Turchia : dopo le elezioni del 22 luglio: un successo degli «islamisti » sui laici ? (Da Lutte de Classe n° 107- ottobre 2007)

Εκτύπωση
Turchia : dopo le elezioni del 22 luglio: un successo degli « islamisti » sui laici?
4 ottobre 2007

Le elezioni legislative del 22 luglio in Turchia sono state un successo schiacciante per l'AKP, il Partito della giustizia e dello sviluppo (Adalet ve Kalkinma Partisi) del primo ministro uscente Recep Tayyip Erdogan, successo coronato un mese più tardi dall'elezione di un altro dirigente di questo partito, Abdullah Gül, al posto di presidente della Repubblica. Il 46,6% dei voti ottenuto dall'AKP il 22 luglio ha quindi segnato il fallimento della campagna lanciata in primavera dai capi dell'esercito e da diversi partiti, in primo luogo il partito socialdemocratico CHP (Cumhuriyet Halk Partisi - Partito repubblicano del popolo), nel nome della difesa della laicità della Repubblica turca, fondata da Mustafa Kemal, contro un partito detto « islamico moderato », come l'AKP.

Si tratta veramente della vittoria di un campo « islamico » su un campo laico? à la semplificazione alla quale si è data una gran parte della stampa occidentale. Ma l'opposizione fra questi diversi partiti non merita questa qualifica, se non in maniera molto approssimativa, e le ragioni del successo dellâAKP nelle urne hanno poco a che fare con una corrrente di fervore religioso che avrebbe attraversato il paese. Questo successo si situa invece in un contesto segnato dall'usura dei partiti che hanno governato successivamente la Turchia in questi ultimi anni, nel momento stesso in cui dovevano affrontare delle questioni politiche cruciali.

Fra queste c'è ovviamente la questione dell'integrazione della Turchia all'Unione europea, e i problemi che vi sono legati più o meno direttamente. Si tratta soprattutto della questione dell'esercito e del suo intervento nella direzione politica del paese, del problema della presenza militare turca a Cipro, e infine del problema del Kurdistan come si pone di nuovo in seguito all'intervento americano in Iraq. Sono delle questioni che richiedono di fare delle scelte difficili e non è detto che l'AKP, anche politicamente rinforzato dal risultato di queste elezioni, abbia veramente i mezzi di rispondervi meglio di quanto abbiano fatto i suoi predecessori.

La corrente islamista in Turchia

Se il partito AKP proviene dalla corrente islamista turca, se n'è separato, poiché i suoi dirigenti hanno pensato che quest'etichetta poteva essere imbarazzante per arrivare al governo. In realtà , da trent'anni, i partiti islamisti non sono mai stati molto lontani del potere.

Il primo partito turco che si affermava veramente come islamista fu creato nel 1969 sotto il nome di Milli Görüş (Prospettiva nazionale). à con il suo appoggio che Necmettin Erbakan, che sarebbe stato durante diversi anni la figura di prua dell'islamismo, fu eletto deputato nelle città di Konya. Erbakan ebbe appena il tempo di formare un nuovo partito, il Partito dell'ordine nazionale (Milli Nizam Partisi), prima che esso venga vietato in seguito al colpo di stato militare del 1971. Un nuovo partito fu fondato da Erbakan e i suoi amici nell'ottobre 1972, sotto il nome di Partito della salvezza nazionale (Milli Selamet Partisi). Quest'ultimo poté presentarsi alle elezioni legislative del 1973, ottenendo così il 12% dei voti. Partecipò quindi ad un governo di coalizione con il Partito repubblicano del popolo (CHP â Cumhuriyet Halk Partisi), che derivava dal partito unico fondato da Atatürk. Sotto la direzione di Bülent Ecevit, questo partito cercava di affermarsi come un partito "socialdemocratico", senza peró rifiutare un accordo con il partito islamista di Erbakan.

Erbakan fu quindi vice primo ministro nel governo diretto da Ecevit, e il suo partito, il MSP, vi occupò dei ministeri di primo piano come l'interno, la giustizia, il commercio, l'agricoltura e l'industria. Dopo la caduta del governo Ecevit nel settembre 1974, Erbakan e il MSP parteciparono ancora a due governi di "fronte nazionalista" dal 1975 al 1978, occupando ogni volta dei ministeri importanti.

Il colpo di stato militare del settembre 1980 portò alla sospensione dei partiti politici, al divieto dei loro leaders e talvolta al loro imprigionamento. Fu solo dopo l'instaurazione di una nuova costituzione, nel 1983, che ci furono delle elezioni nelle quali apparve un nuovo partito, l'ANAP (Anavatan Partisi - Partito della madrepatria), lui stesso diretto da un ex-membro del MSP di Erbakan, Turgut Özal, diventato ministro nel governo militare. Con altri poltici, l'ex-politico islamista Özal operava così  la sua riconversione, creando un partito di destra più classico.

Reazionario dal punto di vista delle idee, liberale dal punto di vista economico, l'ANAP poté presentarsi alle elezioni legislative del 1983, mentre i membri storici del MSP, che avevano lanciato un nuovo partito sotto il nome di Partito del benessere (Refah Partisi - RP) non poterono farlo. Apparendo come portatori di un'alternativa parlamentare al regime militare, Özal e l'ANAP vinsero le elezioni. Ãzal divenne primo ministro e lo restò fino al 1989, data in cui fu eletto presidente della Repubblica, succedendo all'uomo forte della giunta militare, il generale Kenan Evren.

