Comunismo, religioni e integralismi (Da “Lutte de classe” n° 126 – Marzo 2010)

Εκτύπωση
Comunismo, religioni e integralismi
20 febbraio 2010

Come si poteva prevedere, il "gran dibattito" su "l'identità nazionale" voluto da Sarkozy per provare a conservare il sostegno della frazione dell'elettorato d'estrema destra che aveva conquistata nel 2007, ha dato a tutti gli xenofobi e razzisti del paese, compreso tra le file dell'UMP e dei ministri, l'occasione di esprimere pubblicamente quei pregiudizi reazionari che sono i loro ideali.

Ricordiamo la dichiarazione del ministro degli interni Brice Hortefeux al convegno estivo dell'UMP nel settembre 2009, a proposito di un giovane membro del suo partito di origine nordafricana: "quando ce n'è uno, va bene. I problemi cominciano quando ce ne sono parecchi."

Ricordiamo anche la Segreteria di Stato alla famiglia Nadine Morano che, partecipando ad uno di questi dibattiti sull'identità nazionale, aveva affermato: "ciò che voglio da un giovane francese musulmano è che ami la Francia, che lavori, che non parli in gergo e non metta il berretto alla rovescia."

Il presidente della commissione nazionale delle investiture dell'UMP, il sindaco di Marsiglia Jean-Claude Gaudin, si è distinto anche lui in uno di questi dibattiti, dichiarando a proposito di una recente partita di calcio tra Algeria e Egitto: "ci fa piacere quando i musulmani sono felici della partita, tranne quando, dopo, piombano in 15 000 o 20 000 in centro città con solo bandiere algerine e nessuna bandiera francese, questo non ci piace."

E quando si tratta di rappresentanti di base dell'UMP le parole possono essere ancora più apertamente xenofobe, così come quelle del sindaco di Gussainville, un piccolo paese del dipartimento della Mosa, che ha affermato durante un dibattito sull'identità nazionale: "credo che sia tempo di reagire, se no saremo mangiati!". E spiegando poi queste parole, aveva rincarato in senso antioperaio dichiarando: "non sono né razzista né xenofobo, quando ho parlato di questi "10 milioni che paghiamo a non fare nulla", facevo riferimento ai disoccupati, agli assistiti e ai pensionati."

Certamente, nella caccia di voti reazionari, il dirigente del Fronte Nazionale Jean-Marie Le Pen l'ha detta ancora più grossa dichiarando a Tolone : "La situazione del paese è gravissima e i francesi non lo sanno. L'immigrazione di massa è il fenomeno storico più grave che la Francia abbia conosciuto, ben più grave delle grandi invasioni, delle guerre, le epidemie e le carestie."

Proprio in questo clima avvelenato da questo "dibattito sull'identità nazionale" che suscita un diluvio di dichiarazioni xenofobe che prendono a bersaglio in primo luogo la popolazione di origine magrebina, confondendo l'attaccamento alla propria cultura d'origine, la religione e l'islamismo, il Nuovo Partito Anticapitalista (NPA) ha ritenuto opportuno di candidare, sulla sua lista per le elezioni regionali in Provenza-Alpi-Costa azzurra, una candidata che porta il velo per dimostrare, ci si dice, che si può essere "femminista, laica e portare il velo". Non importa in questo caso se la decisione sia stata presa al livello regionale o meno. La direzione nazionale del NPA non se n'è distanziata. Così facendo non ha fatto altro che rendere il dibattito ancora più confuso, calpestando i valori che pretende difendere.

Il velo non è un semplice segno di appartenenza religiosa e molte donne che si rifanno all'Islam rifiutano di portarlo o lottano, in questo paese o altrove, per non essere costrette di portarlo. È un segno della sottomissione imposta alle donne in società maschiliste che considerano che la donna sia proprietà del marito e che la sua funzione sociale sia di dargli figli e di allevarli.

