Il congresso di Rifondazione Comunista

Εκτύπωση
Da "Lutte de classe" n° 42 (Italia - Il congresso di Rifondazione Comunista)
6 aprile 1999

Il Congresso del Partito della Rifondazione Comunista (PRC), svoltosi dal 18 al 21 marzo a Rimini, era il primo dopo l'uscita di questo partito dalla maggioranza parlamentare all'autunno 1998. Dopo due anni e mezzo di sostegno al governo dell'"Ulivo" di Prodi e alla sua politica antioperaia di austerità, il discredito e l'indebolimento militante del partito avevano portato il suo segretario generale Fausto Bertinotti a tornare all'opposizione, dopo il fallimento delle sue tentative di ottenere il ritiro del progetto di Legge Finanziaria.

Questo voltafaccia del PRC non è stato indolore poiché una frazione del partito, intorno ad Armando Cossutta, ha scelto la scissione per potere stare nella maggioranza, dando vita ad un nuovo partito, il PdCI (Partito dei Comunisti Italiani), che oggi è un sostegno del governo di Massimo D'Alema, successore di Prodi. E se questa scissione ha trascinato con se solo una minoranza del partito, è stata seguita invece da una maggioranza dei suoi deputati, senatori ed eletti locali. Durante due anni il PRC aveva giustificato la sua politica con i tentativi di ottenere da Prodi, in cambio del suo sostegno, almeno alcune concessioni verbali. Non solo era ormai evidente che il PRC aveva sostenuto una politica antioperaia, ma il partito si trovava indebolito, isolato all'estrema- sinistra dell'arco parlamentare, senza prospettiva politica credibile.

Ai DS, ormai diventati l'asse principale del governo e il migliore difensore della politica antioperaia della borghesia italiana, Rifondazione non poteva opporre che delle ambiguità. La prova della partecipazione alla maggioranza di governo ha evidenziato il vuoto della sua politica che pretendeva di rappresentare una "rifondazione comunista" senza darle nessun contenuto rivoluzionario e di lotta di classe, e la cui unica realtà era quella di una pratica meramente elettorale e parlamentare.

Un'autogiustificazione che vuole salvare il futuro

Questo Congresso è stato quindi, per Bertinotti, un esercizio di funambolismo politico mirante a giustificare allo stesso tempo la sua scelta presente di non sostenere D'Alema, e la sua scelta passata di sostenere Prodi.

Malgrado il bilancio disastroso, Bertinotti ha ancora difeso quest'ultima scelta, tra le altre cose, nella sua relazione introduttiva : "Se non avessimo compiuto la scelta di far nascere, dopo la vittoria nei confronti delle destre di Berlusconi e Fini, il governo Prodi, se avessimo cioè fatto cadere la possibilità a provare a governare, saremmo stati cancellati dalla politica italiana, ridotti ad un piccolo gruppo estremistico" ha detto Bertinotti. Ed ha aggiunto che, nell'ambito della partecipazione alla maggioranza di governo, "ci siamo battuti affinché non venisse colpito lo stato sociale (...) Tutto il paese l'ha visto, nessuno può far credere a nessuno che abbiamo avuto un atteggiamento rinunziatario"

e che così Rifondazione ha "consentito l'ingresso dell'Italia nell'Euro, senza il massacro sociale che pretendevano i conservatori"

Bertinotti traveste la realtà, perché nella storia recente dell'Italia, le risposte più vigorose della classe operaia agli attacchi contro ciò che lui chiama "lo Stato sociale" si sono svolte all'autunno del '94, quando il governo di destra di Berlusconi cercò di attaccarsi al sistema pensionistico, e fu costretto di dare le dimissioni senza riuscirci. Invece i governi successivi, che godevano del sostegno dei sindacati e della sinistra, sono riusciti a portare a termine gli stessi attacchi, grazie ad una pace sociale senza precedenti. Ma la lotta di classe, le risposte della classe operaia, non fanno parte delle opzioni prese in considerazione da Bertinotti. Appoggiare la sua politica su tale prospettiva, per lui, significherebbe ridursi ad "un piccolo gruppo estremistico". E quando dice che "ci siamo battuti", è nell'ambito del parlamento e delle discussioni in seno alla maggioranza di governo, che pare l'unico dove possa concepire di "battersi".

