L'OMC, la LCR e noi

Εκτύπωση
Da "Lutte de classe" n° 51 (l'OMC, la LCR e noi)
17 maggio 2000

L'articolo da noi dedicato all'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e alle manifestazioni di protesta contro la sua riunione di Seattle, in "Lutte de Classe" dello scorso febbraio, ha suscitato un commento da parte dei compagni della LCR (Rouge del 2 marzo 2000).

E' del tutto naturale : in questo articolo, avevamo criticato certe prese di posizione di militanti rappresentativi della LCR perché assumevano gli stessi discorsi ed il linguaggio degli organizzatori della manifestazione e presentavano la mobilitazione di Seattle, in linea di massima, come "una presa di coscienza da parte delle opinioni pubbliche dei misfatti delle leggi del profitto", o addirittura "una combinazione pericolosa per l'ordine costituito".

Purtroppo questo testo di Rouge non apre una vera discussione giacché, pur criticandoci a sua volta, non cerca di rispondere a ciò che scriviamo davvero. Si potrebbero riassumere le sue critiche in questa frase : "Laboriosa, la dimostrazione prosegue da errori di analisi della posta in gioco ad incomprensioni delle leve della mobilitazione e "ignoranza" delle posizioni in presenza, per "giustificare" l'assenza di LO dalle manifestazioni". Non soffermiamoci sull'aspetto formale del rimprovero : non ci risulta che la LCR sia stata più presente di Lutte Ouvrière nella manifestazione di Seattle, anche se Lutte Ouvrière non c'è stata affatto...

E' dunque innanzitutto la nostra "analisi della posta in gioco" che Rouge critica, così come la nostra "incomprensione delle leve della mobilitazione" e la nostra "ignoranza delle posizioni in presenza".

E' evidente però che ciò che viene criticato innanzitutto è la nostra descrizione dell'eterogeneità di quelli che sono venuti a contestare la riunione dell'OMC a Seattle, che includevano infatti sia dei militanti di estrema sinistra che dei nazionalisti di ogni genere, favorevoli al protezionismo nazionale, senza dimenticare certi dirigenti sindacali americani che certamente non hanno fama di progressisti, ed altri difensori della natura ed ecologisti di ogni obbedienza politica, ecc. Eppure in questo caso non si trattava nemmeno di analisi, giusta o meno, ma di una semplice descrizione dei fatti che Rouge si guarda bene dal contestare.

Avevamo anche sottolineato che alcuni dei dirigenti politici del mondo imperialista, e Clinton per primo, hanno manifestato la loro simpatia, sincera o meno, nei confronti dei manifestanti.

Infine avevamo mostrato che il fallimento della riunione di Seattle era dovuto molto di più ai conflitti d'interessi commerciali tra i membri dell'OMC che alle manifestazioni che si svolgevano fuori.

Ma sembra che Rouge voglia assolutamente farsi portavoce dei manifestanti di Seattle, al punto di lasciare da parte certi fatti che però gli stessi organizzatori delle manifestazioni non cercavano di nascondere.

Non vogliamo discutere qui di cosa sia l'OMC e neppure della manifestazione di Seattle, anche perché ce ne sono state altre dopo, con gli stessi od altri partecipanti. Da parte nostra, in più dell'articolo di Lutte de Classe già citato abbiamo dedicato all'OMC una relazione del "Circolo Leone Trotski", poi pubblicata in un opuscolo.

Ma il fondo delle critiche di Rouge si trova nella frase conclusiva dell'articolo : "Infatti, la divergenza che ci oppone a Lutte Ouvrière porta meno sull'OMC che sulla dinamica dei movimenti sociali e la parte che i rivoluzionari ci possono avere. Non è una cosa nuova".

E' vero, non è una cosa nuova.

I nostri obiettivi fondamentali

In fondo, la nostra posizione è semplice. La nostra fondamentale ragione d'essere è di costruire un partito operaio rivoluzionario, in grado di difendere e di far prevalere gli interessi politici della classe operaia. Tale partito dovrebbe anche possedere la competenza e la capacità, in periodi di lotta di classe acuta, di proporre una politica al proletariato che gli permetta di prendere e conservare il potere e di cominciare la trasformazione rivoluzionaria dell'economia e della società.

