In occasione del centenario della legge di separazione del 1905: l'unità dello Stato e della Chiesa per la difesa della proprietà (da Lutte de Classe n 94 febbraio 2006)

Εκτύπωση
In occasione del centenario della legge di separazione del 1905: l'unità dello Stato e della Chiesa per la difesa della proprietà
febbraio 2006

In occasione del centenario della legge sulla separazione tra Chiesa e Stato, numerose dichiarazioni di uomini politici e di commentatori hanno elogiato i meriti di quel modello e di quella eccezione che la "laicità alla francese" rappresenterebbe. Ma la Francia può apparire come modello in questo ambito solo a un cieco, infatti nella pratica, questa separazione tra Chiesa e Stato, già incompleta nel 1905, non ha cessato di esser rimessa in discussione nel corso degli anni.

I comunisti, quali noi siamo, non si richiamano alla laicità in generale, infatti questa, se implica la separazione tra Chiesa e Stato sulla quale non si può che essere d'accordo, pretende anche di fare della scuola un terreno neutro, dove le opinioni politiche e filosofiche non dovrebbero essere espresse, cosa che finisce per lasciar campo libero all'ideologia dominante. Ma non è certo questo, ovviamente, l'aspetto della laicità che gli uomini politici francesi, i quali nel corso degli anni si sono sforzati di svuotarla di contenuto, mettono in discussione.

Ma dato che la "laicità alla francese" appare ancora come un'eccezione, la questione da porsi è perché gli altri paesi occidentali, per limitarsi ad essi, siano stati e siano ancora più timidi della Francia su questa materia. Infatti anche senza parlare delle vestigia del Medio Evo rappresentate per esempio dalle Andorre (il cui esecutivo è costituito da due principi: il vescovo spagnolo di Seo de Urgell, e il presidente della Repubblica Francese) o Monaco e il Liechtenstein (con i loro "principi sovrani" "per grazia di Dio") e soprattutto il Vaticano, ultima reliquia dello Stato pontificio che occupava fino a metà del XIX secolo gran parte dell'Italia centrale, molti paesi europei conoscono ancora oggi un sistema di "religione di Stato".

DALLA "RELIGIONE DI STATO"...

In quei modelli di democrazia parlamentare quali sono, a quanto pare, le monarchie dell'Europa del Nord, la Svezia non ha sancito la separazione tra la Chiesa protestante (nella sua versione luterana) e lo Stato che nel 2000... ma il re deve ancora professare questa religione. Nella vicina Norvegia il luteranesimo è ancora religione di Stato. Lo stesso vale per la Danimarca. In questi due paesi è la Chiesa luterana che detiene lo stato civile... cosa che non ha impedito loro di autorizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Ma l'esempio più evidente della non-separazione tra Chiesa e Stato è dato da quell'altro modello di democrazia che sarebbe l'Inghilterra. Non solo esiste una religione di Stato, l'anglicanesimo, ma la regina d'Inghilterra ne è il capo ufficiale.

Sulla costa mediterranea, il cattolicesimo è religione ufficiale a Malta. In Grecia, è il cristianesimo "ortodosso" che è riconosciuto come "religione dominante" da una costituzione promulgata "in nome della Santa, consustanziale e indivisibile Trinità". Questa costituzione riconosce, è vero, la libertà di coscienza, ma vieta il proselitismo (salvo, ovviamente, per quel che concerne l'Ortodossia!). Il parlamento, ancora nel 1993, aveva confermato la legge che rendeva obbligatoria la menzione della religione sui documenti d'identità. Ed ha fatto attendere il 2000, e un intervento del Parlamento europeo, per far sparire tale riferimento.

Nei paesi occidentali dove la Chiesa è ufficialmente separata dallo Stato, tale separazione è più teorica che pratica.

