La sinistra italiana e le manifestazioni di Genova

Εκτύπωση
da "Lutte de Classe n° 60 (La sinistra italiana e le manifestazioni di Genova)
Ottobre 2001

Anche se il loro successo è stato nascosto dalle violenze poliziesche che hanno provocato la morte di un manifestante e numerosi feriti, senza neanche parlare delle polemiche e inchieste che le hanno seguite, le manifestazioni contro lo svolgimento del vertice del G8 a Genova, dal 19 al 22 luglio, hanno riunito lo stesso un gran numero di partecipanti. Cifre tra 200 e 300 000 persone sono state evocate, il più dei manifestanti venendo ovviamente dall'Italia.

Per di più, un mese appena dopo la sistemazione del governo Berlusconi, tanti militanti o simpatizzanti delle sinistre hanno certamente voluto cogliersi l'occasione di ritrovarsi in tanti per le strade per un radunamento che prendeva così anche l'aspetto di una grande dimostrazione contro Berlusconi ed il suo governo. Nello stesso modo, dopo queste manifestazioni, l'importanza delle manifestazioni di protesta contro le violenze poliziesche fu una testimonianza dell'emozione suscitata da questa scatenata brutalità.

Dopo Genova, le organizzazioni che ne stavano all'iniziativa, raggruppate in seno al "Social Forum Italiano" che sostituisce il "Genoa Social Forum" appellano dunque a nuove proteste contro le varie riunioni di organizzazioni internazionali previste nel paese nel corso dei prossimi mesi. I partiti delle sinistre italiane raggiungono questo "social forum". Nello stesso tempo, tutti denunciano l'azione della polizia di Berlusconi, attribuendola spesso all'influenza dei ministri dell'estrema destra presenti nel governo.

Che si tratti dunque di protestare contro la "globalizzazione", o contro il governo Berlusconi, si possono aspettare nuove manifestazioni. Ma possiamo chiederci con quali obiettivi, e soprattutto in qual modo questi obiettivi possono corrispondere agli interessi della classe operaia.

La lotta contro la "globalizzazione"

Le brutalità poliziesche, le polemiche sulle violenze e sull'atteggiamento della polizia hanno quasi relegato al secondo piano il motivo stesso delle manifestazioni : la lotta contro la "globalizzazione" o la "mondializzazione" che la riunione del G8 simbolizzava.

Il "Genoa Social Forum", organismo che si costituì dunque per coordinare le diverse organizzazioni che chiamavano alla manifestazione, si era fatto anche portavoce dell'"Appello di Porto Alegre" lanciato il 30 gennaio 2001 e firmato da organizzazioni pacifiste e da diversi comitati di numerosi paesi. Dichiarandosi rappresentanti di un "movimento che, a partire da Seattle, sta crescendo", le organizzazioni firmatarie si pronunciavano "contro l'egemonia del capitale, la distruzione delle nostre culture, il degrado della natura e il deterioramento della qualità della vita da parte delle imprese transnazionali e delle politiche antidemocratiche". Accusavano "la globalizzazione neoliberista" di "distruggere l'ambiente, la salute e le condizioni di vita dei popoli", e i mercati finanziari di "depredare le risorse e la ricchezza dei popoli e di assoggettare le economie nazionali ai viavai degli speculatori". Prendendosela con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, la NATO e gli altri accordi militari, denunciati come "alcune delle agenzie multilaterali della globalizzazione transnazionale", spiegando poi che "queste istituzioni non hanno legittimità di fronte ai popoli", esigevano "la fine delle loro interferenze nelle politiche nazionali".

Per quanto riguarda gli obiettivi, dopo aver dichiarato che "l'esperìenza della democrazia partecipativa, come a Porto Alegre, dimostra che alternative concrete sono possibili", lo stesso appello chiedeva "l'annullamento incondizionato del debito esterno dei paesi del Sud", la "chiusura dei paradisi fiscali e l'introduzione di tasse sulle transazioni finanziarie" e domandava "un sistema di commercio giusto, che garantisca il pieno impiego, la sovranità alimentare, ragioni di scambio eque e benessere locale ". Finalmente, chiamava ad "appoggiare le mobilitazioni contro la creazione dell'Aera di libero commercio delle Americhe".