Dal canto loro, Erbakan e l'RP non rinunciavano a rappresentare un'alternativa "islamista" all'ANAP di Turgut Özal. A partire dal 1987, lâRP poté di nuovo presentarsi alle elezioni, raccogliendo il 9,8% dei voti, ma senza riuscire ad oltrepassare lo sbarramento del 10%, istituito dalla costituzione del 1982 e al di sotto del quale un partito politico, presente su scala nazionale, non poteva avere deputati. Alle elezioni successive, nel 1991, l'RP fece un'alleanza con il partito di estrema destra a carattere fascista MHP (Milliyetçi Hareket Partisi - Partito del movimento nazionalista) di Alpaslan Türkes. Questa alleanza degli islamisti e dei nazionalisti permise ai due partiti, con il 16% dei voti, di oltrepassare lo sbarramento e di avere dei deputati.

Il periodo di effervescenza politica e sociale che accompagnò, a partire dal 1987, la fine del periodo di dittatura militare, beneficiò anche ai socialdemocratici, il cui partito, ribattezzato per qualche anno SHP (Sosyaldemokrat Halk Partisi - Partito socialdemocratico del popolo), vinse le elezioni amministrative del 1989 impadronendosi soprattutto dei comuni di alcune grandi città come Istanbul, Ankara e Izmir. Ma si sarebbe rapidamente screditato. A partire dal 1994, l'RP ebbe un successo rapido ed inatteso alle elezioni amministrative, vincendo 22 città importanti e riprendendo soprattutto Ankara e Istanbul ai socialdemocratici.

Dopo aver condotto una campagna attiva contro la corruzione della precedente giunta municipale socialdemocratica, fu Erdogan, in quel periodo giovane dirigente dell'RP, proveniente da una famiglia povera del quartiere popolare di Kasimpasa, che diventò sindaco di Istanbul. Oltre il partito socialdemocratico, gli altri partiti di destra come l'ANAP, e il DYP (Dogru Yol Partisi - Partito della giusta via), che si era formato nel frattempo, si screditavano rapidamente, dibattendosi in scandali di corruzione a ripetizione e implicati nelle crisi finanziarie successive che agitavano l'economia turca.

Di fronte a questi partiti di politici corrotti, essi stessi legati a dei clan di borghesi affaristi, e che non facevano neanche finta di preoccuparsi degli interessi della popolazione povera, gli islamisti dell'RP potevano facilmente apparire come dei modelli di virtù. La gestione dei comuni dell'RP fu la vetrina di questa politica. Appoggiandosi, come i partiti analoghi di altri paesi musulmani, su tutta una rete di associazioni religiose dai militanti più disinteressati di quelli dei consueti partiti borghesi, l'RP poté portare un certo aiuto ai più poveri. Questo partito seppe così prendere delle misure, che non rappresentavano certo nessun rischio di sconvolgimento sociale, ma che si tradussero in un miglioramento sensibile della vita quotidiana di ogni cittadino. Così, oltre gli aiuti sociali, il miglioramento della rete dei trasporti pubblici di Istanbul, la creazione di una metropolitana, delle formule di abbonamento che facilitavano un po' la vita, furono messe all'attivo della giunta comunale diretta da Erdogan. Queste misure testimoniavano anche, all'opposto, che la giunta procedente, che non aveva saputo prendere nessuna decisione di questo tipo, non si era preoccupata di migliorare neanche un po' le condizioni di vita delle classi popolari.

Il comune di Istanbul fu così un trampolino per Erdogan e il suo gruppo, tanto più che egli seppe prendere in tempo le distanze dal suo partito islamista di origine.

Uscito vincitore dalle elezioni del 24 dicembre 1995, l'RP finì per formare, nel giugno 1996, il governo di coalizione, detto Refah-Yol, con l'altro partito di destra, il DYP, con Erbakan come primo ministro. A partire dall'autunno 1996 scoppió lo scandalo di Susurluk. Le rivelazioni sui legami occulti di alcuni deputati della maggioranza con la mafia da una parte, e con i servizi segreti d'altra parte, cominciavano già ad indebolire il governo Erbakan.

Appena tre mesi più tardi, nel febbraio 1997, l'esercito, fedele al suo ruolo di guardiano delle tradizioni kemaliste, intervenne contro il governo Erbakan con una serie di pressioni che costituivano un vero colpo di Stato. Ciò cominciò con una spettacolare sfilata di carri armati, il 4 febbraio, nella città di Sincan, una dimostrazione diretta contro le iniziative del suo sindaco islamista. Poi il 28 febbraio una riunione del Consiglio nazionale di sicurezza (che riunisce il capo del governo, il presidente della Repubblica e i capi dell'esercito, sotto la direzione di questi ultimi) si concluse con un ultimatum rivolto al governo Erbakan, che gli ordinava soprattutto di agire contro i gruppi religiosi "che minacciano i principi laici e democratici della Repubblica turca ». Dopo cinque giorni di esitazione, Erbakan firmò, screditandosi quindi nei confronti di una parte del suo pubblico. Qualche mese più tardi diede le dimissioni.