Tale prospettiva ci differenzia fondamentalmente da tutte le forze politiche che sostengono l'organizzazione attuale della società, l'economia di mercato, il monopolio di una minoranza capitalistica sui mezzi di produzione, ecc. Secondo noi, tale partito può essere solo comunista nel senso dato da Marx, Lenin, Trotski, Rosa Luxemburg e tanti altri a questa parola, e si costruirà sulla base del marxismo. Le nostre solidarietà ed alleanze vanno valutate in base a questa fondamentale prospettiva.

Teoricamente, la LCR condivide con noi questa convinzione fondamentale, fosse solo per causa della sua filiazione trotskista. Diamo questa precisazione perché è in funzione di questa prospettiva che critichiamo questo o quell'altro atteggiamento o aspetto della politica della LCR, o questa o quell'altra sua scelta.

Non vogliamo giudicare la moltitudine di organizzazioni che scelgono di impegnarsi nella lotta contro questa o quell'altra della moltitudine di ingiustizie o oppressioni generate continuamente dal capitalismo e che non hanno l'obiettivo di porre fine al capitalismo stesso. Ma ci teniamo a difendere, su tutti i problemi politici in ballo, un punto di vista che parte dagli interessi di classe del proletariato.

Pur essendo solidali di numerose iniziative prese da queste svariate correnti di contestatazione che non vogliono agire sul terreno della lotta di classe, o perfino la respingono completamente, non accettiamo, coll'abbandonare o col nascondere la nostra propria politica, di confonderci con loro.

Le organizzazioni di questo tipo sono numerose, alcune hanno una certa influenza ed altre no ; alcune sono effimere, e le altre durature ; alcune, pur venendo dalla corrente socialdemocratica o dal PCF, esprimono un rigetto della servilità dimostrata dai loro dirigenti rispetto al capitalismo quando sono al potere, ad altri non risulta che ci sia una contraddizione tra la politica dei governi socialisti e la denuncia, demagogica o sincera, di alcuni aspetti del capitalismo.

La corrente ecologica, al contrario delle due precedenti, non ha nessun legame, nemmeno storico e lontano, con il movimento operaio. Ma alcune delle sue preoccupazioni, in particolare quelle che riguardano i danni ambientali, la contrappongono all'economia del profitto.

Numerose sono anche le associazioni che si impegnano nella difesa degli "esclusi", tra l'altro gli immigrati clandestini "sans papiers", i senzatetto, i disoccupati, e non fanno riferimento a nessuna corrente politica, ostentando invece una grande sfiducia, anche nei confronti dell'estrema sinistra rivoluzionaria. La stessa cosa si verifica anche spesso da parte di sindacati, nati o meno dalle confederazioni sindacali ma in rottura con queste, tipo la Confederazione Contadina o SUD.

Possiamo ritrovarci al lato dei militanti di questi sindacati o associazioni in tante circostanze, pur criticando l'espressione "movimento sociale", inventata per negare le nozioni di "classe" o di "lotta di classe". Ma non abbiamo l'intento di abbandonare né queste nozioni né la realtà che indicano, solo allo scopo di lusingare questi movimenti. Non dobbiamo neppure dare una legittimazione alla loro proclamata apoliticità che, sincera o meno, contraddice la necessità per la classe operaia di difendere i suoi interessi politici di classe.

I movimenti contro gli "eccessi" del capitalismo

E poi, da qualche anno, con quello che viene chiamato "mondializzazione" o "globalizzazione, cioè sin dalla deregolamentazione dei mercati finanziari e la sempre più palese dittatura della finanza sulla produzione, sono nati vari movimenti, generalmente venuti anche loro dalla socialdemocrazia nel senso largo del termine. Questi movimenti, anche se si dicono diffidenti rispetto alla politica, criticano l'evoluzione dell'economia capitalistica, spesso in termini giusti, o addirittura radicali, e propongono delle risposte ad alcuni dei suoi aspetti più orrendi.