Se l'appello se la prende effettivamente con il "capitale" in generale, pone l'accento innanzitutto sulle responsabilità della "globalizzazione transnazionale", delle "imprese transnazionali" e delle "politiche neoliberali" che distruggono le "economie nazionali". Tutte le soluzioni che propone comportano il ripiegamento sull'economia nazionale. Gli Stati nazionali sono così presentati come dei freni contro la pressione delle politiche "neoliberali" e degli organismi internazionali verso la deregolamentazione.

Eppure questo "neoliberismo" così mal chiamato non è altro che la politica di governi che ubbidiscono agli interessi del capitale, nazionale ed internazionale. Chiedere a questi governi, a questi capitalisti, di instaurare "un sistema di commercio giusto" non è altro che utopia riformista.

E infatti, se le organizzazioni promotrici, sia dell'appello di Porto Alegre, sia del Genoa Social Forum, ci tengono a denunciare, non l'organizzazione capitalistica della società o l'imperialismo, bensì le "politiche neoliberali", è perché i più di loro non hanno l'obiettivo di combattere il potere economico e politico della borghesia e del capitalismo. Si tratta il più delle volte di organizzazioni pacifiste, terzomondiste, nazionaliste, riformiste, molto spesso legate agli ambienti socialdemocratici, alle burocrazie sindacali, perfino alle Chiese.

Nel caso del "Genoa Social Forum", è stato il cosiddetto movimento delle "tute bianche" a riuscire ad occupare il posto principale, senon sul terreno, almeno nei mass media. Più che di una vera e propria organizzazione o movimento, si tratta di un ambiente, organizzato attorno ai "centri sociali", centri alternativi creatisi in tante città italiane intorno a varie attività che vanno dai concerti rock ad altre attività culturali o manifestazioni contestatarie, che sono spesso riuscite ad ottenere finanziamenti e aiuti da parte dei comuni e che sono improntati da un'ideologia in cui si mescolano pacifismo, ecologismo, a volte anarchismo o un riformismo molto arcaico.

Oltre ai "centri sociali", si trovavano tra i partecipanti del "Genoa Social Forum" le associazioni più varie : diverse associazioni pacifiste, di aiuto al terzomondo, raggruppamenti di consumatori, cooperative, gruppi ecologisti, ma anche la federazione delle Chiese Evangeliste e Pax Cristi, tutto questo a fianco di Rifondazione Comunista e, dal lato sindacale, del Sin-Cobas, federazione di piccoli sindacati cosiddetti "di base", in rottura con le grandi confederazioni. Da parte di queste ultime, solo la FIOM, federazione metalmeccanica della CGIL, che in seno a questa apparisce un po più combattiva e contestataria, ha chiamato a partecipare alla manifestazione di Genova, senza pertanto aderire al "Genoa Social Forum". Ma, come lo si può immaginare, la FIOM per tanto non si è distinta dalle altre organizzazioni con le sue parole d'ordine, né per esempio col portare avanti obiettivi che avrebbero potuto esprimere gli interessi del mondo del lavoro ; come gli altri, si è accontentata di protestare in modo generico contro la "globalizzazione" o la "mondializzazione", parole generiche dalle quali non scaturisce nessuna parola d'ordine, nessuna rivendicazione che possa trasformarsi in obiettivo concreto di lotta per la classe operaia o per le masse che avrebbero voglia di impadronirsene.

Il governo Berlusconi e le violenze poliziesche

All'indomani delle manifestazioni dì Genova, è stata però la questione dell'atteggiamento della polizia italiana a venire al primo piano. Ha dato prova di un incredibile brutalità, e questo non solo perché si è visto un carabiniere sparare a bruciapelo al giovane manifestante Carlo Giuliani. L'intero comportamento della polizia dimostra peraltro che non mirava solo a combattere i "black blocks" ed altri gruppi molto minoritari venuti là nell'intento rivendicato di rompere le vetrine dei negozi e di ricercare il confonto fisico, ma che invece aggrediva l'insieme dei manifestanti.