Appena un anno dopo essere arrivato al potere, il primo capo di governo islamista che abbia conosciuto la Turchia moderna dovette così cedere il suo posto. Una nuova coalizione governativa fu costituita, lâAnasol, che includeva questa volta l'ANAP e il CHP. In seguito a un processo, l'RP fu vietato, ma cambió nome immediatamente e divenne l'FP (Fazilet Partisi - Partito della virtù).

Tuttavia, fin dall'autunno 1998, Erdogan scelse di prendere le distanze dal vecchio partito islamista sempre più screditato. Lasciò l'FP, criticando il suo fondamentalismo troppo radicale, e si pronunciò per la separazione della religione e dello Stato e per il rispetto del carattere laico dello Stato turco.

Dall'RP all'AKP

Nel frattempo i governi successivi continuavano a screditarsi gli uni dopo gli altri. Il terremoto dell'agosto 1999 mise una nuova volta in rilievo la corruzione delle autorità e la loro incapacità a rispondere ai bisogni della popolazione in una situazione d'urgenza. Nel 2000 e 2001 il paese conobbe di nuovo due gravi crisi finanziarie che si tradussero nell'impoverimento drammatico di una gran parte della popolazione.

à in questo contesto, alla fine dell'anno 2001, che Erdogan e un certo numero di dirigenti provenienti dalla tendenza più moderata dellâFP formarono il loro nuovo partito, l'AKP, raggiunti da ex membri di altri partiti come il DYP e l'ANAP che cercavano di riciclarsi. L'AKP si presentà come un partito moderno, che accettava le istituzioni della Repubblica laica. Rifiutando l'etichetta di un partito islamista, Erdogan dichiarò soltanto che l'AKP sarebbe un partito musulmano democratico, una sorta di versione musulmana dei partiti democristiani europei.

L'operazione di Erdogan consisteva nel riciclare un certo numero di esponenti politici, provenienti dalla corrente islamista ma anche da altre correnti di destra come l'ANAP e il DYP. D'altro canto questi due partiti non sono mai stata esenti da una certa demagogia islamista in direzione dell'elettorato reazionario. Contano e contavano fra le loro fila molti politici provenienti dallâislamismo militante e che avevano scelto questi partiti detti laici per poter fare una migliore carriera verso il potere.

Il punto comune agli aderenti dell'AKP era il desiderio di accedere rapidamente al governo e per questo di darsi una nuova facciata. L'AKP, nella continuità di un certo islamismo ma anche nella continuità dellâANAP e del DYP, doveva essere un partito conservatore, a volte riformatore, che non disdegnasse di fare appello alla fibra musulmana tradizionalista di una parte dellâelettorato. Ma lâAKP voleva essere anche un partito che rispondesse al desiderio del padronato turco di disporre di uno Stato e di politici un po' più preoccupati di servirlo, prima di servire i loro stessi interessi. Questo grande padronato mise apertamente le sue speranze nel nuovo partito fondato da Erdogan, e gli portò il suo appoggio. La stampa scritta e audiovisiva si incaricò di rendere popolare l'immagine di questo " nuovo partito". Dopo le sconfitte successive dell'ANAP, dell'RP e del DYP, ma anche del CHP, dell'altro partito socialdemocratico DSP e del MHP di estrema destra, dopo aver visto sfilare tutti i possibili governi di coalizione tra questi diversi partiti, più del terzo dell'elettorato si orientó verso l'AKP.

à così che l'AKP poté uscire vincitore dalle elezioni legislative del 2002 e formare un governo, poiché il sistema elettorale gli dava la maggioranza al Parlamento con il 34,4% dei voti ottenuti. Erdogan era allora ancora inelegibile, a causa di una condanna precedente, e il primo governo dell'AKP fu diretto da Abdullah Gül. Qualche mese più tardi, quando questa misura di ineleggibilità fu tolta, Erdogan divenne primo ministro e Abdullah Gül ministro degli Affari esteri.

Sotto la direzione di Erdogan e di Gül, questo primo governo dell'AKP cercò di non dare presa alle accuse di deriva islamista che potevano rivolgergli i partiti concorrenti e l'esercito, e di rispondere alle attese di un elettorato che auspicava soprattutto la fine dell'instabilità e delle crisi economiche e finanziarie, e che metteva una gran parte delle sue speranze nell'adesione della Turchia all'Unione europea.

Questa questione dell'adesione della Turchia all'Unione, aperta praticamente fin dall'inizio del Mercato comune, è stata respinta diverse volte, in particolare a causa dei colpi di stato successivi che ha conosciuto il paese dal 1960, ma anche a causa dello scarso entusiasmo dei dirigenti dei grandi paesi occidentali all'idea di vedere aderire all'Unione un paese di un peso demografico paragonabile al loro (la Turchia ha oggi quasi 72 milioni di abitanti). Dal 1996, un trattato di unione doganiera è in vigore fra la Turchia e l'Unione, il che permette alle merci europee di entrare praticamente senza ostacoli sul mercato turco. Questo soddisfa i grandi gruppi capitalisti europei, che potrebbero benissimo accontentarsene, ma non soddisfa la borghesia turca. Come contropartita all'apertura del suo mercato interno alle merci e ai capitali occidentali, quest'ultima troverebbe normale il fatto di avere il diritto di partecipare alle decisioni e alla direzione dell'Unione, e di usufruire dei suoi finanziamenti in quanto membro di pieno diritto di quest'ultima.

