbraio, ha innescato la reazione di quelli che ne dovevano essere le vittime: i lavoratori, ma anche la gioventù studentesca. E, dalle prime manifestazioni del 9 marzo, la vita politica e sociale del paese è dominata dal movimento di protesta contro la legge lavoro.

In realtà, questo sussulto operaio ha motivi ben più profondi della sola legge lavoro. Questa è stata la scintilla che ha acceso la miccia ed ha fatto esplodere un accumulo d'insoddisfazione.

La dinamica del movimento e i suoi limiti

Non riprenderemo qui la cronistoria di oltre due mesi e mezzo di contestazione condotta, essenzialmente, dai lavoratori dipendenti, i quali sono stati raggiunti e, in determinati momenti, preceduti da una parte della gioventù studentesca. Infatti, una parte significativa di quest'ultima ha capito che il suo destino è quello di raggiungere, prima o dopo, il mondo del lavoro, e che è in gioco il suo futuro.

La mobilitazione per esigere il ritiro della legge lavoro è stata segnata, e in fondo strutturata, dalle giornate di azioni e di manifestazioni promosse dai sindacati CGT, FO, Solidaires ed FSU. Il 31 marzo è stato il punto più alto. Quel giorno, dalle 500.000 ad 1 milione di persone hanno manifestato in 266 città e gli scioperi sono stati numerosi. Il movimento, in quella data, ha mobilitato non solo i militanti dei settori fortemente sindacalizzati ed i compagni di lavoro che erano riusciti a coinvolgere, ma anche lavoratori di piccole imprese, fattorini, dipendenti delle pulizie industriali o del settore degli alberghi e ristoranti, commessi del settore commerciale.

Il sindacato CFDT, che svolge apertamente il proprio ruolo di agente del grande padronato in seno alla classe operaia, si è molto rapidamente staccato dal movimento, anche se un certo numero dei suoi militanti hanno continuato a partecipare alla mobilitazione.

Occorre tuttavia ricordare che anche le confederazioni sindacali mostratesi in seguito le più impegnate nell'azione l'hanno fatto con riluttanza. Queste, riunitesi il 23 febbraio a Montreuil nella sede della CGT, non avevano, a quel momento, nemmeno l'intenzione di esigere il ritiro puro e semplice del progetto di legge lavoro. Si erano accordate per una dichiarazione vergognosa che chiedeva soltanto una nuova trattativa su alcuni punti della legge.

Solo dopo che un certo numero di militanti e di responsabili locali della CGT avevano fatto sentire la loro insoddisfazione, o addirittura la loro indignazione, la direzione della CGT e quelle di FO e di SUD decidevano finalmente di chiedere il ritiro totale del progetto di legge lavoro.

E sono state le organizzazioni giovanili a chiamare, per la prima volta, alla mobilitazione il 9 marzo. Le confederazioni sindacali, da parte loro, vi hanno aderito ufficialmente... ma solo controvoglia e facendo di tutto perché quella giornata non fosse un vero successo.

Nonostante questo, un certo numero di lavoratori e di militanti hanno risposto mobilitandosi, nonostante la confusione, per non dire il sabotaggio dell'organizzazione di questa giornata, spesso con appuntamenti diversi nella stessa città.

Per centinaia di migliaia di lavoratori, di militanti, la misura era ormai colma. Occorreva scendere in piazza, anche solo per esprimere fortemente il malcontento generale rispetto alla politica antioperaia del governo.

I giorni di mobilitazione si sono susseguiti: otto in totale, compreso il 26 maggio, con un picco di partecipazione il 31 marzo.

La partecipazione dei lavoratori delle grandi imprese alle manifestazioni è andata solo poco oltre l'ambiente militante. Ma ciò ha costituito già una delle conquiste del movimento: l'ambiente militante, incapace di agire nei quattro anni di governo di sinistra, ha ritrovato in questo movimento un alito di vita e la voglia di lottare.

E, cosa importante, fino ad oggi il movimento ha beneficiato della simpatia della maggioranza dei lavoratori, tra cui coloro, la maggioranza, che non si sentivano in grado di congiungersi ad esso.

Questa simpatia nei confronti del movimento e della sua rivendicazione essenziale, vale a dire il ritiro della legge lavoro, è un punto d'appoggio per il movimento stesso. Ma ne indica anche i limiti. Tutto avviene come se la maggioranza dei lavoratori partecipasse al movimento, in un certo qual modo, per procura.