Con l'uscita dalla maggioranza di governo, Bertinotti e i dirigenti di Rifondazione non hanno cambiato fondamentalmente né di ragionamento politico, né di prospettiva. Cercano solo di arginare il discredito e di approfittare del ritorno all' opposizione per riprendere fiato. In particolare, devono fare fronte alle prossime scadenze elettorali : a giugno si svolgeranno le elezioni europee e, lo stesso giorno, le elezioni amministrative. Deve essere per Rifondazione l'occasione di dimostrare che bisogna ancora fare i conti con lei nel campo elettorale, e perfino di rafforzarsi grazie al fatto di apparire come l'unica opposizione di sinistra. E' indispensabile se vuole essere in grado, nel futuro, di contrattare di nuovo questa influenza.

D'altronde, lo stesso Bertinotti ha dichiarato che la sua opposizione al governo vuole essere un'"opposizione costruttiva". Questa mira a salvare la possibilità, per Rifondazione, di tornare domani nella maggioranza parlamentare e perfino di partecipare ad una nuova combinazione di governo che si potrebbe presentare come "più a sinistra". Mira anche, più immediatamente, a potere mantenere gli accordi con gli altri partiti in seno agli enti locali o nelle diverse elezioni, ed anche ad ottenere che gli altri partiti accettino di lasciare un posto a Rifondazione nelle istituzioni. Bertinotti teme di perdere tutti i suoi deputati e senatori se i progetti di riforma del sistema elettorale vengono confermati, e ci tiene a mantenere aperte le possibilità di alleanza, a dimostrare che Rifondazione è disponibile, pronta a collaborare con altri partiti nell'ambito delle istituzioni borghesi. E' questo, per esempio, il senso delle sue dichiarazioni per fare capire che Rifondazione, nelle prossime elezioni alla Presidenza della Repubblica, potrebbe votare un candidato come Ciampi, con chi condividerebbe "valori democratici".

Un'"alternativa di societa'' illusoria

Ma nell'attesa che nuove prospettive si aprano nell'ambito del sistema politico, i dirigenti di Rifondazione devono, all'attenzione dei loro militanti ed elettori in generale, dare alle loro manovre una parvenza di giustificazione. Bertinotti l'ha riassunto col dichiarare che l'obiettivo di questo Congresso era di definire niente meno che "un'alternativa di società". In effetti, così era intitolata la mozione presentata dalla maggioranza della direzione di Rifondazione e alla quale si opponeva la mozione della minoranza trotskista intitolata "per un progetto comunista".

Ma qual'è "l'alternativa di società" proposta da Bertinotti ? Questi ha precisato, nella sua relazione introduttiva al Congresso, che "non è, qui e ora, l'alternativa di sistema alla società capitalistica" sulla quale secondo lui c'è ancora "una ricerca" da elaborare, ma è "l'alternativa alla società plasmata dalle politiche neoliberiste, (...) attraverso una politica di riforme sociali e di nuovo sviluppo, attraverso un nuovo intervento del pubblico nei campi dell'ambiente, della riproduzione sociale, della produzione di beni e servizi."

Si può anche sapere, dal testo maggioritario che questa "alternativa di società" si collega "alle esperienze di movimenti, di forze politiche, e anche di governi che a livello internazionale, e nel quadro europeo, conducono una critica e una lotta al liberismo nell'attuale fase del processo di globalizzazione". Lo stesso testo allude ad "una politica di spesa pubblica di tipo neo- keynesiano" che sarebbe un'altra risposta alla crisi economica.

Ma dove Bertinotti ha trovato dei governi che "conducono una critica al liberismo" ? La mozione maggioritaria spiega che esiste "una posizione di tipo neosocialdemocratico, rappresentata in particolare dai socialisti francesi, e più incisivamente dall'esperienza dello stesso governo delle sinistre francesi, che pur agendo all'interno dell'orizzonte dei rapporti di produzione e sociali di tipo capitalistico, vuole immettere nell'attuale società un innesto di riforme per evitare le conseguenze sociali delle politiche liberiste, delle logiche di mercato e di liquidazione dello Stato sociale."