E' una corrente dai limiti confusi, che se la prende ora con le deregolamentazioni, ora con il saccheggio del Terzo Mondo, ora con la speculazione, presentando tutto questo come eccessi del capitalismo o come conseguenze della politica ultraliberale una volta predicata da Reagan o Thatcher, prima che tutti i partiti socialisti al potere la riprendano per conto loro. Questa corrente mette in causa istituzioni internazionali della borghesia quali l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale, ecc., e chiede la riforma di queste istituzioni, e qualche volta addirittura la loro soppressione.

Le personalità più notevoli di questo movimento non vogliono per niente affidarsi alla mobilitazione della classe operaia, il che sarebbe troppo pericoloso ; vogliono piuttosto convincere le istituzioni dell'attuale società - o anche esercitare delle pressioni su di loro, ma niente di più.

La stessa cosa vale per la maggioranza della base di questa corrente che, pur sinceramente rivoltata da quell'aspetto del capitalismo o quell'altro, condivide largamente le prospettive dei suoi dirigenti. Oltre la loro ostilità verso le istituzioni internazionali della borghesia, tutti si ritrovano intorno a rivendicazioni come la soppressione dei debiti dei paesi poveri o l'applicazione di una tassa sulla speculazione internazionale, la cosiddetta "Tobin Tax", con la proposta complementare di attribuire ai paesi poveri il prodotto di questa tassa.

Un raggruppamento come Attac (Associazione per la tassazione delle transazioni finanziarie per l'aiuto ai cittadini) rappresenta abbastanza bene in Francia le preoccupazioni e le idee di questo movimento come pure lo rappresenta il giornale Le Monde diplomatique di cui parecchi redattori sono membri in vista di Attac.

Come si può giudicare questo movimento e quale politica possiamo avere nei suoi confronti ? Questo infatti è una divergenza tra noi e la LCR, che qualche volta ci rimprovera la nostra assenza di solidarietà nei confronti di questo movimento - il che non è vero, in quanto possiamo essere solidali di tale o tal'altra sua iniziativa ed esprimere al tempo stesso ciò che pensiamo della sua prospettiva generale - e qualche volta ci rimprovera, secondo i suoi termini, di non "impegnarci" in questo movimento, cioè di non mandarci dei militanti o addirittura partecipare alla sua costruzione laddove non esiste.

Almeno su quest'ultimo aspetto, accettiamo volentieri la critica che ci viene fatta.

Rivendicazioni parziali e prospettiva generale

C'è solo da precisare che non siamo gente che, in nome delle prospettive rivoluzionarie, guarda con sdegno le lotte parziali che si svolgono. Certamente, questo significherebbe abbandonare il terreno rivoluzionario, perché nessuno può sapere quale mobilitazione, contro quale ingiustizia della società borghese, può essere il punto di partenza della mobilitazione del proletariato stesso e della sua presa di coscienza del ruolo politico decisivo che deve giocare. Ecco perché un vero e proprio partito operaio rivoluzionario, per dirla come Lenin, dovrebbe impegnarsi in ogni settore della vita sociale.

Né Lutte Ouvrière, né la Ligue Communiste Révolutionnaire, hanno militanti in numero sufficiente, e l'insediamento nei quartieri o nelle aziende e l'influenza necessaria, per poter pretendere di essere presenti in ogni settore della vita sociale. E' solo un aspetto del fatto che la costruzione del partito operaio rivoluzionario non è ancora portata a termine, e rimane da compiere. E questo ci impone di fare delle scelte su quello che c'è da fare e soprattutto sul modo in cui lo dobbiamo fare.

E' in seno al proletariato e più specificamente tra le sue parti più importanti, raggruppate nelle grandi imprese, che bisogna difendere e propagandare in modo prioritario la politica rivoluzionaria.