Bisogna forse vedere lì la volontà politica di cancellare, dietro a queste immagini di violenza e di caos, quelle di una manifestazione che poteva essere un successo ? O forse era solo l'applicazione, da parte della polizia, dell'ordine di assicurare a qualunque costo la sicurezza della riunione del G8, senza che né il governo, né la polizia siano stati capaci, o

abbiano avuto la volontà, di controllare o limitare gli eccessi della polizia, anche se questi non davano ai suoi interlocutori del G8 un'immagine positiva del governo Berlusconi ? Comunque sia, non si dovrebbe dimenticare che questa stessa polizia aveva dimostrato la stessa brutalità qualche giorno prima, nella stessa città, contro una manifestazione dei lavoratori dell'Italsider, impresa siderurgica minacciata di chiusura. E bisogna soprattutto ricordare che una precedente manifestazione "antimondializzazione", il 17 marzo a Napoli, si era scontrata con metodi polizieschi analoghi, con lo stesso dilagare di sadismo, le stesse insulte da parte di alcuni poliziotti. Questo ebbe meno eco di quello che successe a Genova, forse perché la manifestazione fu meno numerosa, perché durò un pomeriggio e non quattro giorni e perché per fortuna non ci furono morti... e soprattutto perché una parte di quelli che hanno denunciato l'azione della polizia a Genova stavano ancora al governo all'epoca della manifestazione di Napoli.

Infatti, a quell'epoca, il governo italiano era ancora un governo di centrosinistra, la cui principale forza era i DS, che hanno dimostrato la loro capacità di governare conducendo i peggiori attacchi antioperai di questi ultimi anni. La repressione della manifestazione di Napoli ha mostrato che questo governo delle sinistre non aveva scrupoli a lasciare agire la polizia.

Lo stesso Berlusconi, per difendersi dalle accuse portate contro di lui dopo il G8 di Genova, ha potuto ricordare che le manifestazioni si sono prodotte un mese appena dopo la sistemazione del suo governo e che la scelta del dispositivo poliziesco, come quella dei suoi responsabili era stata fatta dal governo precedente : Berlusconi non aveva fatto altro che iscriversi nella sua continuità.

E infatti, se la polizia italiana è capace di dimostrarsi così brutale, se tanti fra i suoi responsabili e uomini dichiarano anche opinioni di estrema destra che proferano sotto forma d'insulti mentre manganellano i manifestanti, bisogna constatare che questo non data dal governo Berlusconi, anche se la presenza in seno a questo governo di ministri di estrema destra ha potuto incoraggiare alcuni poliziotti. Più semplicemente questo fa parte del ruolo dei poliziotti, anche se alcuni esponenti di sinistra fanno finta oggi di stupirsi di fronte a questa brutalità da parte di poliziotti di "un paese civile", di una "società democratica" e di uno Stato la cui costituzione è "la più democratica d'Europa", per riprendere i loro termini.

Ovviamente, il ruolo dei poliziotti non è per niente di difendere delle libertà democratiche, bensì di difendere l'ordine borghese, la proprietà borghese, contro tutto quello che potrebbe anche minimamente contestarli. Per questo, la polizia è educata all'uso del manganello, delle armi antisommossa e perfino delle arme a fuoco, e non al dialogo pacifico con i cittadini. E il fatto che questo ruolo sociale e queste abitudini predispongano i poliziotti ad avere simpatia per le idee di destra o di estrema destra, razziste e perfino fasciste, è piuttosto generale e si verifica sotto tutti i regimi ed in tutti i paesi, siano questi dotati di costituzioni molto "democratiche", quasi a prescindere dal fatto che ci siano o no dei ministri d'estrema destra nel governo del paese.

Sarebbe meglio quindi non confondere gli effetti e la causa: se la polizia italiana si è comportata così a Genova ed a Napoli, questo non dipendeva dall'etichetta di "sinistra" o di "destra" del governo, e neanche da quella d'estrema destra di alcuni ministri di Berlusconi, anche se i poliziotti che simpatizzano per l'estrema destra hanno tutte le ragioni di sentirsi incoraggiati da tale governo. La polizia si assume un ruolo di repressione al servizio della borghesia, qualunque siano le circostanze, nel modo in cui è stata educata a farlo e nel modo in cui lo concepisce. Ed il ruolo delle organizzazioni, dei militanti che rivendicano di trasformare la società dovrebbe almeno essere di spiegare questo a quelli che li seguono, e più generalmente ai lavoratori, tanto più che questa polizia che ha servito a Genova contro i manifestanti "antimondializzazione" è stata e sarà utilizzata domani nello stesso modo, forse con ancora più violenza, per reprimere lavoratori in lotta, sia con un governo di sinistra o con uno di destra.