Anche nelle ferrovie i lavoratori hanno scioperato, per così dire, in economia, con scioperi dispersi e frammentati nel tempo. Al momento, e prima che la federazione della CGT chiamasse allo sciopero del 31 maggio sera, solo una minoranza attiva ha espresso la sua volontà di approfondire lo sciopero.

Nel prendere atto che il movimento per il ritiro della legge lavoro non è mai stato uno tsunami, possiamo dire che il suo aspetto essenziale è la durata.

Per la prima volta, la classe operaia ha manifestato la sua opposizione chiara e netta contro un governo che pretendeva di rappresentarla. Il nucleo attivo, composto dagli ambienti militanti nelle imprese, ha coinvolto, a seconda dei momenti, un numero più o meno grande di lavoratori negli scioperi e nelle manifestazioni. Soprattutto nelle cittadine, le ripetute manifestazioni hanno offerto la possibilità di parteciparvi ai lavoratori di imprese piccole e medie prive di ambiente militante. Migliaia di giovani, sulla scia dei lavoratori mobilitati, hanno fatto l'esperienza delle manifestazioni, si sono trovati di fronte alle prese di posizione dei politici ed al manganello o ai lacrimogeni dei poliziotti. Sono esperienze che conteranno per il futuro, così come è stato in passato durante il movimento del 2006 contro il CPE (contratto di primo impiego) di Villepin.

Il contesto di mobilitazione ha anche fatto emergere quelle occupazioni di piazza chiamate "Nuit debout" (La notte in piedi). Molto limitate nella loro ampiezza, hanno coinvolto frange della piccola borghesia intellettuale, universitari, insegnanti, ecc. Sono un sintomo della crisi sociale e politica che attraversa tutta la società. Fanno parte del movimento e, in ogni caso, hanno contribuito, all'inizio, ad incoraggiarlo. Ma la pretesa dei suoi animatori di essere l'incarnazione del movimento, e per alcuni ad esserne i dirigenti, è assurda.

In quanto all'apoliticità manifestata da Nuit debout, direttamente o attraverso frasi vuote come "la democrazia diretta o partecipativa", oppure "l'orizzontalità della politica" opposta alla sua "verticalità", essa esprime bene l'incapacità dell'intellighenzia piccolo borghese, anche se ben disposta nei confronti dei lavoratori, a portare loro qualcosa di positivo nel campo delle idee e a contribuire alla loro presa di coscienza.

Respingere la politica nel momento in cui la mobilitazione entra nel campo politico, è aberrante. La dinamica stessa del movimento pone una quantità di domande politiche. La più evidente è quella dei rapporti tra i lavoratori in lotta ed il governo. I lavoratori hanno risposto impegnandosi nell'azione. Essi hanno potuto inoltre constatare la complicità tra i vari partiti della borghesia, dalla sinistra all'estrema destra. Hanno potuto misurare l'ostilità dei media nei loro confronti così come farsi un'opinione sull'atteggiamento delle confederazioni sindacali.

Tante altre domande molto politiche si pongono per il prossimo futuro. Le confederazioni sindacali, anche quelle più combattive, fino a che punto sono in grado di arrivare? Come riuscire a coinvolgere la maggior parte della classe operaia? Come fare perché, a prescindere dall'esito della lotta in corso, chi vi ha partecipato ne esca rafforzato e con la coscienza più elevata? Sono domande a cui i lavoratori non troveranno risposta presso gli intellettuali chiacchieroni di Nuit debout.

L'atteggiamento delle confederazioni sindacali

La direzione della CFDT, dopo avere rimproverato al progetto di legge El Khomri di essere completamente squilibrato ed aver deplorato che "i sindacati non erano stati sufficientemente consultati", ora si vanta di aver influito su di "una profonda riscrittura del testo".

Proprio quando numerosi militanti di questa confederazione partecipano al movimento, il suo segretario nazionale mostra chiaramente di essere nel campo del governo e del padronato. "Ritirare la legge sarebbe inaccettabile" ha affermato Laurent Berger in un'intervista del 25 maggio, aggiungendo che "ciò sarebbe un duro colpo per i lavoratori poiché perderebbero il vantaggio dei nuovi diritti riconosciuti dal testo".