La situazione più ambigua è senza dubbio quella dell'Irlanda. La costituzione del 1937 era "fondata nel nome della Santissima trinità da cui ogni autorità deriva". Precisava che "lo Stato riconosce la situazione particolare della Santa Chiesa cattolica, apostolica e romana in quanto guardiana della fede professata dalla grande maggioranza dei cittadini". Questo articolo è scomparso al momento della riforma costituzionale del 1972...ma questo non ha diminuito il peso della gerarchia cattolica nella vita sociale.

ALLA PSEUDO-LAICITA'

In Belgio, la laicità è stata iscritta nella costituzione dopo il 1993...ma lo Stato riconosce sei religioni (cattolica, protestante, israelita, anglicana, musulmana e ortodossa), per le quali si addossa il mantenimento dei vari ministri del culto e le spese di istruzione religiosa. Per dare l'apparenza di equilibrare la bilancia, il Consiglio centrale laico ha ricevuto anch'esso una sovvenzione, ma naturalmente molto più leggera della Chiesa cattolica, che è la grande beneficiaria di questo sistema.

In Olanda, la revisione costituzionale del 1983 ha soppresso tutti i riferimenti alla religione. Dopo questa data, lo Stato non ha più in carico il mantenimento di preti e pastori...ma lo Stato ha fatto dono alle Chiese di un'unica dotazione che garantisce loro degli interessi superiori a quanto percepivano precedentemente.

In Germania, la costituzione contiene un riferimento religioso non equivoco: "Cosciente della sua responsabilità di fronte a Dio e di fronte agli uomini, il popolo tedesco si è dato la presente legge fondamentale". Il finanziamento delle Chiese cattoliche e protestanti è per la maggior parte assicurata dall'imposta di culto. Evidentemente ciascuno ha il diritto di rifiutarsi di pagare tale imposta. Ma nel caso dei salariati, è il datore di lavoro che trattiene tale imposta alla fonte, e che può dunque stilare la lista dei "miscredenti" della sua impresa. Inoltre, siccome questa imposta di culto è deducibile dall'imposta sul reddito, in definitiva è lo Stato che finanzia le Chiese, in aggiunta al montante dell'imposta sulle sovvenzioni offerte a compensazione delle secolarizzazioni del passato.

In Spagna, il cattolicesimo ha cessato di essere religione di Stato con il cambiamento politico seguito alla morte di Franco. Ma la costituzione del 1978 allo stesso tempo valorizza la religione cattolica, infatti se afferma che "nessuna religione avrà carattere di religione di Stato" precisa anche che "i poteri pubblici terranno conto delle credenze religiose della società spagnola e intratterranno su questo aspetto delle relazioni di cooperazione con la Chiesa cattolica e le altre confessioni". Esiste tra l'altro anche un'imposta di culto, ma è esclusivamente a favore della Chiesa cattolica, senza contare le sovvenzioni dirette destinate a remunerare le persone incaricate di svolgere corsi di istruzione religiosa e i cappellani.

Nel vicino Portogallo la costituzione del 1976, adottata dopo la "rivoluzione dei garofani", proclama la separazione tra Chiesa e Stato. Ma una legge votata nel 2001 prevede che ogni contribuente possa devolvere una parte della sua imposta alle comunità religiose.

L'Italia, infine, ha avuto dei rapporti complessi con la Chiesa cattolica, poiché l'unificazione del paese, nel XIX secolo, è avvenuta a detrimento dello Stato pontificio. A partire dal 1870, tutti i papi che si sono succeduti, si sono considerati prigionieri in Vaticano, fino alla firma dei patti Lateranensi tra il papato e Mussolini, che restaurarono il cattolicesimo come religione di Stato. Con questo accordo, come compensazione per la perdita dei suoi beni temporali, la Chiesa ricevette dallo Stato italiano 750 milioni di lire, e il contro-valore di un miliardo con una rendita del 5%. Dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, la costituzione repubblicana del 1948 integrò i patti Lateranensi. Solo con la firma di un nuovo concordato, nel 1984, il cattolicesimo ha cessato di essere religione di Stato in Italia. Ma in questo paese esiste ugualmente un'imposta di culto (maniera per stornare una parte delle finanze pubbliche, dato che ogni cittadino sceglie di attribuire una parte delle proprie imposte, o ad uno dei culti riconosciuti, o allo Stato) di cui la Chiesa cattolica è la grande beneficiaria.