Dalla questione nell'Unione europea alla questione di Cipro e del Kurdistan

Questo desiderio di un'adesione della Turchia all'Unione europea è condiviso dalla maggioranza della popolazione del paese che, con certamente molte illusioni, vi trova una promessa di sviluppo economico e di progresso del tenore di vita. La popolazione vi trova anche una promessa di stabilità politica, e anche una garanzia democratica contro un regime che, in un passato recente, ha conosciuto diversi colpi di stato militari, ha condotto la guerra del Kurdistan e che si attacca, malgrado tutti gli ostacoli, all'occupazione militare del nord di Cipro.

Per il momento queste aspirazioni sono condivise dalla maggioranza del padronato turco, che vede, nel legame con l'Unione europea, le migliori promesse di buoni affari... e di profitti. Da molto tempo i principali gruppi capitalisti turchi sono alleati ai grandi gruppi occidentali, in gran parte europei, per i quali quest'alleanza è un mezzo per accedere non solo al mercato turco, ma anche ai mercati di numerosi paesi, dal Medioriente allâAsia centrale.

In questa prospettiva, il grande padronato turco non nasconde le sue reticenze, o la sua irritazione, nei confronti di un certo numero di tare ereditate dal passato del regime turco. Se la borghesia turca si è sempre rallegrata di disporre, con l'esercito, di uno strumento capace di stabilire l'ordine quando il bisogno se ne faceva sentire, essa apprezza molto meno il fatto che i militari si arroghino delle prerogative che oltrepassano questo ruolo. Dal punto di vista politico, l'intervento dell'esercito è istituzionalizzato dall'esistenza del MGK (Consiglio nazionale della sicurezza) che si riserva il diritto di dettare la sua politica al governo. à un intervento che la grande borghesia finisce per considerare pesante, tanto più che l'esercito occupa anche un terreno economico. Esso controlla, per esempio, attraverso il fondo d'investimento legato alla cassa delle pensioni e delle assicurazioni sociali dei militari, la filiale locale di Renault, la società Renault-Oyak, ed un gran numero di altre industrie e società . Questo ne fa una potenza economica a parte e, in fondo, un concorrente, che la grande borghesia capitalista non apprezza affatto.

La grande borghesia capitalista non apprezza neanche l'ostinazione dei capi dell'esercito a mantenere l'occupazione militare del nord di Cipro. Questa proviene dall'intervento militare deciso nel 1974 dal governo socialdemocratico di Ecevit, in risposta al colpo di Stato del generale Grivas, che mirava all'Enosis (l'unione) di Cipro con la Grecia. L'esercito turco intervenne allora come "protettore" della minoranza turca dell'isola, creando ex-novo una Repubblica turca del Cipro del nord che è riconosciuta soltanto dalla Turchia. Trentatré anni dopo, il prolungamento di questa occupazione appare alla borghesia turca costoso, senza interesse economico, e oltretutto generatore di conflitti con l'Europa che, sotto la pressione della Grecia, fa della normalizzazione del conflitto cipriota una condizione per l'adesione della Turchia all'Unione.

Si può dire altrettanto del conflitto del Kurdistan, in cui l'esercito turco, e i settori più nazionalisti del dell'apparato statale, continuano a negare alla popolazione curda dei diritti elementari come quello di utilizzare ufficialmente la propria lingua. Anche quando il governo cerca di smussare le leggi in questo senso, le sue decisioni non sono seguite dalla polizia, dai giudici, dai militari, e da tutto ciò che in Turchia è chiamato "lo Stato profondo" (derin devlet), abituato ad agire in maniera occulta e senza rendere conto al potere politico.

Il conflitto del Kurdistan, con l'accanimento poliziesco e militare al quale dà luogo, appare quindi ad una gran parte della borghesia inutile e costoso, mentre il fatto di permettere alla popolazione curda di disporre di una stampa e di media nella propria lingua, per esempio, non costerebbe niente alla borghesia turca. A ciò si aggiunge il fatto che gli interventi americani del 1991 e del 2003 hanno condotto a creare, nel nord dell'Iraq e ai confini della Turchia, una zona curda praticamente indipendente e che, a differenza del resto dell'Iraq, conosce una situazione relativamente stabile e prospera. Giocando il ruolo di una porta d'entrata economica verso l'Iraq, e godendo delle ricadute della produzione petrolifera, questa zona è anche un eccellente cliente per le grandi società turche che vi esportano i loro prodotti e vi installano dei cantieri. La borghesia turca spera ovviamente che questa situazione duri, ciò che implica che l'occupazione militare americana si mantenga, altrimenti l'autonomia e la stabilità del Kurdistan iracheno potrebbero essere rimesse in causa. Ma ciò implica anche che l'esercito turco eviti di acuire i conflitti, che invece le sue incursioni militari del Kurdistan iracheno rischiano appunto di aggravare.

La prima legislatura dell'AKP

Fare il necessario per entrare nell'Unione europea, disfarsi degli inutili conflitti di Cipro e del Kurdistan, alleggerire il peso dell'esercito nella politica e nell'economia, insomma "normalizzare" lo Stato turco in funzione degli interessi diretti del grande padronato turco: possiamo riassumere così i desideri attuali di quest'ultimo e ciò che esso si aspetta dal governo. Da questo punto di vista, la prima legislatura del governo dell'AKP gli ha dato piuttosto soddisfazione. Grazie ad una congiuntura economica relativamente favorevole, questi cinque anni di governo si sono svolti senza crisi finanziarie. L'inflazione, che fino al 2002 raggiungeva e oltrepassava il 100% all'anno e costituiva uno dei principali motivi di scontento, è passata a dei tassi del 10 al 20%.

