Berlusconi, un ritorno... ben preparato dai governi del centrosinistra

Εκτύπωση
Da "Lutte de Classe n° 59 - estate 2001 (Il ritorno di Berlusconi)
Giugno 2001

Certamente il risultato delle elezioni del 13 maggio, con la vittoria della coalizione capeggiata da Berlusconi, non è stato una sorpresa. Le elezioni regionali dell'aprile 2000 lasciavano prevedere la sconfitta dei partiti della coalizione di centrosinistra che governava il paese sin dall'aprile del 1996. Berlusconi, che già era stato al governo per qualche mese, dall'aprile del 1994 al dicembre dello stesso anno, torna al potere rafforzato e trionfante, alla testa di una coalizione di cui può sperare che sarà più durevole di quella del 1994.

Comunque la vittoria di Berlusconi appare come la vittoria di un gran capitalista che non si vergogna di proclamare chiaro e tondo che deve prevalere il diritto dei ricchi ad essere ancora più ricchi, che ciò che è buono per il capitale è buono per il paese e che bisogna eliminare dalla legislazione tutto ciò che potrebbe frenare il potere del denaro. Questo amareggia senz'altro molti militanti della sinistra, molti militanti operai, perché sembra in qualche modo la vittoria di tutto ciò che combattono.

Bisogna però non dimenticare che questa vittoria è stata largamente preparata dai dirigenti di questa sinistra stessa che, durante questi cinque anni al potere, hanno sempre inneggiato alle leggi del mercato e portato avanti la politica augurata dal gran capitale, di privatizzazioni e deregolamentazione a tutto campo, che lo stesso Berlusconi non si sarebbe sognato di potere condurre senza incontrare reazioni di grandi dimensioni. E se i dirigenti della coalizione di sinistra hanno condotto la loro campagna elettorale col puntare il dito sul pericolo rappresentato dal potere di Berlusconi e il suo controllo sui mezzi audiovisivi grazie alle reti televisive che possiede, nondimeno tutta la loro politica ha aperto la strada a Berlusconi e suoi progetti.

E poi, benché la coalizione di centrosinistra abbia denunciato i pericoli di una personalizzazione del potere intorno a Berlusconi, si è potuto constatare che la sua campagna elettorale non si distingueva tanto, in realtà, da quella della coalizione costituitasi intorno a questo gran capitalista sotto il nome di "Casa delle libertà". Ai cartelli pubblicitari all'immagine di Berlusconi si opponevano i pannelli pubblicitari all'immagine della figura dirigente scelta dal centrosinistra : Francesco Rutelli, con degli slogan di cui la demagogia, sulla sicurezza tra le altre cose, spesso non valeva meglio di quella del suo avversario. Ai militanti di sinistra, agli elettori popolari, il centrosinistra non aveva niente da proporre. Cercava solo di contestare Berlusconi sul suo proprio terreno, col contendergli una fetta d'elettori del centro. Contribuiva a dare lo spettacolo di una campagna elettorale "all'americana" opponendo due candidati quasi simili, e di una bipolarizzazione della vita politica che riduceva il suo livello a quello di una scelta tra il sorriso equivoco di Berlusconi e le apparenze istinte di Rutelli.

Sistema maggioritario e ricomposizione politica

Bisogna ricordare che questa bipolarizzazione della vita politica italiana intorno a due grandi coalizioni di partiti destinate ad alternarsi al potere, è un fatto recente che ha meno di dieci. Nel contesto politico degli anni 1989-1991, segnato dalla caduta del muro di Berlino e dal crollo dell'Unione sovietica, il Partito comunista italiano aveva ritenuto il momento favorevole per fare un passo decisivo nel lungo processo del suo trasformarsi, da un partito comunista stalinista in un partito socialdemocratico simile alla SPD tedesca o al Labour Party inglese. Col decidere di abbandonare l'appellazione "comunista" per diventare semplicemente il "Partito democratico della sinistra" (PDS), si candidava per partecipare a pieno titolo al governo del paese.

In cambio però, gli toccava dimostrare la sua disponibilità a partecipare alla trasformazione del sistema politico nel modo in cui se lo augurava una parte della borghesia italiana che, da molto tempo, lamentava l'instabilità dei governi e la loro troppo forte dipendenza dal parlamento che li rendeva troppo lenti nel governare il paese per i suoi interessi.

Fu quindi con il consenso del PCI, divenuto PDS, che il sistema politico italiano, fino a questa parte basato a tutti i livelli sulle elezioni alla proporzionale, fu trasformato in un senso maggioritario.