L'esempio invocato da Bertinotti non è quindi come si potrebbe credere su un'altro pianeta, bensì nel paese vicino, la Francia, dove il governo Jospin sarebbe, se si capisce bene, se non l'esempio di un governo che propone "l'alternativa di società", almeno quello di una ricerca in questa direzione. Nella sua relazione introduttiva, il segretario generale di Rifondazione parla addirittura "dell'avvio, di straordinario interesse anche per noi, delle esperienze di governo della sinistra plurale in Francia", ed invoca anche il dirigente socialdemocratico tedesco Lafontaine a sostegno dell'idea che esiste una tendenza a ricercare questa "alternativa di società".

Si sapeva che Italia e Francia sono separate da una montagna, le Alpi, e anche con il Monte Bianco, dalla vetta più alta d'Europa. E' difficile però credere che questo fatto sia sufficiente per oscurare la vista di Bertinotti al punto che non sappia che, in materia di privatizzazioni per esempio il governo Jospin in due anni ha fatto di più dei due precedenti governi di destra, e che come gli altri governi d'Europa questo governo conduce una politica di austerità, a scapito dei servizi pubblici essenziali e quindi della popolazione, per dedicare i soldi dello Stato a sovvenzionare i grandi capitalisti. Se la parola "liberismo" ha senso, questo vale perfettamente per la politica di Jospin, e ci si chiede davvero dove si può scoprire questo "neokeynesianismo" et lo "straordinario interesse" rintracciato da Bertinotti nelle "esperienze di governo della sinistra plurale in Francia"

In realtà, se la stessa politica che Bertinotti critica in Italia quando è condotta da Prodi o D'Alema viene presentata da lui come una politica progressiva quando è condotta in Francia dal governo Jospin, è perché deve tentare di dare un po' di credibilità alla sua prospettiva di "alternativa di società" col fare credere che questa comincia di essere attuata dall'altro lato delle Alpi. Ma il solo fatto di osare invocare questo esempio dovrebbe bastare a screditarlo.

D'altronde il testo della "prima mozione" si astiene di dare dei lineamenti precisi a questa cosiddetta politica "di riforme". Tutt'al più si trova per esempio la proposta della "regolarizzazione dei lavori socialmente utili" o di creare "una grande agenzia pubblica per il Mezzogiorno", delle promesse di governo cioè, casomai Rifondazione avesse l'occasione di parteciparvi. Ma non solo queste proposte sono estremamente modeste, ed anche illusorie - come mai nuovi fondi statali "per il Mezzogiorno" dovrebbero essere più efficaci per sviluppare il Sud d'Italia di quelli spesi fino a questa parte dallo Stato, con lo stesso pretesto, che hanno arricchito solo il grande capitale... o la Mafia ?- ma di più non contengono niente di concreto che sia suscettibile di fornire degli obiettivi di lotta alla classe operaia ed alla popolazione.

Certo il testo parla per esempio de "la difesa dello Stato sociale", ed anche di riproporre "il ruolo di intervento dello Stato sociale nelle politiche ridistributive della ricchezza sociale e del reddito, del tutto inesistenti dopo la liquidazione della scala mobile". Ma è ben caratteristico che, anche in tale frase, l'obiettivo del ripristino di questa scala mobile, la cui soppressione è stata una tappa importante dell'offensiva antioperaia di questi anni, sia solo suggerito e neanche espresso chiaramente. I dirigenti di Rifondazione, casomai tornassero nella maggioranza di governo, non vogliono neanche vincolarsi a tale obiettivo, e ancora meno che possa diventare una rivendicazione per le masse.

Allora il testo della mozione Bertinotti può affermare d'altra parte che, per Rifondazione, "il paradigma della centralità della contraddizione di classe e del lavoro salariato" rimane "fondamentale", questo è solo emblematico dello sproloquio riformista di Rifondazione, un linguaggio presuntuoso, falsamente intellettuale e volontariamente oscuro, il cui unico scopo è di potere mascherare il vuoto delle sue prospettive, o meglio il fatto che queste si limitano a cercare di ritrovare una situazione e un rapporto di forza elettorale che le consentano di essere di nuovo accettata nella maggioranza di governo, o perfino nel governo stesso.