Certamente non si tratta di scagliare un anatema contro tutte le donne che portano il velo. Questo gesto, tra l'altro, non ha lo stesso significato per quelle che portano uno scialle sulla testa perché l'hanno sempre fatto, o perché vogliono sfuggire alle pressioni che si esercitano su tutte le donne di origine musulmana, e per quelle che senza andare fino a portare la burqa o il niqab si travestono in Belfagor. Non ha neanche lo stesso significato per le donne nate in questa cultura e per quelle recentemente convertite che si dedicano a questo esercizio di masochismo morale. Ma per militanti il cui femminismo non è una parola vuota, la cosa più importante è la solidarietà con tutte quelle che, nel loro quartiere o nel loro paese, lottano per non subire tale umiliazione, e anche con gli uomini che lottano contro questa oppressione, perché anche tra la popolazione originaria del Maghreb o dell'Africa nera ce ne sono.

COMUNISMO O PATERNALISMO

Sul sito internet del NPA alcuni "intellettuali" si sono dedicati, a furia di citazioni di Marx e Engels, a giustificare la compiacenza dimostrata dal loro movimento nei confronti dei difensori del velo. Ma la loro argomentazione sa di paternalismo, e tra l'altro dello stesso paternalismo presente nel cosiddetto "femminismo" di questa corrente.

Infatti la prova dell'attaccamento alla causa della liberazione delle donne non risiede nei discorsi di una direzione politica, bensì negli atti e nel posto dato alle donne nella sua propria organizzazione. Da quando la LCR, e poi l'NPA che le è succeduto, affermano i loro femminismo, quale spazio è stato dato da questa corrente alle donne nella sua direzione? Davvero ci sono solo uomini capaci di intervenire in nome della loro organizzazione al livello nazionale? E cosa significava la creazione di strutture non miste nell'organizzazione e la pratica, utilizzata a lungo nei dibattiti interni, della "doppia lista" degli iscritti di cui si diceva che avrebbe favorito l'intervento delle donne dando loro la precedenza, se non è il riconoscere che le donne provavano difficoltà ad esprimersi in questa organizzazione "femminista"? Cosa significa, nei campi estivi della LCR e con lo stesso spirito, l'organizzazione di serate esclusivamente femminili?

È un conto che un grande partito operaio raccolga attorno a sé organizzazioni "di massa" destinate alle donne, ai giovani. Ma è una aberrazione che un piccolo gruppo -poiché la LCR e dopo di essa l'NPA, così come Lutte Ouvrière, non sono mai stati altro- possa introdurre nelle sue proprie file, in nome della lotta per l'uguaglianza, ciò che non è altro che una segregazione.

Certamente nessuno sfugge completamente alle pressioni della società in cui vive, ma uno dei compiti di una organizzazione comunista è di insegnare alle sue militanti e ai suoi militanti a ragionare non come uomini o come donne ma come comunisti.

Lo stesso paternalismo si ritrova nel modo di comportarsi nei confronti dei giovani musulmani che sono già in contatto stretto con il movimento, quando per esempio nel campo estivo 2009 del NPA organizzato nel periodo del ramadan i responsabili organizzavano dopo il tramonto una cena di "rottura del digiuno" per partecipanti musulmani. Strana maniera di lottare contro i pregiudizi religiosi!

Offeso dal fatto che gli si sia ricordato che Marx aveva scritto che "la religione è l'oppio del popolo" uno dei dirigenti del NPA, Fred Borras, parla di una "citazione troncata" e cita ciò che Marx aveva scritto "in realtà", affermando: "si vede che l'idea è un po' più sofisticata" (1). Ma se è vero che la famosa formula di Marx è solo una frase all'interno di una lunga spiegazione, il resto non la contraddice e neanche la modera, nonostante tutte le contorsioni intellettuali per fargli dire una cosa diversa di ciò che ha scritto.