Per le elezioni all'Assemblea Nazionale, il voto maggioritario ad un solo turno in collegi uninominali costringeva per esempio i partiti di sinistra, se volevano avere più eletti possibile, a concludere delle alleanze con ripartizione dei collegi : difatti, per esempio, la presenza di parecchi candidati di sinistra nello stesso collegio poteva consentire la vittoria della destra anche se gli elettori di sinistra erano maggioritari.

Ovviamente, questo sistema è particolarmente antidemocratico, e senza paragone in Europa a parte il modo d'elezione che sussiste in Inghilterra senza cambiamento sin dall'inizio del 19° secolo. L'unica correzione, imposta dai piccoli partiti che temevano di sparire, fu il mantenimento della proporzionale per l'elezione di un quarto dei deputati, mentre gli altri tre quarti venivano eletti secondo questo sistema maggioritario.

L'obiettivo affermato di questo sistema maggioritario era di costringere i partiti ad aggregarsi in due coalizioni elettorali, una di sinistra e l'altra di destra, che si alternino al potere come fanno i democratici e i repubblicani negli Stati-Uniti, o i laburisti e i conservatori in Gran-Bretagna. E ovviamente, in seno ad ognuna di queste due coalizioni, il partito elettoralmente più forte poteva farla da padrone. A sinistra per esempio, il PDS diventava l'arbirtro della ripartizione delle candidature tra i vari collegi.

Questa vasta operazione di riforma istituzionale era supposta far nascere la cosiddetta "seconda repubblica" più efficiente della prima. Si cercò di darle una legittimazione nell'opinione pubblica, con la necessità di uscire da un sistema politico segnato dall'immobilismo, illustrato tra le altre cose dalla presenza continua dello stesso partito al potere dall'indomani della seconda guerra mondiale. L'onnipresenza della Democrazia cristiana e l'assenza di una reale alternanza di governo da più di quaranta anni furono presentate come la fonte della corruzione e degli scandali che segnavano ripetutamente la vita politica. L'operazione "mani pulite" condotta dai giudici di Milano intorno al giudice Di Pietro, col portare alla luce un gran numero di casi di corruzione in cui Democrazia cristiana e Partito socialista erano coinvolti per primi, portò alla quasi sparizione politica di questi due partiti.

L'introduzione di un sistema elettorale maggioritario fu quindi completata con una ricomposizione politica i cui primi effetti furono visibili alle elezioni legislative della primavera del '94. A sinistra fu costituita la coalizione dei "progressisti" intorno all'ex PC divenuto PDS, al quale si aggiunsero i piccoli partiti del centrosinistra e anche Rifondazione comunista. Ma a destra, la quasi scomparsa della Democrazia cristiana lasciava un vuoto... ed un opportunità politica.

Il lancio di "Forza Italia"

Silvio Berlusconi fu il primo a cogliere questa opportunità col lancio del suo nuovo partito "Forza Italia" che riprendeva la parola d'ordine dei tifosi dei club di calcio di cui Berlusconi, come presidente del Milan, era uno dei maggiori finanzieri.

Lanciato coi metodi pubblicitari delle televisioni berlusconiane, fondando delle sezioni di "Forza Italia" sul modello dei club di tifosi, disponendo di molti soldi e dell'appoggio di televisioni seguite dalla metà dei telespettatori italiani, Forza Italia fu rapidamente il perno obbligato della coalizione di destra in via di costituzione.

Ma piuttosto che di rinnovamento del personale politico, si trattava di una vasta operazione di riciclaggio che sembrava seguire alla lettera il famoso detto del "Gattopardo" per cui "se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Forza Italia riuscì ad attrarre i notabili in posto, di cui la Democrazia cristiana in via di sfacelo non garantiva più la rielezione. Le vecchie clientele elettorali di questo partito passarono, con armi e bagagli, dietro la nuova etichetta. Anche la Mafia siciliana, tradizionale sostegno della DC nell'isola sin dalla guerra mondiale, capì che bisognava cambiare : ormai i suoi uomini di paglia in seno alle istituzioni politiche sarebbero "Forza Italia" e non più democristiani.

Ma la stessa Forza Italia non era altro che un mezzo, per Berlusconi, di tentare di federare intorno a lui l'insieme della destra per costituire una coalizione elettorale. Così fece, tra l'altro, col patrocinare l'integrazione al sistema politico del vecchio partito neofascista.