Dall'opposizione di 1996 a quella di 1999

Nel precedente Congresso, nel 1996, mentre Rifondazione era impegnata nel sostegno al governo Prodi, un'opposizione si era già espressa con una "seconda mozione" opposta al testo maggioritario presentato da Bertinotti, seconda mozione che aveva raccolto il 16% dei voti nelle assemblee dei circoli. Questa mozione era al'iniziativa di parecchi gruppi. Uno era l'associazione Quarta Internazionale, legata al Segretariato Unificato di cui fa parte la LCR francese, che pubblica la rivista "Bandiera Rossa" e il cui dirigente più conosciuto è Livio Maitan. Un altro era l'"associazione marxista rivoluzionaria Proposta", gruppo trotskista indipendente dal Segretariato Unificato, che pubblica la rivista "Proposta" e il cui rappresentante più conosciuto è Marco Ferrando. Si aggiungeva il gruppo di Giovanni Bacciardi, gruppo di tradizione più stalinista presente in Toscana e uscito da Rifondazione dopo il Congresso di 1996 per tentare di creare la "Confederazione dei Comunisti Autoorganizzati".

Il gruppo di Livio Maitan, se è rimasto in Rifondazione, non fa più parte dell'opposizione poiché per questo congresso del 1999 ha raggiunto la maggioranza bertinottiana. Così, in una dichiarazione di voto firmata da 24 membri del Comitato politico nazionale, di cui Livio Maitan, nel corso della sua riunione dei 19 e 20 dicembre scorsi, questo gruppo ha spiegato che nel suo giudizio sulla politica del partito non può che "partire dall'essenziale, dal fatto che il PRC è sfuggito in extremis all'abbraccio integrante e svilente del centrosinistra, ponendo fine ad una posizione ambigua e obiettivamente subalterna". E con la constatazione che "il partito è oggi all'opposizione, offrendo in questo modo un sponda politica ai fermenti sociali e ai movimenti di massa che si stanno producendo", il gruppo di Maitan ha scelto di votare il documento maggioritario presentato da Bertinotti.

Sembra che questo gruppo avrebbe preferito potere distinguersi dalla mozione maggioritaria col proporre emendamenti a questa mozione. Ma il regolamento congressuale escludeva, appunto, la presentazione di contributi di tipo nazionale. Così, anche se la dichiarazione di voto del gruppo Maitan comportava alcune sfumature, questi è apparso completamente allineato sulle posizioni di Bertinotti. In alcune città, sono i membri del gruppo Maitan che sono stati scelti per presentare nelle assemblee del partito il documento maggioritario. Questo corrisponde al fatto che la partenza dei cossuttiani quest'autunno è stata l'occasione, per dei militanti de "l'associazione Quarta Internazionale", di assumere nuove responsabilità a vari livelli del partito. Ma con lo schierarsi oggi con la maggioranza bertinottiana, coll'affermare pubblicamente che non se ne distingue da niente d'essenziale, il gruppo di Maitan abbandona anche apertamente la prospettiva della lotta per un partito operaio rivoluzionario indipendente dalle organizzazioni riformiste.

La mozione "per un progetto comunista"

Dopo la partenza del gruppo di Bacciardi, dopo l'adesione di Maitan alla maggioranza bertinottiana, l'unico gruppo rimasto all'opposizione era quindi il gruppo "Proposta", intorno a Marco Ferrando, che ha proposto questa volta ancora una "seconda mozione" intitolata "per un progetto comunista". E anche se si può discutere molti aspetti di questo lungo testo, c'è da rallegrarsi del fatto che siano rimasti dei militanti preoccupati di rivolgersi ancora all'insieme degli aderenti di Rifondazione per difendere davanti a loro una prospettiva comunista. Inoltre l'hanno fatto con un riscontro notevole.