Abbiamo scelto di dare la priorità al nostro radicamento tra i lavoratori delle grandi imprese. Per quanto utili e legittime siano tante lotte parziali o difensive condotte da varie categorie oppresse, che fanno parte o no della classe operaia, l'unica forza sociale veramente capace di cambiare il rapporto delle forze tra i sostenitori del capitalismo e le sue vittime, è la forza collettiva e cosciente del proletariato.

Di per se tale lavoro di radicamento nelle grandi imprese permette di guarire presto dalle tentazioni di tipo "estremista" e lascia poco spazio alle posizioni puramente propagandistiche a favore del comunismo. I rivoluzionari non possono guadagnarsi la fiducia dei lavoratori solo con una pure giustissima propaganda generale. Le preoccupazioni e le lotte concrete dei lavoratori richiedono una politica che sia anche essa concreta. L'unico problema è sapere quale politica. La nostra, qualunque siano i suoi risultati immediati, mira in ogni circostanza alla presa di coscienza dei lavoratori, allo sviluppo della sua sensazione di far parte di una classe che ha i suoi propri interessi politici. E' ovvio che non tutti gli scioperi, per esempio, sboccano su delle prospettive di trasformazione sociale, ma molti di loro permettono a chi ci ha partecipato di capire la differenza tra una politica che mira a questa prospettiva, e una politica al servizio dell'ordine sociale esistente.

Allora il problema non è per niente quello posto dal titolo dell'articolo di Rouge - "Fare da testimone contro il capitalismo... o combatterlo ?" -la cui formulazione vuol essere critica nei nostri confronti, col dare da intendere che ci accontentiamo di una "testimonianza" contro il capitalismo, lontani da chi realmente lo "combatte". Di per sé questo titolo "testimonia" a modo suo che per il redattore di Rouge, la battaglia vera sta in quello che è stato fatto a Seattle, mentre i difensori delle idee comuniste sono ridotti alla testimonianza - a meno di mettersi a rimorchio di quelli di Seattle. L'autore dell'articolo non si è nemmeno immaginato che tra "la lotta contro il capitalismo" al modo di chi non vuole sconvolgere l'ordine sociale ma solo regolarlo, e la posizione solo propagandistica a favore del comunismo, c'è posto per una politica che si pone nella prospettiva della distruzione dell'ordine sociale capitalistico ad opera del proletariato rivoluzionario.

Siamo organizzazioni troppo piccole, troppo poco influenti sul proletariato per far prevalere questa politica ? certamente. Le idee rivoluzionarie possono trasformare il mondo solo se le masse se ne impadroniscono. Questo succede solo in periodi di crisi rivoluzionarie, che non sono molto frequenti. Ma in questi periodi, bisogna che esistano i militanti, un partito fedele a queste idee, che proponga la politica che ne consegue, che non le abbia abbandonate per sostituirle con un surrogato che non va oltre il riformismo. Questo, non lo farà nessuno al nostro posto.

La priorità data al lavoro rivoluzionario tra i lavoratori delle grandi imprese non ci impedisce di dimostrare la nostra solidarietà con tante altre lotte utile e legittime che non propongono una prospettiva rivoluzionaria. Senza volere impegnare una polemica con la LCR, osserviamo che i nostri propri compagni erano spesso più numerosi dei suoi nelle manifestazioni per la difesa degli interessi degli immigrati clandestini, per il diritto di voto dei lavoratori immigrati, per la liberazione di Mumia Abu Jamal, per sostenere le associazioni di disoccupati o la difesa dei diritti delle donne, e più numerosi a partecipare alla mobilitazione degli insegnanti della Seine-Saint-Denis, nella periferia operaia di Parigi, o di quelli delle scuole professionali, per citare solo queste due ultime azioni.

D'altra parte, se esistono dei movimenti che contestano gli "eccessi" del capitalismo, tanto meglio ! Noi possiamo, e addirittura dobbiamo, ritrovarci al loro fianco in certe manifestazioni, senza porre condizioni, in particolare senza chierdergli di condividere le nostre prospettive rivoluzionarie, il che sarebbe stupido. Ma rifiutiamo di dare a questi movimenti un significato rivoluzionario che non hanno e che non vogliono dargli né i loro dirigenti, né la loro base.