La sinistra Rifa' la sua immagine

Invece si vede gran parte della sinistra, e tra gli altri Rifondazione comunista, appellarsi ai principi di democrazia eterna dello Stato e della sua Costituzione e suggerire che basterebbe aver un governo che sappia mettere in pratica questi principi democratici. Meno di tre mesi dopo la fine poco gloriosa dei governi di centrosinistra, è un tentativo per ricreare illusioni su un governo di sinistra col fare capire che con tale governo ci sarebbe meno spazio per la violenza poliziesca che con Berlusconi, anche se il passato recente dimostra che anche questo non è vero.

Così sembra che le proteste contro i metodi della polizia o addirittura contro il "fascismo" di Berlusconi, mischiate con qualche discorso contro la "globalizzazione" o si suoi eccessi, stiano per fornire il terreno sul quale la sinistra italiana, qualche mese dopo di avere lasciato il potere pesantemente discreditata, potrebbe ricostruire la sua immagine e cercare di rifarsi una verginità politica.

Ma anche prima che sia così, la cosiddetta "lotta alla globalizzazione" serve già, su scala più ridotta, al Partito della Rifondazione comunista per cancellare ancora di più ciò che resta della sua identità comunista. Nei discorsi del suo segretario generale Bertinotti, così come nelle pagine del suo quotidiano Liberazione, ormai tutto viene subordinato allo sviluppo del "movimento antiglobalizzazione", nel quale Rifondazione comunista dichiara di avere scelto di impegnarsi completamente, e senza nessuna critica. E lungi dal provare a difenderci anche solo una parvenza di punto di vista di classe o di punto di vista comunista, è l'occasione di spiegare che questo vecchio linguaggio va dimenticato a favore dei "nuovi movimenti", di cui il movimento "antiglobalizzazione" sarebbe emblematico.

Certamente, Bertinotti ha dichiarato per esempio che "il problema è coniugare i temi antiglobalizzazione con quelli del lavoro e del conflitto sociale" col contribuire a definire "un programma di opposizione al governo delle destre". Ma già si vede di quale tipo di programma si tratta quando evoca a proposito di questo programma "la questione della Tobin tax". Pare che "coniugare i temi antiglobalizzazione con quelli del conflitto sociale" significhi che secondo lui, "il conflitto sociale" va ricondotto ad una rivendicazione così vaga ed irrisoria come la "Tobin tax", questa tassa dalla percentuale ridicola dello 0,1% sui movimenti di capitali a breve termine la cui proposta risorge periodicamente dai discorsi dei dirigenti socialdemocratici quando questi vogliono darsi un'immagine un po' "sinistra".

Così basta che un Jospin, in questo periodo preelettorale in Francia, alluda vagamente a questa "Tobin tax", come ha fatto in un recente discorso, perché il giornale Liberazione dichiari con entusiasmo, in un'articolo di Daniele Zaccaria, che "il muro del pensiero unico comincia lentamente a sgretolarsi", e che "una politica di segno opposto sembra ormai delinearsi anche in ambienti governativi" ! (Liberazione del 9 settembre 2001).

Questo è particolarmente rivelatore nel momento in cui, appunto, i partiti di sinistra italiani tornati all'opposizione sono in cerca di un posizionamento di fronte al governo Berlusconi. Rifondazione comunista che da parte sua aveva già lasciato la maggioranza di centro sinistra dal 1998, parla di mettere in piedi una prospettiva di "sinistra plurale" nella quale Rifondazione potrebbe allearsi alla sinistra dei DS, o addirittura ai DS in quanto tali se questi, ormai liberati dai vincoli del potere, decidessero di darsi un'immagine un pochino più a sinistra.

Certamente i DS non ci sono ancora pronti, perché sono divisi in varie correnti e divergono rispetto alla tattica da adottare nei confronti del governo Berlusconi. Non hanno partecipato in quanto tali alle manifestazioni di Genova. Ma non hanno mancato di criticare la repressione poliziesca, e alcuni si sono fatti vedere nelle manifestazioni di protesta successive e perfino nelle assemblee dei vari "forum sociali". Ormai si vede cosa Rifondazione comunista si aspetta da loro : chiaramente, basterebbe che alla pari di un Jospin in campagna elettorale qualche dirigente DS accetti di dichiararsi aperto all'idea di una "Tobin tax" e faccia qualche discorso critico rispetto alle conseguenze della "globalizzazione", perché Rifondazione applauda a questa mossa verso quello che già sta chiamando "una politica di segno opposto" e potrebbe annunciare la nascita di una "sinistra plurale" all'italiana.