Uno degli "intellettuali" evocati qui sopra, Gilbert Achcar, che è stato professore di "scienze politiche e relazioni internazionali" all'università Parigi VIII, osa scrivere nello stesso spirito : "il marxismo classico considerava la religione solo sotto l'angolo del rapporto delle società europee alle loro proprie religioni tradizionali". È una falsità perché, proprio in questo testo dove si trova la famosa affermazione per cui "la religione è l'oppio del popolo", Marx analizza i rapporti dell'umanità con le religioni in generale e non solo nelle società occidentali. "Non prendeva in esame" -Achcar prosegue-, "la persecuzione delle minoranze religiose, e innanzitutto la persecuzione delle religioni di popoli oppressi da Stati oppressori di un'altra religione". È una seconda falsità. Il colonialismo dell'epoca imperialista, quello dell'Ottocento, non ha affatto lottato contro le religioni autoctone. Sono state le Chiese, cattoliche e protestanti, a provare con più o meno successo ad eliminarle. Invece gli Stati imperialisti si sono appoggiati su tutto ciò che c'era di forze reazionarie in questi paesi, le feudalità e i capi clan locali, e anche le religioni, per basare il loro dominio.

Achcar aggiunge: "in un contesto dominato dal razzismo, corollario naturale dell'eredità coloniale, le persecuzioni della religione degli oppressi-e, ex colonizzati-e (...) vanno respinte (...) perché sono una dimensione dell'oppressione etnica o razziale, così intollerabili come le persecuzioni e discriminazioni politiche, giuridiche ed economiche."

Questa maniera di presentare le cose nel campo religioso occulta completamente l'aspetto sociale della condizione dei lavoratori immigrati in Francia, una cosa di cui i religiosi possono solo provare piacere, poiché non ne vogliono sentire parlare. Ma non è giusto.

LA MASCHERA DELLA "ISLAMOFOBIA"

Ogni critica del porto del velo viene subito chiamata da alcuni come una manifestazione di "islamofobia". Ma questo neologismo che piace tanto ai musulmani religiosi, può avere sensi tanto diversi che non ne ha nessuno. Se significa essere critico nei confronti dell'Islam, come materialisti e "miscredenti" come si dice, allora sì siamo islamofobi, così come alcuni ci potrebbero definire cristianofobi, israelofobi, buddistofobi, per non parlare di religioni più esotiche. Ma il più spesso si tratta di intendere con la parola islamofobia il rigetto di tutti quelli che condividono la fede musulmana, il che è una stupidaggine non solo quando vuole qualificare l'atteggiamento dei comunisti rivoluzionari, ma anche se si tratta dell'atteggiamento dell'imperialismo francese e degli uomini che lo servono al più alto livello.

Sarkozy non si è comportato da "islamofobo" ipocrita, bensì da uomo politico responsabile della borghesia francese, quando ha insediato nel 2003, in veste di ministro degli interni e dei culti, il Consiglio francese del culto musulmano. Questo progetto che era stato iniziato dai suoi predecessori socialisti Chevènement e Vaillant serviva gli interessi di questa borghesia, creando una struttura in grado di mettere una larga frazione della popolazione d'origine musulmana sotto il controllo di persone tanto opposte ad ogni tipo di contestazione sociale quanto lo sono i ministri della Repubblica.

E nessuno può dire che i principi sauditi o gli emiri del Golfo sono vittime di islamofobia quando vengono in Francia per un viaggio politico, un viaggio d'affari, o per un soggiorno sulla Costa azzurra.

Se la grande maggioranza della popolazione di origine musulmana subisce da parte delle autorità misure discriminatorie, vessatorie, è ben più per motivi sociali che non per motivi religiosi e il già citato sindaco di Gussainville ha dato un bel esempio di questo razzismo quando ha dichiarato che intendeva parlare dei disoccupati, degli assistiti e dei pensionati. Fra l'altro i Rom, che in maggior parte praticano un cristianesimo ostentato, sono vittime dello stesso disprezzo, delle stesse discriminazioni, delle stesse seccature, che non le popolazioni povere di origine musulmane, e sono vittime dello stesso razzismo anti-poveri.