Noi dobbiamo mettere in luce, sistematicamente, i rapporti esistenti tra questa o quell'altra ignominia della società capitalistica ed il suo funzionamento generale. Dobbiamo dimostrare che tanti "eccessi" del capitalismo, o ciò che viene chiamato così - il dominio dei monopoli, il saccheggio del Terzo Mondo, le crisi economiche, l'orientamento delle scelte economiche in base al profitto di una minoranza e lo sfruttamento stesso - appunto non sono "eccessi", ma il modo di funzionamento normale del capitalismo. Dobbiamo dimostrare che non si può porre fine a tali "eccessi" senza porre fine al capitalismo stesso.

Dobbiamo fare il contrario di chi cerca di dirigere delle indignazioni legittime verso delle prospettive accettabili dalla borghesia o delle false prospettive di cui le organizzazioni riformistiche sanno usare ed abusare, almeno finché non esercitano il potere. E' il caso per esempio di chi indica falsi bersagli - Maastricht, l'OMC, ecc - che non mettono in causa la borghesia, i padroni per meglio nascondere le opposizioni di classe.

Una politica rinunciataria

Su questo terreno, uno dei modi tradizionali con cui la LCR rinuncia e si scioglie nei movimenti da lei sostenuti sta nell'attribuire a questi movimenti una "dinamica oggettivamente progressista" (quando non diventa "rivoluzionaria") e di fare sua, in nome di questa "analisi", la stessa dinamica del movimento, anche se questo non rappresenta affatto un progresso dal punto di vista della presa di coscienza o della mobilitazione dei lavoratori. Può anche semplicemente assumere l'intero procedimento, le preoccupazioni e perfino il linguaggio delle organizzazioni riformistiche che partecipano e dirigono questo tipo di movimenti.

Prendiamo l'esempio della partecipazione della LCR ad Attac e alla sua attività militante rispetto alla Tobin Tax difesa da Attac. Il fatto che questa tassa, proposta tempo fa da questo exconsigliere economico di Kennedy e di Carter, non sia affatto rivoluzionaria, è un'evidenza che la LCR non nega, come del resto Attac che, comunque, non cerca in nessun modo di darsi delle parvenze rivoluzionarie.

A rigore si potrebbe considerare che il fatto che l'idea di questa tassa stia andando avanti sia un fatto progressivo - anche se il sostegno di alcune personalità in vista dello stesso mondo della finanza dovrebbe renderci diffidenti. Tutt'al più, si può pensare che sia meglio avere un consenso largo per un progetto di tassa sul grande capitale, anche minima, invece di vedere respinta in nome del "liberalismo" diffuso ogni tipo di progetto di tassazione del capitale speculativo .

Però i rivoluzionari hanno un altro programma da difendere in materia di tassazione del grande capitale, anche considerata come "rivendicazione transitoria" ! E poi non c'è solo questo. Anche se ci fosse un vero e proprio movimento popolare attorno a questa rivendicazione, i rivoluzionari dovrebbero lo stesso chiedersi come fare per parteciparci e allo stesso tempo riuscire a fare progredire le coscienze. Sicuramente non potrebbero farlo nascondendo le loro proprie idee, e neanche smettendo di opporsi a tutti quelli che difendono la Tobin Tax solo a titolo di alibi, e sicuramente non con l'attribuire a questa tassa delle virtù che non possiede.

Ma di più, l'attuale dinamica si colloca in una prospettiva semplicemente parlamentare. La LCR si è fatta il portavoce di questa dinamica, e fa parte per esempio degli iniziatori di un Comitato Attac al Parlamento europeo. Nonostante un discorso diverso, il suo approccio è simile a quello dei Verdi. Ma i Verdi sono più coerenti con questo stesso approccio quando affermano che se dei parlamentari di destra si schierano a favore della Tobin Tax, allora è tanto meglio perché questo permette di formare una maggioranza per votarla.