Peraltro il governo Erdogan, mentre inoltrava le discussioni con l'Unione europea, faceva adottare un certo numero di modifiche legislative richieste da quest'ultima. Ciò comportava delle modifiche delle regole fiscali o contabili, delle regole sulla certificazione dei prodotti o sulla garanzia della proprietà intellettuale e industriale, che mirano direttamente a garantire gli interessi della borghesia europea contro la concorrenza. Ma ciò riguarda anche il diritto delle minoranze nazionali di parlare e di disporre di una stampa nella loro lingua, delle leggi tendenti a favorire la libertà di espressione e di associazione, il rinforzo dell'uguaglianza fra uomini e donne, tutte misure che dovrebbero condurre la Turchia al livello europeo.

Questo tipo di misure, che sono state richieste dall'Unione europea a tutti paesi candidati all'adesione, non rivelano tanto una preoccupazione democratica dell'Unione, quanto la preoccupazione di impedire una concorrenza sleale da parte di uno Stato che, se non le rispettasse, eviterebbe così un certo numero di spese che gli altri sopportano. Esse corrispondono anche all'esigenza, da parte dei partners europei, che le loro aziende possano accedere alla stampa, alle informazioni e ai mercati, pubblici o no. Per finire, la verifica dell'applicazione di queste misure fornisce anche un mezzo di pressione, o un pretesto, per rinviare l'adesione. Nel caso della Turchia, i rappresentanti dell'Unione europea non si accontenteranno certamente del voto in Parlamento delle leggi richieste; verificheranno anche che "lo Stato profondo" accetti di applicarle.

Da questo punto di vista, il governo Erdogan ha fatto prova della sua buona volontà europea, con l'eccezione di qualche errore proveniente dalla sua maggioranza parlamentare, come il tentativo di fare passare una legge che punisce gravemente l'adulterio, che ha sollevato le proteste della stampa europea e che il governo si è affrettato a mettere in disparte. Ma il governo non è andato molto avanti sulla questione di Cipro, in parte a causa dell'opposizione del governo greco cipriota ad ogni compromesso, ma anche a causa dell'opposizione degli ambienti militari e nazionalisti di estrema destra, e dei loro alleati ciprioti turchi, ad abbandonare questa "Repubblica turca di Cipro del nord", di cui hanno fatto, da più di trent'anni, la loro riserva di caccia.

Per quanto riguarda la questione del Kurdistan, questa resta intera. Lo "Stato profondo" resiste, e le leggi che autorizzano l'uso della lingua curda non impediscono sempre che coloro che la utilizzano siano ancora condannati per "separatismo" o "messa in causa dell'unità della nazione turca". Ma soprattutto, lo Stato maggiore prosegue la sua guerra in Kurdistan, o anche le sue incursioni in Iraq, senza preoccuparsi molto di ciò che ne pensa il potere civile.

Ma sono appunto queste resistenze provenienti dall'esercito, dalla polizia e dall'apparato statale in generale, che hanno contribuito di rimbalzo a dare al governo Erdogan l'immagine di un governo riformatore, che fa ciò che può per mettere fine alle tare del regime che, per una grande parte dell'opinione pubblica, evocano la dittatura e l'arbitrario dei militari, l'onnipotenza e l'impenetrabilità dell'amministrazione. Ciò spiega in gran parte il suo successo elettorale, tanto più che lâAKP ha fatto in modo di non dare presa all'accusa di mettere in pericolo la laicità , accusa brandita dai suoi avversari.

La laicità del regime, reale e supposta

Mentre aboliva il califfato, che faceva del sultano ottomano il comandante dei credenti e nello stesso tempo il sovrano dell'impero, Mustafa Kemal "Atatürk" voleva fare della Repubblica proclamata nel 1923, una Repubblica laica nella quale la religione e lo Stato fossero separati. Secondo i "sei principi di Atatürk" proclamati nella costituzione, "lo Stato turco è repubblicano, nazionalista, populista, statista, laico e riformatore". Il governo di Atatürk vietò le confraternite religiose, fece chiudere un certo numero di mete di pellegrinaggio, vietò l'uso di abiti religiosi al di fuori dei luoghi di culto. L'uso del velo da parte delle donne nelle amministrazioni e negli istituti di insegnamento pubblico fu anche vietato.

Tuttavia, questa "laicità " dello Stato è molto particolare. Essa non ignora la religione dei cittadini, a tal punto che quest'ultima è ancora oggi indicata sulla carta d'identità . Inoltre certe leggi dell'epoca di Atatürk sono state rimesse in causa dai suoi successori, soprattutto a partire dal 1950, sotto il governo del Partito democratico di Menderes, antenato dellâattuale DYP, che fu d'altronde rovesciato nel 1960 dall'esercito. Per finire, la "laicità " voluta da Mustafa Kemal rispondeva soprattutto al desiderio dello Stato di evitare che le organizzazioni religiose possano costituire un potere concorrente. Più che di separazione tra la religione e lo Stato, bisognerebbe parlare di tutela dello Stato sulla religione.