L'MSI, questo partito costituito dai nostalgici di Mussolini che otteneva secondo le elezioni dal 5 all'8% dei voti, era rimasto escluso da tutte le coalizioni parlamentari -eccetto l'episodio fallito del governo Tambroni del 1960, che finì con violenti manifestazioni. Il suo leader Gianfranco Fini dichiarò anche lui che bisognava modernizzarsi e partecipare al sistema politico. L'MSI fu trasformato nel nuovo partito "Alleanza Nazionale", mentre alcuni ostinati mantenevano la bandiera mussoliniana sotto il nome di "MSI-Fiamma tricolore".

Gianfranco Fini non fu neanche costretto a rinnegare il proprio passato : bastarono alcune dichiarazioni sul fatto che questo passato era... passato, per cui si considerava ormai un "post-fascista", il che certamente non era un'abiura. In cambio di questa ambigua conversione alla repubblica parlamentare, Fini ebbe diritto ad alcuni certificati di legittimità democratica, sia da parte di Berlusconi e suoi compari che da parte dei dirigenti dell'ex-PC, preoccupati di fornire questa garanzia supplementare di buona volontà nella sistemazione della "seconda repubblica" : quelli che, a sinistra, tagliavano tutti i ponti col loro passato comunista legittimavano quelli che, a destra, affermavano allontanarsi dal loro passato fascista.

In fine, in queste elezioni del 1994, Berlusconi riuscì a completare la sua coalizione con un altro alleato : la Lega Nord d'Umberto Bossi, un altro demagogo che aveva costruito la sua fortuna politica nel contesto dello sfacelo democristiano. Bossi era riuscito a raccogliere i voti di tutta una piccola borghesia agiata del Nord d'Italia sulla base di una campagna qualunquista contro lo Stato centrale ("Roma ladrona"), accusato di sprecare i soldi del Nord industrioso, e anche grazie a campagne xenofobe contro gli stranieri e contro i Meridionali italiani, presentati come dei pigri che avrebbero fatto meglio di starsene a casa. Così turbolente e imprevedibile come fosse Bossi, la logica del sistema politico maggioritario lo costrinse, anche lui, a raggiungere la coalizione del "polo delle libertà" costituitasi intorno a Berlusconi.

Così assicurato di avere la maggioranza dell'elettorato, il "polo delle libertà" vinse facilmente le elezioni del '94. Però la vita del suo primo governo fu breve. All'autunno del '94 i suoi attacchi contro il sistema pensionistico scatenarono un'ondata di scioperi e manifestazioni come non se n'era visto da molto tempo. Bossi e la Lega Nord, piuttosto che di assumere l'impopolarità di queste misure, abbandonarono la maggioranza parlamentare, costringendo Berlusconi a dare le dimissioni.

"L'Ulivo" al governo

Berlusconi fu immediatamente sostituito alla presidenza del consiglio, all'inizio del '95, da Lamberto Dini. Questo transfuga di Forza Italia trovò una maggioranza parlamentare grazie al PDS, anche questa volta preoccupato di dare il suo contributo alla governabilità dell'Italia. Dini fece passare con l'accordo dei sindacati praticamente le stesse misure contro le pensioni che Berlusconi non era riuscito ad imporre.

Così si avvicinarono le elezioni del 1996, nelle quali la coalizione di centrosinistra si candidò sotto il nome dell'Ulivo. La sua principale forza elettorale era costituita dal PDS, al quale si aggiungevano partiti del centro come la piccola cricca parlamentare di "Rinnovamento Italiano" intorno a Dini, e innanzitutto il Partito Popolare Italiano (PPI), uno dei residui della Democrazia cristiana che aveva scelto l'alleanza con la sinistra. Ancora questa volta il PDS dimostrò la sua responsabilità col lasciare il primo posto dell'Ulivo a Romano Prodi, democristiano e membro del PPI. Sulla sua sinistra, "l'Ulivo" poteva contare sul sostegno esterno di Rifondazione comunista che accettò il principio della desistenza a favore dei candidati del centrosinistra.Invece, a destra, la Lega Nord questa volta aveva scelto di candidarsi da sola e di presentare i suoi candidati contro quelli del "polo delle libertà" berlusconiano. Quindi la logica del sistema maggioritario ebbe un effetto, questa volta, a favore del centrosinistra. L'Ulivo vinse queste elezioni del 1996, benché fosse minoritario nell'elettorato, e benché praticamente non ci fosse uno spostamento di voti verso la sinistra.

Cosi l'Ulivo arrivò al governo, con alla presidenza del consiglio Romano Prodi, ed ebbe fino al 1998 il sostegno parlamentare di Rifondazione comunista. La caduta del governo Prodi all'autunno 1998, quando Rifondazione abbandonò la maggioranza, fu l'occasione di passare la mano, questa volta, al dirigente del PDS stesso Massimo D'Alema. Questa prima esperienza di governo italiano diretto da un ex comunista però non doveva durare più di un anno e mezzo. Dopo la sua sconfitta alle elezioni regionali della primavera del 2000, D'Alema fu costretto a ritirarsi ed a lasciare il posto al socialista Amato, che doveva assumere la transizione fino alle elezioni di questo maggio 2001.