Con un tale punto di vista, il fatto che un politicante di destra come Bayrou si dichiari a favore della Tobin Tax è un passo in avanti. Ed è la stessa cosa quando al Parlamento europeo Pasqua, altro esponente della destra gollista, vota a favore di un testo che, pure senza portare a alcuna decisione concreta, può in qualche modo contribuire a fare conoscere il progetto. Ma dove sarà il progresso per le idee comuniste ? Dove sarà il passo in avanti dal punto di vista della costruzione del partito rivoluzionario ?

Lo stesso articolo di Rouge dimostra come, a forza di voler difendere il movimento, compreso sotto aspetti su cui sarebbe meglio non nascondere le critiche, la LCR finisce coll'adottarne il modo di procedere. Vediamo il brano in cui l'autore dell'articolo cerca di convincerci che "i manifestanti di Seattle hanno avuto un ruolo progressista, da trampolino per nuove lotte". Anche se accettiamo tale valutazione, la dimostrazione si limita però ad affermare che "le firme multinazionali si interrogano sulla funzionalità degli Stati ; tentano di elaborare nuove regole di diritto, più conformi ai loro obiettivi. Per i "lavoratori", non è indifferente che riescano o meno a levare gli ostacoli, particolarmente le legislazioni "nazionali" che sanciscono - soprattutto in Europa - delle conquiste sociali e democratiche che sono frutto delle lotte passate. Col dissipare l'opacità che di solito circonda le trattative internazionali, i manifestanti di Seattle hanno avuto un ruolo progressista, da trampolino per nuove lotte" (le virgolette che circondano i termini "lavoratori" e "nazionali" sono dell'autore dell'articolo. C'è davvero da chiedersi qual'è il loro significato).

No, non è indifferente per i lavoratori che si riesca o meno a distruggere le loro conquiste. Ma, fosse solo con quello che non dice, la dimostrazione suggerisce che la distruzione delle protezioni sociali è l'opera dell'OMC o di organizzazioni internazionali della borghesia, e lascia intendere che gli Stati nazionali e le legislazioni nazionali proteggono i lavoratori, almeno fino ad un certo punto, dai maneggi delle prime citate.

Ma bisogna essere particolarmente ingenuo per scrivere cose del tipo : i trust multinazionali si interrogano sulla "funzionalità degli Stati". Si interrogano tanto meno che sono appunto questi Stati nazionali ad essere i principali strumenti delle suddette firme multinazionali e dei grandi padroni per distruggere le famose conquiste sociali. Se i rivoluzionari hanno una lotta da portar avanti, si tratta piuttosto di dimostrare come la "mondializzazione", cioè la manomessa dei grandi trust sull'economia comincia proprio qui, nei nostri paesi ; come le firme internazionali non costituiscono una realtà virtuale, all'ombra di organismi lontani quali l'OMC ed il FMI, ma che si tratta di trust, di cui molti hanno una parte delle loro fabbriche e delle loro sedi qui da noi, e sono quindi a portata di mano dei lavoratori e delle loro azioni collettive.

E' un modo di condividere il punto di vista dei protezionisti il fatto di partecipare a questi discorsi alla moda che fanno un parallelo, o addirittura stabiliscono un legame da causa ad effetto, tra la pretesa diminuzione del ruolo degli Stati in quanto strumenti della borghesia da un lato, e dall'altro il degrado delle condizioni di vita del proletariato. Ma per prima cosa, il ruolo degli Stati non è per nulla diminuito. E poi questi Stati non proteggono per nulla le masse lavoratrici contro i padroni. Mai gli Stati nazionali hanno avuto un ruolo così importante come oggi nell'arricchimento dei gruppi multinazionali. Mai gli Stati hanno riscosso tanto denaro dall'insieme della società, e specialmente dalle classi lavoratrici, per metterlo a disposizione dei grandi padroni.