Certamente la xenofobia, il razzismo, esistono in larghi strati della popolazione francese e per i più reazionari, la Francia non dovrebbe essere altro che un paese di Galli cattolici... anche se i Galli non lo erano. Le reazioni che si sono potuto notare dopo il referendum organizzato in Svizzera, che ha portato al divieto dell'erezione di minareti in questo paese, ne sono l'illustrazione. Questo razzismo è anche largamente presente nelle forze di polizia. I lavoratori di origine magrebina ne sono certamente ancora più vittime che non gli immigrati di altre origini, e questa è un'eredità avvelenata delle guerre coloniali nel Nordafrica, e in primo luogo della guerra d'Algeria. E i politici della borghesia non esitano a speculare su questi sentimenti, essendo il cosiddetto "dibattito sull'identità nazionale" solo l'ultima metamorfosi di queste pratiche schifose.

Ma ridurre il problema all'"islamofobia" vuol dire al tempo stesso situarsi sul terreno dei religiosi e contribuire a nascondere, agli occhi dei lavoratori di origine magrebina e africana, le radici della loro oppressione.

COMUNISMO E LIBERTÀ RELIGIOSA

I comunisti rivoluzionari come noi si rifanno ad una tradizione di materialismo militante e nella loro propaganda combattono l'influenza di tutte le religioni. Ma se pensiamo che la religione non avrà più motivo di essere in una società sbarazzata dello sfruttamento e dell'oppressione, non pensiamo che la sua scomparsa sia una condizione preliminare della rivoluzione sociale. Al contrario ne sarà la conseguenza, a più o meno lungo termine, il che non significa che il proletariato in lotta non dovrà affrontare le istituzioni religioni se esse si schierano, come hanno fatto tanto spesso, dalla parte delle forze della reazione.

Il nostro anticlericalismo non è quello della borghesia radicale dell'inizio del Novecento per chi la lotta contro la Chiesa non era solo una battaglia, del tutto legittima, contro un avversario della Repubblica, ma anche un modo per portare le masse popolari su un terreno in cui non c'era rischio di mettere in discussione l'ordine sociale. Anche nel Partito socialista dell'epoca questo tipo di comportamento non era assente: il sindaco della città di Le Kremlin-Bicêtre, Eugène Thomas, è rimasto famoso per l'avere varato nel 1900 un decreto comunale vietando il porto della sottana sul suo territorio... mentre i principali dirigenti del partito, Jules Guesde e Paul Lafargue, vedevano nell'anticlericalismo radicale-socialista una manovra di diversione.

È la divisione della società in classi sociali, l'opposizione tra borghesia e proletariato, a costituire lo spartiacque essenziale della società . E un operaio ateo è ben più vicino ad un lavoratore cristiano o musulmano che ad un capitalista ateo, una specie che tra l'altro è in via di scomparsa.

Questo implica necessariamente di riconoscere il diritto per ogni cittadino di scegliere le proprie opinioni filosofiche o religiose, di partecipare ad un culto religioso se lo ritiene giusto, e di potere farlo in condizioni dignitose.

Per questo, per quanto riguarda la popolazione musulmana, spesso condannata a praticare il suo culto in condizioni sordide, che incontra numerose seccature da parte di municipi che vogliono piacere alla frazione più reazionaria dell'elettorato, non possiamo che essere per il diritto dei musulmani a fare costruire luoghi di culto corretti (con o senza minareti!) dal momento che il finanziamento è assicurato dalla collettività dei fedeli e non dal denaro pubblico.

L'INTEGRALISMO È SEMPRE POLITICO

Ma il porto del velo non è un semplice segno di identità religiosa e le pressioni che si esercitano sulle donne musulmane perché ci si sottomettano non vengono solo dall'ambiente familiare. Risultano dagli sforzi fatti dagli integralisti per prendere il controllo dell'insieme della popolazione di origine musulmana.