Fatto eccezionale, l'Italia è quindi rimasta cinque anni di seguito con lo stesso parlamento, e con poche modificazioni, con la stessa maggioranza di governo di centrosinistra appoggiata per l'essenziale dal PDS, l'ex Partito comunista che nel frattempo aveva cambiato nome per chiamarsi semplicemente i Democratici di Sinistra (DS). E durante questi cinque anni, i dirigenti DS hanno fatto di tutto per dimostrare le loro qualità di governanti borghesi. Non parlando più di altro che dell'economia di mercato, varando le privatizzazioni una dopo l'altra, imponendo l'austerità e un quasi blocco dei salari col deprezzamento dei contratti di categoria, adottando leggi a favore della precarizzazione del mercato del lavoro, la flessibilità degli orari, attaccando di nuovo le pensioni, impegnandosi nella privatizzazione della scuola pubblica, favorendo l'insegnamento confessionale come gli stessi governi democristiani non avevano mai osato farlo, il bilancio di questi governi di centrosinistra comporta una successione senza precedenti di attacchi antioperai, di attacchi a molte conquiste imposte nel passato. Tanti attacchi che, di più, hanno potuto svolgersi in una completa pace sociale, perché la collaborazione delle direzioni sindacali consegnava i lavoratori con le mani legate di fronte agli attacchi del padronato. Allo stesso tempo, l'esplosione dei corsi della Borsa dimostrava l'involo dei profitti e l'arricchimento accelerato dei ceti già più ricchi.

Nel marzo scorso, a poche settimane dalle elezioni politiche, il Congresso della Confindustria aveva indicato che cosa si aspettava la confederazione padronale dalla prossima maggioranza parlamentare : che agevoli gli affari del padronato con il ribasso degli oneri sociali e delle imposte e in generale la diminuzione dei loro vincoli : su questo programma, Rutelli come Berlusconi si dichiararono sostanzialmente d'accordo e, alla vigilia delle elezioni, gran parte dei commentatori sottolineavano l'assenza di differenze notevoli tra i programmi delle due coalizioni.

Le elezioni del 13 maggio

Difatti, in queste elezioni del 13 maggio, l'unico argomento del candidato del centrosinistra Rutelli era di usare Berlusconi come uno spauracchio. Simbolo del potere assoluto del denaro, del controllo del potere sui mass media, della "televisione spazzatura", della corruzione e del cinismo, e per di più megalomane, Berlusconi poteva fare da pavento e rimandare gli elettori verso Rutelli, che poteva apparire come il male minore. Da questo punto di vista, stando alla risalita dei sondaggi a favore di Rutelli nelle settimane prima dell'elezione, la sua campagna è forse stata parzialmente efficace : complessivamente, rispetto alle elezioni del 1996, la coalizione dell'"Ulivo" registra anche qualche progresso. Nello scrutinio proporzionale, passa dal 34,7% dei voti nel 1996 al 35,4% nel 2001, grazie in realtà al piccolo apporto costituito dagli scissionisti di Rifondazione che hanno raggiunto l'Ulivo.

La vera ragione della vittoria di Berlusconi sta nel fatto che, questa volta, la Lega Nord ha raggiunto la coalizione. Questo gli permette di essere favorito dal sistema maggioritario, mentre allo scrutinio proporzionale la "casa delle libertà" berlusconiana raccoglie nel 2001 solo il 49,6% rispetto al 52,2% ottenuto nel 1996 dal totale "Polo delle Libertà" più Lega Nord.

Queste sono le stranezze di questo sistema elettorale di cui si diceva, quando fu adottato, che avrebbe posto fine alle combinazioni consentite dal sistema proporzionale. Come si vede, il risultato è, in pratica, che sono stati gli accordi siglati prima dell'elezione per ripartirsi i collegi che hanno dato la vittoria al centrosinistra nel 1996 e al centrodestra nel 2001... mentre nel frattempo il primo era andato un po' avanti e il secondo un po' indietro...