Un altro paragrafo è intitolato : "Tutti protezionisti ?". Il nostro articolo di Lutte de Classe ovviamente non affermava che tutti i partecipanti alle manifestazioni di Seattle fossero protezionisti, ma sottolineava che questi vi erano numerosi e davano il la, e che per un'organizzazione rivoluzionaria sarebbe stato meglio denunciarli, invece di integrarli ad una valutazione globale - molto positiva - di Seattle. Ma un titolo di questo genere serve poi all'autore dell'articolo per sviare la discussione, coll'affermare tranquillamente : "Non si tratta di negare la confusione politica di alcune organizzazioni presenti a Seattle, né l'esistenza di tentazioni protezionistiche alimentate da una visione poco critica del "modello sociale europeo" o dell'"eccezione francese".

Che cosa può significare "la confusione politica di alcune organizzazioni presente a Seattle" ? Ad essere in causa c'è innanzitutto la confusione politica della stessa LCR ! Sarebbe assurdo rimproverare ai politicanti nazionalisti alla Chevènement, e ancora di più a Pasqua, di essere "confusionisti". Questa gente ha una posizione politica. Ma spetta a noi dire pane al pane, chiamare nazionalista reazionario un nazionalista reazionario, riformista un riformista, ecologista un ecologista, invece di mescolarli e poi, dopo di avere sbattuto tutto, dichiarare che l'insieme "minaccia l'ordine costituito"... con il beneplacito di Clinton.

Tutta questa gente non è rivoluzionaria e non pretende di esserlo, al contrario ! Fatto sta che hanno costituito la maggioranza di questa manifestazione. Ribadiamo che il problema non è di rifiutare di manifestare, all'occorrenza, al loro fianco, ma sta nel fatto di nascondere quello che sono, in un articolo che analizza quello che è successo a Seattle e che dovrebbe dunque servire a dare chiarimenti ai militanti.

E poi, perché la LCR, in questo articolo, fa finta di difendere la Confederazione Contadina che, da parte nostra, non abbiamo combattuta ? José Bové e la sua organizzazione lottano sul terreno che si sono scelti. E' il loro diritto. Ribadiamo ancora una volta che ci possiamo ritrovare al loro fianco su certi aspetti di questa loro lotta, e ovviamente, abbiamo difeso José Bové quando è stato incarcerato. Ma perché nascondere quello che distingue la sua lotta dalla nostra ?

Perché affermare che "Mondializzare le lotte contro il nuovo disordine mondiale è sviluppare i legami tra i settori della società che entrano in movimento, per fare progredire, concretamente, un nuovo internazionalismo. Ma per questo, bisogna almeno sostenerli !" ? Ma cosa sarà mai questo "nuovo internazionalismo" ? Cosa saranno mai questi legami tra "i settori della società che entrano in movimento" ? C'è solo la LCR per presentare, sia con quel che dice che con quello che tace, questo movimento come l'inizio di un'internazionale, utilizzando però prudentemente la parola "settori" per non parlare di classi sociali.

Per concludere, bisogna dire che non proviamo per niente la "soddisfazione solitaria di essere gli unici a dare le vere risposte" perché se dovessimo provare qualche cosa, sarebbe piuttosto tristezza di vedere questo scritto in Rouge. Diciamo solo che oggi, come nel passato, la trasformazione sociale nel senso che le diamo, cioè nel senso comunista, potrà venire solo dalla forza collettiva del proletariato. Affermare questo è forse, come lo dice il redattore dell'articolo, "coltivare la nostalgia impotente dei tempi in cui le correnti rivoluzionarie erano presenti nella classe operaia".

Ma noi abbiamo fatto la scelta di impegnarci perché le correnti rivoluzionarie siano di nuovo presente nella classe operaia, invece di perderci in movimenti che, pur portando avanti lotte che possono anche essere legittime, non hanno l'ambizione di portar avanti la lotta per la trasformazione rivoluzionaria della società, o peggio ancora, sviano il mondo del lavoro dall'unica politica che potrebbe portarlo alla realizzazione di questo obiettivo.