Gli "istituti di villaggio" creati nel 1935 avevano come obiettivo la formazione di maestri laici destinati a fare progredire l'istruzione nelle campagne. Ma, accusati di contribuire alla propagazione delle idee "atee o "comuniste", furono chiusi nel 1953 dal governo Menderes dopo aver formato circa 21 000 maestri. In compenso lo stesso governo Menderes instaurò, fin dal 1950, delle trasmissioni a carattere religioso sulle onde della radio nazionale.

Fin dall'epoca della Repubblica di Atatürk, gli imam furono pagati dallo Stato, e quest'ultimo assunse la gestione delle moschee, poste sotto l'autorità della direzione degli Affari religiosi, la Diyanet, dipendente direttamente dal Primo ministro. La libertà di culto era riconosciuta, ciononostante solo la religione musulmana sunnita godette di una tale istituzione. Nel 1951, il governo Menderes vi aggiunse l'apertura di scuole tecniche per la formazione del personale religioso, e quindi, da questo momento lo Stato prendeva lui stesso in carica la formazione degli imam.

Questo era solo l'inizio di un'evoluzione di fondo che non corrispondeva solo al desiderio di Menderes di soddisfare una clientela elettorale oscurantista. I governi che gli succedettero proseguirono la stessa politica, soprattutto per desiderio di fare contrappeso alla crescita dei movimenti di sinistra degli anni 60 e 70. Da sette nel 1951, il numero di queste "scuole tecniche" religiose (Imam Hatip) raggiunse 72 nel 1970 e 374 nel 1980. Nello stesso momento, delle equivalenze erano create fra i diplomi di queste scuole e quelli dellâinsegnamento laico.

Molto semplicemente, la borghesia turca capiva di aver bisogno della religione per controbilanciare le idee di uguaglianza e di emancipazione sociale che si diffondevano nel popolo. Questo fu particolarmente chiaro dopo il colpo di Stato del 12 settembre 1980.

Impadronendosi del potere, vietando sindacati e partiti politici ed esercitando una repressione abbastanza radicale, l'esercito voleva mettere fine a un periodo di instabilità politica, ma anche di sviluppo del movimento operaio. Nel corso degli anni 60 infatti, quest'ultimo si era sviluppato, come lo aveva fatto la classe operaia, aveva segnato questo periodo con numerosi scioperi e manifestazioni, e aveva imposto delle concessioni al padronato. Le organizzazioni di sinistra, o anche di estrema sinistra, avevano accresciuto la loro influenza, a tal punto che questo sviluppo preoccupava la borghesia turca.

Il primo obiettivo del colpo di Stato del 1980 fu di interrompere questo sviluppo. Dopo aver esercitato direttamente il potere durante diversi anni, i militari lo lasciarono progressivamente e solo dopo aver dotato la Turchia di leggi restrittive. Fu varata una legislazione sociale vincolante, che permetteva di regolamentare gli scioperi e il diritto sindacale. Una nuova legge elettorale limitò le possibilità di accesso al Parlamento per i piccoli partiti. Inoltre, la costituzione del 1982 fece riferimento alle radici "turco-islamiche" del paese e ai principi dell'Islam. Dei corsi obbligatori di "conoscenza morale e cultura religiosa" furono istituiti dal quarto anno della scuola elementare fino all'ultimo anno del liceo. Parallelamente, i corsi coranici, amministrati dalle istituzioni islamiche, si moltiplicarono e raggiunsero il numero di 4600 in tutta la Turchia.

Grazie a tutto ciò, gli insegnanti della scuola "laica" della Repubblica turca procedono ormai fianco a fianco con gli imam incaricati dei corsi di religione. Nello stesso tempo il numero delle scuole di formazione religiosa, diventate nel frattempo dei "licei", è continuato ad aumentare, e raggiunse i 456 istituti nel 1996 e un totale di circa 250 000 diplomati. Vi si aggiungevano 24 facoltà di teologia musulmana. Il numero di impiegati della Diyanet, l'amministrazione degli Affari religiosi, raggiungeva 85 000 persone. I militari diedero ugualmente un impulso spettacolare alla costruzione di nuove moschee. Il loro numero, da 35 657 nel 1963, era già passato a circa 46 500 nel 1980. Ma raggiunse 54 667 nel 1984, 66 674 nel 1993, e probabilmente quasi 80 000 oggi: una crescita molto rapida, che la crescita della popolazione non è l'unica a spiegare.

Questa proliferazione dell'insegnamento religioso è stata criticata dal grande padronato turco stesso, in un rapporto redatto nel 1990 dalla federazione padronale Tüsiad (equivalente della Confindustria). Dopo aver constatato il basso livello di educazione in Turchia, questo rapporto deplorava il fatto che gli studenti si orientassero verso lâinsegnamento religioso (Imam Hatip) in numero ben più grande di quanto fosse necessario. Le scuole religiose avevano formato diverse centinaia di migliaia di studenti, in numero dieci volte superiore ai posti vacanti nelle moschee, e tutti non potevano trovare un lavoro come imam. Queste scuole religiose erano state integrate nel sistema educativo, e i loro studenti potevano orientarsi in seguito verso delle carriere professionali. Ma il padronato turco deplorava il basso livello della loro formazione "tecnica"; e in effetti la conoscenza del Corano, anche imparato a memoria, prepara male a un lavoro di tecnico o di ingegnere...