Infatti, l'unica evoluzione notevole dell'opinione indicata da queste elezioni è il fatto che, nel seno stesso delle due coalizioni, la bipolarizzazione e la personalizzazione della campagna hanno favorito sia Berlusconi che Rutelli. La Lega Nord e Alleanza Nazionale hanno perso una parte dei loro elettori a favore di Forza Italia. Nello stesso modo, in seno alla coalizione di sinistra, i DS hanno registrato il risultato più basso della loro storia, col 16,6% dei voti allo scrutinio proporzionale, rispetto al 21,1% del 1996. Invece la "Margherita", coalizione di piccoli partiti del centro che hanno raggiunto "l'Ulivo" sotto guida di Rutelli, registra un risultato quasi uguale, col 14,5% rispetto all'11,2% per gli stessi partiti (Partito Popolare e Rinnovamento Italiano) nel 1996. Così, se Berlusconi esce da queste elezioni non solo vincitore dell'Ulivo, ma anche rafforzato nei confronti di un alleato come la Lega Nord, reciprocamente Rutelli e i piccoli partiti del centrosinistra ne escono rafforzati nei confronti dei loro alleati DS, per chi questi risultati sono un disastro.

E' vero che ormai forse, i DS sono abituati. Convinti che la chiave delle vittoria elettorali sta al centro dell'elettorato, cercando il modo di contestare Berlusconi sul suo proprio terreno, sono diventati soliti del procedimento che consiste nel mettere in orbita uomini del centro che, regolarmente, si servono del loro appoggio elettorale e della loro legittimazione per poi vivere la loro vita senza neanche ringraziare i DS. Così fu con Romano Prodi, oggi divenuto presidente della Commissione europea, e anche per il giudice delle "mani pulite" Di Pietro, di cui i DS hanno garantito l'elezione in un collegio a maggioranza di sinistra, che poi ha lanciato la sua propria formazione politica "l'Italia dei valori". E' così adesso per Rutelli, politicante venuto dal Partito Radicale, passato dai Verdi per contribuire poi al lancio della "Margherita", anticomunista pronto a prendere i voti dei DS a condizione di dipendere da loro il meno possibile.

La situazione lascia prevedere regolamenti di conti in seno ai DS, dove senz'altro molti cercheranno di dare la responsabilità della sconfitta a D'Alema. Ma in questo partito, divenuto essenzialmente un partito di notabili, da tempo i conflitti sono conflitti per i posti ben più che conflitti politici ; nessuno mette veramente in discussione la politica procapitalista fatta da D'Alema, ad eccezione di alcuni responsabili, spesso legati agli apparati sindacali, preoccupati di vedere il ribasso dell'influenza di questi ultimi e che cercano qualche volte di segnare qualche distanza rispetto ai dirigenti DS.

Le ambiguità di Rifondazione

In queste elezioni, come durante tutto il periodo precedente, l'unica organizzazione che abbia adottato un'atteggiamento un po' critico nei confronti della sinistra di governo è stata Rifondazione comunista. Ma questo non fu privo di ambiguità.

Dal 1996 al 1998, pur non facendo parte dell'Ulivo, Rifondazione comunista fece parte della maggioranza parlamentare del governo Prodi. Il partito gli portò il suo sostegno, necessario dal punto di vista dell'aritmetica parlamentare, anche per fare passare leggi antioperaie come il pacchetto Treu che istituì il lavoro interinale e le deroghe ai contratti di categoria col pretesto di favorire l'occupazione. Il suo passaggio all'opposizione, nel 1998, portò alla scissione dell'ala più favorevole ad una partecipazione al governo, con Armando Cossutta che creò il Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), con due ministri nei governi di centrosinistra e facendo parte della coalizione dell'Ulivo. Ma per tanto la politica di Rifondazione Comunista nei confronti del centrosinistra non fu molto più chiara dopo il 1998.

Alle elezioni regionali dell'aprile 2000, per esempio, Rifondazione accettò di partecipare ai raggruppamenti elettorali del centrosinistra, mentre questo era al governo e si comportava come si sa. Quanto a queste elezioni del 2001, certo Rifondazione non ha partecipato alla coalizione dell'Ulivo dietro Rutelli, però ha scelto la cosiddetta tattica della "non belligeranza" : questo significava che Rifondazione presentava candidati solo allo scrutinio proporzionale che riguardava il quarto dei deputati, e invece non presentava candidati nei collegi dell'uninominale, dove in generale si affrontavano un candidato dell'Ulivo e un candidato della "Casa delle libertà", più quelli di alcune formazioni minori.

Questo significava, senza dirlo esplicitamente, che Rifondazione chiamava a votare per il candidato del centrosinistra, perché ci teneva, non solo a non incorrere l'accusa di "fare il gioco delle destre", bensì in realtà a non rompere col centrosinistra per mantenere con lui la possibilità di alleanze future... e presenti. Così a Napoli, città dove lo stesso 13 maggio si svolgevano delle elezioni comunali, Rifondazione non si è vergognata di raggiungere la coalizione di sinistra diretta da Rosa Russo Iervolino, cioè l'ex ministro degli Interni del governo Prodi.