In effetti, malgrado la defezione dei due gruppi citati, la "seconda mozione" presentata dal gruppo di Marco Ferrando ha raccolto complessivamente il 16% dei voti nelle assemblee dei circoli locali di Rifondazione. Il risultato è uguale a quello della "seconda mozione" del 1996, almeno in percentuale - poiché nel frattempo il numero degli aderenti di Rifondazione è diminuito. Questo rappresenta poco più di 5400 voti su 34800 votanti (e 75000 tesserati) e c'è anche da osservare che in alcune federazioni la percentuale è molto più importante. Così la mozione 2 ottiene il 57,75% dei voti nella provincia di Savona e il 31,77% in Liguria. Raccoglie il 19,85% dei voti in una grande città come Torino, e il 20,52% in tutto il Piemonte, il 17,78% a Milano anche se il risultato è più basso su scala della Lombardia (15,09%), il 17,24% a Napoli, il 22,57% in Calabria.

Per il piccolo gruppo di militanti che ha portato avanti questa seconda mozione, tale risultato certamente non è trascurabile. In effetti, hanno dimostrato che una frazione della base del partito non è affatto soddisfatta della politica bertinottiana. Dopo due anni di sostegno alla politica di Prodi, non accetta le spiegazioni del segretario generale di Rifondazione che continua di giustificare il suo sostegno passato al governo per meglio potere difendere, oggi, una prospettiva meramente riformista. E di più, hanno dimostrato che questa frazione critica del partito si ritrova su una politica chiaramente comunista.

Ma l'obiettivo di Marco Ferrando e del gruppo "Proposta", che sono all'iniziativa della mozione 2", è solo di permettere ai militanti di Rifondazione fautori di un autentico "progetto comunista" di contarsi nei Congressi del partito ? Come militanti che fanno riferimento al trotskismo, si può pensare che il loro obiettivo rimane di costruire un vero partito operaio rivoluzionario. Ma se così è, sorgono delle domande : l'obiettivo è di trasformare Rifondazione in un partito di questo tipo ? Questo sembra evidentemente impossibile perché il peso dell'apparato e dei militanti attaccati ad una pratica istituzionale e meramente elettorale è ben maggiore di quello dei militanti attaccati alle idee rivoluzionarie e alla lotta di classe, e questo peso contribuisce, appunto, ad impedire un rafforzamento di quest'ultima corrente, anche solo perché demoralizza e scoraggia chi vorrebbe orientarsi seriamente in questa direzione.

Allora, l'obiettivo almeno è di proporre questo orientamento alla frazione del partito che ha votato per la seconda mozione, cioè di farne une frazione che si orienti in modo coerente verso la formazione di un partito operaio rivoluzionario ? Questo necessiterebbe di avere per questa frazione autentici obiettivi di radicamento, d'intervento, di formazione di militanti con una vera pratica comunista. Ma il testo della mozione non comporta indicazioni in questo senso, o quando comporta obiettivi d'organizzazione, sembra che questi obiettivi vengano rivolti agli organismi dirigenti del partito piuttosto che ai militanti che, alla base, potrebbero servirsene e metterli in pratica nel loro intervento quotidiano. Di più il testo comporta sotto quest'aspetto almeno un'importante ambiguità, di cui è necessario discutere.

Così, per indicare quale obiettivo propongono a Rifondazione in materia d'organizzazione, i promotori della mozione "per un progetto comunista" dichiarano che occorre "recuperare e aggiornare una concezione gramsciana del partito come intellettuale collettivo e impegnato nella lotta per l'egemonia tra le masse". Invece non si può trovare nel testo un riferimento, né al bolscevismo, né alla Terza Internazionale, anche se c'è nella mozione un riferimento alla Rivoluzione d'Ottobre.

Certo, Gramsci è stato un fautore della Terza Internazionale in Italia. I suoi testi, le sue allusioni al partito "intellettuale collettivo" e molte altre, riflettevano una volontà di tradurre l'esperienza ed il programma della Terza Internazionale nella realtà italiana. Ma appunto, Gramsci le traduceva a suo modo, e questo modo non era privo di ambiguità. Nel miglior dei casi, queste riflettevano un'assimilazione dell'esperienza bolscevica ben lungi dall'essere completa. Lo sarebbe divenuta finalmente ? E' una questione che l'incarcerazione di Gramsci e la sua morte sotto il fascismo hanno lasciata senza risposta, ma fatto sta che i successori di Gramsci alla testa del PC italiano hanno poi utilizzato tutte queste ambiguità per giustificare la loro pratica riformista, in nome di una "via italiana al socialismo" che per loro non era altro che una via per prendere distanze ideologiche con il comunismo ed il bolscevismo.