La CGT, in compenso, ha assunto nel corso del movimento un ruolo sempre più determinante. Dopo le oscillazioni iniziali, la sua tattica di fare appello alla mobilitazione in giorni successivi, ciascuno annunciato in anticipo, corrispondeva allo stato d'animo dei lavoratori che si impegnavano nella lotta, e consentiva di aumentarne il numero. La CGT, a partire dal momento in cui ha fatto suo l'obiettivo del ritiro della legge El Khomri, ha dato via libera alla combattività dei suoi militanti, almeno di quelli che accettavano sempre meno le sue tergiversazioni ed i suoi silenzi.

Nel contempo, tuttavia, sono tornati i condizionamenti degli apparati riformisti: diffidare dei lavoratori non appena sembrassero poter sfuggire al loro controllo. Ne è derivata, ad esempio, la loro sfiducia riguardo alle assemblee generali (AG) dei lavoratori, in particolare nelle ferrovie. Ne è derivata anche, sempre presso i ferrovieri, la loro tendenza a portare avanti, inizialmente, gli aspetti corporativi delle rivendicazioni. Se, nel corso del movimento, il rifiuto della legge lavoro si è aggiunto alle rivendicazioni specifiche dei lavoratori nell'azione e nelle assemblee quando c'erano, è perché gli scioperanti lo hanno imposto.

Questi due aspetti tra loro intrecciati hanno dato alla politica della CGT un aspetto ambiguo e contraddittorio. In alcuni settori, i suoi militanti hanno premuto sull'acceleratore, in altri sul freno.

Tuttavia, la politica assunta dalla direzione della CGT a partire dal mese di marzo, anche tenuto conto di tale contraddizione, costituisce una critica di fatto alla sua politica precedente. La CGT sta dimostrando la sua capacità di mobilitazione. Ciò lascia immaginare come un altro atteggiamento della CGT fin dall'arrivo al potere della sinistra, prese di posizione combattive contro la politica del governo e, più generalmente, un linguaggio ed un comportamento consoni alla lotta di classe avrebbero potuto accelerare la presa di coscienza dei lavoratori. La coscienza, soprattutto, che, per opporsi all'offensiva padronale, non solo essi non possono contare sul governo, ma che quest'ultimo è precisamente uno degli strumenti dell'offensiva padronale in atto.

Ciò che è andato perduto in quanto a preparazione morale e politica dei lavoratori durante gli anni in cui la CGT restava silenziosa dinanzi agli attacchi del governo solo perché questo si diceva di sinistra, non si può riconquistare facilmente.

La lotta di classe, seppur limitata, è tuttavia più potente dei calcoli burocratici degli apparati. La direzione della CGT, che all'inizio lo abbia desiderato o no, è impegnata in una prova di forza con il governo, e questa è certamente approvata dalla maggioranza dei suoi militanti. Finora la CGT ha fatto propria questa situazione, anche accentuando la mobilitazione dei suoi militanti nei settori in cui è più radicata, di certo là dove minore è il timore di perdere il controllo del movimento. In ogni caso, di fatto, essa appare oggi come la principale responsabile della prosecuzione di quest'ultimo.

Non a caso la stampa ed il padronato prendono di mira la CGT in generale, e Philippe Martinez e la sua linea politica in particolare. C'è la volontà tattica di creare un divario tra la CGT e le altre confederazioni. C'è anche, però, la coscienza del fatto che, nonostante il carattere ambiguo della politica della CGT, è l'ambiente militante attorno ad essa a costituire il motore dell'azione così come è stata avviata.

A che punto siamo oggi?

Il movimento perdura, ed alcune azioni si inaspriscono. Nuove categorie di lavoratori sono entrate in azione o si preparano a farlo: lavoratori della petrolchimica, camionisti, portuali, agenti della RATP (trasporti parigini), ecc. La lotta si è estesa a molti settori: sciopero negli aeroporti, appello allo sciopero di tutti i sindacati dell'aeronautica civile per il 3 giugno, appello anche alla EDF (elettricità) seguito da scioperi in molte centrali nucleari; chiamata allo sciopero rinnovabile alla SNCF a partire dal 31 maggio ed allo sciopero ad oltranza alla RATP dal 2 giugno.

Sono settori della classe operaia fortemente sindacalizzati, e qui l'atteggiamento della CGT è determinante.

Gli scioperi nelle raffinerie e le loro conseguenze sull'approvvigionamento di carburanti hanno dato una seconda spinta al movimento, anche nelle grandi imprese private. Non al punto certamente di trascinare nell'azione queste ultime. Ma il numero dei partecipanti alle manifestazioni usciti dalle grandi aziende il 26 maggio è aumentato.