Rifondazione ha ottenuto in queste elezioni del maggio 2001 il 5% dei voti. Anche se ci si aggiungono i voti degli scissionisti del PdCI (1,7%), il totale (6,7%) è quindi nettamente in ribasso rispetto al risultato del 1996, che era dell'8,6%, quindi prima della scissione. Sembra che anche Rifondazione, malgrado i suoi tentativi per segnare la sua differenza, subisca il discredito che colpisce la sinistra dopo cinque anni di potere.

Ma, anche al di là delle elezioni, la tattica di Rifondazione è un rivelatore della natura di questo partito : un partito che in realtà non immagina potere fare una politica senza la presenza dei suoi eletti nelle istituzioni, sia nei consigli comunali o regionali che nel parlamento, e quindi vulnerabile a tutti i ricatti degli altri partiti di sinistra, che grazie al sistema maggioritario possono esercitare su di lui tutte le pressioni possibili.

Tale ambiguità nei confronti del centrosinistra e in particolare dei DS, mentre questo ha appena dimostrato fino a che punto poteva essere al governo il difensore degli interessi della borghesia, va di pari passo con un comunismo che, pur rivendicato nei discorsi di Bertinotti, nondimeno ha contorni sempre più incerti.

Rifondazione comunista, creata nel 1991 per raggruppare i militanti comunisti che rifiutavano di abbandonare questo nome, non ha ancora definito cosa intende precisamente con questa "rifondazione" comunista. Però è sempre più chiaro che, secondo i suoi dirigenti, non si tratta di un ritorno ai principi comunisti così come erano definiti dalla Terza Internazionale prima della degenerazione staliniana. I riferimenti di Rifondazione sono sempre meno la classe operaia e le sue lotte di classe. Invece sono sempre più questi "nuovi soggetti" quali i centri sociali in Italia, o all'estero gli Indiani del Chiapas e il sottocomandante Marcos, i militanti antiglobalizzazione che hanno manifestato a Seattle, Praga, Nizza, Napoli e si preparano alla manifestazione di Genova, o addirittura la Confederazione Contadina in Francia con il suo dirigente José Bové. Esaltare tutte queste lotte in nome di ciò che Bertinotti chiama il "nuovo internazionalismo" col discorso di moda sulla "mondializzazione", la "globalizzazione" e il "neoliberalismo", è anche un modo per fare sparire progressivamente il riferimento alla lotta della classe operaia per rovesciare il sistema capitalistico.

Ma questo discorso è anche da collegare alle prospettive politiche che oggi Rifondazione cerca di definire col parlare di un raggruppamento di... "sinistra plurale". Questa parola riprende il titolo della sinistra al governo in Francia con Jospin, di cui da anni Bertinotti si ostina a dire che si tratti di un governo sostanzialmente diverso dagli altri governi di sinistra in Europa : secondo Bertinotti, il governo Jospin sarebbe quello di un "vero riformista", differente dai governi Blair o Schroeder e dai governi di centrosinistra che si sono succeduti in Italia.

E' difficile capire questa sottile distinzione : fatto sta che, dietro questi termini, Bertinotti porta avanti una prospettiva di raggruppamento, per esempio con elementi in rottura con i DS, che si darebbe un'apparenza più a sinistra di questo centrosinistra di cui si è appena vista di cosa era capace. La pubblicazione della "rivista del Manifesto" in collaborazione tra Rifondazione, gli intellettuali del "Manifesto" ed alcuni elementi dell'opposizione sindacale CGIL, vuole essere un passo in questa direzione. E' chiaro che cerca a preparare il futuro : quando nelle prossime elezioni bisognerà dare ai candidati della sinistra un aspetto nuovo, dare l'impressione di una rottura con la politica di questo discreditato centrosinistra, sarà utile sembrare possedere un progetto "nuovo", apparire come uno di questi laboratori d'idee fumosi di cui le "nuove sinistre" di tutti i paesi e di tutte le epoche non sono avari, idee e progetti la cui vacuità si rivela come per incanto, appena i loro promotori si avvicinano al potere.

I dirigenti della maggioranza di Rifondazione cercano così di aprire la porta agli elementi del centrosinistra in sfacelo che sarebbero in cerca di un riciclaggio politico. Cercano a preparare la "nuova sinistra" di domani e così, forse, la sinistra di dopodomani, quando il discredito di Berlusconi le aprirà di nuovo la strada del potere ; e sperano che allora la situazione darà a Rifondazione la possibilità di avere la sua parte.