Inoltre, in Italia come in Spagna, la Chiesa beneficia di un regime fiscale molto vantaggioso.

UN'ECCEZIONE FRANCESE ASSAI DEBOLE

Evidentemente, con la sua costituzione che nel primo articolo afferma che "la Francia è una repubblica (...) laica" , essa appare una rara eccezione. Ma è anche vero che nello stesso articolo si afferma che si tratta di una "repubblica sociale", cosa che può far dubitare della frase!

D'altronde la famosa legge del 1905, che ha regolato questa laicità, ha subito molte revisioni successive.

Questa legge è il risultato di un lungo braccio di ferro tra la III Repubblica e la Chiesa cattolica; quest'ultima durante tutto il XIX secolo aveva sostenuto senza tentennamenti il Primo Impero, le restaurazioni Borboniche, la monarchia di luglio e il Secondo Impero, ma si trovava adesso tra gli avversari di una repubblica... che continuava tuttavia ad applicare il concordato firmato nel 1801, e promulgato nel 1802, tra Napoleone e Pio VII.

E' in gran parte per contrastare l'influenza di questa Chiesa presso le giovani generazioni che nacque, negli anni ottanta dell'ottocento, la scuola pubblica , laica e obbligatoria, sotto le sferzate di Jules Ferry (ministro dell'istruzione dal 1879 al 1883), nello stesso tempo le congregazioni religiose, che controllavano la maggior parte dell'insegnamento privato, vennero sempre più rigidamente controllate. Malgrado ciò si continuò ad applicare il concordato del 1801.

In occasione dell'affare Dreyfus, numerosi rappresentanti della Chiesa cattolica, e in particolare il quotidiano La Croix, in mano alla congregazione degli "assunzionisti" mostrarono la loro profonda ostilità alla repubblica.

E' sotto il ministero del radicale Emile Combes che venne avviato il processo che avrebbe condotto alla legge di separazione tra Chiesa e Stato, in un clima segnato da un nuovo deterioramento delle relazioni tra la repubblica francese e il papato. In effetti la visita ufficiale del presidente Loubet al re d'Italia, nel marzo 1904, fu considerata da Pio IX come un attacco, perché vi vide il riconoscimento dell'annessione dello Stato pontificio all'Italia del 1870.

Al suo ritorno, la camera dei deputati, due mesi più tardi, votò la rottura delle relazioni diplomatiche con il Vaticano. Nel dicembre 1905, la legge di separazione, che metteva fine di colpo al concordato del 1801, venne definitivamente adottata. L'articolo 2 metteva fine al regime dei culti sovvenzionati dallo stato.

In effetti la separazione non fu completa, poiché i luoghi di culto divennero di proprietà dello Stato... che si impegnò ad assicurarne il mantenimento.

La prima capitolazione dello Stato di fronte alla Chiesa non tardò. La legge prevedeva un inventario dei beni ecclesiastici, i quali avrebbero dovuto, in seguito, essere affidati a delle "associazioni di culto". La Chiesa mobilitò i propri fedeli ad opporsi a questo inventario. Per farlo eseguire fu necessario ricorrere all'esercito. Ma davanti al rifiuto di obbedire da parte di un certo numero di ufficiali incaricati di questa missione, il ministro Clemenceau vi rinunciò, nel 1906.