I prossimi giorni mostreranno se l'insistenza concorde del governo, dei media e, dietro a loro, della borghesia contro ciò che chiamano azioni radicali, causerà la separazione di coloro che sono impegnati nella lotta dalla maggior parte della classe operaia. Al momento non è così. Non solo l'opinione degli operai, ma l'opinione pubblica più in generale sembrano ancora ritenere il governo responsabile degli inconvenienti della penuria di carburante.

Il futuro dirà anche se l'atteggiamento provocatorio del grande padronato, o in ogni caso di un certo numero di padroni, peserà sul movimento oppure, al contrario, metterà benzina sul fuoco.

La direzione del gruppo PSA Peugeot-Citroën, ad esempio, ha appena lanciato pseudo-negoziazioni per un secondo accordo di competitività applicabile per i tre prossimi anni, con cui si propone di imporre nuovi sacrifici ai lavoratori di questa impresa. La PSA, che ha già soppresso 17000 posti di lavoro in Francia durante gli ultimi tre anni, nonostante gli eccellenti risultati finanziari vuole continuare ad eliminarne altri ed imporre il mancato pagamento degli straordinari obbligatori, accanto ad altre misure molto pregiudizievoli per i lavoratori.

Oltre alla strategia del suo presidente Carlos Tavares, per i padroni di grandi imprese può essere allettante approfittare della prova di forza intrapresa dal governo con la legge El Khomri per imporre un'applicazione locale di questa legge. Ciò che sarà fatto sotto un governo di sinistra non si dovrà più fare sotto il governo di destra che ha forti probabilità di succedergli.

Non è detto, però, che questo genere di calcolo e di provocazione non si rivolga contro i suoi autori.

Per fare solo l'esempio della PSA, gli aspetti inaccettabili del progetto d'accordo di competitività hanno provocato scioperi nelle sue fabbriche, in particolare a Mulhouse.

La stampa scandalistica tende a semplificare continuamente ciò che avviene qualificandolo come braccio di ferro tra il governo e i "radicali" della CGT, o addirittura tra Valls e Martinez.

In realtà, ciò che si svolge da tre mesi dietro ai nomi ed alle sigle sindacali costituisce le prime scaramucce tra la grande borghesia ed il suo governo da un lato e la classe operaia dall'altro. I primi, spronati dalla crisi e dalla difesa dei profitti, conducono la loro offensiva contro i lavoratori, la seconda, in procinto di prendere coscienza, deve difendersi.

Al momento in cui scriviamo, Valls moltiplica i gesti autoritari e le dichiarazioni prepotenti dicendo che farà passare la legge lavoro e che non è la CGT a fare le leggi in questo paese. Tuttavia, si sono già visti ministri o primi ministri che giuravano che assicuravano di essere inflessibili prima di dover arretrare!

Può darsi che il governo ed i dirigenti sindacali, anche quelli della CGT, trovino ciò che poi verrà definito un compromesso onorevole. Tuttavia, ben oltre il braccio di ferro tra la CGT ed il governo, c'è la lotta di classe, c'è il confronto tra il grande padronato e la classe operaia e, in questa lotta, non ci possono essere compromessi onorevoli. La borghesia continuerà ad utilizzare ogni mezzo per colpire alle spalle la classe operaia, a scapito dei salari, dell'occupazione e delle condizioni di lavoro, al fine di preservare ed aumentare i suoi profitti.

A prescindere dal modo il in cui si concluderà il movimento in corso, occorre che coloro che vi hanno partecipato ne traggano la necessaria conclusione!

È una battaglia che la classe operaia conduce contro la borghesia ed il suo governo. Di battaglie ce ne saranno inevitabilmente altre. E le lezioni di questi tre mesi di lotta saranno preziose per quelle future.

Nessuno può prevedere quale nuova provocazione del padronato e del governo sarà tale da far tornare alla ribalta il movimento in corso, né cosa causerà una nuova riscossa operaia. Ciò che appare evidente è che, per cambiare il rapporto di forza con il grande padronato, occorre che il movimento sia più ampio, coinvolga in misura maggiore il mondo del lavoro, sia più cosciente, più minaccioso per la borghesia.

Anche se questa volta solo una minoranza della classe operaia si è impegnata nella lotta, essa è di esempio agli altri lavoratori.

Ciò che è importante, dunque, è che i lavoratori ed i militanti impegnati nel movimento in corso traggano la conclusione che la lotta è necessaria. Non solo, ma anche che essi hanno tutti i mezzi per condurla.

27 maggio 2016