Il futuro dirà se questa operazione "sinistra plurale" lanciata da Rifondazione avrà qualche possibilità di successo. Ma non è di questo che hanno bisogno i lavoratori, la classe operaia, i militanti che escono feriti dall'esperienza della sinistra al potere, per potere trarre tutte gli insegnamenti di ciò che hanno vissuto. E sopratutto, non è questo che può aiutare la classe operaia d'Italia a lottare contro gli attacchi che il nuovo governo Berlusconi prepara contro di lei.

Berlusconi al potere

Difatti il governo sistemato da Berlusconi un mese dopo la sua vittoria elettorale, annuncia chiaramente gli obiettivi. Ha fatto posto a rappresentanti diretti del padronato, dato il ministero degli esteri all'ex responsabile delle relazioni internazionali della Fiat che è ancora un responsabile del suo impero finanziario, Renato Ruggiero, il ministero dell'economia al fiscalista Giulio Tremonti, il ministero della Pubblica Istruzione alla grande borghese reazionaria Letizia Moratti. Il "post fascista" Fini è vice presidente del Consiglio, mentre all'uomo della Lega Nord Umberto Bossi viene attribuito il ministero della Riforma e della "devolution", l'autonomia regionale richiesta dal suo partito. Infine, il posto di ministro degli Italiani dell'estero viene dato a Mirko Tremaglia, che ha fatto una lunga carriera nel partito fascista dopo di avere partecipato giovane alla mussoliniana Repubblica di Salò, e lo rivendica.

Il programma di questi uomini è chiaro : risponderanno ai desideri della Confindustria : sgravi delle imposte e degli oneri per le imprese e la borghesia in genere, proseguimento della deregolamentazione del mercato del lavoro e tra le altre cose liberalizzazione dei licenziamenti, sovvenzioni ed aiuti ai padroni con qualunque pretesto, proseguimento delle privatizzazioni, tagli negli stanziamenti per i servizi pubblici, nuovi attacchi contro le pensioni.

Ma c'è anche l'annuncio di una politica particolarmente reazionaria. Fosse solo per dare qualche soddisfazione al loro lettorato, i "post fascisti" alla Tremaglia presenti nella squadra di governo porteranno avanti le loro esigenze di riabilitazione del passato mussoliniano, impresa infatti in gran parte già avviata in questi anni nella stampa e in seno al mondo politico. Denunceranno, come l'hanno già fatto nel Lazio, i libri di scuola e i maestri della scuola pubblica, secondo loro troppo segnati dal marxismo.

Da parte sua, l'ala democristiana che ha raggiunto la coalizione berlusconiana ci penserà a presentare le esigenze della Chiesa : facilità per la scuola confessionale, rimessa in discussione della legge sull'aborto come già l'ha annunciato il ministro democristiano Rocco Buttiglione. Infine, il nazionalismo a sapore fascista di Alleanza Nazionale, la xenofobia e il razzismo della Lega Nord potranno certamente trovare un terreno comune nel rafforzamento dei provvedimenti contro gli immigrati.

Filopadronale, particolarmente reazionario, questo orientamento però non è praticamente niente altro, in quasi tutti i campi, che il proseguimento di evoluzioni già avviate dai governi di centrosinistra. E se è possibile per Berlusconi e soci intraprendere tale programma, non è tanto perché le elezioni hanno dato loro una maggioranza parlamentare : tali maggioranze non possono tutto. E addirittura non possono imporre niente, in realtà, quando si trovano di fronte ad una classe operaia forte, cosciente ed organizzata, pronta a rispondere colpo per colpo a tutti gli attacchi. Berlusconi stesso ne ha fatto l'esperienza nel 1994 quando i suoi progetti contro le pensioni l'hanno portato alla crisi di governo e alle dimissioni.

L'elemento più grave della situazione attuale non è quindi la vittoria elettorale di Berlusconi che, come è stato detto, non corrisponde neanche ad un'evoluzione più a destra dell'elettorato. L'elemento più grave è che questa vittoria, prevedibile e insomma logica poiché l'elettorato di destra è maggioritario, avviene dopo che la politica della sinistra al governo ha demoralizzato i suoi militanti, scoraggiato i militanti operai, tolto in gran parte alla classe operaia la sua fiducia nelle proprie forze e nella possibilità di cambiare le cose. E' il fatto che questa vittoria avviene dopo che, per anni, la sinistra stessa si è fatta propagandista del "mercato" e della superiorità del capitalismo, dando il suo contributo alla regressione del movimento operaio e della coscienza di classe dei lavoratori stessi. Berlusconi ha vinto le elezioni, ma è stata la politica di questa sinistra a consegnargli una classe operaia che ha perso una parte dei suoi mezzi di difesa, al meno dal punto di vista morale.