Allora, rivendicare Gramsci ma non il bolscevismo è, nel contesto del movimento operaio italiano, una concessione che può essere grave, nei confronti di certi quadri venuti dal PC che, quando vogliono risalire alla fonte politica, possono essere più inclini a rivendicare una concezione "gramsciana" del partito che una concezione leninista, proprio perché questa concezione "gramsciana", che non ha mai potuto acquistare un senso preciso, è quindi meno vincolante della concezione leninista e lascia parecchie direzioni aperte.

Certo, rivendicare la tradizione bolscevica, leninista e trotskista in questa "seconda mozione" non sarebbe sufficiente per farne una realtà, né per l'insieme di Rifondazione ovviamente, e neanche per la piccola frazione che si è ritrovata in questa mozione "per un progetto comunista". Ma questo poteva almeno essere rivendicato come un obiettivo politico. E il fatto di non farlo per cercare riferimenti gramsciani più ambigui, può tradurre proprio l'assenza di obiettivi chiari in materia d'organizzazione, d'intervento, d'elaborazione di una reale pratica politica rivoluzionaria e di classe.

Quindi, i militanti che vogliono davvero orientarsi verso la costruzione di un partito operaio rivoluzionario possono rallegrarsi del fatto che la definizione di un "progetto comunista" raccolga, alla base di un partito come Rifondazione comunista, un discreto successo nei confronti della politica maggioritaria di Bertinotti. Ma devono anche essere coscienti che questo non può ancora essere altro che la premessa di tale progetto e lascia molte questioni aperte.

I compiti oggi

Inoltre i compiti dei rivoluzionari oggi, in un paese come l'Italia, non si possono misurare solo al criterio della vita interna di Rifondazione comunista. L'arrivo al governo di D'Alema segna una tappa importante in un'evoluzione politica, quella del partito Comunista Italiano, un partito che fu il maggiore partito comunista dell'Europa occidentale. Questo partito stalinista è venuto in aiuto allo Stato italiano minacciato di crollo dopo la caduta del fascismo ; ha contribuito dopo il 1945 alla ricostruzione economica e politica a favore della borghesia ; ha sempre dato il suo aiuto alla stabilità politica del paese quando la borghesia facevo appello al suo senso delle responsabilità. Così fu con il "compromesso storico" della fine dgli anni settanta, ed ancora durante gli anni ottanta.

D'altronde, il PC italiano ha beneficiato per anni del fatto di apparire come l'unica forza d'opposizione politica a sinistra. A differenza della Francia, dove il partito socialista è stato a lungo mantenuto all'opposizione per il fatto della stabilità del potere di de Gaulle e della destra gollista, il PS italiano è stato associato sin dagli anni sessanta alle maggioranze di centrosinistra e così si è compromesso e discreditato. Così, sulla base di una pratica politica socialdemocratica, il PC ha potuto occupare negli anni sessanta e settanta un'importante spazio politico, paragonabile allo spazio occupato dal Partito Socialista in Francia a partire dagli anni settanta.

Però durante tutto quest periodo, il PC italiano ha ancora mantenuto formalmente l'etichetta comunista e, se questa etichetta da molto tempo non aveva più alcun senso per i dirigenti del partito, ne aveva ancora uno per molti militanti della base. Questi così continuavano di collegarsi, anche se confusamente, ad una tradizione politica che è quella della lotta della classe operaia per la sua emancipazione, sociale e politica, attraverso il rovesciamento del capitalismo e la trasformazione rivoluzionaria della società.