La campagna elettorale del 2007

Gli anni 80 e 90 sono stati quelli di una vera re-islamizzazione della società turca sotto l'impulso dei governi successivi. Una parte della borghesia e degli strati intellettuali più occidentalizzati non hanno combattuto questa evoluzione, anche quando lâhanno deplorata. In un atteggiamento condiviso abbastanza generalmente, questi strati pensavano che questo recupero dellâoscurantismo, malgrado i suoi aspetti imbarazzanti per essi stessi, era utile per il popolo, che aveva bisogno di credere. La religione giocava il ruolo di una ideologia a buon mercato destinata agli strati popolari per impedire loro di orientarsi verso delle idee più sovversive, come questi strati avevano fatto negli anni 60 e 70.

Non è sorprendente che questa evoluzione reazionaria della società abbia nutrito i successi elettorali dell'RP, e più tardi dell'AKP Ma essa ha nutrito in realtà anche i successi di altri partiti conservatori, come l'ANAP e il DYP; gli uni e gli altri si facevano infatti concorrenza esaltando tutti più o meno la tradizione islamica, o "turco-islamica", in una sintesi di nazionalismo e di islamismo a geometria variabile. A tal punto che il discredito degli uni e degli altri non ha avuto luogo su questo aspetto, ma molto più semplicemente sull'esperienza del potere. L'RP, il DYP, l'ANAP si sono screditati gli uni dopo gli altri in una successione di affari di corruzione e di crisi finanziarie. E se l'AKP non si è screditata con la stessa velocità fra il 2002 e il 2007, lo deve soprattutto alla buona congiuntura economica e all'onestà relativa dei suoi responsabili, che hanno saputo evitare fino ad ora di impigliarsi negli scandali paragonabili a quelli che hanno implicato i loro predecessori.

à in questo contesto che sono intervenute la crisi politica e le elezioni di questa primavera-estate del 2007. All'avvicinarsi delle elezioni presidenziali previste in aprile 2007, e mentre la composizione del Parlamento (che elegge il presidente) lasciava prevedere l'elezione di un membro dell'AKP, un'alleanza si formà fra il CHP, socialdemocratico, il MHP di estrema destra e l'esercito, per denunciare il pericolo che avrebbero rappresentato lâelezione di un islamista alla testa dello Stato. Questa alleanza brandiva lo stendardo della laicità , minacciata secondo lei dal fatto che la moglie del candidato alla presidenza della Repubblica, Abdullah Gül, si mostrava velata in pubblico, disprezzando così le tradizioni dello Stato kemalista.

Abbiamo quindi assistito in aprile e in maggio scorsi a delle imponenti manifestazioni nel nome della difesa della laicità . Organizzate prima dagli ambienti dell'esercito e dalle numerose associazioni che ne sono vicine, queste manifestazioni furono poi raggiunte dai socialdemocratici e, in misura minore, dall'estrema destra. Ciononostante, benché queste manifestazioni abbiano avuto senza alcun dubbio un successo, ciò non fu negli ambienti più popolari, ma negli ambienti relativamente agiati e colti delle grandi città , fra i funzionari statali e gli insegnanti, degli ambienti più sensibili, e a ragione preoccupati dalla progressione dellâislamismo, e ovviamente fra le donne, che temevano che si finisse per costringerle a portare il velo, come è il caso nel vicino Iran.

Ma se si può comprendere questa sensibilità , e se non si può essere che solidali con quelli che desideravano in questo modo opporsi all'ascesa dell'oscurantismo, rimane il fatto che questa mobilitazione intorno alla semplice questione dellâelezione di un membro dell'AKP alla presidenza della Repubblica, non era nient'altro che una manipolazione a fini elettorali.

La coalizione dei socialdemocratici e dell'estrema destra riuscì ad impedire l'elezione di Abdullah Gül alla presidenza della Repubblica in aprile, ma la crisi sfociò nell'organizzazione delle elezioni legislative anticipate del 22 luglio e sulla sua elezione... in agosto. Il partito socialdemocratico CHP, diretto da Deniz Baykal, condusse la sua campagna elettorale nella continuità delle manifestazioni di aprile-maggio. Limitarsi a denunciare il pericolo rappresentato dall'AKP per la laicità aveva un grande vantaggio: il CHP evitava così di pronunciarsi su delle misure economiche e sociali che rispondessero ai bisogni delle classi popolari, aspetto sul quale il programma del CHP rimaneva muto. In compenso, di pari passo con il suo riavvicinamento con il MHP di estrema destra e con l'esercito, il CHP accompagnava questa campagna sulla laicità con dei rilanci nazionalisti contro i tentativi di rimettere in causa l'unità della Turchia, cioè contro gli autonomisti curdi, oppure denunciava le pressioni dell'Europa sulla questione di Cipro o sulla revisione degli articoli più arbitrari della costituzione turca.

Una tale campagna non poteva toccare gli strati popolari, tentati di votare per l'AKP non per affermare dei valori religiosi, ma perchè in tale contesto è l'AKP che appariva più promettente e più credibile in materia di stabilità e di progresso economico. L'argomento della difesa della laicità interessava poco, poiché l'AKP aveva preso cura, durante i suoi cinque anni di governo, di non rischiare l'accusa di attaccarsi alla laicità , se non in maniera simbolica.