Ma appunto, questo morale può cambiare rapidamente, lo sanno bene Berlusconi e i responsabili della stessa borghesia italiana, che sembrano adottare un'atteggiamento più cauto che durante il suo primo governo del 1994. E di fronte a tutti quelli che non mancheranno di parlare di sconfitta storica del movimento operaio a proposito della vittoria di Berlusconi, bisogna affermare che la classe operaia non ha subito alcuna sconfitta maggiore, e che è comunque possibile che le offensive reazionarie vengano ad infrangersi contro la sua resistenza come avvenne nel 1994, e come fu tante volte il caso.

Questa nuova ascesa del morale e della combattività della classe operaia si produrrà comunque. Ma prepararla significa, anche, trarre un bilancio del passato.

Il bilancio

Durante tanti anni, anche prima di trasformarsi in un vago partito "democratico di sinistra", l'unica prospettiva presentata dal il PC italiano ai suoi militanti, e infine alla classe operaia e ai ceti popolari, era la partecipazione al governo. Per riuscirci, questo partito che fu durante molti anni il più forte partito comunista dell'Europa occidentale, ottenendo i voti di un terzo dell'elettorato, ha dato tutte le prove possibili alla borghesia italiana. Dopo di essere stato uno dei primi partiti comunisti a prendere le distanze dall'Unione sovietica, ha abbandonato anche il suo nome. Si è fatto il difensore della società capitalistica, abbandonando apertamente ogni prospettiva di trasformazione sociale. Ha dato la sua legittimazione alla trasformazione delle istituzioni nel senso della "governabilità" tanto augurata, e da tanto tempo, da questa stessa borghesia.

E quando infine questo ex Partito comunista fu accettato alla testa di un governo, spiegò tutti gli sforzi, utilizzò tutta l'influenza di cui disponeva in seno ai ceti popolari e negli apparati sindacali per imporre i pessimi indietreggiamenti nelle condizioni di lavoro e nei diritti sociali, e attaccare conquiste sociali che risultavano da anni di lotta del proletariato italiano.

Tutto questo, i dirigenti PC, poi DS l'hanno giustificato in nome del principio del male minore : insomma, secondo loro, era meglio che fossero loro a fare questo "lavoro sporco", piuttosto che di lasciarlo fare ad altri. Ma oggi si vede che la loro politica ha aperto finalmente la strada al governo più apertamente procapitalista, e anche più reazionario, che ci sia mai stato in Italia dopo Mussolini.

Oggi, molti militanti e, al di là di loro, tutta una generazione operaia, con la sua storia e le sue tradizioni di lotta, escono da questa esperienza amareggiati e scoraggiati, con la sensazione che tanti sforzi, tanti sacrifici, tante lotte, sono stati sprecati, semplicemente per permettere ad un D'Alema e alcuni altri di farsi accettare per qualche tempo nel circolo dei governanti borghesi, prima di tornare all'opposizione con un partito a brandelli e Berlusconi al potere, e dopo di aver fatto indietreggiare di qualche decennio la situazione della classe operaia.

Quindi se c'è da trarre un'insegnamento, sarà quello del fallimento di questa politica elettoralistica e parlamentarista che, per anni, fece della ricerca di una maggioranza "di sinistra" la condizione del cambiamento. Se tale politica può dare prospettive ad un D'Alema e a qualche altro, non ne dà nessuna alla classe operaia, tranne la prospettiva della sconfitta. E innanzitutto questo porta a sviarla sempre di più dalle sue tradizioni di lotta di classe, e quindi dalle sue prospettive di cambiare veramente la società nell'unico modo possibile : cioè con il rovesciamento del sistema capitalista.

Nel periodo che si apre, sotto il governo Berlusconi, senz'altro si vedranno a sinistra tutta una serie di tentativi di ricomposizione, dalla bertinottiana "sinistra plurale" a nuovi raggruppamenti in seno ai DS o tra i DS ed altri partiti minori, nella speranza di ricostituire una coalizione che sia in grado di tornare al governo. Ma l'unica cosa che conterà davvero, per l'avvenire della classe operaia in Italia, sarà la capacità di ciò che essa conta di militanti, nelle sue nuove generazioni e in quelle più anziane, a radicare di nuovo le idee comuniste e rivoluzionarie ed a riallacciarsi alle sue tradizioni di lotta di classe.

20 giugno 2001