Così, nonostante la sua pratica riformista da molto tempo profondamente ancorata, la direzione del vecchio PC italiano ha finamente aspettato fino al 1991 per rinnegare apertamente la tradisione e l'etichetta comunista. In compenso, il partito che ne è sorto, i DS, è oggi un partito di governo essenziale per la borghesia italiana, che svolge praticamente lo stesso ruolo del PS in Francia o dei vari partiti socialdemocratici degli altri paesi d'Europa, e il suo dirigente D'Alema è stato ammesso al posto di presidente del Consiglio dei ministri. I dirigenti DS al governo, appoggiati sulla collaborazione dei sindacati, si rivelano i migliori agenti degli attachi antioperai della borghesia italiana. Il risultato è una demoralizzazione e un disorientamento profondo della classe operaia e dei suoi militanti.

Di fronte a questo, è positivo che una frazione del vecchio PC ci abbia tenuto a rivendicare la parola comunista, dando vita a Rifondazione comunista. Eppure, sotto la direzione di uomini come Bertinotti, è stato solo per condurre la stessa politica collaborazionista del vecchio PC, per riprodurre il suo riformismo ed il suo elettoralismo senza neanche fermare veramente l'evoluzione che lo portava a destra, verso l'affermazione di una politica socialdemocratica di gestione della società borghese e di rinuncia a la sua trasformazione. Anche oggi, dopo di essere stato costretto a tornare all'opposizione, l'affermazione de "l'alternativa di società" bertinottiana non è altro che l'affermazione mascherata che i dirigenti di Rifondazione comunista, nonostante questo nome, non aspirano a niente altro che ad un ruolo nella gestione della società borghese, col pretesto di tentare di riformarla mentre loro stessi sanno bene che questo è impossibile.

E' quindi vitale di continuare ad affermare la validità della prospettiva della lotta di classe e della trasformazione comunista della società. E tanto meglio se, in queste condizioni, il 16% di un partito come Rifondazione si riconosce in questo approccio. Anche se è poco, questo può essere una tappa nel raggruppamento di militanti attacati a questa prospettiva. Ma l'obiettivo non è solo di affermare questo, e ancora meno di farlo solo nell'ambito, necessariamente limitato, di un partito comme Rifondazione.

In effetti l'obiettivo dei prossimi anni è questo: : quello della rinascita di un vero partito comunista, di una vera direzione rivoluzionaria della classe operaia. Questo non comporta soltanto la rivendicazione di un programma in un Congresso. Questo comporta una pratica, la formazione di militanti capaci di avere un intervento nelle lotte grandi e piccole della classe operaia, capaci di conquistare la sua fiducia, di riportare dei successi nella lotta di classe, di aiutare i lavoratori a sormontare la loro demoralizzazione e a riprendere fiducia nelle loro proprie forze. Non si può fare dipendere l'attuazione di questo compito dall'adozione di questo programma dalla maggioranza di un partito come Rifondazione, il ché comunque è impossibile. Già adesso bisogna affermare questa prospettiva, e non si può farlo solo nei Congressi di Rifondazione Comunista. Bisogna darsi i mezzi di farlo di fronte all'insieme della popolazione, di fronte all'insieme della classe operaia.

Le vie verso la rinascita di un vero partito comunista proletario non stanno scritte in anticipo, né in Italia né altrove. La tendenza che si riconosce oggi nel "progetto comunista" della seconda mozione del Congresso di Rifondazione può essere solo una testimonianza del fatto che, dopo anni di crisi, di trasformazioni e di rinnegamenti della direzione del vecchio PC italiano, ci sono ancora alla base di una delle tendenze che ne sono sorte dei militanti decisi a rivendicare l'identità comunista. Ma questo può essere solo un sussulto di più nella lunga deriva del PC italiano verso la socialdemocrazia, mentre al contrario occorrerebbe augurarsi che questo sia veramente l'inizio di un riarmamento politico per questa frazione di militanti.

In effetti, può dipendere dai militanti che si sono riconosciuti nella "seconda mozione" di questo Congresso che questa non sia solo la testionianza della permanenza di una corrente comunista alla base di Rifondazione ma diventi, con altri ovviamente, un elemento della ricostruzione di un partito che difenda davvero, di fronte all'insieme dei lavoratori, una prospettiva rivoluzionaria comunista.