L'integralismo, secondo il termine utilizzato in Francia, o il fondamentalismo come si dice in America e anche in Italia, che sia cristiano o musulmano, non è solo la volontà di attenersi ai testi fondatori di una religione, è sempre al tempo stesso una posizione politica.

La nozione di laicità, di separazione degli affari politici e religiosi, è tra l'altro una nozione moderna e a dire il vero molto maltrattata, anche in un paese come la Francia che afferma di essere esemplare in questo campo ma finanzia in larga misura le scuole confessionali. La Chiesa cattolica ben difficilmente ha rinunciato ad essere un potere temporale, come dimostra l'esempio della Spagna di Franco dove la religione cattolica era "l'unica della nazione spagnola" e dove nessuno poteva avere un'esistenza legale a prescindere dalla Chiesa, che controllava l'anagrafe. Nel mondo musulmano ben pochi Stati possono essere considerati come laici.

La caratteristica dell'integralismo è di volere imporre le sue proprie regole, la sua propria morale, all'insieme della società. È ciò che fanno i fondamentalisti americani o gli integralisti cattolici in Francia quando vogliono vietare l'interruzione volontaria di gravidanza, non solo nella legge ma in pratica, attaccandosi violentemente alle donne che vogliono abortire o ai medici che praticano questi aborti. È ciò che fanno gli integralisti israeliti quando vogliono vietare il traffico automobile il giorno del sabato. È ciò che fanno gli integralisti musulmani quando vogliono imporre il velo a tutte le donne. E l'obiettivo degli uni degli altri è di controllare tutta la società, o almeno ciò che chiamano la loro "comunità", e in questa prendere ed esercitare il potere.

L'integralismo, anche quando si palesa sotto forma di semplici pressioni e a maggior ragione sotto forma di violenza per imporre il rispetto di ciò che chiama i principi dell'Islam, è quindi un avversario della classe operaia, compreso dei lavoratori musulmani. È il dovere di tutti quelli che si rivendicano della classe operaia di combatterlo e non di mostrare una tolleranza nei suoi confronti col pretesto che sarebbe una risposta ad una "islamofobia" post coloniale.

Gli antenati politici dell'NPA hanno dato prova alla loro epoca di un codismo totale nei confronti del Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN) mentre era evidente che tutta la politica di questa organizzazione mirava ad istituire un potere in cui le masse non avrebbero avuto niente da dire e che ha portato alla fine alla dittatura di Bumediène in Algeria. Dare prova dello stesso codismo oggi nei confronti dei religiosi musulmani, osare affermare che il porto ostentato del velo sia compatibile con un impegno femminista, laico e anticapitalista, col pretesto che l'Islam sia la religione dei popoli oppressi, rientra nel campo dello stesso opportunismo che è un autentico tradimento dei lavoratori musulmani.

Il problema non è di chinarsi con condiscendenza sulle disgrazie dei lavoratori che provengono dal mondo musulmano, ma di combattere per aprire loro l'unica prospettiva valida: una società in cui i lavoratori di tutte le origini, di tutte le culture, potrebbero esercitare insieme il potere, nel loro comune interesse.

20 febbraio 2010

(1) Ecco il testo del brano dell'Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel scritta nel 1843 dal giovane Marx, così come viene citato da Fred Borras in Tout est à nous, settimanale del NPA dell'11 febbraio 2010, dopo di avere affermato che "bisogna restituire a Marx ciò che è di Marx".

Marx scrive: " La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo." E Fred Borras prosegue con un altro brano dello stesso testo: "Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni." E Fred Borras conclude: "si vede che l'idea è un po' più sofisticata". No, l'idea non è più sofisticata... almeno per chi milita perché il popolo esiga "di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni," come avrebbe detto il Marx del 1843... e per chi non si accontenta di contemplarla.