La guerra del 1914 - 1918 fu l'occasione della grande riconciliazione tra la Chiesa e la repubblica borghese. La prima aveva finito per comprendere che i tempi non erano più quelli dell'Ancien Régime. La seconda aveva bisogno dell'appoggio di tutte le forze possibili per mandare al macello lavoratori e contadini. Era l'ora di consacrare la Concordia. Quando, nel 1919, la Francia recuperò i territori annessi dall'Alsazia e dalla Lorena, il governo si guardò bene dal fare applicare la legge del 1905. Con il pretesto che, al momento in cui la legge venne votata, questi territori non erano francesi, il concordato del 1801 restò in vigore. Più di ottant'anni dopo, c'è ancora. In virtù di un "diritto locale", preti, pastori e rabbini sono pagati come dei funzionari. Le scuola pubbliche devono assicurare l'educazione religiosa degli allievi (e teoricamente bisogna che i genitori facciano una domanda di esonero perché i bambini possano evitarla). I crocifissi sono appesi nei luoghi pubblici.

Sotto Pétain, la laicità evidentemente versò in condizioni ancora peggiori. Le scuole private potevano beneficiare di un finanziamento pubblico, i "doveri verso Dio" erano introdotti nei programmi delle elementari. E' pur vero che non si trattava più della "repubblica", ma dello "Stato francese".

Non c'è bisogno di attendere molto tempo dopo la fine della guerra per vedere la Quarta Repubblica seguire l'esempio del finanziamento all'insegnamento privato. Nel 1951, la legge Barangè istituì nuovamente un aiuto alla scuola privata (vale a dire essenzialmente cattolica), che era un monumento di ipocrisia. Teoricamente infatti si trattava di una sovvenzione che riguardava i bambini iscritti sia nella scuola pubblica che in quella privata. Salvo che, nel primo caso, era destinata al mantenimento dei locali (ovvero il budget per l'istruzione statale diminuiva di pari misura), nel secondo era versato alle associazioni dei genitori di allievi di scuole private e dunque finivano per riversarsi nelle casse di quest'ultime.

Dopo il ritorno di De Gaulle al potere, la legge Daubré ebbe un'ulteriore evoluzione nel 1959, offrendo alle scuole private la possibilità di "contratti d'associazione", al termine dei quali lo Stato si assumeva l'onere di tutte le spese dell'istituto, compresi i salari degli insegnanti.

"L'eccezione francese" in materia di laicità dunque, dopo oltre mezzo secolo, è assai relativa. Tanto che se la scuola pubblica francese (tranne l'Alsazia-Lorena) non ha l'obbligo di garantire corsi di religione (almeno non ancora, infatti ciò potrebbe avvenire col pretesto dell'insegnamento del "fait religieux" - fatto religioso), contrariamente a quanto avviene in Germania, in Spagna o in Italia, per esempio, è da molto tempo che curati e rabbini, col pretesto dei cappellani, hanno diritto di cittadinanza negli istituti di istruzione pubblica.

LA VERA NATURA DEL PROBLEMA

Di fatto, sono medesime ragioni a spiegare sia l'arretramento sulla laicità in Francia, sia i legami mantenuti dagli altri Stati dell'Europa occidentale con le differenti religioni, legami davvero anacronistici.

La nozione di "religione di Stato" è nata in effetti con la monarchia per diritto divino. Se si crede che sia stato il dio dei cattolici ad aver scelto il sovrano in carica, allora, per assicurarsi la loro obbedienza, è bene che tutti i suoi sudditi professino la religione cattolica. Tanto è vero che, quando lo choc della Riforma portò la Chiesa cattolica a separarsi, i principi tedeschi, gli uni restati fedeli al cattolicesimo, gli altri passati al protestantesimo, non ebbero altra soluzione che trovare il compromesso del "cujus regio, ejus religio", vale a dire: la religione del paese deve essere quella del principe.