L'apparizione in pubblico delle mogli di Erdogan o di Abdullah Gül velate era infatti solo un messaggio rivolto dall'AKP ad una parte del suo elettorato, per indicargli che non abbandonava i valori islamici. Ma l'importanza di questo fatto sfuggiva alla maggioranza della popolazione. Senza parlare di coloro che pensano che effettivamente le donne devono essere velate, la maggioranza pensava piuttosto che le mogli dei dirigenti dell'AKP potevano fare ciò che volevano, cosa che peraltro dichiaravano Gül o Erdogan. Possiamo rammaricarlo, ma la responsabilità spetta in gran parte ai dirigenti di un partito socialdemocratico che non merita neanche il nome di partito di sinistra, lui che ha ceduto di fronte alla pressione islamista nella società , e che ha ad ogni modo trascurato di lottare all'interno della società per difendere l'emancipazione delle donne e soprattutto per spiegare il significato d'oppressione che comporta lâuso del velo islamico.

Soprattutto, una gran parte della popolazione turca prova un vero odio per tutto ciò che ricorda i modi arbitrari del regime militare e della polizia, gli imprigionamenti, le torture nei commissariati. Le campagne dell'esercito per combattere i curdi nel nome di una unità della Turchia che non sembra affatto minacciata, o per la difesa di Cipro che minaccerebbero i greci, o per andare ad occupare il Nord dell'Iraq, tutto ciò non interessa più la popolazione, e da molto tempo ormai. La diffidenza nei confronti di queste campagne militariste converge con l'ostilità nei confronti dei modi arbitrari dell'esercito e delle manovre dello "Stato profondo", ampiamente svelate dagli scandali di questi ultimi anni; e rinforza la convinzione che è la popolazione che deve pagare per tutto ciò, mentre essa spererebbe semplicemente di poter vivere un po' meglio, come, per esempio, nell'Europa vicina.

In queste condizioni, la campagna per la laicità condotta da un CHP che la univa a dei rilanci nazionalisti e che si alleava allâesercito e all'estrema destra, guardandosi bene dallâavanzare la minima rivendicazione sociale, non poteva che restare estranea ad una gran parte della popolazione. Non bisogna cercare altrove le ragioni del successo elettorale dellâAKP e del 46,6% dei voti ottenuti alle elezioni del 22 luglio, un successo che è ancora più visibile in alcune province in cui questo risultato oltrepassa talvolta il 70%. Il fatto è che è proprio questo partito borghese, dall'ideologia reazionaria, che in queste elezioni è apparso come il più suscettibile di portare qualche miglioramento democratico, di migliorare un po' la situazione economica del paese e soprattutto di condurlo a questa adesione all'Unione Europea che la maggioranza della popolazione auspica. à anche quello che è apparso il meno suscettibile di volere trascinare il paese in costose avventure autoritarie o guerriere.

In queste condizioni, Abdullah Gül ha potuto essere eletto presidente della Repubblica in agosto scorso, nell'indifferenza generale. Anche se il fatto che sua moglie si mostri velata in pubblico è un segnale in direzione degli ambienti islamici, nulla permette di dire che questa elezione rappresenti in sè stessa un pericolo di islamizzazione più grande di ciò che ha conosciuto la società turca in questi ultimi anni. L'AKP ha fino ad ora voluto evitare ogni accusa di fondamentalismo e continuerà probabilmente a farlo, anche solo per non dare ragione a coloro che, all'interno dell'Unione europea, si oppongono allâadesione della Turchia nel nome del pericolo islamista che lei rappresenterebbe. In compenso, lâAKP può evidentemente continuare la politica condotta prima di lui dagli altri partiti conservatori, e anche dal CHP e dai generali, che ha già condotto a costruire in Turchia più moschee di ospedali o scuole.

Quanto a sapere se i prossimi anni di governo dell'AKP porteranno i progressi che il partito di Erdogan ha sembrato promettere, questa è un'altra questione, che è ovviamente molto più legata alla congiuntura economica mondiale che alle qualità proprie dell'ex ragazzo delle strade di Kasimpasa. E quanto tempo potrà egli sfuggire agli scandali di corruzione e alle crisi finanziarie che hanno conosciuto i suoi predecessori, ciò non possiamo prevederlo; ma questo tempo è certamente limitato.

Resta il fatto che per le classi popolari, per la classe operaia di Turchia, la vera questione non è questa. La vera questione è di darsi i mezzi per difendersi su un terreno di classe, senza credere che un politico populista alla Erdogan porterà i diritti e i progressi sociali che le classi popolari sperano senza che vi sia bisogno di lottare per imporle. E questa difesa su un terreno di classe implica il fatto di combattere anche l'oscurantismo religioso sotto le sue diverse forme, e soprattutto di combattere per la libertà delle donne, perchè quest'oscurantismo costituisce un ostacolo potente ad ogni presa di coscienza e ad ogni lotta per l'emancipazione sociale.

E non bisogna, per questo, avere nessuna fiducia negli strani difensori della "laicità " che hanno preso l'iniziativa delle manifestazioni di questa primavera, come i dirigenti socialdemocratici, senza neanche parlare di quelli dell'esercito.