Come si vede, il relativo successo delle manifestazioni di Genova contro la "globalizzazione" porta, dalle parti dei partiti di sinistra, a delle chiacchiere che potrebbero fare da copertura alle nuove alleanze che si preparano, ma che sono vuote da ogni contenuto reale, almeno per chi si piazza dal punto di vista dei lavoratori, delle loro aspirazioni ed esigenze.

Bisogna inoltre notare che sebbene le manifestazioni di Genova siano state un successo, dal punto di vista numerico se non dal punto di vista morale perché la violenta repressione ha probabilmente cancellato da molti partecipanti l'entusiasmo e la soddisfazione che potevano risultare dal fatto di ritrovarsi così numerosi, non sono andate oltre il solito pubblico delle organizzazioni di sinistra. In particolare non c'è stata una partecipazione notevole in provenienza dalla classe operaia in quanto tale, tranne l'ambiente di militanti sindacali che si è ritrovato dietro la FIOM. E appunto, come mai i lavoratori, o anche solo una loro piccola parte, avrebbero potuto sentirsi mobilitati da questa manifestazione ?

Certamente, sono tra le prime vittime di quello che è di moda chiamare "i malfatti delle globalizzazione" e non è altro che i soliti malfatti del capitalismo e della borghesia al potere : chiusure di fabbriche, licenziamenti, disoccupazione, speculazione e crisi finanziarie, tagli negli stanziamenti pubblici, flessibilità, precarietà, ribasso dei salari, danni all'ambiente e alle condizioni di vita... Ma per lottare contro tutto questo, bisognerebbe almeno indicare i responsabili e definire con quali mezzi combatterli. Ora, a parte la parola "globalizzazione", gli unici obiettivi indicati con qualche chiarezza sono organismi internazionali quali l'FMI, la Banca mondiale, il WTO.

Ora queste istituzioni sovranazionali hanno in comune di essere fuori tiro dalle masse e di non essere, in realtà, i veri responsabili. Perché, anche prima di essere decisa al livello internazionale in queste istituzioni -cosa che, in realtà, capita piuttosto di rado-, la politica del capitale finanziario, le sue decisioni, sono prese giorno per giorno al livello dei governi, dei Consigli d'Amministrazione della borghesia, delle banche e delle istituzioni finanziarie. Le istituzioni sovranazionali al massimo giocano un ruolo di coordinamento, e qualche volta di regolazione del sistema.

Per questo il fatto di manifestare contro queste istituzioni, o contro la "mondializzazione" o la "globalizzazione" in genere, termini confusi che non indicano niente di preciso, è una scelta sulla quale possono ritrovarsi molte organizzazioni, sindacati, partiti dagli orientamenti molto diversi, senza che questo implichi per loro nessun impegno. Dei sindacati possono manifestare contro la "mondializzazione" senza che per loro ne consegua la necessità di definire un programma di lotta alla portata dei lavoratori, a cominciare dalla lotta contro il proprio governo e la propria borghesia . Al contrario, indicare la "globalizzazione" come nemico principale è come discolpare i governi e le borghesie nazionali, coll'attribuire le responsabilità dei malfatti del capitalismo ad una logica sovrastante che comunque imperversa al livello sovranazionale e quindi è fuori portata per le masse, e non a dei borghesi in carne e ossa, contro chi si potrebbe lottare e a chi si potrebbero imporre, con la forza, altre scelte.

I partiti di sinistra italiani, da poco tornati all'opposizione, l'hanno ben capito o stanno per capirlo : i discorsi sulla "globalizzazione" possono fornire il tema col quale potranno fare finta di proporre un'alternativa al potere attuale, senza in realtà proporre niente. Perché, all'occorrenza, il "neoliberismo" di cui già stanno rimproverando a Berlusconi di essere il simbolo, non è altro che il proseguimento della politica fatta dalla sinistra al governo ancora qualche mese fa.

25 settembre 2001