E' assai significativo che la prima costituzione borghese, quella degli Stati Uniti, abbia istituito nel primo emendamento la separazione tra Chiese e Stato... in quanto era inevitabile che le scelte religiose dei coloni si ripartissero tra un numero considerevole di Chiese. Questo divieto fatto allo Stato di immischiarsi negli affari religiosi, di finanziare tale o tal altra Chiesa, non diminuisce, evidentemente, il peso generale della religione in questo paese. Non gli impedisce di proclamare su ogni biglietto di banca "In God we trust" (Noi abbiamo fede in Dio). Eppure costituzioni più recenti potrebbero tuttavia ispirarsi ad essa con profitto.

Anche la Rivoluzione francese spazzò via la nozione di religione di Stato. In un primo tempo, privilegiò certamente la Chiesa cattolica, maggioritaria nel paese, nel tentativo di "costituzione civile del clero", che avrebbe trasformato i curati in funzionari. Ma dal momento che ritenne di chiedere loro, in quanto funzionari giustamente, di prestar giuramento sulla costituzione, si trovò di fronte a tali resistenze che non poté far altro che orientarsi verso una politica di decristianizzazione.

E' solo dopo il Termidoro e soprattutto con Napoleone Bonaparte che la Chiesa cattolica ritrovò i favori del potere. Ma le intenzioni di Bonaparte, nel firmare il concordato del 1801, erano chiare. Non erano certo le proprie convinzioni religiose a motivarlo, lui che diceva: "E' facendomi cattolico che ho fatto finire la guerra della Vendea, facendomi musulmano che mi sono stabilito in Egitto, facendomi ultramontano che ho guadagnato gli animi in Italia. Se governassi un popolo di Ebrei, restaurerei il tempio di Salomone". Egli riassume anche il fondo del proprio pensiero: "Come avere ordine in uno Stato senza religione? La società non può esistere senza ineguaglianze di fortune, e l'ineguaglianza di fortune non può esistere senza religione. Quando un uomo muore di fame a fianco di un altro che si abbuffa, gli è impossibile comprendere questa differenza se non c'è un'autorità che gli dice: "Lo vuole anche Dio, è necessario che si siano dei poveri e dei ricchi nel mondo, ma dopo e durante l'eternità le parti si invertiranno." Ciò che il pubblicista cattolico Louis Veuillot riassume nel motto: "Quando non si è proprietari, bisogna credere in Dio per rispettare la proprietà."

Gli attuali uomini politici della borghesia, sia che condividano i pregiudizi religiosi, sia che se ne siano personalmente liberati, hanno, nella stragrande maggioranza, lo stesso modo di vedere le cose. Ben pochi osano dirsi atei, o anche semplicemente agnostici. Anche loro ritengono che sia preferibile che il popolo creda in dio, ed inoltre non hanno alcuna intenzione di separare le Chiese dalle forze politiche al servizio della borghesia che essi rappresentano.

La laicità non riscuote più successo tra le classi dominanti, lo stesso avviene per la "repubblica", d'altra parte, per quanto borghese. Se in questo inizio di XXI secolo l'Europa occidentale conta ancora tante monarchie (il Belgio, la Danimarca, la Spagna, la Gran Bretagna, l'Olanda, il Lussemburgo, la Norvegia, la Svezia) che rappresentano altrettanti anacronismi, è perché questa forma di governo, in particolare quando è garantita da partiti "di sinistra, come avviene in tutti questi paesi, va nel senso di un conservatorismo sociale.

Noi vivremmo, secondo la maggior parte dei commentatori, una "laicità mitigata". La Chiesa se ne rallegra compiaciuta infatti non è tanto la parola in sé a infastidire, quanto la sua restrizione. Ed è piuttosto di una laicità mutilata di cui dovremmo parlare. Cosa che del resto merita sicuramente di essere difesa di fronte all'offensiva più o meno insidiosa condotta da tutti i clericalismi. Ma la religione veramente rivolta al solo dominio della sfera privata, messa nell'impossibilità di imporre la propria morale, la sua legge, a coloro che non la condividono, potrà solamente esistere in una società che si sarà liberata della dominazione capitalista.